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Autore: ClaireOwen    13/11/2016    6 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Eccomi qui di nuovo, più o meno per tempo, giorno più, giorno meno...
Vi faccio solo una preghiera per questo capitolo: non tirate conclusioni affrettate e abbiate tanta fede in generale che con qusti due ce ne vuole ed in un certo senso è giusto così!
Per il resto vi ringrazio davvero di cuore, ogni volta che pubblico riesco a sentire l'affetto di ognuno di voi che perdete qualche minuto delle vostre vite a leggere, scrivere recensioni, inserire tra preferiti e quant'altro insomma siete un tesoro e sinceramente, essendo la prima cosa che scrivo, non mi aspettavo questo 'feedback'!
Per cui vi mando un bacio grande, spero che possiate apprezzare anche questo capitolo,
a prestissimo!
Chiara.


XI
 
(parte 1)
 
Il tepore della coperta le impediva di aprire gli occhi e tornare alla vita reale, aveva dormito un sonno profondo, niente sogni, nessuna interferenza con la sua mente affollata da ricordi dolorosi, rimorsi e paranoie, solo buio, un accogliente e rassicurante buio.
Ora però sentiva un cerchio alla testa e pian, piano mentre il dolore si faceva più acuto, realizzò di non ricordare praticamente nulla della sera scorsa: possibile che avesse bevuto così tanto da non riuscire ad aggrapparsi a nessuna frase, nessun gesto, nessuna immagine?
Provò a muovere una gamba, cercava di far svegliare il suo corpo insieme alla sua testa ma c’era qualcosa che non andava, sentiva un peso sopra essa, era come se fosse incastrata a qualcosa.
Si forzò ad aprire gli occhi, pochissima luce filtrava dalle serrande tirate giù quasi del tutto, la stanza era sostanzialmente avvolta nell’oscurità ma era sicura che il sole doveva essere sorto già da un pezzo, le sembrava di aver dormito per un tempo lunghissimo ed incalcolabile.
Ci mise un po’ a mettere a fuoco, la scrivania era in disordine, notò una massa di vestiti che non riusciva a distinguere sul piano del tavolo, per terra giacevano invece le sue scarpe e l’abito elegante che doveva essersi sfilata prima di addormentarsi… D’un tratto una domanda affiorò tra i suoi pensieri ancora confusi, non ricordava di aver tirato fuori indumenti dalla valigia, se il suo vestito era ai piedi del letto, di chi erano quelli che giacevano sulla scrivania? Cercò di strizzare un pochino gli occhi per mettere meglio a fuoco ed individuò la manica di una camicia da uomo, sentì contemporaneamente il suo petto esplodere.
Rivolse lo sguardo al suo corpo e si rese conto solo in quel momento di essere cinta da un braccio sulla vita, indossava solo una maglietta.
Aveva paura a voltarsi, se solo avesse potuto ricordare qualcosa, se solo avesse potuto fronteggiare la realtà in un modo più consapevole.
Chiuse nuovamente le palpebre e cercò di concentrarsi, ripercorse con la mente i frammenti che balenavano dell’assurda giornata precedente: il treno, l’arrivo, Bellamy e la sua cravatta, il viaggio in macchina con Jasper e Monty, la mano del più grande dei Blake alla quale si era aggrappata, la chiesa, l’abito di sua madre, il mare, un papillon, il sapore del prosecco e poi Finn.
Poi più nulla.
I suoi ricordi s’interrompevano su quei lineamenti familiari che non avrebbe mai dimenticato, gli occhi color cioccolata ed i capelli più lunghi dell’ultima volta che lo aveva visto.
Doveva voltarsi, doveva trovare il coraggio di capirci di più, di ricostruire i tasselli di un puzzle interrotto a metà.
Buttò fuori tutto il fiato che aveva trattenuto mentre ripercorreva quelle immagini sfocate e si girò sul fianco, doveva solo aprire gli occhi, la verità era ad un palmo da lei.
Aveva il terrore di trovarsi accanto un corpo che conosceva fin troppo bene, aveva paura di essere caduta in una trappola dalla quale difficilmente sarebbe potuta uscire senza ferirsi ulteriormente.
E se proprio Collins fosse stato accanto a lei cosa avrebbe potuto fare? Chi li aveva visti? Cosa avrebbe potuto pensare Bellamy?
Nuovamente alzò le palpebre, nuovamente si forzò maledettamente a farlo e tutte le domande che l’avevano assillata negli ultimi minuti persero senso in un millesimo di secondo.
Un cespuglio di ricci scomposti affondava nel cuscino al suo fianco, una miriade di lentiggini punteggiavano il naso e le gote, un’espressione beata giaceva sulle labbra socchiuse di Bellamy Blake.
Clarke riprese fiato e per pochi secondi un sorriso le sfiorò la bocca secca, per poi lasciare spazio a nuove domande alle quali non era sicura di voler trovare una risposta.
Cosa ci facevano le sue gambe nude incastrate a quelle del ragazzo?
Non voleva credere che la risposta fosse così banale eppure a cos’altro avrebbe potuto pensare?
Ogni ipotesi sfumava quando il suo sguardo si perdeva nel viso dormiente di lui ma riaffiorava insieme ad un’inquietudine difficile da scacciar via, perché reagiva così?
Avrebbe voluto ricordare quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa per riviverlo, per poterlo conservare probabilmente, per sentire il sapore delle sue labbra ed il peso del suo corpo su di lei.
Perché, era piuttosto ovvio, non c’era altro modo in cui potevano essere andate le cose e lei si era persa un momento che solo in quel momento capì di aver desiderato praticamente dalla prima volta che i loro sguardi si erano scontrati, nonostante tutto, al di là delle fottute prime impressioni.
Sentì gli occhi inumidirsi e s’irrigidì per evitare che le lacrime compissero il loro solito sentiero.
Bell dovette in qualche modo avvertire i movimenti della ragazza, dopo tutto nemmeno Clarke  aveva capito del tutto in che modo fossero incastrati l’un l’altra sotto la coperta troppo piccola per due che avevano condiviso, perché lui arricciò il naso e si lasciò sfuggire uno sbadiglio, si portò una mano sul viso e si stropicciò gli occhi che si spalancarono velocemente.
Istintivamente la biondina serrò i suoi, sperando che il ragazzo non avesse avuto il tempo di notarlo.
 
-
 
Ci mise un po’ a mettere a fuoco ma fu quasi certo di aver visto Clarke far finta di dormire ancora, le guance rosse ed il respiro poco regolare di lei confermarono il suo sospetto ma decise di non rovinare tutto subito.
Voleva godersi ancora un po’ quella vista, voleva vedere ancora la principessa da quella distanza sostanzialmente azzerata e sentire ancora per poco il calore dei loro corpi a contatto senza imbarazzo.
Sentiva un senso di pace e quiete dentro lui che non gli erano mai appartenuti, poter osservare indisturbato il viso di Clarke in quella penombra gli sembrava il modo migliore per iniziare la giornata, avrebbe voluto rimanere così per sempre, era certo che non si sarebbe mai stancato della perfezione dei suoi lineamenti avvolti dalla coperta stropicciata.
Non riuscì a frenarsi e con una mano tremante e dubbiosa accarezzò lievemente la pelle levigata del suo viso candido, non gli importava che lei fosse sveglia e potesse avvertire quel contatto, sorrise quando la vide contrarre i muscoli della mascella ed arrossire ulteriormente.
“Buongiorno.”
Sussurrò non appena aprì gli occhi.
La risposta di Clarke fu uno sguardo confuso e quasi intimorito da quel gesto, Bell sapeva che non era solo questo a spaventarla ma ritrasse velocemente la mano.
Conosceva bene la sensazione del post sbornia, sapeva che probabilmente ricordava poco e niente della sera scorsa e che ora mille domande frullavano nella sua testa ma in un certo senso era meglio così.
La giovane Griffin sembrava sul punto di dire qualcosa, aprì le labbra per poi però richiuderle in pochissimo tempo.
“E’ tutto okay.”
Cercò di incoraggiarla.
La ragazza si portò una mano alle tempie ma ancora non riuscì a dire nulla.
“Conosco qualche metodo per alleviare il mal di testa da sbronza.”
Lei si tirò su, badando bene che la coperta le coprisse la vita e le gambe, una volta seduta, annuì per poi scuotere la testa e passarsi  le dita distrattamente tra i capelli scompigliati dal cuscino.
“Io… non ricordo quasi nulla.” Lo disse con un tono di voce colpevole che trasudava ansia e bisogno di colmare qualche lacuna.
“Tranquilla… posso aiutarti a ricomporre i pezzi mancanti ma credo sia meglio mettere qualcosa sotto i denti prima.”
“Mhh. Solo che… Santo cielo mi sento un’idiota. Io e te, insomma perché…”
Si morse un labbro, non riuscì a concludere la frase, non sapeva minimamente come chiedere a Bellamy come fossero finiti su quel letto, insieme.
“Oh…” Bell scoppiò in una risata nervosa ma cercò di riprendersi
“Sei stata tu a chiedermi di farti compagnia, non riuscivi a dormire. Pensi davvero che avrei potuto anche solo minimamente pensare di far altro se non dormire con te?!”
Gli occhi sbarrati di Clarke lo lasciarono di sasso.
Aveva espresso nel modo peggiore qualunque cosa gli stesse passando per la testa e lei lo aveva frainteso alla grande.
“Allora, potresti uscire per favore?”
“Aspetta, io non volevo dir…”
“Mi devo cambiare, ho solo una maglietta addosso.”
Lo sapeva, ricordava bene il desiderio confuso che aveva provato quando per sbaglio aveva intravisto la sua pelle candida e svestita.
Deglutì e si scostò chinando il capo, non era così che si aspettava andassero le cose, non faceva altro che rovinare ogni momento che poteva anche solo fargli sfiorare una flebile felicità.
Si rimproverò, cosa doveva aspettarsi dopo tutto? Era ubriaca, triste e sostanzialmente sola, non gli aveva chiesto di rimanere per nessun altro motivo o fine, era normale che avesse bisogno di sentire qualcuno, qualsiasi persona, accanto. Si diede dello stupido anche solo per aver potuto sospettare minimamente che quella richiesta fosse motivata da altro. Dopo tutto Clarke Griffin era al di fuori della sua portata, viaggiavano su binari paralleli che non si sarebbero mai incontrati. La vita di lei era già tracciata, aveva degli scopi e degli obiettivi da perseguire e lo stava facendo con successo ed impegno. Lui invece faceva un lavoro scadente solo per mantenere in piedi una casa di cui doveva persino affittare una stanza, aveva smesso di avere sogni, di fare progetti da molto tempo.
“Sono di sotto.”
“Okay.”
 
Apparì qualche minuto dopo, indossava dei leggins e una felpa sopra la maglietta con la quale aveva dormito.
“Faccio un caffè, lo vuoi?”
Bellamy annuì.
“Prima hai detto che ti ricordi di ieri.”
La biondina lo colse impreparato, era stato talmente preso ad autocommiserarsi per aver frainteso il suo ambiguo e poco lucido comportamento che non aveva minimamente pensato a come poterle raccontare il teatrino che l’aveva vista protagonista.
“Si ma… non sono sicuro di essere la persona adatta a raccontarti tutto.”
“Voglio sapere di Finn, mia madre può anche andare al diavolo.”
Dunque il breakout era più lungo di quanto potesse sospettare, sospirò, perché le importava ancora così tanto di sapere cosa Collins aveva fatto o detto? No, non era la persona adatta, in quel momento, ripercorrendo i ricordi della sera antecedente si penti per non avergli mollato un destro sul naso. Allo stesso tempo si preoccupò, il vero fatto saliente della cerimonia non aveva decisamente riguardato quel pezzente, la scenata a sua madre era stata deleteria e avrebbe dovuto confrontarcisi prima o poi.
“Non c’è molto da dire su di lui.”
“Si da il caso che il mio vuoto inizi proprio dal momento in cui mi ha rivolto la parola…”
“E’ venuto a salutarti, credo” Bell non aveva assistito all’intera conversazione ma grazie al cielo era arrivato in tempo per allontanarlo quando la sua sfrontatezza aveva superato ogni limite. “Non so bene cosa vi siate detti, ero lontano in quel momento, quando mi sono avvicinato ti stava dicendo qualcosa sul fatto che non sei cambiata ed è per questo che gli piaci o qualcosa del genere... e poi…”
“E poi?”
“E poi gli ho detto di togliersi di mezzo.”
“Avrei potuto benissimo farlo sola.”
“Lo so e ti ho chiesto scusa per questo, in riva al mare.”
Aggrottò le sopracciglia di fronte a quei nuovi dettagli.
“Quanto ho bevuto?”
“Un bel po’ per i tuoi standard.”
Lei lo fulminò con lo sguardo.
“Che c’è? Ho semplicemente notato che non reggi particolarmente bene l’alcol.”
“E poi basta?”
“Non proprio.”
Alzò un sopracciglio ed il ragazzo sospirò. Dovette raccontarle il resto, di Finn che si era di nuovo intromesso anche se ancora una volta non sapeva bene cosa avesse detto, di sua madre che l’aveva vista brilla e si era alterata e della sua catastrofica quanto sincera reazione.
 
-
 
Un miscuglio di emozioni contrastanti vorticavano nella mente di Clarke. La verità era anni luce lontana da come aveva provato a figurarsela su tutti i fronti.
In primo luogo lei e Bellamy a quanto pare avevano solo dormito insieme, anzi quando il ragazzo le aveva fatto capire che non avrebbe mai avuto intenzioni diverse per quanto la frase forse avesse dovuto essere contestualizzata, la bionda sentì un vuoto nel petto che la fece chiudere a riccio inevitabilmente. 
Si arrabbiò profondamente con se stessa, odiava sentirsi così suscettibile soprattutto se si trattava di sentimenti sui quali non si era ancora voluta interrogare. Non aveva mai pensato coscientemente a Bell come ad un qualcuno di diverso dal suo coinquilino ma adesso non riusciva ad ignorare le sensazioni provate finora che le mandavano messaggi piuttosto chiari.
In ogni momento da quando aveva messo piede a Boston Bellamy c’era stato, inizialmente come una specie di avversario con il quale era iniziata una sorta di competizione, poi  come un confidente, nel giro di poco era diventato addirittura un sostegno e in quella fredda mattinata Clarke aveva persino sospettato e desiderato che tra i due ci fosse stato qualcosa di più di un semplice sguardo confuso. Tutte le volte che per sbaglio o in situazioni particolari aveva avuto un contatto fisico con lui aveva sentito un brivido, una scintilla accendersi e scaldarle l’intero corpo. Lo guardò mentre affondava il capo nella tazza di caffè e capì che forse quel ragazzo era diventato in men che non si dica qualcosa di esageratamente più importante di un semplice coinquilino, non gli aveva mai chiesto molto ma lui c’era sempre stato, senza fare domande, senza farsi problemi e senza giudicarla mai.
Non aveva provato più nulla da quando aveva lasciato Finn, non si era posta il problema, aveva avuto qualche avventura ma niente di più, voleva sentirsi libera, si era detta ma a quanto pare le cose non erano andate così, non aveva messo in conto le responsabilità, le complicazioni, le sofferenze che l’avevano sopraffatta nell’arco di pochi mesi  tuttavia quando il maggiore dei Blake era nei dintorni si sentiva confidente, diversa, più forte.
Ma no, non avrebbe detto nulla perché a quanto pare era l’unica a vederla così e quel ragazzo si era infilato nel suo letto perché una poco lucida Clarke Griffin glielo aveva chiesto, aveva gridato un aiuto e lui si era precipitato probabilmente per semplice pena.
Non voleva più soffrire. Non voleva più elemosinare aiuto o commiserazione e avrebbe dovuto far fronte al gran pasticcio che in pochi minuti e con l’aiuto di una bottiglia di spumante aveva creato.
Fu lieta di ricordare che sua madre non sarebbe tornata prima di due settimane ed allo stesso tempo decise che il suo tempo a New York era scaduto.
“Vorrei tornare in serata, se non ti dispiace”
Disse guardando fuori dall’ampia finestra, restare lì avrebbe voluto dire dover fronteggiare situazioni e persone e non si sentiva pronta.
Jasper o Monty le avrebbero sicuramente chiesto come si sentiva, cosa era accaduta e lei non aveva una risposta pronta.
“Figurati.”
“Mi dispiace.”
Bell le rivolse uno sguardo perplesso.
“Tua sorella mi ha detto che ti avrebbe fatto bene svagarti un po’ ma non ce la faccio, restare qui vuol dire affondare nel passato.”
“New York starà qui per sempre Clarke, non m’interessa.”
 
*
(Parte 2)
 
La prima cosa che aveva fatto una volta messo piedi di nuovo a Boston era stato mandare un messaggio a Raven chiedendole di vedersi per fare colazione il giorno seguente.
Era stato un gesto istintivo, voleva parlare con qualcuno in grado di capire alcune dinamiche, soprattutto quelle relative a Finn ma che allo stesso tempo non avesse quella confidenza tale da farle una predica o darle un consiglio di vita, non aveva bisogno di quelle stronzate, voleva solo un po’ di sincerità e schiettezza e si era resa conto che quella ragazza era decisamente la più adatta.
 
“Non mi sarei mai aspettata di vederci di nuovo sedute in un bar così presto.”
Clarke la guardò dubbiosa, a volte non capiva se la moretta la prendesse in giro o fosse seria.
“Te l’ho detto, non così presto. Ma non mi dispiace Clarke, non sono il tipo di persona contornata da amiche ventiquattro ore su ventiquattro e la possibilità di poter fare una chiacchierata a volte mi manca.”
“Ho pensato a te perché al matrimonio di mia madre ho incontrato Finn.”
Raven diede vita ad un’espressione colma di stupore
“Che diamine ci faceva lì?”
“Si occupava del catering a quanto pare…”
“E?”
“E ha cercato di parlarmi, di scusarsi, credo.”
“Credi?”
“Temo che la pressione mi abbia indotto a bere qualche bicchiere di troppo.”
“Cosa stai cercando di dirmi Griffin? Quello che fai con lui non mi riguarda.”
Disse sulla difensiva l’altra.
Clarke scosse la testa, la ragazza stava decisamente fraintendendo.
“Ferma Rav’ tra me e Finn non è successo nulla, né succederà mai nulla, ho già sofferto troppo gli ho già permesso di ferirmi e non capiterà nuovamente, non voglio più essere debole.”
“Quindi cosa hai fatto?”
“Me ne sono liberata, in realtà Bell mi ha aiutata… E credo di poter dire di essermi lasciata tutto alle spalle, sai forse era necessario rivederlo per capirlo definitivamente”
Un ghigno si dipinse sulle labbra della giovane Reyes.
“Che buffo, Blake sembra averla presa davvero a cuore questa cosa.”
Fece con un tono abbastanza ironico che incuriosì Clarke.
“Non riesco a seguirti, a che ti riferisci?”
“Bhè diciamo che ha provato ad aiutare anche me dopo la storia di Finn…”
La bionda aggrottò le sopracciglia, nonostante fosse sempre stata piuttosto sveglia e scaltra non riusciva, o forse non voleva, capire esattamente cosa Raven volesse dire.
“Davvero non hai capito?”
La ragazza scosse la testa.
“Come sei ingenua Griffin. Diciamo che io e Bell ci siamo frequentati per un periodo.”
“Cioè uscivate insieme tipo… una coppia?”
“No Clarke, decisamente no,  più che altro direi che ce ne stavamo rintanati sotto le lenzuola stando attenti a non farci scoprire da nessuno.”
Aprì la bocca inconsciamente mentre un dolore dal petto si diradava in tutte le direzioni lasciandola incapace di reagire, non riusciva a fermarlo in alcun modo.
“Dio che liberazione. E’ stato orribile non poterne parlare con nessuno ma dopo tutto avevamo fatto un patto e con tutti gli amici in comune che abbiamo è stato meglio così. Sono così contenta che tu sia fuori da tutto questo e sia soltanto la sua coinquilina, sono sicura che a te non farà storie anche se dovesse scoprire che ne sei a conoscenza.”
Clarke non rispose, non aveva ascoltato nemmeno una parola che velocemente era uscita dalla bocca dell’amica, era come se il suo udito fosse ostacolato, attorno a lei qualsiasi rumore, qualsiasi voce erano ovattati.
Se quello che sentiva era dovuto ai suoi stupidi sentimenti per Bellamy, avrebbe dovuto difendersi prima che fosse troppo tardi. Si sentiva strana anche solo a pensare che potesse sentirsi in quel modo per il più grande dei Blake… Come aveva potuto sfuggirle? Perché se n’era accorta solo adesso? Ma poi accorta di cosa? Poteva dirsi infatuata in base a che? Al fatto che avrebbe voluto ricordare qualcosa che nemmeno era accaduto durante una sera di confusione ed ubriachezza generale?
“Hei, va tutto bene?”
Raven le stava scuotendo una spalla e la guardava dritta negli occhi.
“S-si, è solo che, ho realizzato che è tardissimo, devo fare una miriade di cose.”
“Mmh. Non ti trattengo se devi andare, tranquilla, pensavo avessi la mattinata libera…”
“Già anche io.”
E si alzò rumorosamente per evitare che la mancanza di risposte chiare facesse sentire più pesantemente il suo eco.
“Ci sentiamo presto, te lo prometto.”
Ed in cuor suo Clarke avrebbe voluto non averla mai conosciuta. Con il suo sorriso limpido e sbarazzino ed i suoi occhi grandi e quasi a mandorla le sembrava solo una ragazza gentile e determinata al tempo stesso ma troppo bella e diversa da lei, non provava ribrezzo o astio nei suoi confronti eppure immaginarla affianco di Bell le dava delle terribili fitte allo stomaco. Uscì in fretta dalla caffetteria, annaspava e cercava disperatamente un po’ d’aria, aveva bisogno di non pensare e quindi di tenersi occupata, lo stesso Blake gliel’aveva detto che funzionava quasi sempre.
 
-
 
“Clarke dov’è?”
“Credo sia uscita presto, se ho capito bene si vedeva con Rav.”
“Grazie per esserti accorto della mia presenza”
Sbuffò Murphy mentre Octavia soffocava una risata.
“Idiota.”
“Buongiorno anche a te Bellamy.”
Il moro sbadigliò e si stiracchiò distrattamente mentre cercava di liberare i suoi pensieri dalla presenza di Clarke.
“Che ci fai da queste parti?”
“Non posso passarti a salutarti?”
“Oh bhè, se la metti così…”
“Devi raccontarci com’è andata! Dettagli inclusi”
Lo incalzò la sorella.
“Ti sbagliavi se pensavi davvero di poterci sfuggire.”
Fece il biondo.
“Direi che è stato un matrimonio in piena regola, un mucchio di gente sorridente, fiumi di alcol e la giusta dose di sceneggiate.”
Non aveva la minima voglia di rivivere quei momenti, non si sentiva pronto a descrivere il senso di protezione che aveva sentito nei confronti di Clarke, né di parlare della rabbia che gli aveva provocato la presenza di Finn e infine non avrebbe mai tirato fuori il ‘gran finale’ che aveva visto protagoniste la principessa e sua madre.
“Così noiosamente ordinario?”
Annuì cercando di sembrare il più convincente possibile.
“Ma quindi niente con la biondina?”
Bellamy li guardò di traverso e scrollò le spalle cercando di sembrare superiore all’argomento.
“O’, hai perso mi devi offrire una cena il prossimo weekend”
Disse Murphy soddisfatto.
“Non ci posso credere… ma quanti anni avete?”
“Eddai Bell, lasciaci divertire un pochino, non possiamo mica essere sempre seri e compiti”
La piccola Blake cercò di convincerlo ma con scarso risultato.
“Io devo andare a fare l’inventario al pub Jon’ che fai vieni con me?”
“Affermativo.”
 
Bellamy era sommerso da bottiglie vuote e schemi da riempire mentre Murphy seduto al bancone stringeva un cappuccino preso sulla via per arrivare.
“Capisco se non ne vuoi parlare ma so che c’è qualcosa sotto.”
Il moro alzò la testa e guardò nella sua direzione
“Cosa vuoi dire?”
“Sei più silenzioso e dunque pensieroso del solito, mi fai quasi preoccupare.”
Bell sbuffò.
“Non mi andava di parlarne davanti a mia sorella o non mi avrebbe mollato un attimo.”
“Quindi c’è qualcosa che non mi hai detto.”
“Senti lo sai che non sono bravo in queste cose… Lei è… diversa da qualunque ragazza abbia mai conosciuto.”
“Quindi ti piace?”
“Forse. Dio, non lo so. E’ strano perché fino a due mesi fa non riuscivo a sopportare la sua presenza e ora… non saprei, mi sento legato a lei in un modo che non saprei nemmeno descrivere.”
“Non capisco se non hai le idee chiare o non vuoi averle.”
“E’ difficile.”
“No… dovresti solo chiederle di uscire, dopotutto lei ti ha invitato ad un fottutissimo matrimonio.”
“Non ho bisogno di uscirci per…”
“Per?”
“Per capire com’è, so già com’è, cosa le passa per la testa, come si rapporta alle persone…”
“Va bene allora chiedile di sposarti.”
Bell scoppiò in una risata liberatoria, sapeva che Murphy era l’unico in grado di sortirgli quell’effetto, aveva pronunciato quella frase con una serietà tale che qualsiasi altra persona avrebbe pensato che stesse dicendo davvero una cosa simile.
“Potrei riconsiderare la storia dell’appuntamento.”
“Ecco, va meglio, alla fine vi siete sempre rapportati in situazioni poco intime no? Mi sembra che siate sempre contornati da qualcuno.”
Il biondo aveva in parte ragione, Bell però non riuscì a non pensare alla sera del matrimonio, i suoi muscoli si tesero per qualche secondo, avevano avuto la loro intimità, come la chiamava Murphy ma era stata sporcata da un annebbiamento invadente e mistificatorio.
 
Era pomeriggio inoltrato quando sul display apparve un messaggio di Clarke “ Non torno per cena a casa, non c’è bisogno che mi aspettiate svegli.” Diceva.
Ed il ragazzo s’incupì, non era sicuro di essere in grado di sopportare ancora per molto questi alti e bassi, questi isolamenti repentini che non gli permettevano di accertarsi che lei stesse bene.
Provò a chiamarla, il telefono era staccato.
Aprì il cassetto accanto alla cassa e tirò fuori un pacchetto di Camel Blu, Joseph le teneva come scorta per le emergenze, Bell aveva smesso di fumare anni prima ma non esitò ad uscire fuori munito di fiammiferi.
Non riusciva a trovare un modo migliore per darsi una calmata, aspirò il fumo aspettando che gli bruciasse dentro più di quanto non facesse il pensiero costante di Clarke.
 
-
 
Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi seduta in un ristorante francese, candele accese ed una bottiglia di Bordeaux ancora integra che le faceva venire la nausea solo guardandola.
Aveva agito d’istinto, aveva preso il suo cellulare scorrendo velocemente la rubrica, scegliendo l’unica persona che avrebbe dovuto ricordarle il passato ma che non era in grado di procurarle dolore.
Wells indossava un maglioncino beige e si stava accingendo a riempirle il calice.
“No, sto bene così se non ti dispiace.”
“Figurati.”
“Mi sarei vestita meglio se mi avessi detto che il piano era questo.”
Protestò senza troppa convinzione, aveva sempre parlato di pub e birre quando aveva avanzato forse troppo insistentemente le sue proposte e l’aveva colta di sorpresa con la scelta di quel ristorante.
“Ma va, stai benissimo Clarke.”
Non arrossì, accolse il complimento sforzando un sorriso e prese il menù con disinvoltura.
“Ti sei ripresa?”
Non c’era una vera risposta a quella domanda, non poteva riprendersi da un qualcosa che non ricordava nemmeno, tutto ciò che sapeva gliel’aveva detto Bellamy.
“Sì, mi dispiace non avrei dovuto.”
Non era vero.
“E’ normale, tranquilla, tua madre è stata abile a mascherare l’imbarazzo e le cose si sono normalizzate in poco tempo. Avrei voluto esserci per te, avrei voluto starti vicino come quando eravamo bambini.”
Lo disse senza guardarla negli occhi e arrossendo leggermente, Clarke sorrise intenerita, Wells sembrava ancora un ragazzino impacciato ed era proprio questo che la faceva sentire a suo agio, si sentiva padrona della situazione.
“Ci sei adesso.”
“Ti ho portato una cosa.”
Si voltò e da dietro la sedia tirò fuori una rosa rossa, incartata con della carta trasparente dalla quale pendeva una vecchia foto: c’erano due bambini che si tenevano per mano, lei biondissima e con due occhi grandi azzurri e spauriti, lui più alto, un sorriso sdentato ed i capelli riccissimi e nerissimi.
Di nuovo la ragazza sorrise, questa volta più spontaneamente.
“Non dovevi Wells.”
“Era il minimo. Volevo ricordarti che ci sono e ci sarò sempre, insomma ci sono sempre stato…”
Avrebbe voluto poter dire la stessa cosa ma non era così, lo aveva dimenticato velocemente quel ragazzino nella foto e adesso percepiva quanto quella serata avesse un senso così diverso per entrambi ma egoisticamente non le interessava.
Sapeva che per non farsi troppe domande era necessario far sì che fosse uno come il suo compagno di tirocinio a tempestarla, lo faceva sempre, era un chiacchierone e lei aveva bisogno di essere oppressa da parole per fare in modo che i suoi sentimenti, i suoi dubbi e sensi di colpa non l’assalissero, era una scelta tattica, una scelta fatta senza pensare agli altri o alle conseguenze ma solo per se stessa.
Mangiarono velocemente, mentre come previsto Wells la tempestò di chiacchiere più o meno futili e la sua mente per un po’ fu sgombra, vuota e in un certo senso serena.
 
Wells parcheggiò la sua macchina a qualche metro di distanza da casa Blake solo perché Clarke gli aveva chiesto di camminare.
Appena partiti dal ristorante dei timidi fiocchi si erano infranti sul parabrezza dell’auto e Clarke era stata come ipnotizzata, aveva sempre amato la neve con la sua capacità di sovrastare ed addolcire qualsiasi spigolo sulla quale si accumulava.
“Sei sicura? Fa un freddo cane, ha pure iniziato a nevicare.”
“E’ per questo, voglio godermi a pieno la prima nevicata dell’anno.”
Così il ragazzo non poté minimamente andare contro a tutta quell’enfasi che lo riportava ad un atteggiamento così dolce ed infantile.
Camminarono in silenzio ma non fu pesante od opprimente, incoraggiava anzi quella naturale ma quasi magica atmosfera che si verificava durante una nevicata, ogni rumore era attutito dal silenzioso cadere di quei fiocchi leggeri e gonfi.
Arrivarono troppo presto per i gusti di Wells a destinazione, Clarke stringeva il fiore tra le mani mentre lui la guardava sognante di fronte al vialetto dell’abitazione dei fratelli Blake.
“Sono stata bene, ci voleva una serata così.”
“A chi lo dici.”
La biondina sapeva che il ragazzo non aspettava altro, ne era stata cosciente sin dalla prima volta che coraggiosamente gli aveva chiesto di uscire, non era stupida, sapeva riconoscere il linguaggio del corpo e in qualche modo  sentiva un legame empatico con il vecchio amico eppure aveva deciso di approfittarne, aveva scelto la via più semplice.
 
-
 
Bellamy aveva passato la serata bivaccando sul divano, cambiando canale ogni venti minuti circa e affondando le sue inquietudini in una ciotola di popcorn che aveva accuratamente preparato nel forno microonde.
Sua sorella non era in casa, era di nuovo uscita con una scusa poco credibile, avrebbe passato ancora una nottata fuori casa facendogli credere chissà cosa.
Ma il maggiore dei Blake si era arreso, non aveva senso continuare a combattere quella crociata fatta di iperprotettività nei confronti di sua sorella quando quello ad essersi perso nei meandri di anni di problemi irrisolti e penosi era proprio lui, aveva passato così tanto tempo a preoccuparsi degli altri che aveva completamente dimenticato di praticare un po’ di amor proprio.
Eppure temeva che fosse troppo tardi mentre continuava nervosamente a cambiare canale senza trovare nulla che lo potesse far distrarre quanto bastasse.
Guardava l’orario sullo schermo del cellulare ticchettando le sue dita affusolate sul ginocchio, era sempre più tardi e di Clarke nemmeno l’ombra, un magone gli attanagliò lo stomaco e per quanto cercasse d’ignorarlo, non c’era davvero nulla che potesse fare per impedire ai suoi pensieri di correre alla principessa.
Gli era stato così vicino che ora sentirla così lontana, non poter sapere cosa stesse facendo o con chi stesse passando la sua serata, lo corrodeva dentro ma la verità era che non aveva alcun diritto di conoscere quei dettagli.
Si trascinò nella sua camera poco dopo la mezzanotte e fu attirato alla finestra da quel caratteristico silenzio che aveva avvolto l’intero isolato, come un bambino curioso appiccicò il suo naso al vetro freddo, il suo alito che sbatteva contro il materiale appannandolo a scatti regolari ma a Bellamy non interessava mentre si perdeva nella danza che quei fiocchi di neve compivano in totale armonia col resto del panorama, con una leggiadria lontana dalla concezione umana del termine.
Solo dopo qualche minuto si rese conto che sulla strada apparentemente vuota erano apparse due figure, ci mise pochissimo a riconoscere la chioma bionda di Clarke ed altrettanto a rendersi conto che era accompagnata da Wells, una leggera tachicardia si affacciò nel suo petto mentre mille domande facevano capolino nella sua testa.
Si sentiva un intruso ma non riusciva a staccarsi dalla finestra, con gli occhi percorse ogni movimento fino al cancello del vialetto per entrare in casa.
Li vide parlare, una leggera condensa usciva fuori dalle loro bocche, poi riconobbe quell’inconfondibile movimento tentennante che ogni uomo faceva prima di provare a baciare le labbra di qualcuno. Vide il capo di Wells avvicinarsi e chinarsi pericolosamente su quello della ragazza e chiuse gli occhi.
Non poteva essere.
Era davvero troppo tardi.
Quando nuovamente decise di tirare su prima una e poi l’altra palpebra, nell’esatto punto in cui alcuni istanti prima c’erano i corpi tremanti dei due ragazzi, non era rimasta nemmeno l’ombra delle loro presenze.
Sentì la porta aprirsi delicatamente.
In un frangente di secondo Bell sferrò un pugno contro l’armadio che si trovava di fianco a lui, caricò il colpo velocemente ma con vemenza, percepì i muscoli tesi, sentì ogni nocca infrangersi con potenza contro il legno di ciliegio, tutta la rabbia e la sofferenza che aveva accumulato dentro di sé zampillarono via come il sangue che colorò la sua mano destra che ora si portava lentamente al petto.
Non sentì dolore, non più di quanto ne avesse sentito mentre faceva da spettatore ad una scena alla quale non aveva avuto il coraggio di partecipare come protagonista.
Il maggiore dei Blake non sentì  più nulla mentre si accasciava sul letto disfatto, lo sguardo gelido fisso sul vetro, la sua apatia si legò velocemente alla danza, ormai frenetica, della neve che precipitava fuori dalla sua casa raggelando anche il suo cuore.
   
 
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