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Autore: mar_79    14/11/2016    0 recensioni
Questa è la mia prima fanfiction di Major Crimes, è una storia corale, riguarda tutta la squadra, ma principalmente Sharon e la sua famiglia.
"Aveva la sensazione che qualcosa di brutto stesse per abbattersi su di loro, una sensazione viscerale diventata quasi un dolore fisico che l’aveva costretta ad abbandonare il letto e a cercare conforto nel suo amato tè..."
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- La storia è ambientata tra le stagioni 4 e 5.
N.d.A.: Le parti in corsivo sono ambientate nel passato
 
Febbraio 2008
Anche quella sera aveva fatto tardi, ormai era diventata un’abitudine. Guardò l’orologio che portava al polso: le 21.00! stava nel suo ufficio agli Affari Interni molto più che a casa.
Ma in fondo non era poi tanto male, almeno rimanendo lì si portava avanti con il lavoro, nel suo appartamento si sarebbe ritrovata da sola, con un bicchiere di vino in mano, a chiedersi quando i suoi figli sarebbero tornati a farle visita e a rimuginare su quanto solitaria stesse diventando la sua vita.
Abbassò lo sguardo sulle carte che aveva sulla scrivania e ci picchiettò sopra con la penna. Se quel caso si fosse rivelato serio anche solo la metà di quanto sembrava,  il colpo per il LAPD sarebbe stato tremendo, e lei occupandosene rischiava di essere anche più sola e malvista del solito nel Dipartimento. Già adesso non aveva un gran numero di sostenitori, non era possibile con il lavoro che faceva. Tutti quanti si limitavano a pensare – e spesso dire – che gli Affari Interni erano la rovina del LAPD, dei “falsi” poliziotti che impedivano a quelli veri di fare il loro lavoro con norme assurde e che addirittura e spesso rovinavano la vita e la carriera a persone perbene.
Nessuno si sforzava di capire. Tutti loro erano poliziotti, tutti loro avevano fatto lo stesso giuramento – proteggere e servire la popolazione di LA – e l’intervento degli Affari Interni non avveniva per gioco o per vendetta, era necessario per investigare gli appartenenti alla forza di polizia sospettati di aver infranto la legge, di aver avuto una cattiva condotta o un comportamento criminale. Nessuno veniva condannato senza un’indagine giusta e completa, così come avveniva per le rapine, i rapimenti e gli omicidi. Certo, quando un reato era commesso da chi aveva giurato di combatterli, quel reato diventava ancora più vile e difficilmente accettabile ma, in ogni caso, alla fine a prevalere dovevano essere la legge e la giustizia.
E lei aveva dedicato la sua vita alla legge e alla giustizia. E il caso di cui si stava occupando in quel momento non faceva alcuna differenza, non importava chi vi fosse coinvolto.
In realtà non era ancora un vero e proprio caso, ma un’indagine preliminare basata su alcune segnalazioni arrivate al suo ufficio. La prima telefonata anonima era arrivata subito dopo le feste di Natale, il detective che aveva risposto aveva trascritto tutto come sempre ma l’aveva bollata subito come un cumulo di balle, il tentativo di ritorsione di qualche sbandato nei confronti del poliziotto che lo aveva arrestato. Ma poi le segnalazioni erano continuate, al ritmo quasi di una al giorno, ed erano sempre ben dettagliate, con date, cifre, luoghi, perciò era diventato impossibile non aprire un fascicolo di indagine. L’aveva fatto lei stessa, informando la sua squadra che se ne sarebbe occupata in prima persona e i suoi uomini avevano capito.  Non si trattava di mancanza di fiducia in loro, il problema era che trattare quel caso avrebbe potuto rovinare la carriera e la reputazione di chi lo conduceva, specialmente se si fosse rivelato un bluff, e lei non era tipo da mettere a rischio gli altri se poteva evitarlo. Certo, avrebbe avuto bisogno del loro aiuto, ma tutte le responsabilità sarebbero state sue. E poi c’era un’altra questione da considerare, una possibile fuga di notizie e quindi un conseguente inquinamento delle prove prima che potesse verificarle. Meno persone erano coinvolte, più facile sarebbe stato per lei gestire il tutto.
Il Capo Pope, con cui aveva avuto un incontro giusto quella mattina, era dello stesso parere. Non c’era da meravigliarsi che Pope volesse il massimo riserbo e la verifica di ogni più piccolo dettaglio prima di rivolgere un’accusa formale a un alto ufficiale in grado del suo Dipartimento. Quando si raggiungeva una posizione come quella di Will Pope, si smetteva di essere poliziotti e ci si trasformava in politicanti ed equilibristi, sempre in cerca del modo migliore per rendere tutti contenti e non irritare nessuno, si trattasse del sindaco, dei giornalisti o degli uomini al suo comando. “Sono certo, Capitano, che lei agirà nell’interesse del Dipartimento e che sarà discreta come sempre”, le aveva detto con un sorriso ma con tono di comando.
Un muscolo era guizzato sulla guancia del Capo e una buona dose di preoccupazione era apparsa nei suoi occhi quando gli aveva risposto senza esitare che se l’interesse del Dipartimento era eliminare gli elementi di disturbo al suo interno, senza subire pressioni o fare favoritismi, allora sì, avrebbe agito come sempre.
 
Sharon si sistemò meglio sulla sedia. A ripensarci adesso, a otto anni di distanza, la paura che aveva scorto sul viso di Pope alla sua risposta, la faceva sorridere. Già a quel tempo circolavano voci di una sua possibile candidatura a capo della polizia e molto dipendeva dalla sua capacità di gestire situazioni come quella. Accusare Martin Lloyd, Comandante della sezione antidroga, di corruzione, appropriazione indebita del denaro sequestrato nelle retate e addirittura di spaccio di droga in accordo con i cartelli messicani, aveva provocato un terremoto catastrofico. Fino a quel momento Lloyd era un’istituzione all’interno della polizia di LA, addirittura un eroe per la comunità grazie al suo costante impegno per liberare le strade della città da droghe e spacciatori. Grazie al lui e ai suoi uomini la città era diventata più sicura e ben presto anche la stampa aveva iniziato a occuparsi delle gesta del Comandante Lloyd esaltandone il grande coraggio, le capacità investigative e i risultati ottenuti. Risultati che gli erano valsi anche diversi riconoscimenti ufficiali consegnatigli dal Sindaco e da Pope stesso.
Essere troppo morbidi avrebbe scatenato le proteste di quella parte di giornalisti e cittadini che vedevano nel LAPD un mondo a parte e nei poliziotti degli arroganti prepotenti che volevano far rispettare le regole agli altri, ma non esitavano a trarre vantaggio dalla loro posizione a scapito della giustizia e della sicurezza della città.
Essere troppo duri avrebbe risvegliato chi invece proteggeva a spada tratta i poliziotti, ritenendoli sottostimati e sottopagati per il servizio che fornivano alla città a rischio della propria vita, e avrebbe creato enormi tensioni all’interno dello stesso Dipartimento. Cosa quest’ultima che, in effetti, era successa, come ricordato da Andy quella mattina, poiché quello che aveva scoperto procedendo con le indagini non le aveva certo permesso di essere gentile.
 
 
Aprile 2008
Insieme alla sua squadra del FID stava rientrando da una scena del crimine, una sparatoria che aveva coinvolto tre agenti, per fortuna senza conseguenze gravi per nessuno e che si sarebbe risolta velocemente, quando, nella hall del Police Administration Building, la sua attenzione fu attirata da un gruppo di poliziotti, alcuni in borghese, altri in divisa, che la fissavano con espressione torva. Era abituata a certi sguardi, quando lei entrava in azione, un poliziotto stava per finire nei guai, e tutti gli altri tendevano a essere solidali con il collega coinvolto. E quella volta non faceva eccezione. Non le ci volle molto, infatti, a riconoscere in quel gruppo detective e agenti dell’antidroga, tutti agli ordini del comandante Lloyd. Come aveva temuto, non appena aveva iniziato a verificare le informazioni delle segnalazioni anonime, controllando i verbali e le prove archiviate e avvicinando alcuni informatori di sua fiducia, le voci avevano iniziato inevitabilmente a circolare, ed erano ben presto arrivate alle orecchie dei diretti interessati. Gli uomini di Lloyd stavano facendo quadrato intorno a lui e avevano individuato in lei il nemico.
Ormai si era abituata, aveva dovuto abituarsi. Gli sguardi, le ironie, le offese…si era costruita una corazza con cui farsi scivolare tutto addosso. Lei, a cui erano stati affibbiati i soprannomi peggiori e più svariati, fingeva di non sentire quando venivano pronunciati alle sue spalle e andava avanti per la sua strada.  Perciò entrò nell’ascensore senza dare troppa importanza a quegli uomini.
Le porte stavano per richiudersi, quando uno dei poliziotti in borghese le bloccò con entrambe le mani. “Capitano Raydor, lei e la sua squadra siete stati sul campo? Per fortuna siete tornati tutti interi e senza neanche una macchiolina di fango sui vostri bei vestiti.” Il tono era chiaramente derisorio e con una sfumatura di rabbia appena contenuta. “Il vostro lavoro vi espone a grandi rischi, lo capisco, è pericoloso raccogliere bossoli, trascrivere testimonianze e ordinare a tutti di stare indietro.”
La squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso malizioso. “Sa, mi piacciono le donne che danno ordini, possono essere molto eccitanti.”
Il detective Marlowe, il suo più fidato collaboratore, si mosse in avanti minaccioso, ma lei lo bloccò poggiandogli una mano sul braccio.
 “Tranquillo Marlowe,” aveva ripreso l’altro, “non voglio invadere il tuo territorio e poi, per quanto possa essere eccitante, non sopporto chi getta fango addosso ai polizotti standosene comodamente seduto sulla sua poltrona. Capitano, lei dovrebbe fare il nostro lavoro anche solo per un paio di giorni e scommetto che le passerebbe la voglia di fare accuse assurde.”
Lei non aveva risposto subito, invece aveva guardato oltre le spalle del Detective, verso il gruppo dei suoi colleghi. Alcuni la guardavano irritati, altri ridacchiavano divertiti, uno solo, un ragazzo giovane e biondo, sembrava a disagio e teneva gli occhi bassi. Per un lungo attimo si era concentrata su di lui, pensierosa, poi aveva rivolto la sua attenzione nuovamente al suo interlocutore. Aveva incrociato le braccia sul petto e ricambiato lo sguardo di sfida: conosceva quel tipo, il Detective Sandoval, aveva un fascicolo su di lui con diversi reclami e provvedimenti disciplinari, e non sarebbero state certo le parole di un tipo del genere a preoccuparla. “Se ha finito Detective Sandoval, la mia comoda poltrona mi aspetta e non voglio certo far tardi per colpa sua.”
Sandoval tolse una mano dalla porta e iniziò a voltarsi. Poi, improvvisamente tornò a guardarla. “A pensarci bene, anche quando si raccolgono bossoli e deposizioni qualche volta si possono verificare degli incidenti. Mi raccomando, stia attenta Capitano.”
“Mi sta minacciando?”
“Io? Ma cosa dice, è solo un consiglio, non vorrei mai sentire che le è successo qualcosa di male.” Tolse finalmente le mani, si allontanò camminando all’indietro e la salutò accennando un saluto militare portandosi la mano destra alla tempia.
A quel punto era stata lei a bloccare le porte. Le labbra distese in un sorriso che però non arrivava agli occhi, nei quali anzi c’era uno sguardo glaciale. “Si diverta finché può detective, perché penso che ci rivedremo presto e la prossima volta non sarà lei a sorridere.”
Si era goduta il momento, con il sorriso che velocemente svaniva dalle labbra del Detective, poi si era tirata indietro e finalmente l’ascensore aveva iniziato la sua salita.
 
 
Sharon scosse la testa. In quel momento aveva sorriso e aveva ceduto alla tentazione di rispondere alla minaccia con un’altra minaccia, cosa che di solito non faceva mai, preferendo le azioni alle parole inutili. Con il senno di poi, e sapendo tutto quello che sarebbe successo in seguito, probabilmente si sarebbe comportata diversamente.
Si spostò in avanti per accendere il computer. Nonostante tutto il tempo passato, aveva ancora sul pc una cartella con tutta la documentazione del caso Lloyd. Per quanto avesse voluto dimenticare dopo che il processo si era concluso, non era mai riuscita a cancellarla, il suo subconscio l’aveva costretta a tenerla lì, nascosta ma comunque presente, a ricordarle cosa aveva ottenuto ma anche cosa aveva sbagliato e perso. Forse più che il suo subconscio, a impedirle di eliminare quei documenti erano stati i sensi di colpa.
  
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