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Autore: Piperilla    14/11/2016    1 recensioni
In un mondo come quello moderno, in cui l'unicità di ogni persona rappresenta un Universo a sé, le cose non sono mai o bianche o nere. Eppure, è così che appaiono Richard e Agathe: lui, ormai un uomo fatto, algido, composto, più simile a un gentiluomo d'altri tempi che non a un uomo d'affari e di cultura del ventunesimo secolo; lei, ancora adolescente, dal temperamento impetuoso e la lingua tagliente, con l'argento vivo addosso e a prima vista impossibile da fermare: non potrebbero essere più diversi. Come il bianco e il nero. Tra due estremi ci sono un'infinità di sfumature... quante ne servono perché due mondi - e due persone - apparentemente agli antipodi si incontrino a metà strada?
[Tratto dal capitolo 40]
«Non mi illudo che possa bastare così poco per legarti a me» replicò Richard. [...] «Anche se vederti questi gioielli addosso me ne dà la piacevole illusione ».
«Se ti assecondassi, finiresti per credere che sia la realtà» mormorò lei.
«No, mia piccola Agathe, mai» sospirò Richard contro la sua pelle. «Quest’illusione è amara e non mi appaga. Quello che voglio è che sia tu a legarmi a te. Sii pure la mia carceriera».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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A occhi chiusi Agathe ripeteva tra sé gli appunti che aveva appena ripassato, muovendo soltanto le labbra mentre gli auricolari le sparavano Bach a tutto volume nelle orecchie, quando la porta della sua stanza si aprì quel tanto che bastava da far entrare la testa di suo padre.
   «Agathe» chiamò piano. Lei non rispose: continuò a muovere le labbra senza emettere alcun suono mentre ondeggiava a tempo con la musica. Evan si accigliò. «AGATHE!»
   La ragazza sobbalzò violentemente, riaprì gli occhi e si strappò gli auricolari con un gesto secco.
   «Cosa?» ululò, arrabbiata e un po’ sconvolta.
   «Ti devi preparare: stasera viene tua zia, e sai come la pensa tua madre sulle cene di famiglia» disse Evan a mezza voce.
   «CHE?» strillò Agathe. «Ho gli esami tra meno di un mese e devo perdere tempo per stare in compagnia di Séline e Gisèle? Stai scherzando, vero?»
   «Lo sai che non scherzo» ribatté suo padre. «Se non scendi, tua madre ci darà il tormento ben oltre la fine dei tuoi esami. Fa’ un sacrificio ora e ti lascerà in pace fino alla prossima visita di tua zia».
   «E va bene, e va bene, scendo» grugnì contrariata la ragazza, mettendo dei segnalibri nei volumi aperti che aveva sparpagliato sulla scrivania prima di richiuderli e impilarli in un angolo. «Ma non ti aspettare che io faccia conversazione, perché non ho niente da dire che quelle due vogliano ascoltare».
   «Basterà la tua presenza». Evan sparì, ma la sua testa riapparve un momento più tardi. «E cambiati: stasera tua zia viene con una persona, non puoi scendere in jeans e t-shirt dei…» assottigliò lo sguardo, studiando l’indumento, «Black Sabbath?».
   «Tranquillo, non è la tua, è la mia» lo rassicurò Agathe, alzando gli occhi al cielo: suo padre era geloso a livelli quasi imbarazzanti delle proprie magliette di gruppi musicali, e qualche volta la ragazza si divertiva a immaginare come avrebbero reagito i clienti di Evan se avessero saputo che il famoso avvocato Williams era appassionato di musica rock e metal.
   «Be’, cambiati comunque» disse lui in tono definitivo richiudendosi la porta alle spalle.
   Finalmente sola, Agathe sospirò desolata: essere costretta a trascorrere ore intere in compagnia di sua madre e di sua zia era l’unica idea in grado di spedirle il morale sotto terra, e non poteva esserci niente di peggio.

Quando Agathe scese al piano terra, vestita di un abitino semplice che le arrivava al ginocchio, un cardigan leggero e un paio di ballerine ai piedi, Séline non era ancora arrivata.
   In compenso Gisèle sembrava in preda a una crisi di nervi.
   Entrando nella sala da pranzo, la ragazza rivolse uno sguardo comprensivo a Stevens e strofinò la mano sulla schiena di Mrs. Jules in un gesto di conforto: nonostante fosse più che abituata ai malumori della padrona di casa, la povera donna sembrava sull’orlo delle lacrime.
   Agathe affiancò suo padre, chiaramente esasperato. «Papà, dille di darci un taglio» sibilò sottovoce. «Mrs. Jules ha sempre gestito la casa a puntino, e non ha motivo di maltrattarla così!»
   Evan, che era dello stesso parere, parve prendere le parole della figlia come la spintarella necessaria a scattare.
   «Ora basta, Gisèle» disse tra i denti. «Tutto è pronto e perfetto, e non vorrai che l’accompagnatore di tua sorella ti veda in questo stato, vero?»
   Ogni replica fu bloccata sul nascere: il pensiero di apparire meno che impeccabile era sufficiente a distogliere l’attenzione della francese da qualsiasi altra cosa.
   Non appena Gisèle si allontanò, Mrs. Jules tornò in cucina seguita da Stevens e Agathe; la ragazza abbracciò la governante, strizzandola con tutta la forza che aveva.
   «Non darle ascolto, è solo una frustrata rompiscatole» mormorò amareggiata.
   «Non parli così di sua madre, Miss» la redarguì con dolcezza Mrs. Jules.
   «Perché no? È la verità» replicò Agathe.
   L’altra scosse la testa. «Oh, Miss…»
   Il campanello suonò. Stevens partì alla volta della porta d’ingresso; sentirono scattare la serratura, poi tre serie di passi e un intreccio di voci poco distanti. Il maggiordomo tornò in cucina e scoccò uno sguardo strano ad Agathe.
   «So che i suoi genitori non approvano che lei beva alcolici, Miss, ma visto che ormai è maggiorenne, che ne dice di prendere un aperitivo, prima di tornare di là? Mancano ancora venti minuti alla cena, c’è tutto il tempo» disse l’uomo. «Posso andare e tornare dallo studio dell’avvocato in un minuto».
   Le sopracciglia di Agathe scattarono nervose: da quando in qua Stevens si offriva di rubare per lei dalla riserva speciale di alcolici che Evan teneva nel proprio studio? E soprattutto, cosa l’aveva spinto a proporsi per fare una cosa del genere?
   «Stevens» esordì cauta la ragazza, «c’è qualcosa che devo sapere?».
   Stevens esitò. «Credo solo che questa sarà una serata difficile per lei, Miss, e forse un goccio di whisky le calmerà i nervi».
   «In via preventiva?» chiese scettica Agathe. «No, Stevens: se davvero questa serata ha il potenziale per farmi saltare i nervi, allora è meglio che io l’affronti restando perfettamente lucida».
   L’uomo sospirò. «Forse ha ragione lei, Miss».
   In quel momento Evan si affacciò in cucina. «Agathe, vieni di là immediatamente» ordinò, perentorio e irritato: a quanto pareva Gisèle era già riuscita a far saltare i suoi, di nervi.
   Agathe chinò la testa in un gesto di rassegnata obbedienza e seguì suo padre nella sala da pranzo; alzò lo sguardo per salutare gli ospiti… e rimpianse di non aver accettato l’offerta di Stevens: davanti a lei, Séline chiacchierava allegra con Gisèle tenendo un braccio saldamente ancorato a quello di Richard Prescott.
   «Agathe? Non saluti i nostri ospiti?» sibilò Gisèle. La ragazza si rese conto solo in quel momento di essere rimasta immobile al punto da trattenere persino il fiato: ritrovarsi davanti Séline, con quell’espressione compiaciuta e le mani attaccate al braccio di Richard come se ce le avessero incollate, le aveva mandato in corto circuito il cervello.
   «Io… naturalmente» rispose Agathe dopo qualche istante, inciampando sulle parole. Raddrizzò le spalle e si impose la calma. «Séline, buonasera. Signor Prescott, è un piacere averla qui: spero che perdonerà la mia curiosità se le domando a che titolo partecipa a questa cena» disse a denti stretti.
   Séline scoppiò in una risatina frivola e le rivolse uno sguardo, se possibile, ancor più compiaciuto.
   «È qui come mio cavaliere, non è ovvio?» disse con un gran sorriso soddisfatto.
   E sì, Agathe sapeva che era ovvio, ma se non l’avesse sentito dire ad alta voce non ci avrebbe mai creduto.
   «Un aperitivo, Richard?» chiese Evan.
   L’altro distolse lo sguardo da Agathe. «Sì, molto volentieri».
   Séline lasciò Richard a Evan e si avvicinò a Gisèle e Agathe.
   «Non è magnifico?» sussurrò adorante, adocchiando Richard.
   «Sublime» sibilò Agathe, furibonda. Non riusciva a capacitarsi della sfacciataggine di Richard: come gli era venuto in mente di presentarsi a casa sua, a una cena di famiglia, come accompagnatore di sua zia? Se soltanto avesse potuto, gli avrebbe staccato la testa dal collo a mani nude.
   «Oh, Agathe, non tenermi il muso» disse tagliente Séline. «Te l’avevo detto, tempo fa, di non avertene a male quando sarei finalmente riuscita ad accalappiare Richard Prescott: capisco che i tuoi coetanei non siano alla sua altezza, ma ti devi accontentare, perché gli uomini di classe come lui non guardano certo le ragazzine della tua età!» concluse trionfante.
   La ragazza chiuse gli occhi e prese un profondo respiro dal naso prima di espirare lentamente attraverso la bocca socchiusa: se non si fosse calmata immediatamente, le prossime persone a entrare in casa sua sarebbero stati i poliziotti e la scientifica, perché avrebbe finito per commettere un omicidio di massa.
   «Volete scusarmi un momento?» disse con voce distorta dalla rabbia. Senza attendere risposta, girò sui tacchi e schizzò in camera propria, alla disperata ricerca del cellulare.
   Richard aveva notato subito il turbamento – o meglio, la furia omicida – che aveva invaso Agathe quando l’aveva visto lì e aveva capito che aveva accompagnato Séline: e sebbene non si fosse aspettato tanta rabbia, quando vide la ragazza tornare nella stanza con l’espressione rilassata e uno sguardo maligno negli occhi grigi, non poté fare a meno di accigliarsi, sospettoso. Com’era possibile che, dopo essere apparsa tanto sconvolta e arrabbiata solo qualche minuto prima, adesso Agathe sembrasse così calma, addirittura soddisfatta, quasi avesse vinto il primo premio alla lotteria?
   Stevens annunciò che la cena era pronta. I cinque si accomodarono intorno al tavolo da sei posti, seguendo le indicazioni di Gisèle: Evan si accomodò a capotavola, con Séline alla propria destra; sua moglie sedette all’altro posto a capotavola, invitando Richard alla propria destra. Con orrore, Agathe si rese conto che i posti ancora liberi erano soltanto due: uno accanto e uno di fronte a Richard, e lei non sapeva quale delle due possibilità fosse la peggiore.
   Gisèle guardò sua figlia e accennò con discrezione al posto alla propria sinistra.
   Di fronte a Richard, quindi, pensò sconsolata Agathe. Il peggio del peggio: sarebbe stata costretta a guardarlo ogni volta che avesse alzato il naso dal piatto. Fantastico.
   Conscia che ogni tentativo di discutere sarebbe stato non solo inutile ma dannoso – Gisèle seguiva il galateo alla lettera, e non avrebbe cambiato la disposizione dei posti neanche sotto tortura – Agathe chinò la testa per l’ennesima volta in quella serata e si lasciò cadere sulla sedia che le era stata indicata, tenendo ostinatamente lo sguardo fisso sulle propria ginocchia e sul cellulare che aveva nascosto nella tasca del cardigan.
   Agathe si chiese come avrebbe fatto a seguire il consiglio della sua bisnonna – dimostrare indifferenza comportandosi con tranquillità in quel momento le sembrava impossibile; subito dopo si domandò perché Penelope non fosse lì a trarla d’impaccio, per quale motivo il destino aveva fatto sì che la vecchia signora scegliesse proprio quella sera per andare a fare una visita di controllo alla propria tenuta in Irlanda. Si diede mentalmente della stupida: di certo Penelope aveva scoperto che Gisèle stava organizzando quella cena e aveva preferito una ritirata strategica alla concreta possibilità di dover passare un’intera serata con entrambe le sorelle Dubois. Insomma, l’aveva lasciata sola.
   Spero che un branco di Banshee impazzite ti fori i timpani a suon di strilli, Penny cara, pensò rancorosa la diciottenne.
   Lanciando un cauto sguardo di fronte a sé, Agathe scoprì con sorpresa e fastidio che Richard non la stava guardando affatto: lasciava scivolare il proprio sguardo da Gisèle, a Séline, a Evan, senza mai soffermarsi su di lei. La ignorava, come aveva sempre fatto la sua stessa famiglia.
   Una vampata di rabbia simile a lava incandescente s’impennò di nuovo nel petto della ragazza. Per un momento la tentazione di dire qualcosa che distruggesse quell’atmosfera rilassata fu forte, e lei si morse le labbra fin quasi a farle sanguinare pur di trattenersi; si riempì la bocca con una forchettata di cibo – non aveva idea di cosa stesse mangiando: in quel momento il cibo serviva soltanto a impedirle di parlare – ma fu salvata dal cellulare, che vibrò discreto contro il suo fianco.
   Fingendo di risistemarsi il tovagliolo sulle ginocchia, Agathe prese il telefono e lesse il messaggio che le era appena arrivato; soffocando il moto di trionfo che minacciava di esploderle dalla bocca, digitò una brevissima risposta e ripose di nuovo il cellulare nella tasca.
   Quel nuovo, repentino cambiamento d’umore passò del tutto inosservato: nessuno le prestava attenzione, e per un istante la ragazza si chiese per quale motivo Evan avesse preteso che fosse presente se lo scopo era ignorarla. Non aveva senso; o magari era stata Séline a insistere con Gisèle che la ragazza fosse presente, per vantarsi della sua ennesima conquista. Sì, era decisamente possibile, rifletté Agathe, almeno a giudicare dalle occhiate spocchiose e tutt’altro che furtive che sua zia le lanciava ogni pochi minuti.
   Purtroppo per lei, Séline dimenticava spesso che sua nipote aveva ereditato molto dal ramo irlandese della propria famiglia.
   «Devo dire di essere rimasta molto sorpresa nello scoprire l’identità del tuo accompagnatore, zia» disse Agathe senza alcun preavviso, un sorrisetto irritante dipinto sul volto. Prese un sorso del vino che Stevens, previdente, le aveva versato, e schioccò le labbra. «Mi aspettavo fosse Luke».
   L’atmosfera mutò di colpo: la tensione divenne palpabile, quasi quanto gli sguardi infuocati che Gisèle ma soprattutto Séline le stavano lanciando.
   «Devo dedurne che Luke sia stato il tuo ultimo fidanzato, Séline?» chiese Richard, apparentemente disinteressato, con gli occhi fissi sulla modella.
   «Sì» mormorò umiliata Séline. Scoccò uno sguardo ancor più rabbioso ad Agathe, che la ignorò.
   «Oh, eravate fidanzati?» domandò Agathe, simulando un profondo stupore. «Avevo più l’impressione che foste… come si può dire senza essere volgari…». Si picchiettò il mento con la punta dell’indice in un gesto ostentato. «Coinvolti solamente sul piano fisico, mettiamola così».
   Il volto di sua zia divenne di porpora. Gisèle le afferrò un polso e lo strinse con forza.
   «Ora basta, Agathe!» sibilò sua madre.
   Agathe sussultò in un modo assolutamente poco convincente.
   «O santo cielo, zia, non credevo fosse un segreto!» esclamò: la sua espressione contrita non convinse nessuno. «Scusami, scusami tanto!»
   Evan soffocò un gemito e si coprì gli occhi con la mano: in un’altra occasione avrebbe trovato divertente da morire il modo in cui Agathe aveva umiliato sua cognata con un paio di frasi azzeccate, ma in quel momento, con entrambe le sorelle Dubois – una delle quali condivideva con lui il letto – fumanti di rabbia, non poteva fare altro che desiderare che sua figlia avesse tenuto la bocca chiusa.
   «Ah, papà» trillò la figlia in questione – Evan sentì la propria fronte coprirsi di viscido sudore freddo – rivolgendosi proprio a lui. «Mi sono appena ricordata che Noah mi ha chiesto di uscire, questa sera, e speravo di potergli dire di sì…». Esitò, osservando suo padre con sguardo implorante. «Naturalmente una riunione di famiglia è più importante, ma visto che Séline è venuta accompagnata e che mi sento di troppo tra due coppie, pensavo che magari la mia assenza non farà poi molta differenza… certo, se tu desideri che io rimanga posso dirgli di no…»
   Evan la fissò con sguardo interrogativo. «Hai detto Noah? Intendi Noah Pearson, il figlio di Theodore?»
   «Proprio lui» cinguettò Agathe. «Sta aspettando la mia risposta. Ha insistito tanto, ma come ho detto, se vuoi che resti…»
   Evan guardò brevemente sua moglie, poi sorrise ad Agathe. «Ma no, non ti preoccupare, tesoro. È giusto che tu esca con i ragazzi della tua età e ti svaghi un po’… e poi Noah è un ragazzo di ottima famiglia, sono felice che lo frequenti. Adesso rispondigli e poi va’ a prepararti, so che a voi ragazze piace farvi belle quando avete un appuntamento» concluse ridacchiando.
   Agathe gli rivolse un sorriso a trentadue denti. «Oh, grazie, papà!». Diede un rapido sguardo all’orologio che portava al polso. «Hai ragione, è meglio che vada a cambiarmi, sono le nove passate e Noah aveva detto che se gli avessi risposto affermativamente, sarebbe passato per le dieci».
   E schizzò fuori dalla sala.
   Nessuno parlò.
   «Non sapevo che Agathe uscisse con Noah» disse Gisèle nella pausa tra la prima e la seconda portata, alcuni minuti più tardi.
   «Neanche io, ma ne sono contento» replicò Evan. «Noah viene da un’ottima famiglia, e poter costruire un legame più stretto con il giudice Pearson sarebbe una buona cosa».
   «I matrimoni combinati allo scopo di accrescere il potere delle casate sono anacronistici» sparò a bruciapelo Richard. Bevve un sorso di vino. «In Occidente, almeno».
   I padroni di casa lo guardarono battendo le palpebre; Séline si limitò a uno sguardo perso.
   «Nessuno si aspetta che si sposino, Richard: in fondo sono ancora due ragazzini» disse l’avvocato: la sua voce aveva un bordo tagliente appena accennato che però non sfuggì all’altro uomo. «Come padre, però, non posso non essere felice che mia figlia frequenti un ragazzo che, come ho detto, viene da un’ottima famiglia».
   «Essere nati in un’ottima famiglia non rende automaticamente ottimi» replicò secco Richard. «Questo significa dare per scontato…»
   «Theodore Pearson è un giudice di chiara fama e sua moglie Victoria una professoressa universitaria» lo interruppe Evan. «Venire su male quando si è cresciuti da genitori simili è difficile».
   «Difficile, non impossibile» sottolineò l’altro. Rivolse al suo ospite un sorriso perfido. «So cose su quel ragazzo, Evan, che ti farebbero drizzare i capelli in testa».
   Evan si appoggiò allo schienale della sedia. «Sentiamo».
   Ma Richard scosse la testa. «Se un giorno deciderò di discutere del carattere e dei comportamenti di Noah Pearson, allora lo farò con suo padre, certo non con terzi». Sorrise di nuovo con una punta di malignità. «Perché rischiare una denuncia per diffamazione?»
   L’avvocato tacque. Le due donne, che avevano seguito lo scambio di battute senza riuscire a seguirne davvero il filo, si scambiarono uno sguardo perplesso.
   «Se lo scopo è accaparrarsi un genero di buona famiglia, perché non il maggiore dei fratelli Pearson, allora?» chiese Richard. «Moses è anche un avvocato: potrebbe lavorare con te. Sarebbe una fusione perfetta, no?» disse ironico.
   Evan assottigliò lo sguardo e strinse le labbra, infastidito dal sarcasmo dello storico. «Credo che Moses sia un po’ troppo grande per Agathe».
   Le sue parole scatenarono l’ilarità di Richard.
   «Troppo grande?» gli fece eco; rideva così forte che fu costretto a lasciare il bicchiere. «Santi numi, Moses ha sette anni più di Agathe, non mi pare poi così drammatica come differenza d’età!». Lo soppesò con lo sguardo. «Tu, Evan, se non sbaglio, sei di cinque anni più grande della tua splendida moglie: per quale motivo per voi è accettabile e per quei due ragazzi no?»
   Evan tacque, sapendo che Richard aveva appena segnato un punto; ma non per questo sembrava pronto ad arrendersi.
   «Perché parteggi così caldamente per Moses?» domandò.
   «Io non parteggio per nessuno» ribatté aspro Richard. «Mi sono limitato a mettere sul tavolo un’ipotesi buona come un'altra… e sicuramente molto più di Noah Pearson».
   L’avvocato avrebbe voluto chiedergli di nuovo che cos’avesse contro il figlio più giovane del giudice, ma non ne ebbe il tempo: in quel momento Agathe fece di nuovo il suo ingresso nella sala, pronta per uscire.
   «Allora, papà? Che ne dici?» chiese, girando lentamente su se stessa per farsi guardare: aveva sostituito abito casual e cardigan con un tubino verde petrolio, accollato ma cortissimo, e una corta giacca di pelle nera come i sandali dal tacco vertiginoso che aveva ai piedi. Si era anche truccata: un elaborato gioco di eyeliner e ombretto rendeva più profondi i suoi occhi grigi, e il rossetto rosa faceva risaltare le labbra.
   «Splendida» dichiarò Evan con sincerità. «A Noah verrà un colpo quando ti vedrà».
   «Oh, lo spero proprio» commentò a mezza voce Agathe. Lo strombazzare di un clacson si levò assordante. «Deve essere lui. Vi auguro un buon proseguimento di serata» salutò formale prima di uscire a lunghi passi.
   Attraverso la finestra, i quattro ancora seduti intorno al tavolo osservarono l’impensabile: Agathe Williams che saliva di sua spontanea volontà sulla Porsche guidata da Noah Pearson.
   
 
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