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Autore: Haco    14/11/2016    2 recensioni
Rimasta orfana di madre all'età di otto anni Elizabeth viene spedita a vivere dagli zii. Dopo dieci anni però suo padre, il Duca di Hidewood, la richiama a casa. Elizabeth dovrà trasferirsi, dire addio a quelli che ormai considerava quasi dei genitori e abituarsi ad una vita nuova, con un padre rigido e severo che non le dimostra affetto.
Perché suo padre l'ha obbligata a tornare a casa? Perché nella sua lettera non diceva il motivo per cui doveva rientrare? Dei nuovi ospiti stanno per arrivare nella villa di Hidewood e nessuno sa chi siano, nessuno tranne il Duca. Elizabeth però non sa che quegli ospiti, uno in particolare, vengono proprio per lei.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 2


<< Signora, il valletto del duca di Hidewood è arrivato ed è venuto a prendere la signorina Elizabeth >> annunciò Daphne che era andata ad aprire la porta.
<< Gli dica di iniziare a caricare i bagagli allora >> 
Mia zia si alzò in piedi e mi venne in contro.
Io mi ero lasciata prendere dall'ansia e ora cercavo di respirare piano e di mantenere il controllo. Il momento era arrivato, dovevo salutare quella che ormai consideravo la mia famiglia e dovevo dire addio a quella vita, perché da lì a poche ore mi sarei ritrovata in una casa enorme con solo Milton a tenermi compagnia.
Mi alzai e corsi ad abbracciare Sophia che era scoppiata a piangere, le diedi un bacio e asciugai le sue lacrime.
<< Sophi non piangere, devi essere forte, fallo per me altrimenti inizierò a piangere anche io. >> 
Lei fece un respiro profondo e mi sorrise, la abbracciai un'ultima volta e corsi a salutare i miei zii; entrambi mi abbracciarono e mi baciarono augurandomi un buon viaggio.
<< Scrivici presto Liz! E cerca di venire qui a trovarci ogni tanto! >>
Lo zio stava piangendo anche se si era allontanato per cercare di nasconderlo.
<< Certo zio! Verrò qui ogni volta che posso >> lo rassicurai.
Mi avvicinai all'ingresso e lì, non curante delle occhiatacce del valletto di mio padre, abbracciai Daphne che si era procurata una cesta per mettere Milton durante il viaggio.
<< Liz vienimi a trovare per favore... sei la mia unica amica qui, non dimenticarti di me >>
Io la strinsi ancora più forte a me e la tranquillizzai
<< Non mi dimenticherò mai di te Daph, prometto che ti verrò a salutare appena posso, e ti racconterò tutto quanto! >> 
Mi allontanai dalla casa ed entrai nella carrozza; il valletto chiuse la portiera senza dire nulla, già non mi piaceva, era freddo e insensibile proprio come mio padre. 
I cavalli iniziarono a camminare, mi affacciai al finestrino e piano piano vidi la casa farsi sempre più lontana e con loro anche tutti i miei amici che mi stavano salutando.
Il viaggio durò circa 4 ore e io lo trascorsi leggendo il libro che mia zia mi aveva regalato e giocando un po' con Milton che si era accoccolato nella sua cesta rifiutandosi di uscire.
Riconobbi la casa da lontano, un enorme edificio con un giardino altrettanto grande. Almeno nelle giornate di sole potevo uscire in giardino per respirare un po' di aria fresca...
Quella casa ispirava serietà, ogni cosa sembrava rigida e non mi sorpresi di trovare tutta la servitù immobile davanti all'ingresso appena arrivata.
Tutto era fermo, il silenzio regnava sovrano, era come se in quella casa nessuno potesse muoversi liberamente, come se tutti fossero completi estranei.
Scesi dalla carrozza e tutta la servitù si inchinò. Come era diversa la casa degli zii; li eravamo tutti liberi, la servitù non era totalmente inferiore a noi, i miei zii non pretendevano inchini a destra e manca ogni volta che passavano.
Mi sentii a disagio, a percorrere il cortile da sola, come se fossi un ospite atteso e intoccabile.
Arrivai dinanzi a mio padre e mi sentii in dovere di fare un inchino, non perché avessi chissà quale stima di mio padre anzi, nel corso degli anni l'avevo persa completamente la stima nei suoi confronti, ora per me era uno sconosciuto senza cuore, mi sentivo in dovere di fare quell'inchino perché era come se fosse la casa stessa a richiedermelo, era la servitù che si era precedentemente inchinata, era la freddezza che trasmetteva lo sguardo di mio padre e di tutti i presenti in generale che mi diceva "fai un inchino" è così feci quasi involontariamente.
<< Elizabeth >> fece mio padre con voce seria.
<< Padre >> risposi io di rimando, puntando gli occhi nei suoi.
<< Sebastian ti mostrerà la tua stanza, puoi andare >> e detto questo si girò e andò via senza aggiungere altro.
Rimasi li a fissare il vuoto per un po', mio padre mi rivedeva dopo 10 anni e l'unica cosa che riusciva a dire era il mio nome, sembrava quasi mi odiasse, come se la mia presenza non fosse gradita li. Ma non era stato lui a farmi tornare? Non era stato lui a obbligarmi a partire il giorno stesso per tornare a casa? Si era stato proprio lui.
Ma allora perché non diceva niente? Perché non mi aveva ancora detto il motivo per cui mi aveva fatto tornare?
<< Lady Elizabeth, mi segua >>
I miei pensieri furono interrotti da colui che presumevo fosse Sebastian... 
Salimmo una grande scalinata e poi girammo a destra e a sinistra varie volte finché una grande porta ci bloccò il passaggio. Sebastian aprì la porta e mi fece entrare. La camera era grandissima, con un letto a baldacchino enorme con tantissimi cuscini sopra. Di fianco c'era una finestra con un davanzale e in più c'erano un tavolo per truccarsi e pettinarsi e una stanza più piccola vicino in cui c'erano vari vestiti. Ringraziai Sebastian e lui mi avvertì che avrebbe pensato personalmente a Milton.
Quando fui sola nella stanza mi sedetti sul letto e rimasi li ferma e in silenzio per un tempo indeterminato. Non sapevo cosa fare né dove mi trovassi, non ricordavo quasi niente di quella casa ma sapevo che quella non era la mia vecchia stanza.
Volevo andare in cerca di mio padre per chiedergli spiegazioni ma non sapevo dove andare e soprattutto non sarei riuscita a tornare in camera dopo. Quella casa era davvero troppo grande per i miei gusti.
Mi alzai e mi affacciai alla finestra, da lì si vedeva la scuderia e un pezzo enorme di verde in cui non c'era praticamente niente se non qualche cespuglio. Passai la giornata in camera a guardare fuori dalla finestra, a sistemare un po' la stanza e a leggere finché una cameriera venne ad avvisarmi che la cena stava per essere servita. Le chiesi di aspettarmi e di indicarmi come raggiungere la sala e così fece.
Mi accompagnò nel salone e lì notai una grande tavola apparecchiata solo ai capi. Praticamente feci cena da sola in quanto mio padre era all'altro capo della tavola che era lontanissimo da me. 
Quando, finito di mangiare, feci per alzarmi lui mi bloccò << Elizabeth >>
Lo guardai mentre aspettavo che proseguisse 
<< Domani pomeriggio arriveranno degli ospiti, alle quattro in punto voglio vederti all'ingresso >> 
Non un'emozione poteva scorgersi dal suo volto; pensai o che fosse molto bravo a non mostrare i sentimenti o che non ne avesse proprio.
<< Va bene, padre >> e proseguii per la mia strada incerta su dove dovessi andare per ritrovare la mia stanza. 
Tornata in camera mi cambiai e mi buttai sul letto dove, tra le lacrime e i pensieri, mi addormentai.
<< Buongiorno signorina Elizabeth, si svegli, suo padre la aspetta per la colazione >> 
Una ragazzetta che poteva avere la mia stessa età con dei lunghi capelli biondi e dei grandi occhi verdi entrò in camera e andò ad aprire le finestre.
<< Signorina si sbrighi, non vorrà fare tardi, al duca non piace aspettare. Deve alzarsi >> 
"Al duca non piace aspettare" ma per chi mi ha preso? Se il duca vuole che  vada da lui allora aspetterà che io sia pronta.
Mi alzai sbuffando e ripensai a come era diversa la mia vita a casa degli zii.
Ogni mattina Daphne veniva a svegliarmi e ad aiutarmi e quando scendevo nel salone venivo sempre accolta da sorrisi.
Qui avevo proprio il presentimento che non sarebbe stata la stessa cosa...
Mi preparai con gli abiti che quella ragazza mi aveva preso.
<< Si abituerà presto a questa casa signorina... alla fine non è così male come sembra >> mi sorrise lei.
Oh allora queste persone non eseguivano solo gli ordini di mio padre, avevano anche una lingua e 
una testa loro. 
<< Ti ringrazio ma non credo proprio, la mia vita era totalmente diversa da tutto questo... >> le risposi io mentre mi accomodavo sulla sedia per farmi pettinare i lunghi capelli corvini.
<< Magari sarà difficile all'inizio, ma si farà degli amici anche qui, non tutti siamo come quel Sebastian o come il valletto che vi è venuto a prendere >> 
Intrecciò i miei capelli in una bellissima treccia che ripiegò su se stessa come a formare uno chignon.
<< Ti prego, dammi del tu, mi sei simpatica e vorrei tanto avere almeno un'amica qui >> 
Era vero, quella ragazza mi era simpatica e speravo davvero che potessimo diventare amiche 
<< Ma signorina, suo padre non vuole che la servitù si rivolga a voi in questo modo >> protestò lei mentre mi metteva dei fermagli colorati in testa.
<< Beh allora sarà un nostro segreto, quando lui non c'è puoi darmi del tu >> e detto questo mi alzai per scendere di sotto accompagnata da lei.
La colazione trascorse allo stesso modo della cena, in completo silenzio. 
Prima che lui andasse via presi coraggio e dissi: << Posso andare alle scuderie oggi? >> 
Dopo una lunga pausa mi rispose << Va bene, ma per le quattro devi tornare e devi essere presentabile >> 
Odiavo quel suo modo di comportarsi, mi trattava come se fossi un oggetto, una bambola da esporre ai suoi ospiti. 
Annuii cercando di sembrare il più tranquilla possibile e dopo un inchino uscii dalla stanza.
Incrociai la ragazza di prima e subito mi avvicinai a lei
<< Ehi, non ti ho chiesto una cosa, come ti chiami? >> 
Ero stata davvero sbadata a non chiederle il nome 
<< Melissa, mi chiamo Melissa >> mi rispose subito lei
<< Beh Melissa, potresti accompagnarmi alle cucine? >> le domandai io sorridendole
<< Che cosa? Ma Elizabeth, non puoi andare lì! >> mi fermò lei
<< E perché no? Mio padre è troppo impegnato nei suoi affari per sapere dove io mi trovi o anche solo per interessarsi a me, e io voglio andare li, quando ero piccola io e mia madre ci divertivamo moltissimo a preparare biscotti all'insaputa di mio padre; voglio vedere se tutto è rimasto come una volta, o almeno se quel poco che ricordo è giusto >> 
Proseguii dritta fin quando Melissa decise di affiancarmi e, rassegnata, di accompagnarmi alle cucine.
Appena entrammo notai subito tantissime persone indaffarate a cucinare ma non feci in tempo ad arrivare al centro della stanza che subito un uomo corse ad abbracciarmi.
<< Mia piccola Liz! Come sei cresciuta...Dimmi, come stai? Ti ricordi di me? Sono Arthur! >> esclamò l'uomo con gli strani baffi grigi.
<< A-Arthur?? Sei tu? Non ti avevo riconosciuto! >> dissi io ricordandomi di lui, il mio amico nonché cuoco della casa. Ricordo che da bambina adoravo passare del tempo con lui a imparare a cucinare, anche se quello non era un mio compito. Arthur mi faceva ridere sempre, quando ero triste correvo sempre da lui che mi dava uno dei suoi buonissimi biscotti al cioccolato e che, tra la preparazione di un piatto e dell'altro giocava con me.
<< Arthur ma perché state cucinando tutte queste cose? >> gli domandai il mentre presi a mangiucchiare un biscotto
<< Tuo padre non ti ha detto degli ospiti? Nessuno sa chi è che arriverà, ma tuo padre ha dato ordini di preparare un grande banchetto e di rendere tutto impeccabile >> 
Disse questo mentre indaffarato andava avanti e indietro per controllare la cottura di tutte le pietanze.
Ah già, i famosi ospiti... chissà perché c'è tutto questo mistero e allo stesso tempo tutta questa importanza per loro.
<< Arthur come farò a vivere qui? Mi sento così sola, mi mancano i miei zii e la piccola Sophia; mio padre non mi avrà detto più di venti parole da quando sono arrivata e mi guarda sempre come se mi odiasse >> mugugnai io 
<< Mia cara, vedrai che sarai felice qui... tuo padre non ti odia, è solo che sono passati molti anni da quando ti ha visto per l'ultima volta, anche lui deve abituarsi a te, dagli tempo. E poi, non sei sola! Ci siamo io, Melissa, e poi ho visto che hai portato un gatto con te, ci sono i cavalli che tanto ami e c'è anche Peter! >> cercò di rassicurarmi lui.
<< Peter?? Vive ancora qui? Vado subito a salutarlo allora! >> e corsi via diretta alle stalle.
Peter era il mio migliore amico da bambina, suo padre si occupava dei cavalli e ora sicuramente quello era diventato il suo compito; avevamo legato sin da subito, d'altronde eravamo gli unici due bambini in quella casa. Aveva un anno in più di me e mi ricordo che quando partii ci rimase molto male, così tanto che quando la mia carrozza lasciò la casa lui prese un cavallo e mi seguì per un po'.
Arrivai alle stalle di corsa e appena entrai lo vidi girato di spalle. Era cresciuto tantissimo, era molto più alto di me e in quel momento stava spazzolando la criniera di un cavallo bianco. Peter era un ragazzo dai capelli biondo cenere e dai grandi occhi scuri, dovevo ammettere che era davvero bello...
<< Peter! >> lo chiamai io
Lui si girò di scatto e subito mi venne incontro
<< Liz non ci credo, sei proprio tu! Da quanto tempo non ci vediamo, mi sei mancata così tanto! >>
Mi abbracciò subito e io ricambiai stringendolo ancora più forte
<< Allora, come te la passi? >> mi chiese preoccupato 
<< uhm non molto bene. Sai com'è mi ero abituata a vivere con i miei zii e ora mi sento così spaesata qui... >> iniziai ad accarezzare il cavallo bianco che stava strigliando 
<< Oh beh, capisco... spero che riuscirai ad ambientarti allora! Sappi che per qualunque cosa io ci sono >>
Prese il cavallo per rimetterlo nella stalla e io lo seguii mentre mi guardavo intorno
<< Grazie davvero Peter... Ehi aspetta un attimo, quel cavallo è chi penso io?? >> domandai sorpresa mentre mi avvicinavo ad uno stallone nero messo in un grande box in fondo alla stalla.
<< Si, è proprio Aaron, è cresciuto eh? Sta attenta a non avvicinarti troppo, è sempre così nervoso e non si lascia avvicinare facilmente... ogni volta è un'impresa dargli da mangiare e pulire il suo box >>
Non ci credo, quel cavallo era proprio Aaron, il mio puledrino. Aveva solo pochi mesi quando partii;  quando nacque mi innamorai subito di lui e mia madre face in modo che restasse solo mio. In teoria avrei dovuto aspettare che crescesse per domarlo ed addestrarlo ma poi non andò a finire così. Pensavo che dopo la mia partenza mio padre l'avrebbe venduto ad un ottimo prezzo, era il figlio di due bellissimi esemplari e valeva molto denaro e invece eccolo qui, stupendo e indomabile.
<< Liz non avvicinarti troppo o ti farà male! Quel cavallo è pazzo, lascialo perdere. Sono anni che non esce fuori di li proprio perchè nessuno riesce a gestirlo >> 
Peter mi prese per un braccio prima che arrivassi nel box di Aaron e mi guardò con un'aria supplicante chiedendomi di non avvicinarmi a lui.
<< Peter lui è mio, stai tranquillo, starò attenta >> lo rassicurai io mentre continuavo ad avvicinarmi. 
<< Ehi bello, ti ricordi di me? Shh tranquillo, non voglio farti male >> continuai ad avvicinarmi lentamente.
Il cavallo mi riconobbe, o almeno sembrò che mi avesse riconosciuto perchè dopo poco si calmò e annusò il palmo della mia mano. Iniziai ad accarezzarlo delicatamente e poi entrai nel suo box. Era veramente enorme, la sua criniera e la sua coda erano lunghissime e il manto nero splendeva come se fosse stato appena lavato e lucidato. 
Uscii e presi una capezza con una corda, tornai da Aaron e gliela infilai dopodichè uscii e lo portai fuori a brucare un pò d'erba. Dietro di me un Peter allibito sussurrò un << incredibile >>.
Passai la mattinata così, all'aria aperta con Aaron che usciva finalmente dal suo box dopo anni. Melissa mi raggiunse dopo un pò per avvisarmi che il pranzo stava per essere servito, ma non mi andava di vedere mio padre, avevo mangiato abbastanza a colazione quindi con una scusa le dissi di far presente a mio padre che non avrei fatto pranzo.
Non sapevo che fare in quella casa, si era vero, avevo ritrovato Arthur e anche Peter, ora avevo con me Milton e Aaron e avevo trovato anche una nuova amica in Melissa ma mi sentivo comunque spaesata. Ognuno di loro aveva vari compiti da svolgere, eccetto per Milton e Aaron naturalmente, e qui non c'era una Sophia o qualcuno come i miei zii con cui parlare o giocare.
Erano quasi le due ormai e fantastico, tra due ore avrei dovuto anche presentarmi a quei famosi ospiti che sicuro avrebbero avuto la puzza sotto al naso come mio padre; ero ancora fuori a guardare Aaron che mangiava l'erba. Alla fine optai per uscire o almeno per provare a uscire con lui per una passeggiata. Tornai alle stalle e con calma lo sellai, cercai di non stringere troppo la sella per non spaventarlo e dopo avergli dato uno zuccherino, provai a mettergli le briglie. Riuscii senza troppa fatica a prepararlo ma la cosa più difficile fu salire in sella senza farlo imbizzarrire e partire.
Mi arrampicai su una balla di fieno per cercare di fare meno pressione possibile su di lui e delicatamente mi sedetti sulla sella. Diedi un piccolo colpetto di stivali e subito lui iniziò a correre. Non avevo paura, mi fidavo e così ci allontanammo dalla casa al galoppo.
Dopo un'ora di corsa Aaron ancora non dava segni di stanchezza, era stato rincihuso per così tanto tempo che ora non faceva altro che correre. Ci avvicinammo ad un bosco che però cercammo di aggirare. C'erano dei cacciatori che si stavano addentrando nel bosco con i loro segugi proprio in quel momento; ero così felice che non diedi peso alla cosa ma quando sentii uno sparo, uno stormo di uccelli che era posato sui rami degli alberi iniziò a volare spaventando Aaron.
Si imbizzarrì e cominciò a correre ancora più veloce finchè non persi il controllo. Provai a farlo fermare ma niente da fare, continuò a correre lungo il sentiero e non dava segni di cedimento. Iniziai a tirare le briglie e a dirgli di fermarsi ma non mi ascoltò minimamente.
Per strada c'era una carrozza che veniva verso la nostra direzione e, dietro ad essa, c'era anche un cavallo legato, ci saremmo scontrati sicuramente. Aaron continuava la sua corsa e la carrozza non ci vide finchè non eravamo troppo vicini, frenò bruscamente ma il mio cavallo si impennò facendomi urlare.
Aggirò la carrozza e continuò a correre via; dietro di noi intanto i passeggeri della carrozza erano scesi a vedere cosa fosse successo; mi girai a guardarli per accertarmi di non aver fatto nessun danno e notai due uomini e un bambino che guardavano verso la mia direzione.
Uno degli uomini, corse a slegare il cavallo legato alla carrozza, salì in sella e iniziò a galoppare verso la mia direzione.
Io mi rigirai a guardare dove si dirigeva Aaron; l'uomo ci mise un bel pò per raggiungermi, intanto io cercai di far girare il cavallo per fargli guadagnare tempo per venirmi ad aiutare e dopo tanta fatica ci riuscii.
L'uomo, anzi il ragazzo ora che lo vedevo da più vicino, mi si parò davanti tagliando così la strada al mio cavallo. Aaron si impennò, il ragazzo afferrò le mie briglie e finalmente si fermò. Tirai un lungo sospiro di sollievo e guardai il ragazzo che aveva un'espressione sollevata ma allo stesso tempo sembrava seccato. 
<< Vi ringrazio >> provai a dire io cercando di fare un qualcosa simile ad un sorriso. Di fronte a me anzi, un paio di palmi sotto di me visto che Aaron era davvero alto rispetto al suo cavallo, c'era un ragazzo con dei capelli castani mossi, né corti né lunghi e due occhi azzurri ma di un colore diverso da quello dei miei occhi, i miei erano quasi grigi, i suoi invece erano di un azzurro acceso che non si poteva non notare. Sul volto aveva un accenno di barba e di baffi che donava ai suoi lineamenti.
<< Ringraziate mio padre, fosse stato per me potevate continuare a correre finchè il cavallo non si sarebbe fermato stremato >> mi guardò ancora più seccato 
Non sapevo che dire, che arrogante maleducato.
<< Beh allora ringraziate vostro padre per essersi preoccupato per me, e ditegli anche che per quanto riguarda le buone maniere e la gentilezza non vi somigliate pr niente, dovreste imparare qualcosa da lui >> dissi io acida mentre lo guardavo in cagnesco.
<< Voi dite al vostro di insegnarvi a cavalcare allora, potevate ucciderci >> ribattè lui
<< Non ho bisogno di imparare a cavalcare, so benissimo come si fa >>
Diedi una pacca ad Aaron e sotto sotto maledissi il momento in cui mi balenò l'idea di uscire a cavalcare.
<< E allora la prossima volta fareste meglio a prendere un pony, lasciate perdere gli stalloni, non fanno per voi >> 
<< Voi allora tappatevi la bocca, vedo che non riuscite ad essere gentile, fossi in voi rinuncerei in partenza a parlare >> e detto questo mi girai e ripresi la strada per il ritorno a casa.
Quando passai davanti alla carrozza sorrisi al bambino che mi guardava e ringraziai il signore per essersi preoccupato per me.
Prima di rientrare decisi di fermarmi un attimo vicino un ruscello per far bere Aaron così mi fermai e scesi da cavallo. Non facevo altro che pensare a quanto era stato arrogante quel ragazzo, era riuscito a rovinarmi ancor di più la giornata; l'acidità di mio padre mi bastava e avanzava, non mi serviva proprio per niente anche la sua...
Ci riposammo per un po' e poi risalii in sella e, al galoppo, tornai a casa.
Nella stalla ritrovai Peter a cui chiesi di pulire Aaron ma lui proprio non ne voleva sapere di essere lasciato nelle mani di Peter così me ne occupai io.
Lo stavo lavando quando mi ricordai degli ospiti
<< Peter, che ore sono? >> chiesi mentre stavo raccogliendo da terra il secchio con le spazzole
<< dovrebbero essere le quattro e qualche minuto >> mi rispose lui 
<< Mio padre mi ucciderà! >> presi di corsa Aaron e senza aver finito di pulirlo lo rimisi nel box 
<< Peter tornerò dopo, finisco io qui non ti preoccupare! Ora devo andare via subito >> e detto questo corsi via.
Decisi di entrare dal retro, almeno avrei potuto inventare una scusa per giustificare il mio ritardo.
Passai per le cucine e già da li si sentiva la voce di mio padre che parlava con qualcuno. Lo raggiunsi in silenzio e appena riuscii a vedere i volti dei nostri ospiti rimasi a bocca aperta. 
Mi sentii pervadere dalla rabbia e vari insulti cercarono di uscire dalla mia bocca. Con tanta forza di volontà riuscii a trattenermi e mi misi al fianco di mio padre.
Dinanzi a me c'erano il signore, il ragazzo e il bambino che avevo incontrato prima.
<< Scusate il ritardo, padre. >> dissi mentre facevo un inchino. 
Lui mi guardò con un'espressione che diceva "dopo faremo i conti" 
Fece un lungo respiro e poi parlò << Elizabeth, il conte di Greenlake e i suoi figli >> 
<< Piacere di conoscervi >> sorrisi io, anche se il piacere si estendeva solo al duca e al figlio più piccolo.
<< Il piacere è nostro, Lady Elizabeth, loro sono i miei figli, Richard, ed il più piccolo, Henry >> e li indicò entrambi con aria fiera.
<< Bene, Elizabeth i nostri ospiti rimarranno qui per un tempo indeterminato, io e il duca dobbiamo discutere di affari, prevediamo di ufficializzare il vostro fidanzamento entro la fine del mese con un ballo. >> annunciò mio padre serio
<< Fidanzamento? Di chi?! >> chiesi io prevedendo il peggio ma cercando comunque di non essere troppo frettolosa
<< Elizabeth, entro la fine dell'anno celebreremo il vostro matrimonio; il tuo e di Richard >>
Mi crollò il mondo addosso. Ecco perché mio padre mi aveva fatto tornare. Ecco perché non aveva detto a nessuno chi fossero questi ospiti, non voleva spargere la voce. Ora si spiegava tutto, non potevo credere a quello che aveva fatto, mi aveva usato come se fossi un oggetto, per lui ero come merce di scambio, gli servivo solo per fare affari, a lui non importava che io non volevo assolutamente sposarmi, non adesso e soprattutto non con Richard. Non si preoccupava minimamente della mia felicità, d'altronde anche il suo era stato un matrimonio combinato, un matrimonio senza amore; per lui tutto questo era normale. Per me invece non lo era, ma figuriamoci se sarebbe importato a qualcuno.




Ebbene, ecco a voi il secondo capitolo!
Cercherò di aggiornare la storia ogni lunedì sera, sperando che ci riesca visto che tra scuola (quest'anno ho anche gli esami aiuto) compiti e scuola guida non ho un momento libero.
Questo capitolo è leggermente più lungo del primo, e alla fine scopriamo qualcosa di mooooolto importante.
Chissà come proseguirà la storia tra Richard ed Elizabeth...
Grazie mille a tutti coloro che leggono e che seguono la storia, al prossimo capitolo!
  
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