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Autore: voiceOFsoul    14/11/2016    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Roma al tramonto è uno spettacolo. Il cielo si infiamma e la potenza del Vittoriano fa tremare le viscere. Lo sguardo si perde lungo la via dei Fori Imperiali fino ad ammirare la maestosità del Colosseo. Due epoche che si confrontano e si sfidano sotto un intreccio di nuvole rosse e arancioni in un arazzo di splendida fattura che neanche il più abile dei tessitori sarebbe in grado di generare.

Ci stiamo godendo una birra seduti al tavolino di uno dei costosissimi bar di Piazza Venezia. Giacomo ed Emma cercano su TripAdvisor un’osteria in cui cenare che non ci costi un rene ciascuno, mentre noi altri assaporiamo l’aria romana. Ho sempre amato questa città, ho sempre i brividi a fior di pelle percorrendo le sue strade. C’è passata tanta di quella gente, tanta di quella storia, in queste strade! Pensarci mi fa sentire allo stesso tempo tanto grande come un Cesare, quanto piccolo come una sbavatura nell’enorme libro del tempo. E quando i romani si lamentano della loro città io riesco solo a pensare alla sensazione di ebrezza che provo e che non va via per tutto il tempo della permanenza.

«Come credete che sia andata?» chiede Giorgio, che è rimasto per tutto il tempo stranamente silenzioso.

«Credo che sia andata bene, no?» rispondo, chiedendo con lo sguardo la conferma degli altri.

«Non l’ho visto troppo convinto mentre ci ascoltava.»

«Non credo ci potessimo aspettare che iniziasse a saltellare per tutta la sala di registrazione, no?» Di nuovo cerco conferme, ma nessuno pare si voglia sbilanciare.

«Quello no di certo, ma dirci che gli siamo piaciuti non sarebbe stata una cattiva idea. Mi sarei accontentato di un “non fate cagare poi tanto”.»

La sua imitazione di De Blasi ci strappa un sorriso, ma siamo tutti troppo tesi per ridere sul serio.

«Non ci ha detto che ci adora, è vero, ma ci ha detto che vorrebbe risentirci mentre avrebbe potuto dirci di scomparire dalla circolazione. Non è male come risultato.» interviene finalmente Emma.

«Ha detto che vorrebbe risentirci, ma non ci ha dato un appuntamento. La sua ultima frase è stata “vi farò sapere”. Non so a quanti colloqui di lavoro tu sia andata, ma da dove vengo io questa frase non presuppone quasi mai niente di buono.»

«Invece da dove vengo io sai come funziona?» Emma si alza in piedi, per un attimo temo che estragga il suo coltellino e lo punti verso Giorgio come ha fatto con me al nostro primo incontro. «Dalla mie parti, quando trovi qualcuno che ti lascia provare senza sbatterti subito la porta in faccia, si chiama successo. Dalle mie parti, quando uno ti dice che ti farà sapere, lo sai che non ti chiamerà quella stessa sera. Dalle mie parti, se succede questo e hai pagato in anticipo un appartamento a Roma per una settimana, si passa la notte a festeggiare come se avessi vinto il mondiale, non come femminucce lasciate dal moroso stese sul divano a guardare Dirty Dancing piangendo come neanche la fontana di Trevi. Questo si fa, dalle mie parti!»

Silenzio, nessuno potrebbe aggiungere altro al suo discorso. Non avrei mai detto che fosse un trascinatore così efficace e convincente la prima volta che abbiamo parlato, ma forse la paura che mi potesse accoltellare non mi rendeva troppo affidabile in quel momento.


«Quanto starai via?»

«Rientrerò Domenica sera. Puoi tenerti libero per venire a recuperarmi in aeroporto?»

Diego è appoggiato alla soglia della mia stanza, mentre preparo la valigia sotto il suo sguardo vigile. Dopo anni a fare e disfare trolley da viaggio, quella che all’inizio era una delle parti più emozionanti e preoccupanti è diventata una routine come un’altra. Sono sicura di poter farlo ancora ad occhi chiusi, ma Diego che commenta ogni movimento non aiuta.

«Perché porti il vestito?»

Mi fermo un attimo e fisso l’abito che sto per piegare tentando di non stropicciarlo: un abito elegante di seta lucida dalla base viola scuro e perlescenze rosa chiaro. Nonostante il colore non sia tra i miei preferiti, mi piace come lo scollo a barca lascia libere le clavicole. Il taglio segue perfettamente le curve del seno e della vita, appoggiandosi morbido sui fianchi e scendendo in modo asimmetrico fin a poco sopra il ginocchio.

«Non posso presentarmi a una cena elegante in jeans e converse.» affermo ripiegando delicatamente la preziosa stoffa, già conscia che non servirà a nulla e di quanto mi costerà farlo stirare di nuovo in hotel.

«Hai intenzione di partecipare a una cena elegante?»

«Lo spero più che altro. Sarebbe una cena d’affari e ciò significherebbe che siamo riuscite a coinvolgere le persone giuste.»

«Persone giuste come era Ragonesi?»

Un attimo di esitazione, mentre accarezzo il vestito appena messo in valigia. So dove vuole andare a parare, ho combattuto con questo per l’intero pomeriggio. Deglutisco la saliva che si è fatta improvvisamente troppa e faccio finta di nulla.

«Non mi pare di aver indossato un vestito la sera che abbiamo incontrato Ragonesi.» Non ci vuole poi una gran memoria, in quel periodo indossavo un’unica cosa a qualsiasi incontro di lavoro. Rovisto un attimo nell’armadio e tiro fuori la gonna nera a tubino, ormai quasi una reliquia storica. «Avevo questa a dir la verità!»

Diego sorride, mi pare di vederlo leggermente arrossire. Sta in silenzio per i successivi cinque minuti, tempo che mi basta per infilare in valigia il vestiario rimanente e comprimere le due paia di scarpe.

«Vorrà dire che infilerò pigiama e ciabatte in borsa.» affermo osservando la valigia ormai strabordante, mentre inizio a chiedermi come farò a chiuderla e parto con il rituale della rivisitazione del necessario per eliminare il superfluo e riuscire a rientrare nuovamente nelle normali dimensioni di un bagaglio a mano.

Diego è ancora fermo sulla porta a guardarmi con la faccia da funerale. Lascio cadere i jeans che sto esaminando e vado da lui. Gli prendo il viso tra le mani scuotendolo leggermente.

«Questa è una cosa bella, se non l’avessi capito. Non sto partendo per la guerra del Vietnam. Sto andando ad assolvere un incarico di lavoro, un lavoro importante, che mi viene assegnato per la prima volta dalla nuova azienda in cui lavoro. Significa che si fidano di me, che credono che io possa farcela. Questa è una cosa bella.»

Annuisce, ma non cambia espressione.

«Scusa, è solo che con tutto quello che è capitato in questo periodo speravo che potessimo stare un po’ tranquilli. Tutto qui.» sbotta infine.

«Non c’è nulla per cui non stare tranquilli. Hai dimenticato il viaggio che ho fatto da sola in Germania per la SoftWaiting? Quello era preoccupante. Adesso starò per meno di una settimana a Roma: questo è solo... figo!»

Non credevo di essere davvero così entusiasta della partenza, eppure sto sentendo di nuovo il piacevole pizzicore che si prova prima di una nuova avventura. Mi mancava.

Diego, invece, sembra non prenderla proprio bene. Mi dice un freddo ‘ok’ e lascia la sua postazione di guardia per andarsi a rinchiudere in camera. Quando fa così vorrei proprio tirargli il collo! Torno, un po’ più nervosa di prima, alla mia valigia. In mezz’ora riesco a compiere il miracolo e, mentre metà del contenuto iniziale campeggia sul pavimento della stanza, chiudo la lampo con aria soddisfatta.

Guardo l’orologio, devo alzarmi tra cinque ore ma non mi sento per nulla stanca. Decido di mettermi comunque a letto sperando che il buio mi concili il sonno. Domani una faccia da coma è l’ultima cosa che mi serve! Mentre sono al buio con gli occhi chiusi e milioni di pensieri che si mischiano in testa, sento la porta aprirsi. Percepisco la presenza di Diego che mi osserva, non so quanto creda che io stia realmente già dormendo, si avvicina a passi felpati e si infila nel letto con me abbracciandomi.

«Giochi?» mi sussurra.

Non rispondo, stringendo di più gli occhi. Mi bacia i capelli dandomi la buonanotte e confidandomi che gli mancherò anche se starò via pochi giorni. Io continuo a far finta di dormire. Sì, Diego, sto giocando, ma non sai che stasera il mio gioco è diverso e potrebbe farti soffrire.

Afferro il braccio che mi passa intorno alla vita, stringendomi a lui e immagino che quelle siano la braccia di Tommaso.


Trastevere di notte è uno di quei posti che ti fanno sentire innamorato. Innamorato di questa città, di quest’aria, di queste osterie, di questo vino, di questo fiume, di queste luci, di questo panorama, della cupola di San Pietro, del profilo di Castel Sant’Angelo, di questi ponti, di questa gente. Di tutto. Senti una strana magia impossessarsi di ogni tua cellula e credi di essere in grado di amare come non hai mai fatto.

Giorgio e Alfredo si sono scolati due litri di vinello rosso locale e cercano di attaccare bottone con qualsiasi straniera che passi, improvvisando un inglese maccheronico che sembra riscuotere parecchio successo, specialmente se le turiste hanno bevuto quanto e più di loro. Io sono inizialmente restato seduto con Emma e Giacomo, ma presto ho avuto la sensazione di essere di troppo. Prendendo la scusa di chiamare casa per dare la buonanotte a Rose, li ho lasciati da soli e mi sono appollaiato su un muretto a godermi il panorama. Che Giacomo sia cotto di lei non potrebbe negarlo neanche un cieco, ma per quanto Emma faccia ancora la dura e la preziosa si capisce che anche lei si è affezionata a lui. Osservo da lontano con quanta dolcezza mio fratello cerchi sempre di sfiorarla e con quanta delicatezza lei sfugga il suo tocco senza allontanarsi mai davvero. Se Roma farà abbastanza la stupida in queste sere, quei due finiranno insieme prima di tornare a casa.

Senza un motivo mi ritrovo voltato verso il fiume a scorrere i nomi presenti nella rubrica del mio cellulare e a parlare in silenzio con me stesso.

Davvero, Tommaso? Vorresti fare come ai vecchi tempi delle litigate stupide e chiamare Simona mentre sei mezzo ubriaco in uno dei posti più romantici del mondo? No, no davvero. Non stai cercando il suo numero e lo sai bene. Ne stai cercando uno che lì dentro non c’è. Perché c’è una sola ragazza che riesci a immaginare con te in questo momento, una sola che non riesci a toglierti dalla mente, ma a cui non hai avuto il coraggio di chiedere il numero. L’hai incontrata così tante volte per caso che non potrai contare su un altro incontro casuale, te ne rendi conto? Sì, sai dove abita, ma cosa vorresti fare? Appostarti sotto il suo portone insieme allo stalker che la tormenta? Sei proprio nella merda, caro Tommaso. Non ci sai proprio fare con le ragazze. Quella sera resterà per te un’occasione sprecata. Nulla di più. Adesso posa il cellulare al suo posto nella tasca dei jeans e mangiati le mani finché i tuoi amici non decideranno che è arrivata l’ora di tornare in appartamento a dormire.

   
 
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