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Autore: Neferikare    15/11/2016    3 recensioni
Dopo l'ultimo delirio di onnipotenza di Pitch Black, per i Guardiani è iniziato un periodo di relativa pace e calma piatta, uno di quelli che fanno pensare al lieto fine delle favole.
Un periodo che non è però destinato a durare, dopo l'improvviso quanto casuale arrivo di una stella cometa fin troppo ubriaca per capire le conseguenze delle proprie azioni tutt'altro che responsabili, conseguenze che hanno il volto di un antico nemico dimenticato in un Abisso da tutti.
O almeno quasi, tutti.
Perché nulla è per sempre, nemmeno la pace.
Nemmeno l'amore.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Manny/L'uomo nella Luna, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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capitolo7

Come se si trattasse di un qualche rituale del buongiorno, Harmonia era stata svegliata dal delicato profumo floreale che inebriava l’aria di Phantasia, accolta dai flebili e caldi raggi di uno dei Soli che si tuffavano nell’acqua scrosciante fuori dal castello creando curiosi arcobaleni e giochi di luce che tingevano il suo manto bianco immacolato, per poi riflettersi sulle squame color smeraldo che le circondavano il corpo.

Nella posizione a pancia e zampe in su in cui si trovava stesa nel letto, la Regina della Fantasia guardò distrattamente davanti a sé sorridendo: con la testa premuta sul suo seno e le braccia strette in un coinvolgente abbraccio alla vita di lei, proprio lì, se ne stava la donna che le aveva dato tutto l’amore che lei stessa potesse desiderare ed era stata ricambiata allo stesso modo, quel sentimento verso il quale Harmonia aveva perso tutte le speranze dopo aver perso Phobos, chiusa com’era nella convinzione che, se anche a lei fosse accaduto qualcosa come con quel povero disgraziato, sarebbe solo e sempre stata colpa sua.

Ma con Myricae era diverso, molto diverso: non era solo il suo più fidato generale che l’accompagnava dal primo giorno in cui aveva incrociato il suo sguardo dopo la rocambolesca fuga da Quetzalli, regno delle donne naga note con il nome di Ophidians sue simili, era anche una persona, la sua persona, meravigliosamente coinvolta da quella relazione che andava avanti dalla bellezza di quasi sette secoli, iniziata venticinque anni dopo la perdita di Phobos ma già anticipata da un’amicizia che era qualcosa di più, era l’amante che ogni sera aspettava il suo ritorno a letto per farle dimenticare di tutti gli impegni che il ruolo di Regina comportava.

Myricae era il suo mondo, il suo faro in venticinque anni di sofferenze dilanianti a causa delle quali si era lasciata morire, la donna alla quale aveva consegnato il suo cuore fatto a pezzi e calpestato per poi, giorno dopo giorno, scoprire che stava riuscendo nella difficile se non impossibile impresa di farla credere di nuovo nell’amore.

Tutto ciò che era venuto dopo lo aveva fatto da sé, quasi senza chiedere il permesso all’una o all’altra: sebbene agli inizi Harmonia fosse piuttosto perplessa sull’avere nuovamente qualcuno con cui condividere il proprio letto e anche altro, pian piano si era lasciata andare capendo che non tutti erano lì per ferirla e farla soffrire, ed il grande passo lo aveva fatto la prima volta che lei e Myricae avevano fatto l’amore.

Solo loro due, nessun dovere, nessuna preoccupazione: Harmonia e Myricae, Myricae e Harmonia, quella notte c’erano state solo loro e, almeno per la naga, la consapevolezza che la compagna stava concedendo a lei quello che non aveva dato a nessuno oltre che a Phobos, e cioè la sua fiducia incondizionata.

Le aveva messo fra le mani il proprio cuore, e custodirlo era diventato lo scopo dei gesti che compiva ogni giorno per renderla felice.

Da parte sua, Harmonia era consapevole che quella relazione fra due donne, fra la sovrana ed il suo generale, aveva portato con sé i bisbigli della gente che le guardava inorridita perché “la Regina avrebbe dovuto trovare il proprio Re”, non un’altra compagna che avrebbe solo gettato scandalo e vergogna sul suo regno: c’erano così tanti individui con il cervello talmente piccolo da ballonzolare liberamente per la scatola cranica che qualche domanda le era venuta anche, ma era stata accantonata prima di subito dal momento che a lei e Myricae, dell’opinione altrui sul fatto che scopassero selvaggiamente, non fregava un emerito cazzo.

Ciò che quella stessa gente non sapeva, sfortunatamente per sé, era che a Phantasia e sul pianeta Exodus in generale gli abitanti erano abbastanza svegli da sapere che la loro libertà sessuale, che si trattasse della Regina o di un semplice commerciante, non doveva essere subordinata alla volontà di nessuno che non fossero le persone coinvolte, e quella certezza era l’ennesimo dei molteplici motivi per cui Harmonia era tanto amata dalla sua gente.

Non come certe sovrane di Tandokka, si intende.

Quasi avesse avvertito i dubbi che attraversavano la mente della sua Regina, la naga aveva mosso impercettibilmente le lunghe orecchie coperte di squame facendo risuonare i pesanti orecchini dorati a forma di anello contro le sottili catenelle costellate di gemme colorate che pendevano da uno all’altro, andando poi a stiracchiare la coda in tutta la sua lunghezza e agitandone la punta come se fosse un serpente a sonagli, ovviamente attirando l’attenzione della compagna:

«Vanimle sila tiri, a’maelamin» la salutò arrampicandosi fino a darle un bacio sulla fronte con tutta la dolcezza di quell’Universo.

Harmonia adorava quando Myricae parlava l’Ophidiano, la lingua madre delle naga come lei, e negli anni aveva imparato a capirne tutte le sfumature e di più piccoli significati nascosti dietro la più insignificante differenza di pronuncia di una singola lettera: quando le dava il buongiorno con, quel tono vagamente sensuale tipico della sua razza, finiva per sciogliersi come neve al sole, compiaciuta da forme di apprezzamento che mai avrebbe pensato di sentir pronunciare nella sua esistenza immortale, non rivolte a lei almeno.

Terminati i convenevoli di saluto tutti dolci e carini, Myricae aveva cambiato totalmente personalità, diventando il predatore che era nata per essere: scendendo dalla fronte fino alle labbra della compagna, prese a baciarla con una passione tale che sembrava volerle divorare persino l’anima, la lingua biforcuta che si muoveva nella sua bocca in una danza alla quale Harmonia si era felicemente abbandonata come faceva sempre, consapevole che tutto quello che sarebbe venuto dopo avrebbe solo potuto piacerle ogni giorno di più.

Le era scivolata addosso mantenendo il contatto che le sue labbra avevano con il corpo della centauressa usando una mano per afferrare le sue e tenergliele poco sopra la testa pronte per essere avvolte dall’estremità della coda come se fosse una catena liscia color smeraldo, coda che aveva accompagnato l’intero corpo da serpente mentre questo si sbrogliava dal manto bianco per andare a formare nuovi intrecci che le bloccavano le zampe anteriori, premurandosi di lasciare che le spesse squame affilate come pugnali si frapponessero fra una zampa posteriore e l’altra, costringendola a tenerle leggermente divaricate.

Myricae sapeva bene quello che faceva, conosceva i limiti pressoché inesistenti che Harmonia le metteva, ed era per quello che lei la lasciava fare: se fosse stato qualcun altro mai avrebbe permesso che la costringessero a quel genere di giochi erotici, né tantomeno che la tenessero legata in un modo simile, ma con lei vicino la cosa assumeva tutto un altro significato, un significato che andava ben oltre il semplice desiderio carnale.

Improvvisamente ricordatasi di avere un’altra mano libera, Myricae l’aveva fatta scivolare sotto l’armatura che copriva a stento il seno ad Harmonia, togliendola con uno scatto felino e lasciando che ricadesse sulle coperte a terra, dedicandosi subito dopo all’esplorazione di ogni singolo centimetro di quella pelle bianco latte con le punte delle dita: il gelo degli unghie più simili ad artigli e la sensazione di pizzicore che si lasciavano dietro era qualcosa che portava il significato della parola preliminari ad un livello tutto nuovo, uno di quelli che si raggiungono solo se tu sei una naga vogliosa e la tua compagna una centauressa con un corpo che bramava solo di essere capito, amato, coccolato.

Nonostante i gridolini strozzati di Harmonia si fossero già fatti sentire quando l’altra si era fiondata con la bocca a completare il lavoro che aveva iniziato con le dita, un gemito nemmeno troppo strozzato le era partito quando le mani di Myricae, ora libere di muoversi come volevano perché la coda faceva tutto il lavoro al posto loro, avevano iniziato a scorrerle addosso dal seno ai fianchi fino alla vita, fermandosi dove avevano incontrato la morbida pelliccia bianca: l’aveva guardata come per cercare un segno di approvazione nell’andare oltre e, quando la Regina aveva risposto con un debole cenno mentre si mordeva distrattamente le labbra, le accarezzò l’interno delle cosce salendo verso l’inguine sfiorando la sua intimità.

E allora Harmonia si era irrigidita.

Myricae lo notò subito, quel cambiamento nella sua espressione, motivo per cui prese il mento della compagna portando i loro occhi alla stessa altezza:

«Avo anírach echaded meleth na nin, arwenamin? Vuoi che mi fermi?» domandò nell’antica lingua con aria pensierosa, ma l’altra iniziò a scuotere la testa:

«No, mela en’ coiamin, vorrei che tu non ti fermassi mai, solo fai… piano, come se avessimo tutta l’eternità e oltre davanti. Solo noi due, nessun altro.» la rassicurò dandole un leggero bacio sul naso che la fece squittire appena, una sorta di via libera che la naga aveva accolto a braccia, e non solo quelle, aperte.

Quello che venne dopo restò confinato nella stanza di Harmonia, quella della Regina, quella del loro amore: che fossero i gemiti di piacere della centauressa accompagnati dalla schiena che si inarcava faticosamente, che fossero le parole che Myricae le sussurrava all’orecchio per renderla partecipe di ogni singolo pensiero che affollava la sua mente in quegli istanti così intimi o che si trattasse semplicemente dei loro corpi che si fondevano insieme non aveva importanza.

Quello era il loro momento.

Loro, e di nessun altro.

Almeno per ora.

 

 

Dal momento che le due figure che li avevano scortati fino a Phantasia erano arrivate quando era ormai notte fonda, Jack e gli altri Guardiani erano stati invitati a passare la notte direttamente al castello di Harmonia in attesa di parlarle la mattina seguente durante la colazione.

Per quanto Frost non volesse ammetterlo, il letto nel quale aveva dormito era tremendamente comodo e accogliente: non che questo contasse qualcosa in particolare, ma in quel modo non poteva nemmeno più lamentarsi della scarsa accoglienza della Regina; come avrebbe fatto a trovare qualcosa su cui insistere per portare avanti le sue tesi di non andarci d’accordo se non poteva nemmeno dirle “Il materasso era duro perché GNEGNEGNE volevi farmi rompere la schiena GNEGNEGNE”, urlando al “gombloddoh!” ogni tre per due?

In compenso doveva ringraziare Harmonia per aver assegnato ad ognuno di loro una stanza personale, almeno doveva dividere la sua con Dentolina: quella poveretta probabilmente si stava ancora crogiolando nella convinzione che in realtà Jack non l’avesse baciata così intensamente solo perché era arrivato Pitch Black, che per una buona volta era comparso nel momento giusto nel posto giusto, anziché perché per lui la fatina dei denti non era che una collega di lavoro, una buona amica e nient’altro.

In poche parole, quella friendzone nemmeno troppo esplicita gli aveva fatto comodo per non rovinare i rapporti che aveva con lei: “colpa di Pitch che ci ha interrotto”, avrebbe detto se lei gli avesse chiesto perché non le aveva dato libero sfogo a quel fatidico bacio, ma prima o poi avrebbe dovuto trovare anche un’altra scusa.

Poco male, aveva tutto il tempo per pensarci, soprattutto adesso che si era appena svegliato ed era intento a stiracchiarsi come un gatto con addosso una felpa… ed una sciarpa?

La prese fra le mani osservandola: lavorata ad uncinetto per ricordare degli incredibilmente realistici motivi a forma di fiocco di neve, trovava sorprendente come le varie sfumature di azzurro che andavano dal bianco al cobalto fino al blu rendessero l’idea che fosse stata lavorata durante una tempesta di neve, quasi ne avesse assorbito gli stessi colori; guardando meglio, notò la presenza di un bigliettino attaccato come se fosse un’etichetta: “A Jack Frost, perché i ragni smettano di fargli paura” accompagnato da un cuoricino.

Antares, avrebbe dovuto immaginarlo: d’altronde la sciarpa gliel’aveva promessa quando si erano incontrati una decina di giorni prima, quando aveva anche minacciato di deporre le proprie uova nel suo stomaco, ma proprio non ci sperava più che dopo la scenata con Harmonia e la sua alleanza avrebbe ancora avuto voglia di fargli un regalo che, seppur inaspettato, era decisamente gradito dal momento che la sua sciarpa preferita era andata persa nella carica degli Incubi di Pitch Black del giorno prima.

Già, la carica degli Incubi del giorno prima.

Quella dove avrebbero perso la vita lui e tutti gli altri Guardiani se non fosse stato per l’intervento di quell’arciera e dell’altra figura che l’aspettava all’entrata del portale.

Affondando la testa nella sciarpa nuova, che si era rivelata molto più morbida e calda di quanto avesse immaginato, la mente di Frost era andata allo spiacevole episodio appena affrontato non proprio a testa alta: non sapeva cosa fosse peggio fra il sapere che Pitch Black ormai era tornato ad essere un pericolo non indifferente o l’aver visto Madre Natura in tutta la bellezza del suo outfit da senzatetto, stava di fatto che Jack aveva avuto la prova che non potevano stare tranquilli o abbassare la guardia nemmeno per un secondo che fosse uno, perché tanto i cattivi di turno del passato potevano tornare alla carica in qualsiasi momento.

Fu un quella consapevolezza, ovvero che lasciarsi alle spalle i nemici del proprio passato era praticamente impossibile, che riportò la mente di Jack alle inquietanti parole di Madre Natura: “Tu non puoi nemmeno immaginare quante stronzate racconti Harmonia, non lo puoi sapere: per ogni verità che dice ne tiene nascoste altre dieci, ma tu non puoi saperlo, certo che no… la Regina della Fantasia, la sovrana di Phantasia e dell’intero pianeta Exodus, lei racconta quello che le fa comodo”, parole che significavano una sola cosa.

E cioè di guardarsi le spalle dalla Regina alla quale avevano appena affidato il loro destino accettando quell’alleanza.

In realtà non sapeva bene come interpretarle, d’altronde Harmonia non aveva dato segno di volerli solo sfruttare e poi tradire come anche lui aveva giustamente pensato in un momento di rabbia, forse Emily Jane aveva detto così solo perché aveva rivelato a tutti la fastidiosa questione di Tandokka, fatto stava che il dubbio nella mente glielo aveva insinuato comunque.

E faticava ad andare via.

Cercò di pensare alle informazioni riguardo Harmonia arrivate a lui fino ad ora: era la Regina della Fantasia da un numero non meglio definito di anni, cosa che lo aveva insospettito non poco dal primo momento, non dipendeva da Manny come tutti i Guardiani,  aveva un pianeta fiorente e lussureggiante che sembrava uno di quelli dei libri delle favole, al suo fianco c’era un manipolo di generali uno dei quali era sicuramente Antares, sette secoli prima aveva combattuto una guerra quasi da sola e lì aveva perso Phobos e infine, cosa più importante, aveva a casa sua state di Guardiani o presunti tali che nessuno gli aveva mai nominato.

E poi?

Poi niente, perché di Harmonia non sapeva altro che quelle poche cose, nemmeno raccontate di persona ma tirate fuori fra un discorso e l’altro: se era così potente perché aveva alzato quella barriera contro un nemico a lui sconosciuto?

Se sei tutta questa grande potenza, pensò Jack, non dovresti temere nemmeno Manny in persona, figurarsi innalzare scudi magici di portata immane che consumavano tanta energia quanto erano spettacolari per proteggere il tuo castello!

Sembrava quasi che temesse qualcosa, o forse qualcuno, abbastanza perché non fosse certa delle proprie capacità, ma magari era solo una sua distorta impressione come tante altre: Harmonia aveva l’intelligenza di una donna di potere e l’affetto materno di una sovrana giusta e caritatevole, il tutto unito alla forza di un fottuto cavallo abnorme, chi accidenti poteva spaventarla con gli zoccoli che si ritrovava?

Forse era solo una delle sue bugie, chi lo sapeva!

Qualcuno sicuramente, ma non Jack Frost.

Mentre si stava lasciando trascinare ancora una volta da quelle ingombranti ipotesi di complotto, Jack venne interrotto dal rumore della pesante porta della sua stanza che si apriva lentamente, lasciando intravedere la figura dell’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento e, più in generale, per tutto il resto della sua vita da Guardiano; dopo essersi chiuso la porta alle spalle attento a farlo non troppo rumorosamente, Calmoniglio si era appoggiato allo stipite dell’entrata gettando distrattamente lo sguardo verso Jack, che era invece seduto sul bordo di quel grande letto a baldacchino.

Passarono alcuni minuti senza dire nulla e senza nemmeno guardarsi in faccia, poi il coniglio pasquale alzò le mani in segno di resa:

«Oh avanti, non puoi andare avanti a non rivolgermi la parola per sempre, Jack! Prima o poi dovrai deciderti a parlarmi di nuovo, anche solo perché siamo compagni di lavoro!» si lamentò incrociando poi le braccia al petto, ma nulla sembrò smuovere qualsiasi cosa nella mente dell’altro interlocutore «Veramente? Non intendi parlare con me per quella questione, quella che non sei un Guardiano? Stammi a sentire, quello che ho detto.. l’ho detto in un momento di rabbia, va bene? Non intendevo dirti quelle cose, non era ciò che volevo dir-»

«Oh, invece intendevi dire proprio quello, non ci sono dubbi.» si decise a risponde freddamente Jack Frost, sempre mantenendo lo sguardo basso.

Calmoniglio stava giusto per controbattere quando l’altro lo aveva interrotto bruscamente:

«Non cercare di prendermi in giro, sappiamo entramb… tutti, sappiamo tutti, che nessuno mi considera all’altezza di questo ruolo, del ruolo di Guardiano del Divertimento…» continuò malinconico stringendo i pugni «… E per quanto ora cerchiate tutti di consolarmi e farmi ricredere su questo punto, per quanto sia frustrante e umiliante, lo ammetto: avete ragione, avete sempre avuto ragione... non sono nemmeno degno nemmeno la metà di quanto lo siete voi di essere definito “Guardiano”… non son-»

«Sei più Guardiano di quanto lo siamo stati noi nella guerra contro Apophis, di questo ne puoi stare certo: non siamo affatto stati migliori di te in quell’occasione… nemmeno io che mi lamento tanto per quello che hai fatto tu, anzi...» disse assumendo un’espressione piuttosto triste, che però nascose alla bene e meglio dietro la sua solita aria orgogliosa.

A quelle parole, Jack alzò lo sguardo sorpreso: Calmoniglio non aveva mai ammesso di avere una qualche responsabilità nella lotta contro Apophis, dedicandosi più che altro al continuo lamentarsi di quanto lui e gli altri Guardiani fossero stati abbandonati nelle spire di quella bestia immonda, né tantomeno era mai stato sul punto di parlare con lui non come Guardiano, ma più semplicemente come amico; tuttavia, intuendo che la situazione stava diventando più seria di quanto già fosse, decise di non chiedere ulteriori spiegazioni sull’argomento, nonostante lo incuriosisse come poche altre cose in vita sua.

Ma non servì fare domande, non servì farle semplicemente perché l’altro aveva continuato da solo il proprio sfogo o presunto tale:

«Avrei dovuto proteggere la mia gente a costo della mia stessa vita, combattere fino allo stremo perché la guerra non finisse per diventare anche il momento buono per sterminare la razza dei Pooka… ma non l’ho fatto! Non ho combattuto abbastanza duramente, non abbastanza per salvarli tutti, nemmeno una manciata di loro» si rimproverò stringendo i pugni «Se fossi riuscito ad arrivare qualche istante prima, quando Apophis non aveva ancora puntato il proprio brutto muso su di noi… se solo… ah! Cosa lo dico a fare? Ormai sono tutti morti, e stare qui a piangersi addosso non servirà certo a riportarli in vit-­»

«Come sono morti?» chiese il giovane Guardiano con una delle sue solite domande scomode e decisamente inopportune per la situazione.

Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli a suon di calci sui denti che starsene zitto, quando si parlava della leggendaria guerra contro quel serpente troppo cresciuto, sarebbe stata una scelta migliore dell’indagare su argomenti non proprio semplici da affrontare.

Inizialmente, Calmoniglio lo aveva guardato con aria sorpresa e furiosa allo stesso tempo, probabilmente per rimproverarlo di tanto tatto, e non si sarebbe sorpreso se  gli avesse sferrato una zampata sullo stomaco facendolo tornare al covo di Nord senza nemmeno passare per i portali tutti colorati e carini carucci; per quel motivo, e perché non era proprio nella posizione giusta per commentare certi argomenti dato che non era nemmeno nato ai tempi, Jack Frost mise le mani avanti a sé:

«Non volevo, mi dispiace, mi dispiace!» si scusò scuotendo la testa e dandosi leggeri pugni alle tempie «Lo so, lo so, non dirlo nemmeno: dovrei farmi gli affari miei, senza immischiarmi in questioni più grandi di quelle che mi sono concesse di conoscere, e dovrei anche tenere la bocca chiusa se voglio vivere in pac-»

«Divorati, sono morti divorati» asserì freddo «Da Apophis… e dai Diggerwurm. Tutti. Sono l’unico rimasto.» asserì con lo sguardo assente di chi sta passando l’indicibile per parlare.

 

Quasi non ci fosse più nulla intorno a sé ed alla sua mente, Calmoniglio si lasciò trascinare dai ricordi poggiandosi alla finestra e perdendosi negli sterminati campi di soffici nuvole tinte dai mille caldi colori dell’alba:

«Quando Apophis attaccò noi Pooka, nessuno era preparato ad una strage: pensavamo ad un conflitto, quello di sicuro, ma non avevamo tenuto conto del fatto che Apophis fosse così interessato alla nostra razza da gettarsi a capofitto con il suo muso fra le mia gente, alzandolo ogni volta per mostrare i cadaveri che gli cadevano dalle fauci, per ricordarci che il suo obiettivo era quello di cancellarci dalla superficie di quel mondo… ma eravamo riusciti a resistere nascondendoci sotto terra, eravamo sopravvissuti: non tutti, purtroppo, ma buona parte di noi aveva sfruttato un certo sesto senso unito ad altri segnali riguardo la situazione, intuendo le intenzioni di Apophis e riuscendo ad agire in tempo per salvarsi… fino a quando non è arrivata Alice con i suoi Diggerwurm.» raccontò abbassando la testa e chiudendo gli occhi

«I Diggerwurm… bestie immonde simili a grossi vermi con la pelle formata da rocce più dure del diamante, che utilizzano il loro corpo per scavare il terreno divorandolo nel mentre: immagina dei vermi lunghi centinaia e centinaia di metri fino a sfiorare e superare il chilometro nel caso degli esemplari più vecchi, con la mascella capace di dividersi in più pezzi per raccogliere meglio la terra della quale si nutrono instancabilmente, lombrichi giganti che se ne vanno in giro bellamente sotto la superficie di Exodus, in particolare di Fairy Oak… trasportati tramite portali di dimensioni immani creati appositamente dalla principessa guerriera sul mio pianeta, e lasciati liberi di divorarlo senza controllo.» terminò con lo sguardo pieno di rabbia.

Il gelo nelle vene, ecco cosa aveva sentito Jack a quelle parole.

Alice non era troppo sana di mente, quello sarebbe stato ovvio anche solo a vederla, figurarsi se poi la si conosceva anche, ma aveva dubbi sul fatto che avesse lasciato estinguere un’intera razza per puro scopo alimentare.

E quel dubbio il coniglio pasquale lo aveva intuito benissimo:

«So che non è facile da credere, ma l’ho vista con questi occhi, gli stessi che ti stanno guardando in questo preciso momento» si affrettò a mettere in chiaro afferrando Jack per la felpa e costringendolo a guardarlo «Lei se ne stava lì, sulla cima di una rupe poco lontana dalla pianura dove io ed altri Pooka ci eravamo rifugiati senza renderci conto che le stavamo semplificando il lavoro, il suo solito faccino angelico che non lasciava trasparire nessuna emozione: pensavo fosse venuta ad aiutarci, tanto che quando dietro la testa era apparso un Diggerwurm cercai di avvisarla senza riuscirci… pensavo che ormai l’avesse già divorata, e invece no, no!» continuò scuotendolo violentemente «Le si era messo di fianco con la mascella serrata nemmeno fosse un animaletto domestico come tutti: quando oltre a quello se ne sono affiancati tanti altri ho capito tutto, ed i miei dubbi hanno trovato conferma nel vederla aizzarci contro i suoi animaletti schifosi al grido di “Ska’a et yomtìng, mo yawne ngawng”, ovvero “Distruggete e divorate, miei adorati vermi” in una delle lingue parlate sul pianeta Exodus, te ne rendi fottutamente conto?» gli chiese senza però ottenere risposta.

Perché di risposte non potevano nemmeno essercene.

 

Il silenzio.

Frost non sapeva cosa dire non perché non volesse, ma perché non c’erano parole che sarebbe state giusto o sbagliate se pronunciate in quel frangente, con Calmoniglio che stava crollando psicologicamente passando dalla rabbia alla malinconia nel giro di mezzo secondo, e lui che invece cercava di evitare il suo sguardo palesemente imbarazzato: sapeva che Alice era pericolosa, ma non fino a quel punto.

Solo ad immaginarla mentre sterminava i Pooka rimasti, Jack sentiva i brividi salirgli per la schiena e diradarsi verso le punte delle dita: quando l’aveva vista per la prima volta gli era sembrata una ragazzina più o meno della sua età del tutto innocua, poi aveva scoperto che non ci metteva molto a torturare chiunque non fosse d’accordo con lei e infine, come colpo di grazia che aveva distrutto anche le ultime certezze rimaste su di lei, Calmoniglio gli aveva appena detto che quella ragazzina dalla dubbia personalità multipla aveva portato all’estinzione la sua gente.

Un’intera razza, o almeno ciò che ne rimaneva dopo il passaggio di ben altri personaggi, ma comunque fossero messe le cose stava di fatto che Alice aveva davvero cancellato i Pooka dalla faccia dell’Universo.

Fatta eccezione per Calmoniglio, quasi lo avesse lasciato come monito per chiunque avesse in mente di voler fare la stessa fine.

 

Come faceva sempre da quando aveva iniziato a scoprire cose, Jack Frost era balzato in piedi con violenza tale che per poco non si era preso uno dei bastoni del baldacchino in testa:

«E Harmonia cosa ha fatto per fermarla, eh? Se ne è stata a guardare, ecco cosa ha fatto!» gridò furioso agitando il bastone «Ma glielo dico eh! Vado a dirgliene quattro, perché non si può che vengo a sapere una cosa del genere per puro caso! Furba, quella lì, dice solo quello che vuole, Emily Jane aveva ragion-»

«Stava combattendo Apophis sulla Terra, era nel bel mezzo della perdita di ragione da parte di Phobos e doveva proteggere il proprio regno: Harmonia non avrebbe potuto fare nulla nemmeno volendo» rispose secco giustificando, stranamente, la Regina «E non credere che non si sia sentita in colpa anche per questo, soprattutto perché Alice era una sua alleata e si supponeva rendesse conto a lei delle sue azioni: un peso in più da sopportare sulle spalle per lei non ha mai fatto differenza, e quello di avere fra le proprie fila un’assassina è solo uno dei tanti ai quali non ha potuto e non può porre rimedio, tutto qui.» spiegò facendo tornare Jack ad uno stato in cui era possibile parlargli.

Il che non servì a molto, perché proprio mentre stava per controbattere fu Calmoniglio a mettergli una zampa sulla bocca facendogli segno di stare in silenzio:

«Per oggi ne ho abbastanza di parlare di gente morta e tutto ciò che ne deriva, seriamente: il passato è passato, continua a fare male per forza di cose e non ci si può mettere una pietra sopra, abbiamo ben altre preoccupazioni che litigare con Harmonia per qualcosa di cui non ha proprio colpe» gli disse assumendo un’aria pensierosa «Tipo il fatto che sia tarda mattina e non ci abbia ancora convocati per parlare dell’alleanza… non è da lei arrivare in ritardo, soprattutto per qualcosa di tale portata, forse starà solo dormend-»

«E se fosse arrivato Pitch nella notte e le avesse tagliato la gola? E se fosse entrato Phobos di nascosto mentre noi dormivamo? O forse quella donna strana che ci ha frantumato una vetrata addosso le ha dato fuoco e ci serviranno bistecche di cavallo e bistecche di Harmonia e bistecche di chissà cosa!» iniziò a delirare Jack andando nel panico; il coniglio pasquale non lo guardava male, lo guardava malissimo:

«Cosa ti sei fumato questa mattina, esattamente? Guarda che certe erbe a Phantasia sono pure velenose eh, non vorrei che ti fosse andato il veleno al cervel… Jack? Jack!» stava per dire quando lo vide scomparire come un fulmine dalla sua vista, probabilmente per andare a cercare Harmonia di persona e calmarsi.

O forse solo per assicurarsi che le bistecche fossero ben cotte.

 

 

Non aveva la minima idea di dove quel labirinto di corridoi lo avrebbe portato, ma sgattaiolando da una parte all’altra in quei luoghi stranamente silenziosi gli metteva anche più ansia del ritrovarsi ad immaginare il sapore di una cotoletta di centauressa: non c’era nessuno in giro per il castello, nemmeno Antares e le sue molestie da riproduzione, e quel silenzio non faceva altro che permettergli di sentire il proprio cuore che batteva all’impazzata per il terrore di trovarsi davanti al cadavere della Regina.

Comunque fossero messe le cose, quel suo continuo correre a destra e sinistra senza una vera e propria meta aveva dato i propri frutti quando era arrivato in un’ala del castello con una porta che, almeno a vederla, gli aveva dato l’impressione di essere più importante di altre: forse era per i battenti dorati sui quali era raffigurata Harmonia vista di fronte a grandezza naturale, la quale teneva le braccia incrociate al petto con una spada in una mano ed una rosa con tanto di spine che le si avvinghiavano sul braccio nell’altra mentre sul capo aveva una corona che sosteneva una gemma a forma di stella azzurra, forse era perché su tutto il profilo della porta si snodava una donna dal corpo di serpente, come anche ai lati della regina c’erano due figure appena abbozzate, la prima incappucciata con una sfera in mano e la seconda con uno spadone ed uno scudo, il tutto completato da una ragnatela fatta da sottilissimi fili di gemme multicolore che faceva da sfondo alla scritta “Semper fidelis Reginae”, “Sempre fedeli alla Regina”.

O forse tutta quella pomposità non serviva proprio a niente, perché era riuscito a distinguere dei suoni strozzati provenienti da quella stanza e vi si era fiondato dentro prima di subito con tutta la forza che aveva in corpo senza nemmeno pensarci.

Interrompendo brutalmente un orgasmo.

 

 

Quella era una fottutissima serpentessa con un fottutissimo pene che se ne stava fottutamente avvolta intorno al corpo di Harmonia

La scena era abbastanza imbarazzante, disturbante ed inquietante allo stesso tempo: da una parte c’era Jack Frost lì, fermo sullo stipite della porta con gli occhi sbarrati e la crescita bloccata definitivamente a causa dello spettacolo che si stava consumando davanti alla sua figura immobile, paralizzata dal trauma appena subito e dalla consapevolezza che aver aperto quella porta era stata una scelta peggiore dell’aprire il vaso di Pandora.

Dall’altra c’era Myricae che se ne stava avvolta intorno al corpo di Harmonia con il proprio bacino premuto su quello equino dell’altra, la quale se ne stava sdraiata a pancia in su con le zampe tenute aperte ed un braccio sulla fronte intenta ad ansimare e lanciare gemiti di piacere che ben poco lasciavano all’immaginazione su cosa stessero facendo.

Nessuno aveva proferito parola.

Tranne Harmonia, che ormai sembrava essersi finalmente accorta della presenza di quel povero disgraziato intento a fissarla mentre faceva sesso con la sua compagna:

«Eh? J-Jack? Ah, Frost! Stavo g-giusto per chi-chiamare te e-ed i tuoi am-amici appena… f-fi-finivo, ecco, giusto v-voi… M-Myricae…» cercò di biascicare probabilmente ancora presa dall’intenso piacere nel quale si stava crogiolando, per poi afferrare due dei serpenti che scendevano dal capo dell’altra tirandola a sé «Credo c-che per og-oggi, per q-questa ma-mattina… a-ab-abbiamo… finito, credo di s-sì… per o-ora, almeno.» la congedò prendendosi di rimando un delicato bacio sulla fronte che nulla c’entrava con quello spettacolo.

Nel mentre che la serpentessa si srotolava e si avviava verso la porta, Jack Frost ebbe tutto il tempo di osservarla: sebbene il volto e gli occhi verde lime fossero incorniciati da una cascata di sottili serpenti adornati da diversi gioielli anziché da capelli, fino al bacino aveva l’aspetto di una donna dalla pelle chiara e interrotta qua e là da sottili scaglie verde acceso concentrate soprattutto su spalle, fianchi e collo, con il prosperoso seno che sembrava faticasse ad essere trattenuto da delle placche dello stesso colore, placche che si ripetevano sugli avambracci e scendevano fino alle mani dando sfoggio di dita spaventosamente artigliate, ora impegnate a stringere i fianchi di Harmonia lasciando dei solchi rossastri abbastanza profondi da quanto erano affilati.

La parte che lo preoccupava di più era però quella inferiore, ovvero dal bacino in giù: il corpo da serpente esageratamente lungo era coperto di spesse scaglie verde smeraldo che si sovrapponevano l’una con l’altra rendendolo pressoché impenetrabile, le stesse che andavano ad incontrare delle sorta di placche di un giallo oro che a prima vista dovevano essere le stesse che toccavano terra quando si muoveva disseminate fino alla punta della coda che sembrava un solo ed unico fascio di muscoli che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto romperlo in due nel giro di mezzo secondo.

E fino a lì tutto bene, era una donna mezza serpente, non era così strano se ripensava che Antares era una donna mezza ragno.

Solo che quella, di donna, aveva il pene, oltre alla normale dotazione genitale.

Eh.

 

Nonostante le premesse per una valanga di domande da parte di Jack Frost, la situazione lo aveva sconvolto al punto che anche adesso, rimasto solo con Harmonia, non osava proferire parola, nemmeno quando la centauressa, che aveva impiegato qualche minuto per riprendersi del tutto dall’esperienza con la sua amante, si era alzata barcollando e stiracchiandosi le zampe; incurante del fatto che fosse praticamente nuda e con il seno al vento, quando Jack si era coperto gli occhi per evitare di far cadere lo sguardo dove non avrebbe dovuto anche solo per sbaglio, la Regina si era rivolta a lui con tutta la calma del mondo:

«Puoi anche guardare, Jack, non ho nulla da nascondere… come invece fa Myricae» fece notare ridendo mentre il giovane Guardiano, sforzandosi non poco, cercava di mantenere un’espressione che non sembrasse da maniaco sessuale mentre vedeva Harmonia che si sistemava l’armatura che le copriva il petto: «Accomodati pure, finisco di prepararmi e arrivo subito: ero talmente presa da quello che stavo facendo da non essermi resa conto che fosse già tardi, ma spero che per voi Guardiani non sia un problema aspettarmi.» si scusò prendendo posto davanti ad uno specchio tirando fuori una serie non meglio definita di trucchi vari.

Jack trovava abbastanza sconvolgente la nonchalance con la quale la Regina, reduce da una scopata che lo aveva lasciato allibito in un modo spaventoso, fosse intenta a maneggiare curiosi pennelli dalle setole arcobaleno e l’impugnatura che ricordava il corno di chissà quale specie di cavallo di Phantasia, ma si era tenuto per sé quel dubbio con la consapevolezza che Harmonia aveva ben altro di cui parlare:

«Avrai intuito che Myricae è molto più che uno dei miei generali, quindi salterò la parte in cui ti dico che è stata lei a salvare la situazione ieri e che sempre lei è l’amore della mia vita da quasi sette secoli a questa parte, e verrò direttamente a quella in cui ti spiego perché ha qualcosa in più là sotto» lo anticipò tranquillamente mentre le sue palpebre superiori si coloravano di un delicato azzurrino «Myricae è un’Ophidian, una razza di donne naga che vivono nella foresta ai confini di Phantasia, nell’antica città di Quetzalli: nulla di sconvolgente per loro, ma per esigenze riproduttive varie nascono ermafrodite, potendo decidere se deliziarsi in due con i piacere dell’accoppiamento o se fecondarsi autonomamente.» spiegò mettendosi un velo si rossetto color albicocca.

Il volto di Frost non era una maschera di terrore, era molto di più:

«Loro possono… fecondarsi… da… sole? Ma nel senso… nel senso che… si infilano da sole… le cose… cioè…» biascicò incredulo e tremante, avendo subito dopo la mano di Harmonia sulla testa che gli scompigliava i capelli:

«Non proverà a deporre le sue uova nel tuo stomaco, di quello non devi assolutamente preoccuparti, anche se…»

«Anche se?» ripeté preoccupato temendo già il peggio

«Anche se è leggermente una ninfomane, tutte le Ophidians lo sono, ma Myricae lo è solo con me» lo rassicurò ridendo «Al massimo ti ritroverai con i pantaloni abbassati di notte, nulla di particolarmente preoccupante. Ed ora è meglio se ci sbrighiamo, i cornetti caldi per colazione ci stanno aspettando… ed anche i tuoi amici, non vorrei far attendere nemmeno lor-­»

«Harmonia… come facevi a sapere che Pitch avrebbe attaccato? Insomma… hai mandato i tuoi generali, quindi lo sapevi… ma come?» domandò incuriosito piegando la testa di lato.

La domanda l’aveva lasciata spiazzata.

Improvvisamente, la mente di Harmonia tornò a ciò che era successo il giorno precedente il famoso attacco al Polo Nord…

 

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Quella pausa  dalla burocrazia era assolutamente indispensabile per sciogliere la tensione accumulata nell’ultima settimana: fra i Guardiani che facevano la loro muta rivoluzione ed il problema dell’Abisso ancora irrisolto, Harmonia sentiva la testa che le scoppiava.

Ogni tanto, e con ogni tanto intendeva le poche volte in cui non aveva davvero nulla da fare, si concedeva dei momenti in cui non pensava altro che a rilassarsi, per godersi ciò che la sua terra le offriva: il profumo inebriante dei fiori che tingevano l’orizzonte di sfumature variopinte, la sensazione dell’erba bagnata dalla rugiada che le sfiorava gli zoccoli dorati mentre avanzava con passo lento al fine di assaporare fino in fondo quella sensazione, gli occhi che le si riempivano della tenue luce rosata del mattino riflettendola in quel mare azzurro come l’acqua che sgorgava dal suo castello, da quella che era la sua casa da settemila anni a quella parte.

Decise di appartarsi all’ombra di una piccola radura con un laghetto le cui rocce formavano una sorta di cascata di dimensioni piuttosto contenute, come se fosse una vera e propria oasi di pace e tranquillità: senza impegni incombenti sulle spalle, Harmonia si limitò a svestirsi dell’armatura minima che le copriva il seno, le spalle e parte dell’addome, per poi immergersi fino a metà delle zampe nell’acqua e sdraiarsi su una pietra collocata direttamente sotto quella cascata scosciante di vita, iniziando a giocherellare con i capelli.

In quegli istanti in cui la sua mente si era liberata da tutti i problemi e le preoccupazioni, Harmonia guardò orgogliosa intorno a sé: Phantasia era un posto da sogno, un paradiso sceso in terra che rendeva felici i propri abitanti e chi lo visitava per la prima volta, un luogo dove i timori e le paure non osavano nemmeno entrare perché sarebbero state accolte solo da persone che, della paura, proprio non sapevano cosa farsene quando avevano l’amore della propria Regina a loro completa ed indiscriminata disposizione.

Tuttavia, per quanto ora fosse così felice e fiera del proprio operato, c’era sempre un fendente di dolore che prendeva strada nel suo cuore frammentato: dove ora c’erano i campi color smeraldo, i roseti che parevano arcobaleni e gli alberi le cui bacche deliziavano anche il palato più raffinato, un tempo c’erano state lande bruciate, cadaveri che tappezzavano l’orizzonte e oltre, laghi di sangue e fosse scavate nella nuda terra che piangeva i suoi figli.

Era stato molto, moltissimo, tempo fa, certo, ma non poteva dimenticare cosa le era stato messo nelle mani e fra gli zoccoli: sforzo dopo sforzo, lacrima dopo lacrima, era riuscita a riportare quel pianeta ormai sterile all’antico splendore che l’aveva accompagnata per tutta la vita, se non addirittura ad un livello superiore, e questo le bastava per sorridere ancora una volta.

Almeno fino a quando un fremito dell’orecchio non l’aveva avvisata che, nemmeno fosse a corte come suo solito, c’erano visite sempre molto gradite.

 

La sentì scivolare appena fra una fenditura e l’altra nella nuda roccia, un suono quasi impercettibile che riusciva ad avvertire appena, quello che bastava per non prendersi ogni volta un colpo e rendersi conto che si era appollaiata al riparo dall’acqua in un incavo sotto la cascata:

«Non è stato carino da parte tua chiudermi le porte in faccia, davvero scortese» commentò palesemente ben poco afflitta Tanith mentre le faceva segno di “no” con l’indice «Potrei addirittura essermi offesa per un tale oltraggio, questo tuo gesto alquanto villano mi ha spezzato il cuore che non ho!» continuò chinando la schiena e portandosi una mano alla fronte come se stesse per svenire.

Harmonia si limitò a sorridere appena, quasi divertita dalla scenetta portata avanti dall’Ephemeride, ma non perse di vista la consapevolezza che con lei era meglio non tirare troppo la corda, se non la si voleva spezzare di netto:

«Sono addolorata che il mio gesto impulsivo quanto necessario ti abbia ferita, ma ahimè non mi hai dato altra scelta se non di chiuderti fuori, gesto ovviamente fatto a malincuore» rispose scuotendo la testa «Capiscimi, Tanith, ho un regno da mandare avanti, le tue comparsate sono motivo di grande preoccupazione: quando decidi di omaggiare noi poveri plebei con la tua presenza che emana voglia di dolore da tutte le ossa, potrei addirittura pensare che tu mi voglia uccidere!» esclamò gesticolando per fingersi spaventata.

Ecco, se c’era una cosa che Harmonia poteva permettersi di fare senza troppe preoccupazioni, ma sempre con la dovuta cautela richiesta dal caso, era di utilizzare con l’Ephemeride un linguaggio che rasentava quello delle sue frecciatine, gesto reso possibile solo dalle velate, se non velatissime minacce, di tirare in ballo le famose “conoscenze alle alte sfere” delle quali godeva la Regina della Fantasia.

Tanith la osservò perplessa nei primi momenti, accennando solo dopo un sorriso:

«Ammetto che mi hai preso alla sprovvista, questo te lo concedo, non sono molti quelli che si permettono di dirmi “Tu qui non puoi entrare”, ma è stato un gesto ammirevole… tremendamente rischioso, ma di un coraggio quasi proverbiale» si complimentò applaudendo calorosamente

«E proprio per questo voglio farti una sorpresa, dicendoti che potrai costringere i Guardiani ad accettare la tua alleanza direttamente domani, con tua grande gioia immagino!» buttò lì con i suoi soliti sorrisetti maliziosi; improvvisamente, Harmonia sentì il sangue gelarsi nelle vene, e non era per l’acqua particolarmente fredda:

«Ma guarda un po’, sono addirittura riuscita ad incuriosire la grande Regina della Fantasia, ora sono io che mi sento onorata!» le disse poggiandosi con nonchalance sul suo dorso.

In realtà, Harmonia tratteneva a stento i brividi nel sentire il corpo di Tanith, ora fin troppo tangibile, che le scivolava addosso avvolgendole la coda intorno ad una zampa:

«Devo supporre che si tratti di qualcosa di particolarmente importante, se vieni a dirlo a me anziché a Myricae» rifletté  girandosi per guardarla negli occhi, facendo riferimento all’incontro fra l’Ephemeride e la propria amante.

L’altra la guardò con altrettanta intensità, a metà fra il divertito ed il profondamente perplesso:

«Oh sì, almeno tu non cerchi di farti ammazzare, anche se sarei curiosa di vedere quanto ci metti prima di chiamare quella gente là» disse indicandole la grande stella che brillava sopra il castello di Harmonia «Comunque sia, bella gente a parte e minacce che credi io non riesca a percepire, si tratta di Black, di Pitch Black. Ed Emily Jane Pitchiner, anche lei» buttò lì giocherellando con i capelli di Harmonia «Domani, sulla Terra: attaccherà il Polo Nord con un branco di Incubi leggermente più svegli del solito, ma nulla che non si possa risolvere con qualche freccia avvelenata piantata in mezzo ai loro occhi mentre li tieni confinati con un qualche campo di magia. Un lavoretto semplice, per Myricae e Naevia, ti suggerisco di mandare loro due.» concluse scendendo con calma dal suo corpo.

Harmonia sentiva le domande affollarle la mente impedendole di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse la parola “attacco” vicino ai nomi di Pitch ed Emily Jane, uno più problematico ed altezzoso dell’altra; distratta da quei ragionamenti che un po’ di preoccupazione gliela davano anche, quasi non aveva fatto caso a Tanith che stava pian piano scomparendo nella sua invisibilità terminato il proprio compito:

«Tanith! Aspetta un attimo!» la chiamò facendola girare «Come fai a saperlo? Nel senso… ne sei assolutamente sicura? Insomma… chi ti ha dato esattamente queste informazioni? chiese senza aspettarsi una risposta.

Che in effetti non arrivò, non direttamente almeno, perché quando la figura dell’Ephemeride era scomparsa del tutto dalla sua vista aveva sentito un brivido vicino all’orecchio:

«Me l’ha detto una falena.» sussurrò quasi impercettibilmente dissolvendosi nel vento.

 

Ora la passeggiata era finita.

Ora il divertimento era finito.

Ora aveva in mente solo una cosa, e cioè organizzare una spedizione sulla Terra, salvando la situazione come sempre.

E farsi dare qualcosa in cambio.

L’alleanza, magari.

 

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Nonostante le domanda scomoda, Harmonia fece semplicemente spallucce:

«Sesto senso da Regina, nulla di più.» mentì sorridendo; anche se Jack aveva diversi dubbi, il giovane Guardiano si limitò a starle dietro mentre si avviavano senza troppe domande: aveva la netta impressione che ci fosse qualcosa di più che un “sesto senso”sotto quella risposta, ma aveva anche l’impressione che approfondire sarebbe stato del tutto inutile.

E pericoloso.

 

 

Arrivati nel grande salone illuminato dai raggi che penetravano dal lucernario multicolore, Frost si era sentito particolarmente rincuorato vedendo tutti i suoi compagni seduti davanti ad un tavolo di rami bianchi esageratamente lungo ed imbandito con tutto ciò che si poteva chiedere per una colazione che si potesse definire tale: seduti ad una delle due estremità con Nord a capotavola, i Guardiani sembravano aver lasciato da parte le preoccupazioni per impegnarsi nella difficile quanto ardua scelta di mangiare prima i croissants da gusti esotici o i pancake o i waffles o ancora le svariate torte o chissà cos’altro che non vedeva dalla porta d’entrata; all’altra estremità del tavolo c’era la seduta di Harmonia, una sorta di piccolo divanetto romano adatto ad accogliere il suo corpo equino senza che dovesse fare chissà quali acrobazie per tenerci le zampe sopra, affiancata su due lati dai suoi generali, da Alice e da Scarlet con Spettro occupato a spolpare un grosso pezzo di carne per terra.

Fra un’occhiata e l’altra ai commensali, Jack Frost si rese conto che l’atmosfera sembrava essere molto più distesa di quanto lui stesso si aspettasse, e soprattutto che Dentolina non pareva avercela con lui come si era aspettato, ma tutto sommato non gli dispiaceva che finalmente ci fosse un po’ di silenzio e nessuna aria di complotti sotto il naso: ora come ora erano solamente delle persone preoccupate solo di consumare la loro colazione senza formalità varie ed eventuali, persino Myricae che aveva delicatamente preso la nuca ad Harmonia per strapparle l’ennesimo bacio con la scusa di pulirla dalla cioccolata non lo metteva in soggezione ma anzi riusciva a strappargli una risata, e tutto sommato era una bella situazione, molto serena ecco.

O almeno lo era stata fino a quando dalla porta principale non era entrata l’ennesima ospite sconosciuta a Jack, l’ennesima delle donne che gravitavano intorno alla Regina.

Solo che non era una donna, era un leopardo delle nevi antropomorfo.

Con in mano una serie non meglio definita di fogli, tra l’altro.

Mentre si avvicinava a passo lento, Frost ebbe tutto il tempo per osservare quella singolare creatura: nonostante il corpo seguisse effettivamente le forme di una donna adulta, compreso il seno nemmeno molto pronunciato, l’aspetto era quello di un leopardo delle nevi dal manto bianco immacolato e grigio chiaro costellato su braccia, gambe e fianchi di macchie di varie sfumature di nero che continuavano sulla lunga e folta coda lunga quasi quanto era alto quell’essere, per certi versi troppo grande per quel corpo esile ma comunque atletico.

Anche se era un mezzo animale, o meglio un animale che stava su due zampe, Jack non poteva nascondere che aveva un certo fascino: i capelli neri e lisci che percorrevano tutta la schiena incorniciavano un viso felino completato da due grandi occhi di un color turchese profondo, la soffice pelliccia coperta sul seno e sull’inguine da un’armatura dorata e argentea piuttosto leggera, giusto quello che bastava per non andare in giro mezza nuda per quello strano gioco di “vedo non vedo” offerto dalla pelliccia, armatura formata principalmente da delle placche metalliche sul petto e sulle spalle intervallate da uno strato di tessuto rosso scarlatto come se fosse un corsetto, oltre che quella presente sugli avambracci ed i polpacci.

Ed aveva una spada da dare invidia a quella di Alice, soprattutto quella, ma almeno se la teneva premuta sul fianco.

Si era incamminata verso Harmonia dandole in mano i fogli che portava con sé, volgendo poi lo sguardo verso il giovane Guardiano, probabilmente perché era l’unico presente a non conoscerla:

«Felice di fare la tua conoscenza, Jack Frost, Guardiano del Divertimento» lo salutò molto gentilmente con un breve inchino «Il mio nome è Naevia, generale alla corte della Regina della Fantasia, oracolo di Phantasia e ambasciatrice di Exodus sulla Terra, lieta che ti sia unito anche tu a questa colazione insieme agli altri Guard-»

«Naevia la Frigida, sovrana dell’Insensibilità, quella-che-vede-cose» intervenne stuzzicandola prontamente Myricae spezzando l’atmosfera formale mentre le pendeva un waffle grondante di sciroppo d’acero dalla bocca «Sappiamo chi sei, quindi smettila con questi atteggiamenti da principessina sul pisel… ah no, aspetta, quello proprio no! Non sia mai che la tua regale pelliccia venga violata da cotanto desiderio carnale… sempre che tu e la tua altezzosità sappiate cosa sia, il desiderio carnale.» la schernì nuovamente.

Nonostante le palesi frecciatine, Naevia non sembrava curarsi delle parole che le veniva rivolte dalla sua collega di lavoro né delle espressioni imbarazzate di Harmonia, tanto che aveva preso posto senza fiatare e senza commentare, dimostrando un incredibile autocontrollo; da parte sua, la Regina aveva dato una rapida occhiata alle carte che aveva davanti annuendo man mano che le scorreva, per poi fare cenno a Nord di ascoltarla:

«Quelli che ho in mano sono i documenti dell’alleanza fra voi Guardiani e la sottoscritta, oltre a ciò che rappresento: Phantasia e Fairy Oak si impegneranno personalmente per mantenere i termini accordati, l’intero pianeta Exodus e tutto ciò che è sotto la mia giurisdizione si presterà formalmente perché tali termini non vengano violati. Da entrambe le parti, si intende.» spiegò lasciando che Myricae passasse con la sua coda gli incartamenti fino al lato dove se ne stavano seduti i Guardiani stessi.

Carte alla mano e occhiali tirati fuori da chissà dove, Nord e Sandy si erano messi a dare una veloce occhiata a ciò che era appena stato loro consegnato spostando gli occhi da destra verso sinistra in modo quasi compulsivo, fino a quando il primo non si era fermato sull’ultima pagina:

«Credo che esserci errore, Harmonia, questo punto forse esser-»

«L’ho scritto di mio pugno, è tutto esattamente come dovrebbe essere» asserì tranquillamente «Queste sono le condizioni, e non potete che accettarle dal momento che ieri Myricae ha parlato chiaro, chiarissimo: varcate il portale e accetterete le condizioni, e voi l’avete varcato senza pensarci, il mio portale.» puntualizzò mentre i fogli passavano di mano in mano, dipingendo sui volti dei presenti espressioni sempre più sconvolte:

«Non volevo arrivare a tali contromisure, credimi, ma è l’unico modo per spingere voi Guardiani ad impegnarvi seriamente e non ritirarvi dall’eventuale battaglia nel bel mezzo della stessa: una garanzia, la chiamo io, una garanzia della vostra fedeltà, perché ciò che è accaduto con Apophis non possa ripetersi.» concluse tornando composta a consumare un croissant.

Quando i fogli arrivarono a Jack, ci mancava poco che si prendesse un infarto: un Guardiano.

 

Un Guardiano

Harmonia chiedeva un Guardiano.

La garanzia era… uno di loro cinque.

Da tenere a palazzo come ostaggio, come “ospite”, per assicurarsi che nessuno cambiasse improvvisamente idea in corsa, per evitare cambi di idee e di fazione imprevisti, un modo come un altro per tenere tutti loro stretti fra gli artigli suoi e dei generali che la circondavano.

E non potevano fare nulla se non accettare di consegnare…  ma chi?

Chi di loro cinque?

Per un istante, Jack Frost ebbe la netta sensazione che essere il Guardiano più problematico del gruppo, quello del quale tutti o quasi avrebbero più o meno esplicitamente voluto liberarsi, non fosse proprio la posizione migliore nella quale trovarsi.

Nella quale lui si trovava.

 

 

Se l’unica cosa della quale doveva preoccuparsi Harmonia era di lasciare che la sua amante le facesse provare talmente piacere da farle dimenticare tutti i problemi, allora Halley poteva anche considerarsi fortunata a non essere morta.

Non ancora, almeno.

Il Veggente era lì impassibile davanti a lei, che se ne stava invece a terra faticando ad alzare la testa da quanto il dolore si era fatto pungente ed insistente, che la guardava con uno sguardo talmente indecifrabile da non lasciar trasparire nessuna emozione che fosse una; lasciandosi indietro le grandi ali nere stese a terra come se fossero un continuo della tunica che gli copriva a malapena le nudità, piegò appena la testa tenendo quattro delle sei braccia incrociate al petto:

«Potrei ucciderti, se lo volessi…» asserì piantandogli addosso quegli occhi viola inteso reso ancora più profondo dalla sclera nera tendendo una mano verso di lei.

Ecco.

Era finita.

Finita.

Game over.

Ciao ciao.

Auf wiedersehen.

E invece no.

Con sua somma sorpresa, Halley si trovò con due braccia che la afferravano da sotto le ascelle e la sollevavano delicatamente rimettendola in piedi, premurandosi che in piedi ci si reggesse anche, per poi tornare alla loro consueta posizione al petto bianco del legittimo proprietario:

«Ma, attualmente, la tua morte non è nei miei piani, né in quelli di questo Universo: ritieniti fortunata, Comet E. Halley… molto fortunata.» disse semplicemente il Veggente con quel suo tono altezzoso da essere superiore quale giustamente era.

La situazione era abbastanza inquietante, confusa e sorprendente: lei, quella che aveva preso l’acqua della Sorgente del Cosmo intrufolandosi nella Torre di Babilonia senza pensarci troppo, e lui, la creatura più potente, più onnipresente e più onnisciente che il creato avesse mai avuto l’onore di vedere, che la fissava con un’espressione più pacata rispetto al “Sono venuto qui per ucciderti e farla finita una volta per tutte, così imparai a prenderti la mia acqua” che si aspettava quando le era comparso davanti.

Dopo essersi ricomposta, Halley notò un’altra bizzarria: il dolore pulsante alla testa provocato dalle visioni, come anche quello bruciante alla schiena che l’aveva fatta piegare in due, erano completamente spariti.

Temporaneamente, ma almeno le avevano dato tregua.

Ora come ora, con il controllo dei propri poteri del tutto ristabilito, Comet capì che aveva due possibilità, una peggiore dell’altra: approfittare della situazione tornata a sua vantaggio per scappare prima di subito senza guardarsi indietro, con la consapevolezza che scappare dal Veggente sarebbe sttao impossibile e che prima o poi l’avrebbe ritrovata, oppure starsene lì a capire per quale motivo fosse andato a cercarla per fare qualsiasi cosa che non fosse ucciderla, il che era piuttosto strano dal momento che il Veggente stesso preferiva passare le giornate chiuso nella sua Torre anziché andare dietro ad una cometa ubriaca.

Lo guardò ancora qualche istante prima di decidere: non aveva nulla di diverso rispetto a quanto ricordasse, non c’era niente che potesse far pensare che era talmente assuefatto dal latte interstellare che mungeva direttamente dalla Via Lattea, nome assegnato proprio per ricordarne la funzione, da non essere più in grado di ragionare con il cervello fisico che non aveva nella scatola cranica, e nemmeno quella c’era.

Però una cosa l’aveva eccome.

Ed era quella sulla quale Halley stava puntando i propri pensieri, occhi e pure le mani.

Iniziò a fantasticare su come l’avrebbero chiamata se fosse riuscita nel proprio intento: Comet. E Halley, prima del suo nome, “colei che è nata dall’altofuoco”, incendiaria di pianeti, bevitrice di KAFFÉÉÉ, distruttrice di Abissi, madre del Ciciarampa, ladra dell’Acqua, amante del trombaris.

E, soprattutto, “quella che si è scopata il Veggente”.

A volte si chiedeva se lui stesso fosse consapevole di avere la bruschetta, tenero nomignolo di uso curiosamente molto diffuso per indicare i genitali maschili, cosmica.

Non normale, non “tanta”, semplicemente “cosmica”.

Il fatto che appartenesse già di diritto alla dolce puledra del Veggente che aspettava il suo glorioso amante in un altro Universo poco le importava, quella meraviglia del creato non poteva mica essere riservata, avrebbe dovuto essere di dominio pubblico!

O anche solo di Halley, bastava che gliela desse a lei.

 

Non sospettando nulla, o forse sapendo già tutto dall’alto della sua onniscienza ma facendo finta di niente, l’altro era rimasto piuttosto spiazzato quando la donna gli si era fiondata addosso strusciandosi sulle grandi ali nere mentre giocherellava con le piume, prendendosi di rimando gli sguardi sconvolti dei molteplici occhi che le ricoprivano:

«Cercavi compagnia, vero? Dai dai che lo so, che vuoi fare all’ammmore con questa cattiva ragazza che ti ha preso l’acqua senza dirtelo!» gli sussurrò sorridendo maliziosamente premendo prepotentemente il seno contro il suo petto, incurante delle fauci che gli squarciavano il ventre all’altezza dello stomaco «Sono tutta tua, sovrano del creato, puniscimi per le mie azioni tanto ma taaanto malvagie e fammi pentire di essere venuta al mondo!» lo stuzzicò mettendogli le braccia intorno al collo e toccandogli la punta del naso.

In tutto quel teatrino, il Veggente non aveva mosso nemmeno un dito per assecondare o liberarsi della presa della donna, limitandosi ad osservarla perplesso:

«Penso proprio che le visioni sulla mia esistenza che va avanti da miliardi e miliardi di anni possano bastare, eventuali punizioni fisiche sarebbero inutili» rispose freddamente mentre l’altra abbassava lo sguardo verso la tunica biancastra trasparente «Spero ti siano piaciute, quelle visioni, perché ne verranno molte altre sul mio, di passato. Ed è un passato bello lungo, parecchio lung-­»

«Non tanto lungo quanto la tua bruschetta, però!» fece notare lei infilando una mano sotto la cintura e afferrando quello che non avrebbe nemmeno dovuto sfiorare:

«Me la dai, eh? Eh? Dai dai Veggy, fammi fare una cavalcata sul puledro più vergognosamente overpower del cosmo! Ti preeeegooo! Solo una!» insistette facendo gli occhi dolci.

Nonostante Halley avesse palesemente intenzioni sessualmente ambigue, e nonostante avesse praticamente fra le mani la bruschetta cosmica, l’altro l’aveva guardata senza scomporsi, ed anzi sospirando annoiato:

«Sorvolerò sul fatto che tu mi abbia chiamato Veggy…» si lamentò lanciandogli un’occhiataccia di intesa «Ho una puledra che mi aspetta in un altro Universo, Comet E. Halley, dunque sei pregata di lasciare il mio pen-­»

«La bruschetta! Si chiama bruschetta!» si affrettò a correggerlo

«... Qualsiasi nome tu abbia dato al mio organo sessuale privo di qualsiasi funzionalità riproduttiva, sei gentilmente pregata di mollare la presa, o ti assicuro che te la faccio mollare io.» minacciò sapendo di averla convinta; e invece no, perché a quel punto se l’era trovata con la mano libera che giocherellava con i suoi capelli di un biondo tendente al bianco:

«Ho tanta paura delle tue minacce, Veggy, tantissima!» rispose fingendo di tremare per il terrore mentre si sfilava l’abito rosso scarlatto abbandonandolo sui fianchi «Credo di aver bisogno di essere punita molto duramente per i miei gesti oltremodo oltraggiosi, potrei non imparare la lezione se tu mi lasciassi andare senza conseguenze!».

Il Veggente la osservò qualche istante perplesso: a quanto stava vedendo, Halley non si stava facendo scrupoli per chiedergli di fare sesso con lei, ovviamente fregandosene malissimo se lui era già fidanzato con un’altra in un altro Universo di tutti disponibili sulla piazza, ed il problema era la consapevolezza che lei voleva seriamente scoparselo selvaggiamente fino a quando ne avrebbe avuto le forze, il che poteva significare andare avanti per chissà quanto tempo data la sua natura di essere immortale, ore che per il Veggente potevano protrarsi all’infinito data la mancanza di una qualsiasi concezione della fatica.

Come di tutte le altre sensazioni del resto.

Vedendo che la ragazza non intendeva desistere, ed anzi aveva iniziato a dargli improbabili bacini sul collo facendo spaventare gli occhi gialli e azzurri che lo costellavano, aveva interposto fra lui ed Halley una delle spesse ali nere per tenerla a bada, gesto che però servì a ben poco quando lei iniziò ad emettere gridolini strozzati:

«Che monello che sei! Lo sai che soffro il solletic… smettila! Smettila! Daaaaai!» squittì contorcendosi su se stessa mentre lui iniziò a scuotere la testa allibito, rendendosi conto che ogni gesto sarebbe stato interpretato come l’essere felici di tali molestie:

«Ho già una puledra, Comet E. Halley, non penso proprio di essere interessato alle tue manifestazioni di bisogni affettivi e di “sesso”, come lo chiamate voi plebaglia in questo pos-»

«Però il culo della tua puledra te lo prendi, eh? Vecchio maiale che non sei altro!» ci rise sopra mettendogli una mano sulla nuca e portando la sua fronte contro la propria «Scommettiamo che ti faccio cambiare idea?» senza aspettare la risposta per poi gettarsi in un caldo quanto appassionante bacio.

Con il Veggente: il sovrano incontrastato del Multiverso intero, quello che aveva regalato alla sua puledra una corona con incastonata una gemma che conteneva ciò che rimaneva di una supernova, la prima creatura mai esistita che però già esisteva quando il concetto di tempo come quello di spazio non era che una fantasia.

Proprio lui.

Al quale però non sembrava interessare proprio nulla, dal momento che non aveva mosso un solo dito da quando Halley gli aveva premuto le proprie labbra sulla bocca:

«Hai finito o ne hai ancora per molto? Ho un Universo da vigilare, io, perché quel vostro drago ubriaco anziché gestire il suo, di Universo, preferisce infilare il proprio pene nei buchi neri: quindi, Comet, hai finito o no?» chiese infine con aria seccata talmente palese che la donna gli si staccò di dosso quasi inorridita:

«Oh avanti, non dirmi che non ti è piaciuto eh!» ruggì prendendosi di rimando un’espressione neutrale come per dire “Meh, niente di speciale” in modo più o meno esplicito.

Non volendosi arrendere allora gli saltò addosso sapendo bene che, nonostante il fatto che fosse incredibilmente infastidito, l’avrebbe comunque afferrata sostenendole le gambe che gli aveva chiuso intorno alla vita:

«Ma insomma! Non c’è mai niente che ti renda felice, eh? Daaaaai Veggy, dim-»

«Buongiorno ad entrambi» sussurrò una voce dietro di loro; Halley non aveva avuto il tempo di girarsi, ma quello per sentire la risposta del Veggente lo aveva avuto eccome

«Buongiorno a te, Mother Galaxy» la salutò lui con tono cortese.

 

Mother Galaxy in persona.

La Regina delle Galassie in persona.

Lei mezza nuda.

Su Orionis III.

In quel momento, Halley aveva appena assaggiato il brivido dell’infarto.

 

 

 

 

_____________________________________________

 

Angolino dell’autrice

 

Di seguito, riporto la traduzione delle varie frasi presenti nella lingua di Myricae:

“Vanimle sila tiri, a’maelamin” = “la tua bellezza risplende intensamente, amore mio”

“Avo anírach echaded meleth na nin, arwenamin?” = “non desideri fare l’amore con me, mia signora?”

“Mela en’ coiamin” = “amore della mia vita”

 

Dopo questa breve premessa, eccomi qui a dirvi che mi scuso se l’attesa per questo capitolo è stata più lunga del previsto, ma il computer purtroppo non aveva intenzione di collaborare e funzionare decentemente per cui fra una cosa e l’altra c’è voluto più tempo di quanto i ostessa avessi programmato :’D

Tralasciando questo punto, mi rendo conto che sono successe TANTE cose in questo capitolo, ma spero che possa piacervi comunque e non risulti pesante: ormai le carte in mano a buona parte dei presenti stanno venendo scoperte, e non tutte sono così favorevoli come si era pensato all’inizio di questa leggendaria alleanza.

Per la quale dobbiamo ringraziare quell’adorabile Ephemeride di Tanith e _Dracarys_ che me la fa usare senza aspettarsi che io la infili a random, fra una proposta indecente e l’altra! :D

Ringrazio anche vermissen_stern per avermi permesso di citare sottilmente una certa falena, sorvolando sul fatto che mi è servita pure l’intermediaria per chiederglielo eh :’D

Detto questo, un grazie va anche a chi segue la storia e ci tiene a farmi sapere che tutto questo disagio è piacevole da leggere, oltre che da scrivere :3

Vi lascio con l’aspetto di Myricae (capitemi, ADORO quella naga) e di Naevia :)

 

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