Come
se si trattasse di un qualche
rituale del buongiorno, Harmonia era stata svegliata dal delicato
profumo
floreale che inebriava l’aria di Phantasia, accolta dai
flebili e caldi raggi
di uno dei Soli che si tuffavano nell’acqua scrosciante fuori
dal castello
creando curiosi arcobaleni e giochi di luce che tingevano il suo manto
bianco
immacolato, per poi riflettersi sulle squame color smeraldo che le
circondavano
il corpo.
Nella
posizione a pancia e zampe in su
in cui si trovava stesa nel letto, la Regina della Fantasia
guardò
distrattamente davanti a sé sorridendo: con la testa premuta
sul suo seno e le
braccia strette in un coinvolgente abbraccio alla vita di lei, proprio
lì, se
ne stava la donna che le aveva dato tutto l’amore che lei
stessa potesse
desiderare ed era stata ricambiata allo stesso modo, quel sentimento
verso il
quale Harmonia aveva perso tutte le speranze dopo aver perso Phobos,
chiusa
com’era nella convinzione che, se anche a lei fosse accaduto
qualcosa come con
quel povero disgraziato, sarebbe solo e
sempre stata colpa sua.
Ma
con Myricae era diverso, molto
diverso: non era solo il suo più
fidato generale che l’accompagnava dal primo giorno in cui
aveva incrociato il
suo sguardo dopo la rocambolesca fuga da Quetzalli, regno delle donne
naga note
con il nome di Ophidians sue simili, era anche una persona, la sua persona, meravigliosamente coinvolta
da quella relazione che andava avanti dalla bellezza di quasi sette
secoli,
iniziata venticinque anni dopo la perdita di Phobos ma già
anticipata da
un’amicizia che era qualcosa di
più,
era l’amante che ogni sera aspettava il suo ritorno a letto
per farle
dimenticare di tutti gli impegni che il ruolo di Regina comportava.
Myricae
era il suo mondo, il suo faro
in
venticinque anni di sofferenze dilanianti a causa delle quali si era
lasciata
morire, la donna alla quale aveva consegnato il suo cuore fatto a pezzi
e
calpestato per poi, giorno dopo giorno, scoprire che stava riuscendo
nella
difficile se non impossibile impresa di farla credere di nuovo
nell’amore.
Tutto
ciò che era venuto dopo lo aveva
fatto da sé, quasi senza chiedere il permesso
all’una o all’altra: sebbene agli
inizi Harmonia fosse piuttosto perplessa sull’avere
nuovamente qualcuno con cui
condividere il proprio letto e anche
altro, pian piano si era lasciata andare capendo che non
tutti erano lì per
ferirla e farla soffrire, ed il grande passo lo aveva fatto la prima
volta che
lei e Myricae avevano fatto l’amore.
Solo
loro due, nessun dovere, nessuna
preoccupazione: Harmonia e Myricae, Myricae e Harmonia, quella
notte c’erano state solo loro e, almeno per la
naga, la
consapevolezza che la compagna stava concedendo a lei quello che non
aveva dato
a nessuno oltre che a Phobos, e cioè la sua fiducia
incondizionata.
Le
aveva messo fra le mani il proprio cuore, e custodirlo era diventato lo
scopo
dei gesti che compiva ogni giorno per renderla felice.
Da
parte sua, Harmonia era consapevole
che quella relazione fra due donne,
fra la sovrana ed il suo generale, aveva portato con sé i
bisbigli della gente
che le guardava inorridita perché “la
Regina avrebbe dovuto trovare il proprio Re”, non
un’altra compagna che
avrebbe solo gettato scandalo e vergogna sul suo regno:
c’erano così tanti
individui con il cervello talmente piccolo da ballonzolare liberamente
per la
scatola cranica che qualche domanda le era venuta anche, ma era stata
accantonata prima di subito dal
momento che a lei e Myricae, dell’opinione altrui sul fatto
che scopassero
selvaggiamente, non fregava un emerito cazzo.
Ciò
che quella stessa gente non sapeva,
sfortunatamente per sé, era che a Phantasia e sul pianeta
Exodus in generale
gli abitanti erano abbastanza svegli da sapere che la loro
libertà sessuale,
che si trattasse della Regina o di un semplice commerciante, non doveva essere subordinata alla
volontà
di nessuno che non fossero le persone coinvolte, e quella
certezza era
l’ennesimo dei molteplici motivi per cui Harmonia era tanto
amata dalla sua
gente.
Non
come certe sovrane di Tandokka, si intende.
Quasi
avesse avvertito i dubbi che
attraversavano la mente della sua Regina, la naga aveva mosso
impercettibilmente le lunghe orecchie coperte di squame facendo
risuonare i
pesanti orecchini dorati a forma di anello contro le sottili catenelle
costellate di gemme colorate che pendevano da uno all’altro,
andando poi a
stiracchiare la coda in tutta la sua lunghezza e agitandone la punta
come se
fosse un serpente a sonagli, ovviamente attirando
l’attenzione della compagna:
«Vanimle
sila tiri, a’maelamin»
la salutò
arrampicandosi fino a darle un bacio sulla fronte con tutta la dolcezza
di
quell’Universo.
Harmonia
adorava quando Myricae parlava
l’Ophidiano, la lingua madre delle naga come lei, e negli
anni aveva imparato a
capirne tutte le sfumature e di più piccoli significati
nascosti dietro la più
insignificante differenza di pronuncia di una singola lettera: quando
le dava
il buongiorno con, quel tono vagamente sensuale tipico della sua razza,
finiva
per sciogliersi come neve al sole, compiaciuta da forme di
apprezzamento che
mai avrebbe pensato di sentir pronunciare nella sua esistenza
immortale, non
rivolte a lei almeno.
Terminati
i convenevoli di saluto tutti
dolci e carini, Myricae aveva cambiato totalmente
personalità, diventando il
predatore che era nata per essere: scendendo dalla fronte fino alle
labbra
della compagna, prese a baciarla con una passione tale che sembrava
volerle
divorare persino l’anima, la lingua biforcuta che si muoveva
nella sua bocca in
una danza alla quale Harmonia si era felicemente abbandonata come
faceva
sempre, consapevole che tutto quello che sarebbe venuto dopo avrebbe
solo
potuto piacerle ogni giorno di più.
Le
era scivolata addosso mantenendo il
contatto che le sue labbra avevano con il corpo della centauressa
usando una
mano per afferrare le sue e tenergliele poco sopra la testa pronte per
essere
avvolte dall’estremità della coda come se fosse
una catena liscia color
smeraldo, coda che aveva accompagnato l’intero corpo da
serpente mentre questo
si sbrogliava dal manto bianco per andare a formare nuovi intrecci che
le
bloccavano le zampe anteriori, premurandosi di lasciare che le spesse
squame
affilate come pugnali si frapponessero fra una zampa posteriore e
l’altra, costringendola
a tenerle leggermente divaricate.
Myricae
sapeva bene quello che faceva,
conosceva i limiti pressoché inesistenti che Harmonia le
metteva, ed era per
quello che lei la lasciava fare: se fosse stato qualcun altro mai avrebbe permesso che la
costringessero
a quel genere di giochi erotici, né tantomeno che la
tenessero legata in un
modo simile, ma con lei vicino la cosa assumeva tutto un altro
significato, un
significato che andava ben oltre il semplice desiderio carnale.
Improvvisamente
ricordatasi di avere
un’altra mano libera, Myricae l’aveva fatta
scivolare sotto l’armatura che
copriva a stento il seno ad Harmonia, togliendola con uno scatto felino
e
lasciando che ricadesse sulle coperte a terra, dedicandosi subito dopo
all’esplorazione di ogni singolo centimetro di quella pelle
bianco latte con le
punte delle dita: il gelo degli unghie più simili ad artigli
e la sensazione di
pizzicore che si lasciavano dietro era qualcosa che portava il
significato
della parola preliminari ad un livello tutto nuovo, uno di quelli che
si
raggiungono solo se tu sei una naga vogliosa e la tua compagna una
centauressa
con un corpo che bramava solo di essere capito, amato, coccolato.
Nonostante
i gridolini strozzati di
Harmonia si fossero già fatti sentire quando
l’altra si era fiondata con la
bocca a completare il lavoro che aveva iniziato con le dita, un gemito nemmeno troppo strozzato le era partito
quando le mani di Myricae, ora libere di muoversi come volevano
perché la coda
faceva tutto il lavoro al posto loro, avevano iniziato a scorrerle
addosso dal
seno ai fianchi fino alla vita, fermandosi dove avevano incontrato la
morbida
pelliccia bianca: l’aveva guardata come per cercare un segno
di approvazione
nell’andare oltre e, quando la Regina aveva risposto con un
debole cenno mentre
si mordeva distrattamente le labbra, le accarezzò
l’interno delle cosce salendo
verso l’inguine sfiorando la sua intimità.
E
allora Harmonia si era irrigidita.
Myricae
lo notò subito, quel cambiamento
nella sua espressione, motivo per cui prese il mento della compagna
portando i
loro occhi alla stessa altezza:
«Avo
anírach echaded meleth na nin, arwenamin? Vuoi che mi fermi?»
domandò nell’antica
lingua con aria pensierosa, ma l’altra iniziò a
scuotere la testa:
«No,
mela
en’ coiamin, vorrei che tu non ti fermassi mai,
solo fai… piano, come se
avessimo tutta
l’eternità e oltre davanti. Solo
noi due,
nessun altro.» la rassicurò dandole un
leggero bacio sul naso che la fece
squittire appena, una sorta di via libera che la naga aveva accolto a
braccia, e non solo quelle, aperte.
Quello
che venne dopo restò confinato
nella stanza di Harmonia, quella della Regina, quella
del loro amore: che fossero i gemiti di piacere della
centauressa accompagnati dalla schiena che si inarcava faticosamente,
che
fossero le parole che Myricae le sussurrava all’orecchio per
renderla partecipe
di ogni singolo pensiero che affollava la sua mente in quegli istanti
così
intimi o che si trattasse semplicemente dei loro corpi che si fondevano
insieme
non aveva importanza.
Quello
era il loro momento.
Loro,
e di nessun altro.
Almeno
per ora.
Dal
momento che le due figure che li
avevano scortati fino a Phantasia erano arrivate quando era ormai notte
fonda,
Jack e gli altri Guardiani erano stati invitati a passare la notte
direttamente
al castello di Harmonia in attesa di parlarle la mattina seguente
durante la
colazione.
Per
quanto Frost non volesse ammetterlo,
il letto nel quale aveva dormito era tremendamente comodo e
accogliente: non
che questo contasse qualcosa in particolare, ma in quel modo non poteva
nemmeno
più lamentarsi della scarsa accoglienza della Regina; come
avrebbe fatto a
trovare qualcosa su cui insistere per portare avanti le sue tesi di non
andarci
d’accordo se non poteva nemmeno dirle “Il
materasso era duro perché GNEGNEGNE volevi farmi rompere la
schiena GNEGNEGNE”,
urlando al “gombloddoh!” ogni
tre per
due?
In
compenso doveva ringraziare Harmonia
per aver assegnato ad ognuno di loro una stanza personale, almeno
doveva
dividere la sua con Dentolina: quella poveretta probabilmente si stava
ancora
crogiolando nella convinzione che in realtà Jack non
l’avesse baciata così
intensamente solo perché era arrivato Pitch Black, che per
una buona volta era
comparso nel momento giusto nel posto giusto, anziché
perché per lui la fatina
dei denti non era che una collega di lavoro, una buona amica e
nient’altro.
In
poche parole, quella friendzone
nemmeno troppo esplicita gli aveva fatto comodo per non rovinare i
rapporti che
aveva con lei: “colpa di Pitch che ci ha
interrotto”, avrebbe detto se lei gli
avesse chiesto perché non le aveva dato libero sfogo a quel
fatidico bacio, ma
prima o poi avrebbe dovuto trovare anche un’altra scusa.
Poco
male, aveva tutto il tempo per
pensarci, soprattutto adesso che si era appena svegliato ed era intento
a
stiracchiarsi come un gatto con addosso una felpa… ed una sciarpa?
La
prese fra le mani osservandola:
lavorata ad uncinetto per ricordare degli incredibilmente realistici
motivi a
forma di fiocco di neve, trovava sorprendente come le varie sfumature
di
azzurro che andavano dal bianco al cobalto fino al blu rendessero
l’idea che
fosse stata lavorata durante una tempesta di neve, quasi ne avesse
assorbito gli
stessi colori; guardando meglio, notò la presenza di un
bigliettino attaccato
come se fosse un’etichetta: “A
Jack
Frost, perché i ragni smettano di fargli paura”
accompagnato da un
cuoricino.
Antares,
avrebbe dovuto immaginarlo:
d’altronde la sciarpa gliel’aveva promessa quando
si erano incontrati una
decina di giorni prima, quando aveva
anche minacciato di deporre le proprie uova nel suo stomaco,
ma proprio non
ci sperava più che dopo la scenata con Harmonia e la sua
alleanza avrebbe
ancora avuto voglia di fargli un regalo che, seppur inaspettato, era
decisamente gradito dal momento che la sua sciarpa preferita era andata
persa
nella carica degli Incubi di Pitch Black del giorno prima.
Già,
la
carica degli Incubi del giorno prima.
Quella
dove avrebbero perso la vita lui e tutti gli altri Guardiani se non
fosse stato
per l’intervento di quell’arciera e
dell’altra figura che l’aspettava
all’entrata del portale.
Affondando
la testa nella sciarpa nuova,
che si era rivelata molto più morbida e calda di quanto
avesse immaginato, la
mente di Frost era andata allo spiacevole episodio appena affrontato
non
proprio a testa alta: non sapeva cosa fosse peggio fra il sapere che
Pitch
Black ormai era tornato ad essere un pericolo non indifferente o
l’aver visto
Madre Natura in tutta la bellezza del suo outfit
da senzatetto, stava di fatto che Jack aveva avuto la prova
che non
potevano stare tranquilli o abbassare la guardia nemmeno per un secondo
che
fosse uno, perché tanto i cattivi di turno del passato
potevano tornare alla
carica in qualsiasi momento.
Fu
un quella consapevolezza, ovvero che
lasciarsi alle spalle i nemici del proprio passato era praticamente
impossibile, che riportò la mente di Jack alle inquietanti
parole di Madre
Natura: “Tu non puoi nemmeno
immaginare
quante stronzate racconti Harmonia, non lo puoi sapere: per ogni
verità che
dice ne tiene nascoste altre dieci, ma tu non puoi saperlo, certo che
no… la
Regina della Fantasia, la sovrana di Phantasia e dell’intero
pianeta Exodus,
lei racconta quello che le fa comodo”, parole che
significavano una sola
cosa.
E
cioè di guardarsi le spalle dalla Regina alla quale avevano
appena affidato il
loro destino accettando quell’alleanza.
In
realtà non sapeva bene come
interpretarle, d’altronde Harmonia non aveva dato segno di
volerli solo
sfruttare e poi tradire come anche lui aveva giustamente
pensato in un momento di rabbia, forse Emily Jane aveva
detto così solo perché aveva rivelato a tutti la
fastidiosa questione di
Tandokka, fatto stava che il dubbio nella mente glielo aveva insinuato
comunque.
E
faticava ad andare via.
Cercò
di pensare alle informazioni
riguardo Harmonia arrivate a lui fino ad ora: era la Regina della
Fantasia da
un numero non meglio definito di anni, cosa che lo aveva insospettito
non poco
dal primo momento, non dipendeva da Manny come tutti i Guardiani, aveva un pianeta fiorente
e lussureggiante
che sembrava uno di quelli dei libri delle favole, al suo fianco
c’era un
manipolo di generali uno dei quali era sicuramente Antares, sette
secoli prima
aveva combattuto una guerra quasi da sola e lì aveva perso
Phobos e infine,
cosa più importante, aveva a casa sua state di Guardiani o
presunti tali che
nessuno gli aveva mai nominato.
E
poi?
Poi
niente, perché di Harmonia non sapeva
altro che quelle poche cose, nemmeno raccontate di persona ma tirate
fuori fra
un discorso e l’altro: se era così potente
perché aveva alzato quella barriera
contro un nemico a lui sconosciuto?
Se
sei tutta questa grande potenza,
pensò Jack, non dovresti temere nemmeno Manny in persona,
figurarsi innalzare
scudi magici di portata immane che consumavano tanta energia quanto
erano
spettacolari per proteggere il tuo castello!
Sembrava
quasi che temesse qualcosa, o
forse qualcuno, abbastanza perché non fosse certa delle
proprie capacità, ma
magari era solo una sua distorta impressione come tante altre: Harmonia
aveva l’intelligenza
di una donna di potere e l’affetto materno di una sovrana
giusta e
caritatevole, il tutto unito alla forza di un fottuto cavallo abnorme,
chi
accidenti poteva spaventarla con gli zoccoli che si ritrovava?
Forse
era solo una delle sue bugie, chi
lo sapeva!
Qualcuno
sicuramente, ma non Jack Frost.
Mentre
si stava lasciando trascinare
ancora una volta da quelle ingombranti ipotesi di complotto, Jack venne
interrotto dal rumore della pesante porta della sua stanza che si
apriva
lentamente, lasciando intravedere la figura dell’ultima
persona che avrebbe
voluto vedere in quel momento e, più in generale, per tutto
il resto della sua
vita da Guardiano; dopo essersi chiuso la porta alle spalle attento a
farlo non
troppo rumorosamente, Calmoniglio si era appoggiato allo stipite
dell’entrata
gettando distrattamente lo sguardo verso Jack, che era invece seduto
sul bordo
di quel grande letto a baldacchino.
Passarono
alcuni minuti senza dire nulla
e senza nemmeno guardarsi in faccia, poi il coniglio pasquale
alzò le mani in
segno di resa:
«Oh
avanti, non puoi andare avanti a non
rivolgermi la parola per sempre, Jack! Prima o poi dovrai deciderti a
parlarmi
di nuovo, anche solo perché siamo compagni di
lavoro!» si lamentò incrociando
poi le braccia al petto, ma nulla sembrò smuovere qualsiasi
cosa nella mente
dell’altro interlocutore «Veramente? Non intendi
parlare con me per quella
questione, quella che non sei un Guardiano? Stammi a sentire, quello
che ho
detto.. l’ho detto in un momento di rabbia, va
bene? Non intendevo dirti quelle cose, non era ciò
che volevo dir-»
«Oh,
invece intendevi dire proprio quello,
non ci sono dubbi.» si
decise a risponde freddamente Jack Frost, sempre mantenendo lo sguardo
basso.
Calmoniglio
stava giusto per
controbattere quando l’altro lo aveva interrotto bruscamente:
«Non
cercare di prendermi in giro,
sappiamo entramb… tutti,
sappiamo
tutti, che nessuno mi considera all’altezza di questo ruolo,
del ruolo di
Guardiano del Divertimento…» continuò
malinconico stringendo i pugni «… E per
quanto ora cerchiate tutti di consolarmi e farmi ricredere su questo
punto, per
quanto sia frustrante e umiliante, lo ammetto: avete
ragione, avete sempre avuto ragione... non sono nemmeno degno
nemmeno la metà di quanto lo siete voi di essere definito
“Guardiano”… non son-»
«Sei
più Guardiano di quanto lo siamo stati noi nella guerra
contro Apophis, di
questo ne puoi stare certo: non siamo affatto
stati migliori di te in quell’occasione… nemmeno
io che mi lamento tanto per
quello che hai fatto tu, anzi...»
disse assumendo un’espressione piuttosto triste, che
però nascose alla bene e
meglio dietro la sua solita aria orgogliosa.
A
quelle parole, Jack alzò lo sguardo
sorpreso: Calmoniglio non aveva mai ammesso di avere una qualche
responsabilità
nella lotta contro Apophis, dedicandosi più che altro al
continuo lamentarsi di
quanto lui e gli altri Guardiani fossero stati abbandonati nelle spire
di
quella bestia immonda, né tantomeno era mai stato sul punto
di parlare con lui
non come Guardiano, ma più semplicemente come amico;
tuttavia, intuendo che la
situazione stava diventando più seria di quanto
già fosse, decise di non
chiedere ulteriori spiegazioni sull’argomento, nonostante lo
incuriosisse come
poche altre cose in vita sua.
Ma
non servì fare domande, non servì
farle semplicemente perché l’altro aveva
continuato da solo il proprio sfogo o
presunto tale:
«Avrei
dovuto proteggere la mia gente a
costo della mia stessa vita,
combattere fino allo
stremo perché la guerra non finisse per diventare anche il
momento buono per
sterminare la razza dei Pooka… ma non l’ho fatto!
Non ho combattuto abbastanza
duramente, non abbastanza per salvarli tutti, nemmeno una manciata di
loro» si
rimproverò stringendo i pugni «Se fossi riuscito
ad arrivare qualche istante
prima, quando Apophis non aveva ancora puntato il proprio brutto muso
su di noi…
se solo… ah! Cosa lo dico a fare? Ormai sono tutti morti, e
stare qui a piangersi
addosso non servirà certo a riportarli in
vit-»
«Come
sono morti?» chiese il giovane Guardiano con una
delle sue solite domande
scomode e decisamente inopportune
per
la situazione.
Qualcuno
avrebbe dovuto spiegargli a
suon di calci sui denti che starsene zitto, quando si parlava della
leggendaria
guerra contro quel serpente troppo cresciuto, sarebbe stata una scelta
migliore
dell’indagare su argomenti non proprio semplici da affrontare.
Inizialmente,
Calmoniglio lo aveva
guardato con aria sorpresa e furiosa allo stesso tempo, probabilmente
per
rimproverarlo di tanto tatto, e non
si sarebbe sorpreso se gli
avesse
sferrato una zampata sullo stomaco facendolo
tornare al covo di Nord senza nemmeno passare per i portali tutti
colorati e
carini carucci; per quel motivo, e perché non era
proprio nella posizione
giusta per commentare certi argomenti dato che non era nemmeno nato ai
tempi,
Jack Frost mise le mani avanti a sé:
«Non
volevo, mi dispiace, mi dispiace!»
si scusò scuotendo la testa e dandosi leggeri pugni alle
tempie «Lo so, lo so,
non dirlo nemmeno: dovrei farmi gli affari miei, senza immischiarmi in
questioni più grandi di quelle che mi sono concesse di
conoscere, e dovrei
anche tenere la bocca chiusa se voglio vivere in pac-»
«Divorati,
sono morti divorati» asserì freddo «Da
Apophis… e dai Diggerwurm.
Tutti. Sono l’unico rimasto.» asserì con
lo
sguardo assente di chi sta passando l’indicibile per parlare.
Quasi non ci fosse più nulla intorno a sé ed alla sua mente, Calmoniglio si lasciò trascinare dai ricordi poggiandosi alla finestra e perdendosi negli sterminati campi di soffici nuvole tinte dai mille caldi colori dell’alba:
«Quando
Apophis attaccò noi Pooka, nessuno era
preparato ad una strage:
pensavamo ad un conflitto, quello di sicuro, ma non avevamo tenuto
conto del
fatto che Apophis fosse così interessato alla nostra razza
da gettarsi a
capofitto con il suo muso fra le mia gente, alzandolo ogni volta per
mostrare i
cadaveri che gli cadevano dalle fauci, per ricordarci che il suo
obiettivo era
quello di cancellarci dalla superficie di quel mondo… ma
eravamo riusciti a
resistere nascondendoci sotto terra, eravamo sopravvissuti:
non tutti, purtroppo, ma buona parte di noi aveva
sfruttato un certo sesto senso unito ad altri segnali riguardo la
situazione,
intuendo le intenzioni di Apophis e riuscendo ad agire in tempo per
salvarsi… fino a quando non
è arrivata Alice con i
suoi Diggerwurm.» raccontò abbassando la
testa e chiudendo gli occhi
«I
Diggerwurm… bestie immonde simili a
grossi vermi con la pelle formata da rocce più dure del
diamante, che
utilizzano il loro corpo per scavare il terreno divorandolo nel mentre:
immagina dei vermi lunghi centinaia e centinaia di metri fino a
sfiorare e
superare il chilometro nel caso degli esemplari più vecchi,
con la mascella
capace di dividersi in più pezzi per raccogliere meglio la
terra della quale si
nutrono instancabilmente, lombrichi giganti che se ne vanno in giro
bellamente sotto
la superficie di Exodus, in particolare di Fairy Oak… trasportati tramite portali di dimensioni immani
creati appositamente
dalla principessa guerriera sul mio pianeta, e lasciati liberi di
divorarlo
senza controllo.» terminò con lo sguardo
pieno di rabbia.
Il
gelo nelle vene, ecco cosa aveva sentito Jack a quelle parole.
Alice
non era troppo sana di mente,
quello sarebbe stato ovvio anche solo a vederla, figurarsi se poi la si
conosceva anche, ma aveva dubbi sul fatto che avesse lasciato
estinguere
un’intera razza per puro scopo
alimentare.
E
quel dubbio il coniglio pasquale lo
aveva intuito benissimo:
«So
che non è facile da credere, ma l’ho
vista con questi occhi, gli stessi
che ti stanno guardando in questo
preciso momento» si affrettò a mettere in chiaro
afferrando Jack per la felpa e
costringendolo a guardarlo «Lei se ne stava lì,
sulla cima di una rupe poco
lontana dalla pianura dove io ed altri Pooka ci eravamo rifugiati senza
renderci conto che le stavamo semplificando il lavoro, il suo solito
faccino
angelico che non lasciava trasparire nessuna emozione: pensavo fosse
venuta ad
aiutarci, tanto che quando dietro la testa era apparso un Diggerwurm
cercai di avvisarla
senza riuscirci… pensavo che ormai l’avesse
già divorata, e invece no, no!»
continuò scuotendolo violentemente «Le si era
messo di fianco con la mascella
serrata nemmeno fosse un animaletto domestico come tutti: quando oltre
a quello
se ne sono affiancati tanti altri ho capito tutto, ed i miei dubbi
hanno
trovato conferma nel vederla aizzarci contro i suoi animaletti schifosi
al
grido di “Ska’a et
yomtìng, mo yawne ngawng”,
ovvero “Distruggete e divorate, miei adorati vermi”
in una delle
lingue parlate sul pianeta Exodus, te ne
rendi fottutamente conto?» gli chiese senza
però ottenere risposta.
Perché
di risposte non potevano nemmeno essercene.
Il
silenzio.
Frost
non sapeva cosa dire non perché
non volesse, ma perché non c’erano parole che
sarebbe state giusto o sbagliate
se pronunciate in quel frangente, con Calmoniglio che stava crollando
psicologicamente passando dalla rabbia alla malinconia nel giro di
mezzo
secondo, e lui che invece cercava di evitare il suo sguardo palesemente
imbarazzato: sapeva che Alice era pericolosa, ma
non fino a quel punto.
Solo
ad immaginarla mentre sterminava i
Pooka rimasti, Jack sentiva i brividi salirgli per la schiena e
diradarsi verso
le punte delle dita: quando l’aveva vista per la prima volta
gli era sembrata
una ragazzina più o meno della sua età del tutto
innocua, poi aveva scoperto
che non ci metteva molto a torturare chiunque non fosse
d’accordo con lei e
infine, come colpo di grazia che aveva distrutto anche le ultime
certezze
rimaste su di lei, Calmoniglio gli aveva appena detto che quella
ragazzina
dalla dubbia personalità multipla aveva portato
all’estinzione la sua gente.
Un’intera
razza, o almeno
ciò che ne rimaneva
dopo il passaggio di ben altri personaggi,
ma comunque fossero messe le cose stava di fatto che Alice aveva
davvero
cancellato i Pooka dalla faccia dell’Universo.
Fatta
eccezione per Calmoniglio, quasi lo avesse lasciato come monito per
chiunque
avesse in mente di voler fare la stessa fine.
Come
faceva sempre da quando aveva
iniziato a scoprire cose, Jack
Frost
era balzato in piedi con violenza tale che per poco non si era preso
uno dei
bastoni del baldacchino in testa:
«E
Harmonia cosa ha fatto per fermarla,
eh? Se ne è stata a guardare, ecco cosa ha fatto!»
gridò furioso agitando il
bastone «Ma glielo dico eh! Vado a dirgliene quattro,
perché non si può che
vengo a sapere una cosa del genere per puro caso! Furba, quella
lì, dice solo
quello che vuole, Emily Jane aveva ragion-»
«Stava
combattendo Apophis sulla Terra,
era nel bel mezzo della perdita di ragione da parte di Phobos e doveva
proteggere il proprio regno: Harmonia non
avrebbe potuto fare nulla nemmeno volendo» rispose
secco giustificando, stranamente,
la Regina «E non credere
che non si sia sentita in colpa anche per questo, soprattutto
perché Alice era
una sua alleata e si supponeva rendesse conto a lei delle sue azioni:
un peso
in più da sopportare sulle spalle per lei non ha mai fatto
differenza, e quello
di avere fra le proprie fila un’assassina è solo
uno dei tanti ai quali non ha
potuto e non può porre rimedio, tutto qui.»
spiegò facendo tornare Jack ad uno
stato in cui era possibile parlargli.
Il
che non servì a molto, perché proprio
mentre stava per controbattere fu Calmoniglio a mettergli una zampa
sulla bocca
facendogli segno di stare in silenzio:
«Per
oggi ne ho abbastanza di parlare di
gente morta e tutto ciò che ne deriva, seriamente: il
passato è passato,
continua a fare male per forza di cose e non ci si può
mettere una pietra
sopra, abbiamo ben altre preoccupazioni che litigare con Harmonia per
qualcosa
di cui non ha proprio colpe» gli disse assumendo
un’aria pensierosa «Tipo il
fatto che sia tarda mattina e non ci abbia ancora convocati per parlare
dell’alleanza… non è da lei arrivare in
ritardo, soprattutto per qualcosa di
tale portata, forse starà solo dormend-»
«E
se fosse arrivato Pitch nella notte e le avesse tagliato la gola? E se
fosse
entrato Phobos di nascosto mentre noi dormivamo? O forse quella donna
strana
che ci ha frantumato una vetrata addosso le ha dato fuoco e ci
serviranno
bistecche di cavallo e bistecche di Harmonia e bistecche di
chissà cosa!»
iniziò a delirare Jack andando nel panico; il coniglio
pasquale non lo guardava
male, lo guardava malissimo:
«Cosa
ti sei fumato questa mattina, esattamente? Guarda che certe
erbe a
Phantasia sono pure velenose eh, non vorrei che ti fosse andato il
veleno al
cervel… Jack? Jack!» stava per dire quando lo vide
scomparire come un fulmine
dalla sua vista, probabilmente per andare a cercare Harmonia di persona
e
calmarsi.
O
forse solo per assicurarsi che le
bistecche fossero ben cotte.
Non
aveva la minima idea di dove quel
labirinto di corridoi lo avrebbe portato, ma sgattaiolando da una parte
all’altra in quei luoghi stranamente silenziosi gli metteva
anche più ansia del
ritrovarsi ad immaginare il sapore di una cotoletta di centauressa: non
c’era
nessuno in giro per il castello, nemmeno Antares e le sue molestie da
riproduzione, e quel silenzio non faceva altro che permettergli di
sentire il
proprio cuore che batteva all’impazzata per il terrore di
trovarsi davanti al
cadavere della Regina.
Comunque
fossero messe le cose, quel suo
continuo correre a destra e sinistra senza una vera e propria meta
aveva dato i
propri frutti quando era arrivato in un’ala del castello con
una porta che,
almeno a vederla, gli aveva dato l’impressione di essere
più importante di
altre: forse era per i battenti dorati sui quali era raffigurata
Harmonia vista
di fronte a grandezza naturale, la
quale
teneva le braccia incrociate al petto con una spada in una mano ed una
rosa con
tanto di spine che le si avvinghiavano sul braccio nell’altra
mentre sul capo
aveva una corona che sosteneva una gemma a forma di stella azzurra,
forse era
perché su tutto il profilo della porta si snodava una donna
dal corpo di
serpente, come anche ai lati della regina c’erano due figure
appena abbozzate,
la prima incappucciata con una sfera in mano e la seconda con uno
spadone ed
uno scudo, il tutto completato da una ragnatela fatta da sottilissimi
fili di
gemme multicolore che faceva da sfondo alla scritta “Semper
fidelis Reginae”, “Sempre fedeli alla
Regina”.
O
forse tutta quella pomposità non
serviva proprio a niente, perché era riuscito a distinguere
dei suoni strozzati
provenienti da quella stanza e vi si era fiondato dentro prima
di subito con tutta la forza che aveva in corpo senza nemmeno
pensarci.
Interrompendo
brutalmente un orgasmo.
Quella
era una fottutissima serpentessa con un fottutissimo pene che se ne
stava
fottutamente avvolta intorno al corpo di Harmonia
La
scena era abbastanza imbarazzante,
disturbante ed inquietante
allo stesso tempo: da una parte c’era Jack Frost
lì, fermo sullo stipite
della porta con gli occhi sbarrati e la crescita bloccata definitivamente a causa dello spettacolo
che si stava consumando
davanti alla sua figura immobile, paralizzata dal trauma appena subito
e dalla
consapevolezza che aver aperto quella porta era stata una scelta
peggiore
dell’aprire il vaso di Pandora.
Dall’altra
c’era Myricae che se ne stava
avvolta intorno al corpo di Harmonia con il proprio bacino premuto su
quello
equino dell’altra, la quale se ne stava sdraiata a pancia in
su con le zampe
tenute aperte ed un braccio sulla fronte intenta ad ansimare e lanciare
gemiti
di piacere che ben poco lasciavano all’immaginazione su cosa
stessero facendo.
Nessuno
aveva proferito parola.
Tranne
Harmonia, che ormai sembrava
essersi finalmente accorta della
presenza di quel povero disgraziato intento a fissarla mentre faceva
sesso con
la sua compagna:
«Eh?
J-Jack? Ah, Frost! Stavo g-giusto
per chi-chiamare te e-ed i tuoi am-amici appena…
f-fi-finivo, ecco, giusto
v-voi… M-Myricae…» cercò di
biascicare probabilmente ancora presa dall’intenso
piacere nel quale si stava crogiolando, per poi afferrare due dei
serpenti che
scendevano dal capo dell’altra tirandola a sé
«Credo c-che per og-oggi, per
q-questa ma-mattina… a-ab-abbiamo… finito, credo
di s-sì… per o-ora,
almeno.» la congedò prendendosi di
rimando un delicato
bacio sulla fronte che nulla c’entrava con quello spettacolo.
Nel
mentre che la serpentessa si
srotolava e si avviava verso la porta, Jack Frost ebbe tutto il tempo
di
osservarla: sebbene il volto e gli occhi verde lime fossero
incorniciati da una
cascata di sottili serpenti adornati da diversi gioielli
anziché da capelli, fino
al bacino aveva l’aspetto di una donna dalla pelle chiara e
interrotta qua e là
da sottili scaglie verde acceso concentrate soprattutto su spalle,
fianchi e
collo, con il prosperoso seno che sembrava faticasse ad essere
trattenuto da
delle placche dello stesso colore, placche che si ripetevano sugli
avambracci e
scendevano fino alle mani dando sfoggio di dita spaventosamente
artigliate, ora
impegnate a stringere i fianchi di Harmonia lasciando dei solchi
rossastri
abbastanza profondi da quanto erano affilati.
La
parte che lo preoccupava di più era
però quella inferiore, ovvero dal bacino in giù:
il corpo da serpente esageratamente
lungo era coperto di spesse scaglie verde smeraldo che si
sovrapponevano l’una
con l’altra rendendolo pressoché impenetrabile, le
stesse che andavano ad
incontrare delle sorta di placche di un giallo oro che a prima vista
dovevano essere
le stesse che toccavano terra quando si muoveva disseminate fino alla
punta
della coda che sembrava un solo ed unico fascio di muscoli che, se lo
avesse
voluto, avrebbe potuto romperlo in due nel giro di mezzo secondo.
E
fino a lì tutto bene, era una donna
mezza serpente, non era così strano se ripensava che Antares
era una donna
mezza ragno.
Solo
che quella, di donna, aveva il pene,
oltre alla normale dotazione genitale.
Eh.
Nonostante
le premesse per una valanga di
domande da parte di Jack
Frost, la situazione lo aveva sconvolto al punto che anche adesso,
rimasto solo
con Harmonia, non osava proferire parola, nemmeno quando la
centauressa, che
aveva impiegato qualche minuto per riprendersi del tutto dall’esperienza
con la sua amante, si era alzata barcollando e
stiracchiandosi le zampe; incurante del fatto che fosse praticamente
nuda e con
il seno al vento, quando Jack si era coperto gli occhi per evitare di far cadere lo sguardo dove non avrebbe
dovuto anche solo per
sbaglio, la Regina si era rivolta a lui con tutta la calma
del mondo:
«Puoi
anche guardare, Jack, non ho nulla
da nascondere… come invece fa
Myricae»
fece notare ridendo mentre il giovane Guardiano, sforzandosi non poco,
cercava
di mantenere un’espressione che non sembrasse da maniaco
sessuale mentre vedeva
Harmonia che si sistemava l’armatura che le copriva il petto:
«Accomodati pure,
finisco di prepararmi e arrivo subito: ero talmente presa da quello che
stavo
facendo da non essermi resa conto che fosse già tardi, ma
spero che per voi
Guardiani non sia un problema aspettarmi.» si
scusò prendendo posto davanti ad
uno specchio tirando fuori una serie non meglio definita di trucchi
vari.
Jack
trovava abbastanza sconvolgente la
nonchalance con la quale la Regina, reduce
da una scopata che lo aveva lasciato allibito in un modo spaventoso,
fosse
intenta a maneggiare curiosi pennelli dalle setole arcobaleno e
l’impugnatura
che ricordava il corno di chissà quale specie di cavallo di
Phantasia, ma si
era tenuto per sé quel dubbio con la consapevolezza che
Harmonia aveva ben
altro di cui parlare:
«Avrai
intuito che Myricae è molto più
che uno dei miei generali, quindi salterò la parte in cui ti
dico che è stata
lei a salvare la situazione ieri e che sempre lei è
l’amore della mia vita da
quasi sette secoli a questa parte, e verrò direttamente a
quella in cui ti
spiego perché ha qualcosa in
più là
sotto» lo anticipò tranquillamente mentre le sue
palpebre superiori si
coloravano di un delicato azzurrino «Myricae è
un’Ophidian, una razza di donne
naga che vivono nella foresta ai confini di Phantasia,
nell’antica città di
Quetzalli: nulla di sconvolgente per loro, ma per esigenze
riproduttive varie nascono ermafrodite, potendo decidere
se deliziarsi in due con i piacere dell’accoppiamento o se
fecondarsi
autonomamente.» spiegò mettendosi un velo si
rossetto color albicocca.
Il
volto di Frost non era una maschera
di terrore, era molto di più:
«Loro
possono… fecondarsi… da… sole? Ma
nel senso… nel senso che… si infilano da
sole… le cose…
cioè…» biascicò incredulo e
tremante, avendo subito dopo la
mano di Harmonia sulla testa che gli scompigliava i capelli:
«Non
proverà a deporre le sue uova nel
tuo stomaco, di quello non devi assolutamente preoccuparti, anche
se…»
«Anche
se?» ripeté preoccupato temendo
già il peggio
«Anche
se è leggermente una
ninfomane, tutte le Ophidians lo sono, ma Myricae
lo è solo con me» lo rassicurò ridendo
«Al
massimo ti ritroverai con i pantaloni abbassati di notte, nulla di
particolarmente preoccupante. Ed ora è meglio se
ci sbrighiamo, i cornetti
caldi per colazione ci stanno aspettando… ed anche i tuoi
amici, non vorrei far
attendere nemmeno lor-»
«Harmonia…
come facevi a sapere che Pitch avrebbe
attaccato? Insomma… hai
mandato i tuoi generali, quindi lo sapevi… ma
come?» domandò incuriosito piegando la
testa di lato.
La
domanda l’aveva lasciata spiazzata.
Improvvisamente,
la mente di Harmonia tornò a ciò che era successo
il giorno precedente il
famoso attacco al Polo Nord…
-----
Quella
pausa dalla
burocrazia era assolutamente
indispensabile per sciogliere la tensione accumulata
nell’ultima settimana: fra
i Guardiani che facevano la loro muta rivoluzione ed il problema
dell’Abisso
ancora irrisolto, Harmonia sentiva la testa che le scoppiava.
Ogni
tanto, e con ogni tanto intendeva
le poche volte in cui non aveva davvero
nulla da fare, si concedeva dei momenti in cui non pensava altro che a
rilassarsi, per godersi ciò che la sua
terra le offriva: il profumo inebriante dei fiori che tingevano
l’orizzonte di
sfumature variopinte, la sensazione dell’erba bagnata dalla
rugiada che le
sfiorava gli zoccoli dorati mentre avanzava con passo lento al fine di
assaporare fino in fondo quella sensazione, gli occhi che le si
riempivano
della tenue luce rosata del mattino riflettendola in quel mare azzurro
come
l’acqua che sgorgava dal suo castello, da quella che era la sua casa da settemila anni a quella
parte.
Decise
di appartarsi all’ombra di una
piccola radura con un laghetto le cui rocce formavano una sorta di
cascata di
dimensioni piuttosto contenute, come se fosse una vera e propria oasi
di pace e
tranquillità: senza impegni incombenti sulle spalle,
Harmonia si limitò a
svestirsi dell’armatura minima che le copriva il seno, le
spalle e parte dell’addome,
per poi immergersi fino a metà delle zampe
nell’acqua e sdraiarsi su una pietra
collocata direttamente sotto quella cascata scosciante di vita,
iniziando a
giocherellare con i capelli.
In
quegli istanti in cui la sua mente si
era liberata da tutti i problemi e le preoccupazioni, Harmonia
guardò
orgogliosa intorno a sé: Phantasia era un posto da sogno, un
paradiso sceso in
terra che rendeva felici i propri abitanti e chi lo visitava per la
prima
volta, un luogo dove i timori e le paure non osavano nemmeno entrare
perché
sarebbero state accolte solo da persone che, della paura, proprio non
sapevano
cosa farsene quando avevano l’amore della propria Regina a
loro completa ed
indiscriminata disposizione.
Tuttavia,
per quanto ora fosse così
felice e fiera del proprio operato, c’era sempre un fendente
di dolore che
prendeva strada nel suo cuore frammentato: dove ora c’erano i
campi color
smeraldo, i roseti che parevano arcobaleni e gli alberi le cui bacche
deliziavano anche il palato più raffinato, un tempo
c’erano state lande
bruciate, cadaveri che tappezzavano l’orizzonte e oltre,
laghi di sangue e
fosse scavate nella nuda terra che piangeva i suoi figli.
Era
stato molto, moltissimo, tempo fa,
certo, ma non poteva dimenticare cosa le era
stato messo nelle mani e fra gli zoccoli: sforzo dopo sforzo, lacrima
dopo
lacrima, era riuscita a riportare quel pianeta ormai sterile
all’antico
splendore che l’aveva accompagnata per tutta la vita, se non
addirittura ad un
livello superiore, e questo le bastava per sorridere ancora una volta.
Almeno
fino a quando un fremito
dell’orecchio non l’aveva avvisata che, nemmeno
fosse a corte come suo solito,
c’erano visite sempre molto gradite.
La
sentì scivolare appena fra una
fenditura e l’altra nella nuda roccia, un suono quasi
impercettibile che
riusciva ad avvertire appena, quello che bastava per non prendersi ogni
volta
un colpo e rendersi conto che si era appollaiata al riparo
dall’acqua in un
incavo sotto la cascata:
«Non
è stato carino da parte tua
chiudermi le porte in faccia, davvero scortese»
commentò palesemente ben poco
afflitta Tanith mentre le faceva segno di “no” con
l’indice «Potrei addirittura
essermi offesa per un tale oltraggio, questo tuo gesto alquanto villano
mi ha
spezzato il cuore che non ho!» continuò chinando
la schiena e portandosi una
mano alla fronte come se stesse per svenire.
Harmonia
si limitò a sorridere appena,
quasi divertita dalla scenetta portata avanti
dall’Ephemeride, ma non perse di
vista la consapevolezza che con lei era meglio non tirare troppo la
corda, se
non la si voleva spezzare di netto:
«Sono
addolorata che il mio gesto
impulsivo quanto necessario ti abbia ferita, ma ahimè non mi
hai dato altra
scelta se non di chiuderti fuori, gesto ovviamente fatto a
malincuore» rispose
scuotendo la testa «Capiscimi, Tanith, ho un regno da mandare
avanti, le tue
comparsate sono motivo di grande preoccupazione: quando decidi di
omaggiare noi
poveri plebei con la tua presenza che emana voglia di dolore da tutte
le ossa,
potrei addirittura pensare che tu mi voglia uccidere!»
esclamò gesticolando per
fingersi spaventata.
Ecco,
se c’era una cosa che Harmonia
poteva permettersi di fare senza troppe preoccupazioni, ma sempre con
la dovuta
cautela richiesta dal caso, era di utilizzare con
l’Ephemeride un linguaggio
che rasentava quello delle sue frecciatine, gesto reso possibile solo
dalle
velate, se non velatissime minacce, di tirare in ballo le famose
“conoscenze
alle alte sfere” delle quali godeva la Regina della Fantasia.
Tanith
la osservò perplessa nei primi
momenti, accennando solo dopo un sorriso:
«Ammetto
che mi hai preso alla
sprovvista, questo te lo concedo, non sono molti quelli che si
permettono di
dirmi “Tu qui non puoi
entrare”, ma è
stato un gesto ammirevole… tremendamente
rischioso, ma di un coraggio quasi proverbiale» si
complimentò applaudendo
calorosamente
«E
proprio per questo voglio farti una
sorpresa, dicendoti che potrai costringere i Guardiani ad accettare la
tua
alleanza direttamente domani, con tua grande gioia immagino!»
buttò lì con i
suoi soliti sorrisetti maliziosi; improvvisamente, Harmonia
sentì il sangue
gelarsi nelle vene, e non era per l’acqua particolarmente
fredda:
«Ma
guarda un po’, sono addirittura
riuscita ad incuriosire la grande Regina della Fantasia, ora sono io
che mi
sento onorata!» le disse poggiandosi con nonchalance sul suo
dorso.
In
realtà, Harmonia tratteneva a stento
i brividi nel sentire il corpo di Tanith,
ora fin troppo tangibile, che le scivolava addosso
avvolgendole la coda
intorno ad una zampa:
«Devo
supporre che si tratti di qualcosa
di particolarmente importante, se vieni a dirlo a me anziché
a Myricae»
rifletté girandosi
per guardarla negli
occhi, facendo riferimento all’incontro fra
l’Ephemeride e la propria amante.
L’altra
la guardò con altrettanta
intensità, a metà fra il divertito ed il
profondamente perplesso:
«Oh
sì, almeno tu non cerchi di farti
ammazzare, anche se sarei curiosa di vedere quanto ci metti prima di
chiamare quella gente là»
disse indicandole la
grande stella che brillava sopra il castello di Harmonia
«Comunque sia, bella gente a parte
e minacce che credi io
non riesca a percepire, si tratta di Black, di Pitch Black.
Ed Emily Jane
Pitchiner, anche lei»
buttò lì
giocherellando con i capelli di Harmonia «Domani,
sulla Terra: attaccherà il Polo Nord con un branco
di Incubi leggermente
più svegli del solito, ma nulla che non si possa risolvere
con qualche freccia
avvelenata piantata in mezzo ai loro occhi mentre li tieni confinati
con un qualche
campo di magia. Un lavoretto semplice, per Myricae e Naevia, ti
suggerisco di
mandare loro due.» concluse scendendo con calma dal suo corpo.
Harmonia
sentiva le domande affollarle
la mente impedendole di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse la
parola
“attacco” vicino ai nomi di Pitch ed Emily Jane,
uno più problematico ed
altezzoso dell’altra; distratta da quei ragionamenti che un
po’ di
preoccupazione gliela davano anche, quasi non aveva fatto caso a Tanith
che
stava pian piano scomparendo nella sua invisibilità
terminato il proprio compito:
«Tanith!
Aspetta un attimo!» la chiamò
facendola girare «Come fai a saperlo? Nel senso…
ne sei assolutamente sicura? Insomma…
chi ti ha dato esattamente queste
informazioni? chiese senza aspettarsi una
risposta.
Che
in effetti non arrivò, non
direttamente almeno, perché quando la figura
dell’Ephemeride era scomparsa del
tutto dalla sua vista aveva sentito un brivido vicino
all’orecchio:
«Me
l’ha detto una falena.»
sussurrò quasi impercettibilmente dissolvendosi nel
vento.
Ora
la passeggiata era finita.
Ora
il divertimento era finito.
Ora
aveva in mente solo una cosa, e cioè organizzare una
spedizione sulla Terra,
salvando la situazione come sempre.
E
farsi dare qualcosa in cambio.
L’alleanza,
magari.
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Nonostante
le domanda scomoda, Harmonia
fece semplicemente spallucce:
«Sesto
senso da Regina, nulla di più.»
mentì sorridendo; anche se Jack aveva diversi
dubbi, il giovane Guardiano si limitò a starle dietro mentre
si avviavano senza
troppe domande: aveva la netta impressione che ci fosse qualcosa
di più che un “sesto
senso”sotto quella risposta, ma aveva
anche l’impressione che approfondire sarebbe stato del tutto
inutile.
E
pericoloso.
Arrivati
nel grande salone illuminato
dai raggi che penetravano dal lucernario multicolore, Frost si era
sentito
particolarmente rincuorato vedendo tutti i suoi compagni seduti davanti
ad un
tavolo di rami bianchi esageratamente lungo ed imbandito con tutto
ciò che si
poteva chiedere per una colazione che si potesse definire tale: seduti
ad una
delle due estremità con Nord a capotavola, i Guardiani
sembravano aver lasciato
da parte le preoccupazioni per impegnarsi nella difficile quanto ardua
scelta
di mangiare prima i croissants da gusti esotici o i pancake o i waffles
o
ancora le svariate torte o chissà cos’altro che
non vedeva dalla porta d’entrata;
all’altra estremità del tavolo c’era la
seduta di Harmonia, una sorta di
piccolo divanetto romano adatto ad accogliere il suo corpo equino senza
che
dovesse fare chissà quali acrobazie per tenerci le zampe
sopra, affiancata su
due lati dai suoi generali, da Alice e da Scarlet con Spettro occupato
a
spolpare un grosso pezzo di carne per terra.
Fra
un’occhiata e l’altra ai commensali,
Jack Frost si rese conto che l’atmosfera sembrava essere
molto più distesa di
quanto lui stesso si aspettasse, e soprattutto che Dentolina non pareva
avercela con lui come si era aspettato, ma tutto sommato non gli
dispiaceva che
finalmente ci fosse un po’ di silenzio e nessuna aria di
complotti sotto il
naso: ora come ora erano solamente delle persone preoccupate solo di
consumare
la loro colazione senza formalità varie ed eventuali,
persino Myricae che aveva
delicatamente preso la nuca ad Harmonia per strapparle
l’ennesimo bacio con la
scusa di pulirla dalla cioccolata
non
lo metteva in soggezione ma anzi riusciva a strappargli una risata, e
tutto
sommato era una bella situazione, molto serena ecco.
O
almeno lo era stata fino a quando dalla
porta principale non era entrata l’ennesima ospite
sconosciuta a Jack,
l’ennesima delle donne che gravitavano intorno alla Regina.
Solo
che non era una donna, era un leopardo delle
nevi antropomorfo.
Con
in mano una serie non meglio
definita di fogli, tra l’altro.
Mentre
si avvicinava a passo lento,
Frost ebbe tutto il tempo per osservare quella singolare creatura:
nonostante
il corpo seguisse effettivamente le forme di una donna adulta, compreso
il seno
nemmeno molto pronunciato, l’aspetto era quello di un
leopardo delle nevi dal
manto bianco immacolato e grigio chiaro costellato su braccia, gambe e
fianchi di
macchie di varie sfumature di nero che continuavano sulla lunga e folta
coda
lunga quasi quanto era alto quell’essere, per certi versi
troppo grande per
quel corpo esile ma comunque atletico.
Anche
se era un mezzo animale, o meglio
un animale che stava su due zampe, Jack non poteva nascondere che aveva
un
certo fascino: i capelli neri e lisci che percorrevano tutta la schiena
incorniciavano un viso felino completato da due grandi occhi di un
color
turchese profondo, la soffice pelliccia coperta sul seno e
sull’inguine da un’armatura
dorata e argentea piuttosto leggera, giusto quello che bastava per non
andare
in giro mezza nuda per quello strano gioco di “vedo non
vedo” offerto dalla
pelliccia, armatura formata principalmente da delle placche metalliche
sul petto
e sulle spalle intervallate da uno strato di tessuto rosso scarlatto
come se
fosse un corsetto, oltre che quella presente sugli avambracci ed i
polpacci.
Ed
aveva una spada da dare invidia a
quella di Alice, soprattutto quella,
ma almeno se la teneva premuta sul fianco.
Si
era incamminata verso Harmonia
dandole in mano i fogli che portava con sé, volgendo poi lo
sguardo verso il
giovane Guardiano, probabilmente perché era
l’unico presente a non conoscerla:
«Felice
di fare la tua conoscenza, Jack
Frost, Guardiano del Divertimento» lo salutò molto
gentilmente con un breve
inchino «Il mio nome è Naevia, generale alla corte
della Regina della Fantasia,
oracolo di Phantasia e ambasciatrice di Exodus sulla Terra, lieta che
ti sia
unito anche tu a questa colazione insieme agli altri Guard-»
«Naevia
la Frigida, sovrana dell’Insensibilità,
quella-che-vede-cose» intervenne stuzzicandola
prontamente Myricae spezzando l’atmosfera formale mentre le
pendeva un waffle
grondante di sciroppo d’acero dalla bocca «Sappiamo
chi sei, quindi smettila
con questi atteggiamenti da principessina sul pisel… ah no,
aspetta, quello
proprio no! Non sia mai che la tua regale pelliccia venga violata da
cotanto
desiderio carnale… sempre che tu e la tua
altezzosità sappiate cosa sia, il
desiderio carnale.» la schernì
nuovamente.
Nonostante
le palesi frecciatine, Naevia
non sembrava curarsi delle parole che le veniva rivolte dalla sua
collega di
lavoro né delle espressioni imbarazzate di Harmonia, tanto
che aveva preso
posto senza fiatare e senza commentare, dimostrando un incredibile
autocontrollo;
da parte sua, la Regina aveva dato una rapida occhiata alle carte che
aveva
davanti annuendo man mano che le scorreva, per poi fare cenno a Nord di
ascoltarla:
«Quelli
che ho in mano sono i documenti
dell’alleanza fra voi Guardiani e la sottoscritta, oltre a
ciò che rappresento:
Phantasia e Fairy Oak si impegneranno personalmente per mantenere i
termini
accordati, l’intero pianeta Exodus e tutto ciò che
è sotto la mia giurisdizione
si presterà formalmente perché tali termini non
vengano violati. Da entrambe le parti, si
intende.»
spiegò lasciando che Myricae passasse con la sua coda gli
incartamenti fino al
lato dove se ne stavano seduti i Guardiani stessi.
Carte
alla mano e occhiali tirati fuori
da chissà dove, Nord e Sandy si erano messi a dare una
veloce occhiata a ciò
che era appena stato loro consegnato spostando gli occhi da destra
verso sinistra
in modo quasi compulsivo, fino a quando il primo non si era fermato
sull’ultima
pagina:
«Credo
che esserci errore, Harmonia,
questo punto forse esser-»
«L’ho
scritto di mio pugno, è tutto
esattamente come dovrebbe essere»
asserì tranquillamente «Queste sono le condizioni,
e non potete che accettarle
dal momento che ieri Myricae ha parlato chiaro, chiarissimo:
varcate il portale e accetterete le condizioni, e voi
l’avete varcato senza pensarci, il mio
portale.» puntualizzò mentre i fogli passavano di
mano in mano, dipingendo sui
volti dei presenti espressioni sempre più sconvolte:
«Non
volevo arrivare a tali
contromisure, credimi, ma è l’unico modo per
spingere voi Guardiani ad
impegnarvi seriamente e non ritirarvi dall’eventuale
battaglia nel bel mezzo
della stessa: una garanzia, la chiamo io, una
garanzia della vostra fedeltà, perché
ciò che è accaduto con Apophis non
possa ripetersi.» concluse tornando composta a consumare un
croissant.
Quando
i fogli arrivarono a Jack, ci
mancava poco che si prendesse un infarto: un
Guardiano.
Un
Guardiano
Harmonia
chiedeva un Guardiano.
La
garanzia era… uno di loro cinque.
Da
tenere a palazzo come ostaggio, come
“ospite”, per assicurarsi che nessuno
cambiasse improvvisamente idea in corsa, per evitare cambi di idee e di
fazione
imprevisti, un modo come un altro per tenere tutti loro stretti fra gli
artigli
suoi e dei generali che la circondavano.
E
non potevano fare nulla se non accettare
di consegnare… ma chi?
Chi
di loro cinque?
Per
un istante, Jack Frost ebbe la netta
sensazione che essere il Guardiano più problematico del
gruppo, quello del
quale tutti o quasi avrebbero più o meno esplicitamente
voluto liberarsi, non
fosse proprio la posizione migliore nella quale trovarsi.
Nella
quale lui si trovava.
Se
l’unica cosa della quale doveva
preoccuparsi Harmonia era di lasciare che la sua amante le facesse
provare
talmente piacere da farle dimenticare tutti i problemi, allora
Halley poteva anche considerarsi fortunata a non essere morta.
Non
ancora, almeno.
Il
Veggente era lì impassibile davanti a
lei, che se ne stava invece a terra faticando ad alzare la testa da
quanto il
dolore si era fatto pungente ed insistente, che la guardava con uno
sguardo
talmente indecifrabile da non lasciar trasparire nessuna emozione che
fosse
una; lasciandosi indietro le grandi ali nere stese a terra come se
fossero un
continuo della tunica che gli copriva a malapena le nudità,
piegò appena la
testa tenendo quattro delle sei braccia incrociate al petto:
«Potrei
ucciderti, se lo volessi…»
asserì piantandogli addosso quegli occhi viola inteso reso
ancora più profondo
dalla sclera nera tendendo una mano verso di lei.
Ecco.
Era
finita.
Finita.
Game
over.
Ciao
ciao.
Auf
wiedersehen.
E
invece no.
Con
sua somma sorpresa, Halley si trovò
con due braccia che la afferravano da sotto le ascelle e la sollevavano
delicatamente rimettendola in piedi, premurandosi che in piedi ci si
reggesse
anche, per poi tornare alla loro consueta posizione al petto bianco del
legittimo proprietario:
«Ma,
attualmente, la tua morte non è nei
miei piani, né in quelli di questo Universo: ritieniti
fortunata, Comet E.
Halley… molto
fortunata.» disse
semplicemente il Veggente con quel suo tono altezzoso da essere
superiore quale giustamente era.
La
situazione era abbastanza
inquietante, confusa e sorprendente: lei, quella che aveva preso
l’acqua della
Sorgente del Cosmo intrufolandosi nella Torre di Babilonia senza
pensarci
troppo, e lui, la creatura più potente, più
onnipresente e più onnisciente che
il creato avesse mai avuto l’onore di vedere, che la fissava
con un’espressione
più pacata rispetto al “Sono
venuto qui
per ucciderti e farla finita una volta per tutte, così
imparai a prenderti la
mia acqua” che si aspettava quando le era comparso
davanti.
Dopo
essersi ricomposta, Halley notò
un’altra bizzarria: il dolore pulsante alla testa provocato
dalle visioni, come
anche quello bruciante alla schiena che l’aveva fatta piegare
in due, erano completamente spariti.
Temporaneamente,
ma almeno le avevano
dato tregua.
Ora
come ora, con il controllo dei
propri poteri del tutto ristabilito, Comet capì che aveva
due possibilità, una
peggiore dell’altra: approfittare della situazione tornata a
sua vantaggio per
scappare prima di subito senza
guardarsi indietro, con la consapevolezza che scappare dal Veggente
sarebbe
sttao impossibile e che prima o poi l’avrebbe ritrovata,
oppure starsene lì a
capire per quale motivo fosse andato a cercarla per fare qualsiasi cosa
che non
fosse ucciderla, il che era piuttosto strano dal momento che il
Veggente stesso
preferiva passare le giornate chiuso nella sua Torre anziché
andare dietro ad
una cometa ubriaca.
Lo
guardò ancora qualche istante prima
di decidere: non aveva nulla di diverso rispetto a quanto ricordasse,
non c’era
niente che potesse far pensare che era talmente assuefatto dal latte
interstellare che mungeva direttamente dalla Via Lattea, nome assegnato
proprio
per ricordarne la funzione, da non essere più in grado di
ragionare con il
cervello fisico che non aveva nella scatola cranica, e nemmeno quella
c’era.
Però
una cosa l’aveva eccome.
Ed
era quella sulla quale Halley stava puntando i propri pensieri, occhi e
pure le
mani.
Iniziò
a fantasticare su come
l’avrebbero chiamata se fosse riuscita nel proprio intento: Comet. E Halley, prima del suo nome,
“colei
che è nata dall’altofuoco”, incendiaria
di pianeti, bevitrice di KAFFÉÉÉ,
distruttrice di Abissi, madre del Ciciarampa, ladra
dell’Acqua, amante del trombaris.
E,
soprattutto, “quella che si è scopata il
Veggente”.
A
volte si chiedeva se lui stesso fosse
consapevole di avere la bruschetta,
tenero nomignolo di uso curiosamente molto diffuso per indicare i
genitali
maschili, cosmica.
Non
normale, non “tanta”, semplicemente “cosmica”.
Il
fatto che appartenesse già di diritto
alla dolce puledra del Veggente che aspettava il suo glorioso amante in
un
altro Universo poco le importava, quella meraviglia del creato non
poteva mica
essere riservata, avrebbe dovuto essere di dominio pubblico!
O
anche solo di Halley, bastava che
gliela desse a lei.
Non
sospettando nulla, o forse sapendo
già tutto dall’alto della sua onniscienza ma
facendo finta di niente, l’altro
era rimasto piuttosto spiazzato quando la donna gli si era fiondata
addosso
strusciandosi sulle grandi ali nere mentre giocherellava con le piume,
prendendosi di rimando gli sguardi sconvolti dei molteplici occhi che
le
ricoprivano:
«Cercavi
compagnia, vero? Dai dai che lo
so, che vuoi fare all’ammmore con questa cattiva ragazza che
ti ha preso
l’acqua senza dirtelo!» gli sussurrò
sorridendo maliziosamente premendo
prepotentemente il seno contro il suo petto, incurante delle fauci che
gli
squarciavano il ventre all’altezza dello stomaco
«Sono tutta tua, sovrano del
creato, puniscimi per le mie azioni tanto ma taaanto malvagie e fammi
pentire
di essere venuta al mondo!» lo stuzzicò
mettendogli le braccia intorno al collo
e toccandogli la punta del naso.
In
tutto quel teatrino, il Veggente non
aveva mosso nemmeno un dito per assecondare o liberarsi della presa
della
donna, limitandosi ad osservarla perplesso:
«Penso
proprio che le visioni sulla mia
esistenza che va avanti da miliardi e miliardi di anni possano bastare,
eventuali punizioni fisiche sarebbero inutili» rispose
freddamente mentre
l’altra abbassava lo sguardo verso la tunica biancastra
trasparente «Spero ti
siano piaciute, quelle visioni, perché ne verranno molte
altre sul mio, di
passato. Ed è un passato bello lungo, parecchio
lung-»
«Non
tanto lungo quanto la tua
bruschetta, però!» fece notare lei infilando una
mano sotto la cintura e afferrando
quello che non avrebbe nemmeno dovuto
sfiorare:
«Me
la dai, eh? Eh? Dai dai Veggy,
fammi fare una cavalcata sul
puledro più vergognosamente overpower del cosmo! Ti
preeeegooo! Solo una!»
insistette facendo gli occhi dolci.
Nonostante
Halley avesse palesemente
intenzioni sessualmente ambigue, e nonostante avesse praticamente fra
le mani la bruschetta cosmica,
l’altro l’aveva
guardata senza scomporsi, ed anzi sospirando annoiato:
«Sorvolerò
sul fatto che tu mi abbia
chiamato Veggy…» si lamentò
lanciandogli un’occhiataccia di intesa «Ho una
puledra che mi aspetta in un altro Universo, Comet E. Halley, dunque
sei
pregata di lasciare il mio pen-»
«La
bruschetta! Si chiama bruschetta!» si
affrettò a correggerlo
«...
Qualsiasi nome tu abbia dato al mio
organo sessuale privo di qualsiasi
funzionalità riproduttiva, sei gentilmente
pregata di mollare la presa, o ti assicuro che te la faccio
mollare io.»
minacciò sapendo di averla convinta; e invece no,
perché a quel punto se l’era
trovata con la mano libera che giocherellava con i suoi capelli di un
biondo
tendente al bianco:
«Ho
tanta paura delle tue minacce,
Veggy, tantissima!» rispose fingendo di tremare per il
terrore mentre si
sfilava l’abito rosso scarlatto abbandonandolo sui fianchi
«Credo di aver bisogno di essere
punita molto
duramente per i miei gesti oltremodo oltraggiosi, potrei non
imparare la
lezione se tu mi lasciassi andare senza conseguenze!».
Il
Veggente la osservò qualche istante
perplesso: a quanto stava vedendo, Halley non si stava facendo scrupoli
per
chiedergli di fare sesso con lei, ovviamente fregandosene malissimo se
lui era
già fidanzato con un’altra in un altro Universo di
tutti disponibili sulla
piazza, ed il problema era la consapevolezza che lei voleva seriamente scoparselo selvaggiamente
fino a quando ne avrebbe avuto le forze, il che poteva significare
andare
avanti per chissà quanto tempo data la sua natura di essere
immortale, ore che
per il Veggente potevano protrarsi all’infinito data la
mancanza di una
qualsiasi concezione della fatica.
Come
di tutte le altre sensazioni del resto.
Vedendo
che la ragazza non intendeva
desistere, ed anzi aveva iniziato a dargli improbabili bacini sul collo
facendo
spaventare gli occhi gialli e azzurri che lo costellavano, aveva
interposto fra
lui ed Halley una delle spesse ali nere per tenerla a bada, gesto che
però
servì a ben poco quando lei iniziò ad emettere
gridolini strozzati:
«Che
monello che sei! Lo sai che soffro il solletic…
smettila! Smettila!
Daaaaai!» squittì contorcendosi su se stessa
mentre lui iniziò a scuotere la
testa allibito, rendendosi conto che ogni gesto sarebbe stato
interpretato come
l’essere felici di tali molestie:
«Ho
già una puledra, Comet E. Halley,
non penso proprio di essere interessato alle tue manifestazioni di
bisogni
affettivi e di “sesso”, come lo chiamate voi
plebaglia in questo pos-»
«Però
il culo della tua puledra te lo
prendi, eh? Vecchio maiale che non sei
altro!» ci rise sopra mettendogli una mano sulla
nuca e portando la sua
fronte contro la propria «Scommettiamo che ti faccio cambiare
idea?» senza
aspettare la risposta per poi gettarsi in un caldo quanto appassionante
bacio.
Con
il Veggente: il sovrano
incontrastato
del Multiverso intero, quello che aveva regalato alla sua puledra una
corona con
incastonata una gemma che conteneva ciò che rimaneva di una
supernova, la prima
creatura mai esistita che però già esisteva
quando il concetto di tempo come
quello di spazio non era che una fantasia.
Proprio
lui.
Al
quale però non sembrava interessare
proprio nulla, dal momento che non aveva mosso un solo dito da quando
Halley
gli aveva premuto le proprie labbra sulla bocca:
«Hai
finito o ne hai ancora per molto?
Ho un Universo da vigilare, io, perché quel vostro drago
ubriaco anziché
gestire il suo, di Universo,
preferisce infilare il proprio pene nei buchi neri: quindi, Comet, hai
finito o
no?» chiese infine con aria seccata talmente palese che la
donna gli si staccò
di dosso quasi inorridita:
«Oh
avanti, non dirmi che non ti è
piaciuto eh!» ruggì prendendosi di rimando
un’espressione neutrale come per
dire “Meh, niente di
speciale” in
modo più o meno esplicito.
Non
volendosi arrendere allora gli saltò
addosso sapendo bene che, nonostante il fatto che fosse incredibilmente
infastidito, l’avrebbe comunque afferrata
sostenendole le gambe che gli aveva chiuso intorno alla vita:
«Ma
insomma! Non c’è mai niente che ti
renda felice, eh? Daaaaai Veggy, dim-»
«Buongiorno
ad entrambi» sussurrò
una voce dietro
di loro; Halley non aveva avuto il tempo di girarsi, ma quello per
sentire la
risposta del Veggente lo aveva avuto eccome
«Buongiorno
a te, Mother Galaxy» la
salutò lui con tono cortese.
Mother
Galaxy in persona.
La
Regina delle Galassie in persona.
Lei
mezza nuda.
Su
Orionis III.
In
quel momento, Halley aveva appena assaggiato il brivido
dell’infarto.
_____________________________________
Angolino
dell’autrice
Di
seguito, riporto la traduzione delle
varie frasi presenti nella lingua di Myricae:
“Vanimle
sila tiri, a’maelamin”
= “la tua
bellezza risplende intensamente, amore mio”
“Avo
anírach echaded meleth na nin, arwenamin?”
= “non desideri fare l’amore con me, mia
signora?”
“Mela
en’ coiamin” =
“amore della mia vita”
Dopo
questa breve premessa, eccomi qui a
dirvi che mi scuso se l’attesa per questo capitolo
è stata più lunga del
previsto, ma il computer purtroppo non aveva intenzione di collaborare
e
funzionare decentemente per cui fra una cosa e l’altra
c’è voluto più tempo di
quanto i ostessa avessi programmato :’D
Tralasciando
questo punto, mi rendo
conto che sono successe TANTE cose in questo capitolo, ma spero che
possa piacervi
comunque e non risulti pesante: ormai le carte in mano a buona parte
dei
presenti stanno venendo scoperte, e non tutte sono così
favorevoli come si era
pensato all’inizio di questa leggendaria alleanza.
Per
la quale dobbiamo ringraziare quell’adorabile
Ephemeride di Tanith e _Dracarys_
che me la fa usare senza
aspettarsi che io la infili a random, fra una proposta indecente e
l’altra! :D
Ringrazio
anche vermissen_stern
per
avermi permesso di citare sottilmente una certa falena, sorvolando sul
fatto
che mi è servita pure l’intermediaria per
chiederglielo eh :’D
Detto
questo, un grazie va anche a chi
segue la storia e ci tiene a farmi sapere che tutto questo disagio
è piacevole
da leggere, oltre che da scrivere :3
Vi
lascio con l’aspetto di Myricae
(capitemi, ADORO quella naga) e di Naevia :)