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Autore: _Bittersweettaste    16/11/2016    1 recensioni
Ci sono cose che nessuno di noi sarà mai in grado di prevedere.
Ci sono eventi che sfuggiranno al nostro controllo, come se il fato avesse già disegnato il cammino delle nostre vite. Basta un solo gesto, per sconvolgere irrimediabilmente il corso del destino, in un attimo ogni cosa può cambiare. In un solo attimo le nostre vite potrebbero sconvolgersi completamente, lasciandoci persi in balia di noi stessi.
Che cosa faresti, se improvvisamente il destino decidesse di cambiare?
Che cosa sarebbe successo, se anche solo un evento del passato non fosse stato lo stesso?
Cosa sarebbe successo, se nel mondo di Goku e dei suoi compagni avesse fatto la sua comparsa un ulteriore Sayan?
Come sarebbero andate le cose, se improvvisamente le carte in tavola avessero contato un nuovo elemento?
WARNING: sebbene ci sia un nuovo personaggio, non è assolutamente una Mary Sue, in quanto ha caratteristiche, abilità e difetti che contribuiscono a renderlo completamente umano
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Nuovo personaggio, Piccolo
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Un anno prima.

 
Al di là del vetro, le stelle brillavano silenziose.
Innumerevoli, luminose, del tutto incuranti delle persone che continuavano a muoversi, respirare, vivere all’interno della Base 2. Un luogo intracciabile ed invisibile ad ogni radar, un quartier generale che da anni operava celato nell’ombra, cuore pulsante di un’organizzazione che mai aveva avuto intenzione di scendere a patti con l’ordine interstellare. Una Base più simile ad un nascondiglio preparato e pronto per ogni emergenza, costruito sul terreno aspro e sterile di un pianeta una volta florido e popolato. il piano B dove, diciotto anni prima, la Poison Corporation era strisciata a leccarsi le ferite.
Lei lo odiava, con tutto il suo cuore. Odiava quella prigione di mura, metallo e disciplina militare, odiava i rigorosi controlli medici ai quali il suo corpo veniva regolarmente sottoposto, odiava la viscida ed onnipresente consapevolezza di non essere altro che l’ultimo gioiello del dottor Colfen. la nuova punta di diamante della sua corona, la “creatura” che per diciotto lunghi anni aveva cresciuto e studiato come una bestia rara, come un’arma dalle infinite potenzialità.
Più di ogni altra cosa, il suo animo era affranto dal fatto di non aver mai avuto alcuna possibilità di scoprire cosa si nascondesse tra quella infinita distesa di stelle.
Di stelle parlavano i libri allineati sull’unico comodino della sua stanza, di stelle parevano fatti i suoi occhi: due pozzi traslucidi dal colore indefinito, perle cangianti che solamente nei momenti di rabbia s’incendiavano nel rosso più violento e vivo; come se vi fosse fuoco ad ardere al di là di essi. Quella notte, negli occhi di lei non vi era altro che apatia. Una mollezza dell’animo che da mesi ormai si era fatta strada dentro di lei, consumandola dall’interno senza che la giovane avesse voglia alcuna di trovare antidoto contro quel silenzioso veleno. Presto o tardi sarebbe giunto a corroderla sino alle ossa, sino a disintegrarle l’animo stesso, sino a renderla un mero guscio senza più nessuna fiamma a bruciare nel cuore. Ne era perfettamente consapevole. Consapevole di non avere altra scelta.

«Tutti i soldati dello squadrone 070 raggiungano immediatamente la piattaforma di decollo, navicella B13-204. Tutti i soldati dello squadrone…»

La sigaretta venne schiacciata nel fondo del posacenere, lentamente, il fumo soffiato via dalle narici in sottili nubi opache. Squadrone 070, milizie speciali da combattimento corpo a corpo, utilizzate specificamente in missioni di attacco e sottomissione di pianeti relativamente inferiori in fatto di tecnologie e difesa. Namecc, secondo le statistiche dell’intelligence strategica, rientrava ancora in quella sparuta categoria. L’incidente di diciotto anni prima, come usava ripetere il Dottore più a sé stesso che a chi aveva attorno in quel momento, nient’altro che uno spiacevole contrattempo causato unicamente da elementi terzi ed estranei. Ad onor del vero, un incidente costato la vita a quasi un intero squadrone d’assalto, e portato a compimento da un esiguo gruppo di combattenti che mai più aveva fatto la sua ricomparsa al cospetto della Poison Corporation. Sin da quando aveva memoria, l’argomento aveva sempre rappresentato un tabù intoccabile, un silenzio glaciale in risposta a qualsiasi domanda in proposito venisse rivolta al Dottore. Nessuna informazione, nemmeno il dettaglio più misero, un solo indizio che avesse potuto saziare la verace curiosità che sin dai primi anni era esplosa in lei. Curiosità perennemente insoddisfatta dai numerosi segreti della Corporation.

-Non sei ancora pronta, Fire?-
Impossibile riportare alla memoria il giorno esatto in cui diventò un’abitudine consolidata, il suo apparire dal nulla come un fantasma, emergendo dalle ombre come se vi si fosse appostato in attesa, senza palesare in alcun modo la sua presenza.
-Avrei preferito avere tra le mani il fascicolo della missione, prima di imbarcarmi ad occhi chiusi.-
-Ne hai mai avuto bisogno, ragazza mia? Gli assassini come te non hanno motivo di conoscere noiosi dettagli tecnici, per portare a termine il loro lavoro. C’è forse una ragione, perché questa volta debba essere diverso?-
Se non l’avesse vista crescere coi suoi stessi occhi, sarebbe rimasto spiazzato, quanto meno inquietato dal sorriso che la giovane gli rivolse subito dopo: un bagliore freddo e spietato di canini appuntiti, scoperti appena da un paio di labbra piccole e piene che raramente si tendevano in sorrisi che non fossero di velata minaccia. Il ghigno di una leonessa davanti ad una preda ancora ignara del proprio destino.
-Domani è il mio compleanno, Dottore. Perché non fare un piccolo regalo al tuo mostro preferito?-
Quando vide la mano dell’uomo sollevarsi in direzione del suo viso quasi arretrò d’istinto, non aspettandosi affatto la carezza che le sfiorò la pelle d’una guancia. Un gesto quasi gentile, come paterno, che invece d’instillare in lei un senso di protezione la portò invece a scostarsi di scatto; incerta su come dover reagire.

-Namecc è un pianeta totalmente vergine dal punto di vista industriale e tecnologico. Essenzialmente rurale, oserei dire ancora primitivo se paragonato ad altre civiltà di questa galassia. Per questa ragione le sue risorse naturali possono ancora essere sfruttate appieno, e credo sia un vero e proprio crimine lasciare tanta ricchezza nelle mani ignoranti di un branco di coltivatori e guerrieri a mani nude.-
-Sarà sufficiente, uno squadrone di soli venti soldati?-
-Questa volta, non ci saranno spiacevoli imprevisti. Questa volta, abbiamo un asso nella manica.-
Le dita del professor Colfen percorsero pigramente il viso della ragazza sino a soffermarsi sotto il mento, sollevandolo con delicatezza in modo che gli occhi cangianti di lei potessero portarsi al suo livello. Così tanta potenza, racchiusa in un corpo esile come quello di una bambina, spigoloso ed acerbo, temprato dagli allenamenti militari ai quali era stata sottoposta appena entrata nella pubertà. Pubertà che col passare del tempo aveva reso sempre più arduo tenerla lontano da attenzioni indesiderate, dall’idea strisciante e sempre più allettante agli occhi di non pochi ufficiali di riservarla mansioni ben più piacevoli e lascive. Questo non lo avrebbe mai permesso, finchè avesse avuto vita a scorrergli in corpo. Non dopo aver visto coi suoi stessi occhi la potenza distruttrice scatenata ogni qual volta la giovane arrivava a perdere del tutto il controllo, la belva feroce in grado di lasciare terra bruciata dietro di sé se costretta ad oltrepassare i limiti del proprio equilibrio fisico e mentale. Un angelo trasfigurato in un demone dagli occhi rossi come il sangue, come le fiamme dell’inferno. Una vista sufficiente a far tremare come bambini impauriti anche i mercenari più esperti.
Ancora una carezza, mentre le dita callose dell’uomo si mossero ad affondare nella chioma che le incorniciava il volto innaturalmente pallido, capelli d’un viola così intenso e vivido da rendere il suo apsetto ancora più etereo.

-Rendimi fiero di te.-

 

 

______________________

 

 

Quell’anno, gli alberi di agisa  erano fioriti in anticipo.
Il profumo dei fiori purpurei era così intenso ed inebriante da annichilire i sensi, da instillare in ogni abitante del villaggio umori così gioiosi e carichi di vita che ben sarebbe stato difficile riuscire a reprimere in favore delle solite attività di agricoltura ed allenamento.
Di fiori, erano costellati i suoi capelli. Boccioli schiusi da poco i cui gambi erano stati annodati attorno alle ciocche corvine da una decina di piccole mani, con enorme divertimento del piccolo gruppo di bambini che gli sedeva intorno. Solitamente raccolti in una treccia, quel mattino i suoi capelli erano stati lasciati liberi di ricadergli lungo le spalle e la schiena in tutta l loro lunghezza, sino a sfiorare le gambe morbidamente piegate nella posizione del loto. Ogni adulto del villaggio era impegnato nei compiti più svariati, ognuno di essi diretto ai festeggiamenti per la stagione della fioritura, e per quel giorno momentaneamente sollevati dal dovere di sorvegliare i propri figli. In simili occasioni, era Kaim ad occuparsi di loro. Lui, che di figli non ne aveva mai avuti, lui che aveva visto tutti i suoi sforzi per espellere un uovo dalla bocca culminare irrimediabilmente in poco aggraziati crisi di tosse. Nonostante il conforto di suo padre, il tatto di suo fratello maggiore e l’amore incondizionato dei due figli di questi nei suoi confronti, la consapevolezza della propria sterilità continuava a pesargli sul cuore come il più pesante dei macigni. Soltanto in parte il compito affidatogli anni prima dal capo del villaggio, Moori, aveva reso quella sofferenza dell’animo più sopportabile: badare ai figli degli altri, lui che di propri non ne avrebbe avuti mai. Il fato sapeva rivelarsi benevolmente beffardo.
Il primogenito di suo fratello, Taro,  era ancora intento a pettinare alcune ciocche ancora prive di fiori quando, improvvisamente, un flebile ed invisibile campanello d’allarme risuonò nelle coscienze di ogni abitante del villaggio, come una freccia scoccata verso i meandri più primordiali della mente. Gli fu sufficiente sollevare lo sguardo e guardarsi attorno, per vedere la medesima intuizione farsi strada sul volto dei propri compagni, nelle loro espressioni differenti gradi di preoccupazione ed apprensione. Le stesse che vide tingersi d’ansia negli occhi di suo fratello, accorso in volo soltanto pochi istanti prima.

-Raduna i bambini e nascondili, più in fretta che puoi. Nascondetevi in una delle capanne ai limiti del villaggio, e non uscite di lì per nessun motivo.- le parole uscirono dalle sue labbra più duramente di quanto avesse voluto, e fu in moto di debolezza che distolse lo sguardo dal viso di Kaim, visibilmente punto sul vivo e pronto a ribellarsi al comando del fratello maggiore.
-Lasciami venire con voi, per favore. Sono stanco di rimanere di in disparte, di restare ai margini lasciando che siano sempre gli altri a proteggermi, ogni singola volta. Se mi permetteste …-
-Se ti permettessimo di lasciarci la pelle, Kaim?- questa volta, un vero e proprio ringhio di frustrazione, le labbra tese a mostrare i canini in un’espressione ora speculare a quella disegnatasi sul volto del più giovane. –Perché sappi che non ho la minima intenzione di lasciare che qualcuno ti faccia del male, né di lasciarti correre in mezzo ai guai e rimanerci secco. Perché non lo capisci, maledizione? Resta con i bambini, trovate un posto sicuro, e non allontanatevi. Mi fido di te.-
La protesta di Kaim venne soffocata da un’esclamazione rabbiosa nel vedere Alaet volare via senza aggiungere altro, senza concedergli anche solo il tempo sufficiente a rincorrerlo, tentare di fargli cambiare idea. La razionalità, rapidamente, esiliò in un angolo del cuore risentimento e frustrazione, e fu con voce ferma e gesti decisi che convinse tutti i bambini a seguirlo all’interno della capanna di Moori. Lui ed Alaet avrebbero risolto in un secondo momento le loro divergenze, e di certo non avrebbe permesso al proprio desiderio di rivalsa di distogliere la sua attenzione da quello che era il suo principale compito: proteggere i figli dei propri compagni, a qualunque costo.

-Che succede? Perché dobbiamo nasconderci?-
Taro aveva stretto i piccoli pugni attorno al ruvido cotone dei suoi pantaloni, tirandolo dolcemente verso di sé, gli occhi spalancati e visibilmente spaventati nonostante il suo visetto fosse teso nel tentativo di apparire quanto più coraggioso possibile agli occhi dello zio. E Kaim potè scorgere tutta la tempra di suo fratello, in quegli occhi brucianti di vita, nell’attenzione con cui il piccolo prese a scrutare al di là della finestra, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse aiutarlo a comprendere.
A sole poche centinaia di metri, pulsanti e sconosciute, vibravano decine e decine di aure, concentrate in un singolo punto della radura erbosa. Una situazione che gli era stato insegnato essere potenzialmente pericolosa, soprattutto quando la memoria del popolo namecciano portava ancora fresche le ferite degli attacchi che la loro terra aveva dovuto sopportare negli ultimi vent’anni. Una navicella sconosciuta ed inaspettata non si sarebbe mai rivelata portatrice di buone notizie.

-Perché ho promesso di proteggervi.-

______________________

 


Il casco rinforzato giaceva abbandonato sopra un quadro comandi, dimenticato nello stesso momento in cui l’attenzione della ragazza era stata catturata dal movimento rapido e concitato attorno ad una singola capanna; dettaglio interessante ed in deciso contrasto col violento scontro esploso a soli pochi metri dalla navicella. Assieme a lei nella torretta d’osservazione soltanto un soldato semplice, momentaneamente impegnato ad assicurare le ultime protezioni alla tuta militare di lei e del tutto disinteressato a ciò che gli occhi della giovane non erano invece capaci di abbandonare. Fu sufficiente aumentare lo zoom di precisione del binocolo termico per inquadrare alla perfezione uno sparuto gruppo di piccole figure –bambini, molto probabilmente- radunate attorno a quello che, a prima vista, le apparve come un esemplare adulto. Aure di calore tendenti al rosso nei corpi più piccoli, forse a causa della paura, e di un arancione appena più intenso nell’uomo che aveva appena iniziato a muovere qualche passo in direzione della porta chiusa. Le labbra di Fire si tesero in un ghigno deliziato, tutto il suo corpo teso nell’attesa di vedere quale sarebbe stata la sua mossa, di assistere all’ennesimo guerriero deciso ad ingaggiare una lotta all’ultimo sangue pur di difendere il suo popolo. Ghigno che si raggelò e s’infranse appena pochi istanti dopo, quando una figura fece timidamente capolino dall’uscio della capanna, guardandosi attorno con circospezione prima di muovere i primi passi all’esterno. Le dita della ragazza si mossero fulminee verso il pulsante d’annullamento della modalità notturna, lasciando che il filtro del binocolo mostrasse con quanta più chiarezza il viso del namecciano che, ora, aveva puntato lo sguardo in direzione della torre di controllo. Come se si fosse accorto della sua presenza, come se quel paio d’occhi traslucidi volessero penetrare in lei per scandagliarne l’animo da cima a fondo. Occhi tanto simili ai suoi da lasciarla senza fiato e stringerle lo stomaco in una morsa, mentre l’irritazione cocente per quello sprazzo d’umana debolezza iniziava già a farsi strada dentro di lei. Irritazione verso sé stessa, verso quel namecciano dal viso così bello da smorzarle il respiro in gola, da farla irrigidire nella sua stessa posizione senza essere in grado di reagire nell’immediato. 

-Al diavolo.-
Decise d’ignorare la morsa che ancora le attanagliava le visceri, almeno per il momento, prima di scattare i direzione del tavolo al centro della stanza, ove un mitra d’assalto ed un paio di pugnali gemelli per il combattimento corpo a corpo erano stati preparati appositamente per lei. Solo questi ultimi, però, vennero assicurati alla sua cintura, mentre l’arma a ripetizione non venne degnata del minimo sguardo. Con simili aggeggi, d’altronde, non era mai stata in grado di stringere buoni rapporti, non quando tutta la sua forza risiedeva nel combattimento corpo a corpo, con l’adrenalina che solamente un’arma da taglio riusciva a farle esplodere in corpo. I lunghi capelli violacei vennero costretti all’interno di un casco d’assalto, nero come la pece, il taglio felino dei suoi occhi celato dal vetro spesso della visiera rinforzata.
Un’ombra di kevlar e lame affilate,  uno spettro che scivolò lungo un’ala della stessa navicella prima di piovere sopra i suoi nemici. Colpendo senza uccidere, non ancora, indugiando anzi nei lamenti di dolore che la violenza dei suoi colpi inflisse ad uno, due, tre guerrieri; lasciando che altri ringhiassero di rabbia nel vedersi incapaci di afferrare quel soldato dal volto coperto che con tanta agilità riuscì a schivare i raggi di pura energia che le scagliarono contro. Uno solo di essi le sfiorò il fianco senza però penetrare la barriera del kevlar, senza nemmeno essere in grado di attirare la sua attenzione. Fredda, disinteressata ai corpi dei propri compagni ammassati a terra, oltrepassandoli con balzi felini come se non fossero altro che meri ostacoli ad intralciare il suo cammino. La pietà non poteva essere messa in conto, durante una missione. Non per lei, non per l’arma nella quale era stata forgiata.
Il suo compito, oramai totalmente dimenticato: i guerrieri più forti del villaggio non sarebbero stati attaccati, non da lei, non quel giorno, non quando ogni fibra del suo essere era in completa tensione verso quella singola capanna, verso un paio d’occhi che non avevano mai smesso di attirarla a sé come il più potente dei virus. E potè scorgere le traditrici vibrazioni del terrore, in quei due pozzi cangianti, abisso nel quale si sarebbe volentieri immersa se un namecciano non si fosse scagliato su di lei; gettandola a terra con un solo calcio ben mirato all’altezza dello sterno.
Fu il tronco di un albero d’Agisa ad accogliere lo schianto del corpo della giovane contro di esso, incrinatosi appena sotto il suo peso, mentre dalle labbra della donna fuoriuscirono smorzate maledizioni che , fortunatamente, nessuno dei presenti fu in grado di comprendere o quanto meno di udire. 

-Kaim, torna dentro! Immediatamente!-
Ancora una volta, il ragazzo non fece in tempo a rispondere agli ordini del fratello maggiore, raggelato nel vedere coi suoi stessi occhi la lama di un pugnale conficcarsi con un rumore secco in una gamba di questi. Con un urlo, Alaet afferrò il manico dell’arma per strapparla via, mentre dalla ferita aperta iniziò immediatamente a colare un generoso fiotto di sangue. Kaim si affidò all’istinto. In un solo battito di ciglia fu accanto al fratello, ogni grammo della poca magia che in diciotto anni era riuscito ad imparare e controllare concentrato nella punta delle sue dita, nella luce dorata che immediatamente avvolse la coscia dell’altro, cicatrizzando il taglio quanto più rapidamente possibile. Fire, nel frattempo, muoveva un passo dopo l’altro in direzione dei due fratelli con una calma quasi innaturale, terrificante, il casco che ancora indossava perfetto nel nascondere quella che doveva essere l’espressione del suo viso. Fu quella calma calcolata, la freddezza con la quale una mano dell’assassina stringeva già il manico del secondo pugnale, a raggelare le membra di Kaim, ad instillare in lui un terrore che mai aveva provato prima. Pietrificato, sordo all’ennesimo richiamo del fratello, il ragazzo non potè far altro che rimanere a guardare, mentre quest’ultimo si scagliò ancora una volta in direzione del suo avversario, di quello straniero dal volto coperto al quale Kaim non era ancora in grado di dare definizione alcuna. Il taglio e le forme della tuta in kevlar, delle protezioni rinforzate, la segretezza del casco integrale, perfetti dettagli di un quadro completo che non gli permisero in alcun modo di capire se si trattasse di un uomo o di una donna. Non che la cosa rivestisse molta importanza ai suoi occhi, non quando tra questi ed Alaet era esplosa una lotta senza esclusione di colpi.
Dove mancava di forza fisica e massa muscolare, Fire riusciva a recuperare in velocità e rapidità di riflessi, schivando gli attacchi del suo avversario quanto più possibile, sebbene questi fosse abbastanza forte da renderle il compito ben più difficile del previsto. Lo aveva sottovalutato? Forse, ma quell’imprevisto non fece altro che aumentare l’adrenalina che già le scorreva in corpo, rendendola sempre più decisa a sconfiggere una volta per tutte l’uomo che ancora riusciva a tenerla lontana dall’unico oggetto del proprio interesse. Dal ragazzo dalla pelle d’un verde più pallido rispetto ai suoi compagni, da quegli occhi così simili ai suoi e capelli tanto lunghi e folti da ricordarle le creature che popolavano le favole di quand’era bambina, i racconti che il Dottore usava raccontarle prima di andare a dormire.
Un urlo di dolore, un colpo più preciso dei precedenti. Kaim vide suo fratello crollare a terra, una mano tremante a premere contro il fianco destro, troppo stremato e debole per rialzarsi e continuare a combattere. Fire a soli pochi passi da lui, entrambi i pugnali stretti tra le dita, il petto ansimante a tradire la spossatezza e le ferite che anch’essa aveva riportato nel combattimento. Le sarebbe bastato così poco, un solo colpo, per mettere fine a quella triste visione. Un solo colpo, e nulla di più. 

Quel colpo, non giunse mai.
La ragazza ebbe appena il tempo di udire l’urlo di rabbia provenire alle sue spalle, prima che Kaim si abbattesse su di lei come una furia, come una belva feroce assetata di sangue, di vendetta. I tratti delicati del suo volto tesi e contratti in un’espressione di pura furia, le unghie appuntite usate come lame per graffiare, strappare, ferire quanto più possibile, infilandosi negli strappi della tuta scura per tentare di penetrare sino nella carne. I pugnali volarono via, sbalzati lontano dall’impatto dei due corpi contro il terreno, mentre le urla di entrambi squarciavano l’aria. A soli pochi metri di distanza Alaet osservava, impietrito e disarmato da ciò che i suoi occhi stavano osservando, dalla frenetica violenza con la quale suo fratello si era scagliato per difenderlo, dalla caparbietà con la quale continuava ad incassare e rispondere ad ogni colpo del suo assalitore; come se avesse dimenticato sé stesso, come se non ricordasse più il significato stesso della compassione. La sicura del casco di Fire venne strappata via, e l’elmo stesso lanciato lontano dallo stesso Kaim, dalla sua volontà di poter guardare negli occhi colui, o colei, che aveva osato fare del male alla sua terra. Al suo popolo, alla sua famiglia.
Quel maledetto giorno, Kaim si specchiò nei suoi stessi occhi. Vide i suoi stessi canini appuntiti scintillare rabbiosi in una bocca che ancora sputava insulti, il suo stesso naso in un viso innaturalmente pallido, ed una distesa selvaggia di capelli viola riversarsi sull’erba tutt’intorno; una creatura d’un altro mondo racchiusa nel corpo della ragazza che ancora si divincolava sotto di lui. Ma furono gli occhi, quei dannati occhi, ad immobilizzarlo, a raggelargli l’animo ed offuscargli la mente. Occhi uguali e speculari ai suoi, occhi capaci di affondare dentro le sue paure ed i suoi abissi più profondi, per risvegliare qualunque mostro si agitasse al loro interno.
Una distrazione imperdonabile che la ragazza seppe cogliere al volo, proiettandolo lontano da lei con un calcio, approfittando della sua confusione per scattare in direzione dei pugnali, nonostante il suo corpo iniziasse oramai a risentire dei colpi sopportati sino a quel momento. Un ultimo, disperato tentativo, spazzato via dal sottile raggio d’energia che la colpì ad una gamba, gettandola a terra con un grido straziante di dolore. Incapace di camminare, di fuggire, Fire non potè evitare il colpo ben assestato che la colpì alla nuca, ed il mondo tutt’attorno si fece nero.
Alaet era di nuovo in piedi. Pallido, tremante, al limite delle proprie energie, ma ancora vivo. E non avrebbe esitato a piantare uno dei pugnali nel cuore della giovane svenuta, se le mani di Kaim non si fossero strette attorno al suo braccio sollevato, fulminee e caritatevoli.

 -Cosa diamine stai facendo?- sibilò il più grande, gli occhi stretti in un’espressione di pura rabbia, smorzata appena da quella di dolore che ancora gli contraeva il volto. Non era una ferita mortale, ma quel dettaglio non sarebbe di certo stato in grado di attenuare la rabbia feroce che ancora gli montava in corpo. –Ha tentato di uccidere entrambi. E’ una di loro, possibile tu non lo capisca? Dovremmo lasciarla andare via assieme ai suoi amichetti?-
-Se la uccidessimo, diventeremmo mostri come loro, scenderemmo al loro stesso livello. Ce lo ha insegnato papà, ricordi? Ogni vita ha il suo valore, anche quella del tuo nemico. Se la uccidessi ora, ora che non può difendersi, diventeresti come loro. Questo, io non posso permetterlo.-
Per pochi, terribili attimi, Kaim temette le sue parole si fossero rivelate vane. Lentamente, il braccio del fratello si abbassò, ed il coltello venne gettato a terra. Come se scottasse.
-Di quello che ne sarà di lei, deciderà il capo del villaggio. Ma sappi, fratellino, che da oggi in poi lei sarà una tua responsabilità.-
Un sorriso amaro, una mano a poggiarsi sulle spalle più esili del ragazzo.
-Dimostraci di non essere più un ragazzino che ha bisogno di essere protetto. Dimostralo a me, e soprattutto a te stesso.-

 Nell’aria, il silenzio più assoluto. La battaglia era finita, altro sangue era stato versato da entrambi i fronti, ed il popolo di Namecc avrebbe ricordato quella vittoria seppellendo altri martiri. Ed il sangue sembrava più scuro che mai sulla pelle diafana della ragazza che, svenuta, era stata abbandonata dai suoi stessi compagni in ritirata.

 

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So, hello there you guys.

Ancora una volta ci ho messo una piccola eternità ma, alla fine, ce l’ho fatta. Un capitolo lunghissimo, non c’è che dire, ma necessario per voltare pagina ed immergerci nel rapporto che si svilupperà tra Fire (che sia questo il suo vero nome?) e Kaim. Chissà, magari Sherin e Piccolo riusciranno finalmente a ricongiungersi con anche uno solo dei loro figli. No spoiler, no spoiler.
Grazie a tutti quelli che leggeranno questo nuovo capitolo, a chi ancora si ricorda di questa storia infinita. Se anche uno solo si ricorderà di Behind, per me sarà abbastanza.

See you soon.

   
 
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