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Autore: taisa    17/11/2016    4 recensioni
Per quanto possa essere complicata, rotta o distrutta, la famiglia resta sempre la famiglia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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FAMILY


Qui per me


La faccia gli faceva un male del cazzo. Era tutto un dolore, dallo zigomo sinistro alla mascella, al naso che si era rotto all’impatto. Il pugno era stato tirato da una persona che sapeva come farlo bene e lo aveva colpito nel modo più preciso per fargli male. Senza contare la forza dell’impatto. Una botta ben piazzata e servito con immensa forza.

Mangiare negli ultimi giorni era diventato un problema, non solo a causa del dolore, ma anche per le bende. Il naso fasciato lasciava solo intravedere le narici violacee quel tanto che bastava per permettergli di respirare ed il resto del viso era ricoperto da fasciature e cerotti per coprire i lividi che gli avevano gonfiato un intero lato del viso. Aveva sputato sangue e qualche dente, ma nonostante ciò si sentì piuttosto orgoglioso. Se non altro i soldi che aveva speso per mandarlo in palestra avevano dato i loro frutti. Il ragazzo era una furia.

“C’è una visita” annunciò un secondino, comparendo dall’altra parte delle sbarre facendo tentennare un mazzo di chiavi. Con vago interesse osservò il nuovo arrivato da dietro le bende, “Ho riferito ai miei avvocati che non voglio parlare con la polizia” disse sedendosi sulla propria branda. L’uomo non aggiunse nulla, si limitò a mostrargli un paio di manette come da prassi.

Si scoprì incuriosito. Se non erano poliziotti chi mai poteva essere? Nappa no di certo, aveva le sue istruzioni e fino a nuovo ordine non si sarebbe mosso e lui era l’unico dei suoi ad avere contatti diretti alla luce del sole per poi manovrare gli affari nell’ombra. Continuò a speculare sull’identità del misterioso visitatore per tutto il tragitto, domandandosi di chi si trattasse.

Attese davanti alla porta che lo avrebbe portato nella piccola sala per gli incontri e quando vi entrò si guardò attorno con curiosità. Si sorprese nel constatare che si trattava di una donna che non aveva mai visto prima di allora. La studiò, lei studiò lui.

“Sai chi sono?” gli chiese all’improvviso, e lui la fissò con maggiore intensità. C’era qualcosa di vagamente familiare in quegli occhi azzurri e si vide costretto a ricercare nella propria memoria. Poi il viso del bambino gli tornò alla mente. La prima volta che lo aveva visto aveva creduto che quella infantile caparbietà annidata nello sguardo provenisse da suo figlio, ma guardando la sconosciuta comprese che non era interamente così. “Posso indovinarlo” le rispose, mentre i carcerieri si allontanarono da lui per lasciarlo libero di muoversi, a discapito delle manette, per poi affidare la stanza ai colleghi davanti alle porte.

Sebbene potesse sembrare goffo o buffo con i lacci ai polsi e la tuta di un accecante arancione, il portamento non era molto diverso di quando indossava giacca e cravatta per svolgere i propri affari. Con passo sicuro e per nulla intimorito prese posto su una delle sedie attorno al tavolo, poi le fece cenno di accomodarsi.

Bulma lo studiò con attenzione. Era una trappola, lo capì nell’attimo stesso in cui lo vide muoversi. Le aveva dato una scelta limitata che in entrambi i casi l’avrebbe messa in svantaggio. Restarsene lì, a due passi dalla porta e dal guardiano che la stava vegliando, equivaleva a dirgli che era insicura e che aveva paura. Accettare l’invito sarebbe stato come diventare argilla nelle sue mani. “No, bastardo. Non sono io ad essere qui per te. Sei tu ad essere qui per me” pensò tra sé, scegliendo una terza opzione. Si avvicinò al tavolo e alla sedia rimasta libera, ma decise di non occuparla. Restando in piedi, osservando dall’alto l’uomo che era il suocero.

Era più furba di quanto sembrasse, si ritrovò a pensare lui, constando che non era caduta nel tranello. Provò un’altra strategia, “Allora sentiamo. Cosa ci fa qui la puttanella di mio figlio?” le chiese sprezzante e Bulma si morse la lingua. Di norma ad un’ingiuria del genere gli sarebbe saltato alla gola a suon d’insulti, ma se lo avesse fatto sarebbe caduta nella seconda imboscata che le stava tendendo.

“Mantieni la calma, mamma” le suggerì la voce immaginaria di suo figlio, da qualche parte nella sua mente, “Sì, e tu restami vicino Trunks” rispose al suo invisibile fantasma. “Sono qui per vedere il lavoro di Vegeta” disse mantenendo il tono di voce più atonale possibile. Inclinò il capo da un lato, poi dall’altro e di nuovo verso sinistra, in un gesto tipico di chi è concentrato ad osservare un’opera d’arte della quale non sembra essere convinto, “Gli dirò che ha dimenticato un punto” concluse, additando il lato destro sul volto dell’uomo. Nei suoi occhi brillò una luce di fastidio, che si premurò di mascherare dietro un falso sorriso. Tanto bastò a Bulma per comprendere che la battaglia preliminare l’aveva vinta lei, ma ora arrivava il difficile.

“Sono molto sorpresa” riprese lei dopo un attimo di silenzio, “Ah davvero? E di cosa?” la imbeccò l’uomo, senza dare segni di sconfitta. “Sono sorpresa che nonostante avesse un padre così, Vegeta è diventato l’uomo meraviglioso che è” un nuovo cenno d’ira si fece strada sul volto di lui, “Non meriti di averlo come figlio” Bulma lo provocò, poi incrociò le braccia ed attese.

Se non avesse avuto le mani costrette dalle manette, il suocero avrebbe compiuto lo stesso gesto, si limitò ad intrecciare le dita. “Io sono curioso di sapere quante cazzate racconta lui di me invece” le sorrise con quello sguardo malvagio, privo di evidenti emozioni, “Ti avrà detto che sono un mostro, non è così? Mi avrà accusato di tutto quello di sbagliato della sua vita. Ma lascia che ti dica una cosa, sono stato io da solo a dargli da mangiare, a pagare per i suoi studi e per le sue lezioni di pugilato” “Arti marziali. Vegeta pratica le arti marziali” lo corresse lei. “Quel che è” replicò lui, additandosi il volto contuso. “Non l’ho allevato perché diventasse uno sporco sbirro o per mettere al mondo dei bastardi con la prima puttana che trova, abbandonando la sua famiglia” riprese lui.

Lei restò in silenzio, “Trunks non era un bastardo” il timbro della voce calmo e pacato, nonostante la voglia di finire il lavoro iniziato dal marito sul viso dell’uomo. “Giusto, c’è anche quello per la quale mi colpevolizza. Il suo prezioso figlioletto” ironizzò lui ridacchiando. “Vegeta ha ragione” riprese a parlare Bulma, dopo aver studiato l’interlocutore per alcuni istanti “Tutte le cose sbagliate nella sua vita sono a causa tua. Se tu fossi stato un uomo diverso Vegeta non se ne sarebbe mai andato. E adesso avresti un figlio e un nipote” concluse, riportando il silenzio nella stanza.

Lui la guardò per un lungo istante ed infine capì. Ecco perché tra tutte le donne nell’intero universo aveva scelto questa. Era forte e determinata, non aveva paura ed era in grado di tenergli testa, forse addirittura meglio di suo figlio e molti degli uomini sotto il suo comando. Questa tizia aveva le palle.

All’improvviso scoppiò in una breve risata, restando a fissarla con quegli occhi intrisi di veleno e quel sorriso bieco. “Tu mi piaci” disse “Saresti stata una buona aggiunta alla mia… famiglia” continuò in un sussurro. Bulma restò immobile per un secondo, non sapendo cosa dire. Poi sbatté entrambe le mani sul tavolo, “Trunks era la mia famiglia!” esclamò, dimostrando per la prima volta le sue emozioni. Lui si chinò in avanti, poggiò i gomiti sulla stessa superficie ascoltando il cigolio della sedia nell’istante in cui si mosse. Incrociò le dita e portò il viso deturpato ad un battito di ciglio dalla donna “Vegeta è la mia” le alitò in faccia.

La tensione nella stanza era talmente alta che alle loro spalle persino i secondini di guardia alle rispettive porte sentirono un brivido di paura. Bulma non si mosse, “No, Vegeta era la tua famiglia, ricordi? L’hai detto anche tu, ti ha abbandonato” replicò in un fruscio. In un impulso di rabbia che l’uomo non riuscì a nascondere picchiò i palmi sulla superficie che li separava, poi si alzò. “Nessuno può distruggere ciò che ho creato! Nemmeno mio figlio! Non avrebbe dovuto andarsene!” abbaiò con una punta di isteria.

Bulma guardò gli occhi nascosti dalle fasciature, constatando che quelle stesse fattezze erano state tramandate per ben tre generazioni, ma ogni volta diversi dalla precedente. Si alzò per fissarlo dritto in faccia, scoprendo che l’uomo al suo cospetto era più alto del marito. “È per questo che hai dato l’ordine di sparare su un bambino innocente, per punire Vegeta?” assottigliò lo sguardo “Volevi togliergli ciò che di più caro avesse al mondo e nel farlo hai simulato un’esecuzione. Volevi che pagassero tutti. I tuoi rivali, la tua… famiglia. Persino la polizia” “Non tollero di essere giudicato da te, ragazzina. Vegeta aveva bisogno di una lezione e io ho fatto in modo che la ricevesse!” ringhiò con rabbia. Il portamento quasi regale che aveva fino ad un istante prima svanì nel nulla. Ora c’era solo rancore. “Ho passato tutta la vita a costruire il mio impero. Tu non hai idea dei sacrifici che ho fatto per ottenere questi risultati”.

La donna riportò indietro il busto, osservò il suocero e la sua rabbia per un istante. “Hai ragione, non ce l’ho” cominciò a dire “Ma sono sicura che un giudice sarà interessato a sentirli” “Cosa?” mormorò l’altro con sorpresa, osservando gli occhi azzurro cielo, come quelli di Trunks, spostarsi sulla telecamera posta in un angolo della stanza, alla quale lui dava le spalle. Impiegò alcuni secondi, poi capì l’errore, “No” farfugliò.

Bulma fece un passo indietro “Sono curiosa di vedere cosa farai adesso. Racconterai la verità agli sbirri o lascerai che a giudicarti saranno gli uomini che hai appena tradito?” “No” mormorò una seconda volta. Lei si voltò camminando con tutta calma in direzione della porta, ma prima di andarsene si girò a guardare l’uomo sgomento al centro della stanza. “Volevi vendicarti di Vegeta, ma hai fatto un grosso errore a sottovalutare il dolore di una madre. Nessuno mi ridarà mai il mio Trunks, ma da oggi sono sicura che qualsiasi scelta farai la tua vita sarà un inferno” e con questo uscì.


***


Piccolo sapeva di aver fatto la scelta giusta nel momento in cui, ancora seduta attorno al tavolo del bar, gli aveva dato il suo consenso appena aveva ascoltato il suo piano. Era rimasto molto sorpreso, si era recato alla loro ricerca preparandosi mille argomentazioni per convincere la donna ad aderire. D’altra parte era comprensibile che potesse essere spaventata alla prospettiva di incontrare l’uomo che aveva fatto uccidere il figlio. Si era inoltre aspettato di ricevere il sostegno di Vegeta, per questo aveva sperato di trovarli ancora insieme, ma la situazione si era rivelata all’opposto.

Con somma meraviglia si era visto recapitare tutte le urla e insulti da parte di un reticente Vegeta e l’assoluta cooperazione dalla moglie.

Se anche dopo l’episodio Piccolo avesse avuto qualche dubbio nei meandri della propria mente, l’attimo in cui la vide rifiutare la sedia preferendo restare in piedi attorno al tavolo, capì che erano in ottime mani.

Lui, Dende e una squadra di tecnici erano tutti rilegati nello stanzino con i monitor di sorveglianza, in fondo al corridoio, osservando con il fiato sospeso l’intera scena. Il piccolo microfono nascosto sotto la blusa della donna donava loro un audio perfetto, riuscendo ad ascoltare ogni parola che veniva sussurrata o urlata nella stanza.

Piccolo diede un’occhiata al suo assistente, in attesa di conferme e solo quando vide il giovane assicurargli con un cenno del capo che ogni secondo era stato registrato e poteva essere considerata un’arma valida, si concesse un sorriso. Era andata anche meglio del previsto, lei era riuscita ad aprire un varco nella muraglia che circondava di mistero l’uomo che voleva a tutti i costi incastrare. Una confessione era un perfetto punto di partenza.

“Tua moglie è un poliziotto migliore di te, Vegeta” commentò Piccolo, in apparenza solo al vento. Alle sue spalle il collega aveva osservato la scena poggiato al muro accanto alla porta, come se fosse pronto a scattare da un momento all’altro. Vegeta, dal canto suo, restò in silenzio. Gli occhi fissi sul monitor ancora per un breve istante, osservando la moglie uscire vittoriosa dalla stanza. Decise d’imitarla, superando l’ingresso e ritrovandosi ben presto nel corridoio.


***


Solo quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle capì che poteva tornare a respirare. L’adrenalina che l’aveva tenuta in piedi fino a quel momento stava cominciando ad abbandonarla. Era sul punto di chiedere ad una guardia lì vicino dove potesse sedersi, quando udì lo sbattere di un altro ingresso aprirsi con urgenza. Sollevò lo sguardo dal suolo giusto in tempo per vedere Vegeta uscire dalla stanza dei monitor. In un sussurro inudibile bisbigliò il suo nome e sperò di poter restare sulle proprie gambe ancora per pochi secondi.

Il suo fisico glielo concesse, dandole la forza di percorrere il corridoio e per lanciarsi tra le braccia dell’uomo che sembrò percepire il suo desiderio di essere sorretta. Vegeta le cinse le spalle, stringendola con quanta forza avesse e Bulma pensò che adesso poteva anche lasciarsi cullare da lui per un po'. Gli poggiò la testa sulla spalla e sussurrò “Ce l’ho fatta” “Sì” rispose lui.

Una parte del suo cervello le ricordò che avrebbe dovuto lasciarlo andare, che sciogliere l’abbraccio era la cosa più giusta e sensata da fare. Tuttavia Bulma non riuscì a farlo, con tenacia disse al suo cervello di tacere, perché non aveva nessuna intenzione di separarsi dal suo Vegeta, ora che l’aveva ritrovato.


CONTINUA…


  
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