Tenebrae ultra moenia


Guardò la porta. Era una semplice, normalissima porta di legno di quercia. E al momento attuale era ben chiusa.
Guardò la porta. E per l'ennesima volta si disse che non si sarebbe alzata, non si sarebbe diretta verso di essa, non avrebbe poggiato la mano sullo stipite, non avrebbe lasciato entrare la brezza notturna, non avrebbe permesso alla luna di illuminare quell'angolo delle mura, nè avrebbe lasciato che la campagna si ponesse alla sua vista.
Non avrebbe aperto quella porta.
Non avrebbe permesso alle dolci ore di amore di farle compiere un atto inconsulto. Non avrebbe lasciato che i suoi severei occhi azzurri e il suo sorriso -il suo sorriso, meraviglioso e tanto raro- ottenebrassero il suo giudizio.
Non l'avrebbe fatto. Semplicemente.
Le ore passavano. Lei tremava. La porta restava chiusa. Le guardie percorrevano il perimetro.
Scrutavano il buio fuori, nella campagna, in cerca dei nemici.
Non immaginavano neanche che il vero nemico potesse nascondersi nel buio dentro le mura. Che potesse trovarsi nel cuore di una giovane sacerdotessa di Vesta divisa fra onore e amore. Tra la salvezza della patria e il bacio di un singolo uomo. Tra vivere per sempre nel tempio, conscia di aver rotto un sacro giuramento, e morire subito tradendo ancora.
Si alzò. Non aveva più speranza.
Il vento soffiava. Le torce bruciavano.
E Tarpea aprì la porta.