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Autore: rossella0806    17/11/2016    2 recensioni
E' vero che la vita toglie sempre qualcosa per poi restituire con gli interessi?
E' quello che pensa Lara, una ragazza di ventitré anni, che studia Lingue a Milano ed è nata due volte.
Quattro anni prima, infatti, era stata rinvenuta esanime nella camera del convitto in cui si era trasferita dopo la fine delle superiori; l'incidente misterioso che l'ha vista coinvolta non è mai stato chiarito, costringendola a rimanere in coma per tre mesi.
Quando si sveglia, un giorno di fine aprile, non ricorda nulla, sa solo che deve riprendere in mano la sua vita e, per farlo, dovrà impiegare tutta la forza e la caparbietà che nemmeno lei sapeva di possedere.
La riabilitazione nel reparto di Neurochirurgia durerà un altro mese, ma alla fine ne uscirà vittoriosa e più determinata che mai, anche grazie all'aiuto del dottor Cavani, l'uomo a cui deve la sua stessa vita, e di cui si innamorerà perdutamente.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga ed in salita.
Riuscirà Lara ad affrontarla?
P.S. Il titolo della storia è un omaggio al film (tratto dall'omonimo libro) di Boris Pasternak "Il dottor Zivago", un autentico capolavoro che vi consiglio di vedere!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Friends will be friends,
when you’re in need of love
they give you care and attention
[…]
When you’re through with life and all hope
is lost,
hold out your hands ‘cos friends will be
                                                                                                                              friends right till the end

(Queen, “Friends will be friends” 1986)




Le parole mi fluivano come se ci fosse una mano invisibile intenta a farmele uscire dalla bocca.
Non provavo più alcun dubbio, alcuna vergogna o timore a confessare ad Alessia ciò che mi era accaduto, perché ogni frase mi appariva sorprendentemente naturale ed ovvia.
“E dove vi incontrate? Perché vi siete incontrati, vero?”

La mia amica mi guardava con aria in parte incredula ed in parte entusiasta: capivo infatti che, tutto sommato, appoggiava i miei colpi di testa e, da innamorata qual era, comprendeva i sentimenti che mi legavano a lui.
“Ci siamo rivisti tre settimane fa. L'ho chiamato due giorni dopo che siamo andati a pranzo. Lo so, forse ho fatto passare troppo poco tempo, ma non volevo perderlo un'altra volta, non me lo potevo permettere, capisci?”
Lei annuì pensierosa, ed arricciò bocca e naso, come a voler rifletterci un attimo.
“E poi? Cos'è successo?”
Distolsi lo sguardo da lei, mentre le campane del convitto suonavano la mezza, e mi immersi nei ricordi.


Non sembrò stupito dalla telefonata che gli feci quel pomeriggio in questione, tanto che pensai che la stava aspettando con la stessa trepidazione che, almeno per me, aveva caratterizzato quelle ore di lontananza.
Ci accordammo per rivederci la sera successiva, lasciando che fosse lui ad organizzare tutto.
Con Alessia tentai di comportarmi allo stesso modo, ma tanto lei passava la maggior parte del mattino e del pomeriggio rintanata in Università a seguire i corsi di perfezionamento di Lingue, quindi non mi preoccupai più di tanto di apparire naturale e spigliata.
In cuor mio, però, ero elettrizzata! Che cosa avrei dovuto mettermi? Gli era piaciuto il profumo al mughetto bianco che mi ero spruzzata quando ero andata alla visita? Dovevo truccarmi in modo leggero o sarebbe stato meglio forzare la mano?
Passai la notte che ci separava a rigirarmi nel letto, a prepararmi un discorso che risultasse efficace e maturo, ad immaginare come si sarebbe svolto il nostro incontro.
Finalmente, il momento tanto atteso arrivò, lasciando alle spalle tutti gli interrogativi.
Per telefono, il pomeriggio precedente, gli avevo spiegato dove alloggiavo e, alle sette, passò puntuale a prendermi.
L'orario era inusuale per i miei standard, ma temevo che la scelta gli fosse stata dettata dal fatto che, a casa
ad aspettarlo, ci fosse l'altra.
Mi portò a cena in un locale dall'altra parte della città, un ristorante molto grazioso, con la terrazza panoramica dalla quale si intravedevano le guglie del Duomo: per l'intera serata, fortunatamente, non accennammo mai alle nostre vite sentimentali, parlammo invece di libri e di film, di viaggi e di cibo.
Gli domandai come andasse il lavoro, se il personale fosse sempre lo stesso (a questo proposito, mi tenevo aggiornata grazie alle informazioni che mi passavano Marzia e Simona, le mie ex fisioterapiste, ma glielo chiesi per prolungare la conversazione e, quindi, il momento in cui avremmo dovuto separarci) e se ci fosse qualche novità che aveva piacere di condividere con me.
“Non è cambiato nulla, se non che ti ho ritrovata”
Mi sorrise mestamente, cercando un contatto con la mia mano destra impegnata a recuperare il bicchiere per bere, e lo lasciai fare.
Abbassai gli occhi in un gesto di schermo, lusingata dalle sue parole, sebbene avrei voluto precisare di non essere stata io quella ad essersi allontanata, dal momento che mi era stato imposto ormai quattro anni prima, seppure per il mio bene.
In quel ristorante, ogni volta che voltavo la testa, mi imbattevo in coppiette o allegre famiglie perse gli uni negli sguardi degli altri, e tirai un sospiro di sollievo accorgendomi che anche lui, proprio come quelli sconosciuti, sembrava essere così tanto a propio agio.
Alle dieci eravamo già sulla strada di ritorno: il coprifuoco al convitto scattava un'ora dopo, ma era inutile girovagare per la città come una qualunque coppia, perché di fatto noi non eravamo una qualunque coppia.

Le mille luci che emanavano i lampioni, che animavano le insegne o i cartelloni pubblicitari, si sommavano a quelle provenienti dalle abitazioni, creando uno spettacolo davvero incantevole, che mi spingeva ad ammirare ovunque quel panorama luminosissimo.
Insolitamente, non c'era molto traffico, e l'atmosfera che si era creata tra di noi era davvero piacevole.
Guardavo fuori dal finestrino leggermente abbassato, la brezza notturna che mi scompigliava le ciocche dei capelli lasciate libere dal morbido chignon.
Era calato il silenzio, ma capivo che entrambi avremmo voluto parlare, soprattutto lui, che approfittava ogni minuto per lanciarmi occhiate fugaci.
Feci finta di sistemarmi l'abito nero che mi ero comprata per l'occasione, cercando di pensare ad una battuta che risollevasse un po’ l'umore.
Qualche secondo dopo, però, fermò la sua Lancia Flavia davanti al convitto, e di nuovo l'emozione mi assalì prepotente.
“Allora, grazie mille per la serata” abbozzai timidamente.
Ci girammo, trovandoci l'uno di fronte all'altra: avrei dovuto avvicinarmi per baciarlo su una guancia? Avrei dovuto fare finta di niente, augurargli la buonanotte e scendere dalla macchina come se nulla fosse?
Ma fu lui a togliermi dall'imbarazzo o, dipende dai punti di vista, a mettermi in imbarazzo.
“Lara, ascolta, devo dirti una cosa. Sono stato benissimo questa sera con te: mi piace passare del tempo in tua compagnia, mi è sempre piaciuto, ma… uffa, è difficile dirtelo senza rovinare tutto”
Voltò per un istante la testa e appoggiò le mani sul volante, accarezzandolo.
Percorsi il profilo della sua fronte, del naso, della mascella puntellata di quella barba curatissima, fino a concentrarmi sulla camicia bianca firmata Zegna, che metteva in risalto l'incarnato già abbronzato.
Avrei dato qualsiasi cosa pur di stringerlo tra le mie braccia, qualsiasi cosa, lo giuro…
“Se mi vuoi dire che sei già impegnato, lo so. Con una cardiologa, giusto? O forse ne hai trovata un'altra?”
Lui tornò a guardarmi con aria stupita, poi sorrise sornione.
“Ho sempre pensato che oltre ad essere bella fossi anche intelligente. E, ammetto volentieri, che non mi sono sbagliato”
Cercai di sorridere a mia volta, anche se, dentro di me, avrei voluto schiaffeggiarlo, imporgli di lasciare l'altra, gridargli che ero io la migliore, quella che lo amava e lo aveva sempre amato.
“Siete sposati?”
“No… Anzi, a questo proposito, c'è un'altra cosa che devo dirti…”
“Lo so, cioè so che sei separato”
“Chi te lo ha detto?” si stupì, mentre i fari di una macchina che passava illuminavano il suo viso piacevolmente sorpreso.
“Diciamo che l'ho scoperto grazie alle famose voci di corridoio”
Aspettai che proseguisse, ma non disse più nulla, quindi ripresi io la parola.
“Per me non è un problema, davvero. Voglio dire, non mi importa se tu sei impegnato con un'altra persona: non ti imporrò nulla, non ti assillerò, se è questo che temi, né sarò gelosa, almeno cercherò di non esagerare. Insomma, non ti chiedo nulla, solo di stare con me. Se tu lo vuoi, ovviamente”
Mi guardò per qualche secondo negli occhi, mentre avvertivo il cuore scoppiarmi nel petto.
Poi, finalmente accadde: avvicinò la sua bocca alla mia, baciandomi lentamente, le mani che mi accarezzavano il viso.
Non ero stupita dal gesto, perché era ciò che desideravo dall'inizio della serata, la fantasia proibita che, da quando lo avevo rivisto tre giorni prima, speravo si realizzasse.
Ci allontanammo sorridendo, scrutandoci forse con una punta di imbarazzo, per poi abbracciarci e respirare l'uno il profumo dell'altra.
Avrei voluto stare lì tutta la notte, andare via insieme e perderci per la città, ma non volevo rovinare tutto e, soprattutto, dovevo schiarirmi le idee, razionalizzare la mia immensa felicità.
“Ora devo andare… quando ci rivedremo? Oh scusa, ho appena promesso che non ti avrei assillato!” sdrammatizzai, abbassando lo sguardo e costringendomi a non urlare di gioia.
“Presto, molto presto. Ti scrivo domani, d'accordo? Sono di guardia, così avrò più tempo”
Mi baciò ancora una volta, quindi scesi dalla Lancia, salutandolo con un sorriso.
Quella notte, com'era prevedibile, mi addormentai molto tardi: presi sonno che erano le tre meno un quarto.


“Oh Lara, che storia incredibile” sospirò trasognata Alessia, mentre appoggiava la schiena alla panchina del parco.
“Ma ancora non ho capito come e dove vi incontrate…”
Ecco, mi dissi, lo sapevo che sarebbe arrivato il punto dolente.
“Beh, in un albergo, che tra l'altro non è neppure molto distante dall'ospedale in cui lavora”
“Che cosa?!! Sei impazzita?! In un albergo come… come… sì, insomma, hai capito come chi!”
Le presi le mani, intente a gesticolare, e la rassicurai con un sospiro, suggerendole di calmarsi.
“È l'unico posto che abbiamo trovato. Qui al convitto non posso di certo portarlo:
in quella camera ci siamo strette noi! E a casa sua… beh, lo sai perché non possiamo, te l'ho appena detto”
Mi grattai una tempia con fare nervoso, sperando che almeno lei mi capisse e non ricominciasse a tediarmi con la solita morale.
“Ma Lara, non credo sia una bella cosa! Voglio dire, immagina che qualcuno ti riconosca, che metta in giro delle strane voci sul tuo conto, che figura ci fai? Tu vali molto di più, non meriti di essere paragonata ad una… beh, ci siamo capiti, no? O cavoli, non ci voglio nemmeno pensare!”
“Cosa c'entra, Alessia?! Lo stesso discorso vale anche per lui, anzi, è lui quello che rischia di più in tutta questa storia! Non pensi al suo lavoro, alla sua reputazione? Io sì, io ci penso ogni giorno ed ogni volta che ci incontriamo!”
Mi stavo arrabbiando, ma sapevo che la mia amica non c'entrava nulla, che non dovevo sfogare la mia frustrazione su di lei.
Era tutta colpa del tempo, delle circostanze in cui lo avevo conosciuto, forse persino della differenza di età.
Ma se non fossi stata in coma, lo avresti mai incontrato?
Quella domanda cominciò a ronzarmi in testa in modo prepotente e martellante, tanto da non poterla ignorare.
Mi risposi di no, che probabilmente non lo avrei mai incontrato. O forse sì, chi può dirlo?
E allora, come sarebbe stata la tua vita?
A questo era impossibile rispondere, com'è tutt'oggi inutile e privo di senso tentare di farlo.
“Scusami, non volevo ferirti” mi abbracciò Alessia.
Ricambiai quel gesto affettuoso con trasporto: avevo bisogno di confidarmi con qualcuno, avevo bisogno che qualcuno mi capisse e non mi giudicasse, ma accettasse le mie scelte, per il semplice fatto che fossero scelte dettate dall'amore profondo, totale e incessante che provavo per lui.
“Grazie che ci sei sempre” dissi semplicemente, sciogliendomi dall'abbraccio e guardandola negli occhi azzurri.
“Lo sai che su di me puoi contare. Posso anche non condividere il tuo punto di vista, Lara, ed è così, ma se questo ti fa stare bene, se vi amate, adesso è questo l'importante, quello che conta veramente. Sono sicura che, prima o poi, troverete una soluzione. Ma ora torniamo al convitto: mi sto arrostendo con tutto questo sole, sembra di essere nel deserto!”
Ridemmo entrambe a quella battuta, stanche di sopportare quella calura dettata dai raggi dell'una.
La aiutai a recuperare le borse piene di acquisti, e ci avviammo verso il convitto, le fronde dei salici immobili.



Adesso, con il tanto odiato e saggio senno del poi, continuo a ripensare a quei giorni come se mi fossi trovata su di un altro pianeta, dalla cui superificie misteriosa scorgevo ciò che invece mi stava accadendo sulla Terra, non riuscendo però a razionalizzare e ad affrontare l'intera situazione con la serietà che necessitava.
E' strano e alquanto difficile da spiegarvi senza rischiare di affrettare i tempi di questa storia, ma non so in quale altra maniera potrei raccontarvi ogni cosa.
Anzi, ad essere completamente sinceri, mi sono accorta di non averlo mai chiamato con il suo nome di battesimo, ma sempre e soltanto appellandomi a lui con il titolo di dottor Cavani.
Dio santo, quanto amavo e quanto amo quell'uomo!
Ero come ossessionata da lui, tanto da rifiutarmi di incontrare qualsiasi altro ragazzo che mi degnasse di vaghe attenzioni o che mi attraesse
anche solo lontanamente.
Io volevo e voglio solo lui, come ve lo devo dire?!
Certo, è buffo pensare che non so neppure dove abita, insomma, non conosco né il suo indirizzo e nemmeno l'albero genealogico della sua famiglia (non tutto, ovviamente, ma almeno sapere chi sono i suoi genitori).
Di lui, praticamente, non so quasi nulla.
Prima di rincontrarci, non mi vergogno a dire che passavo interi pomeriggi a navigare sui siti delle rubriche telefoniche per cercare di rintracciare il suo numero di fisso, senza mai riuscirci, e cadendo puntualmente nello sconforto più nero.
Avevo persino immaginato di assumere un investigatore privato che mi aiutasse a rintracciarne l'abitazione, che lo pedinasse, che mi sapesse dire che targa di automobile avesse, ma fui costretta a demordere a causa delle mie ristrettezze finanziarie.
Pensate che io sia una stalker, vero? Beh, non mi importa!
Io so solo che non ho mai provato nulla di simile per un'altra persona, che il sentimento viscerale che nutro nei suoi confronti è talmente immenso e sincero che quasi mi spaventa e mi stordisce!
Bene, ora devo interrompere questa parte del racconto, ma proseguirò presto per aggiornarvi su un avvenimento che ha letteralmente cambiato la mia visione delle cose, sconvolgendole ancora una volta.
   
 
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