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Autore: ten12    19/11/2016    3 recensioni
"Esistevano cinque ordini dello spirito. Alcuni di essi hanno assunto, nel tempo, l'aspetto di casate. Ogni ordine viveva in armonia con la natura ed infondeva il corpo dei suoi accoliti con il respiro dei cinque dei. Il loro obiettivo era proteggere e governare secondo i costumi e le caratteristiche della divinità protettrice. Ma negli anni gli ordini persero la loro purezza e divennero altro, opprimendo i sudditi ed uccidendosi tra loro. Finché la ribellione non scoppiò. Oggi, come sapete, l'ordine dell'Aquila, che magari voi chiamate famiglia, è distrutto e dalle sue ceneri è nato l'impero dei comuni e, come alcuni dei miei lettori forse sapranno meglio di me, esso sta battendo alle nostre porte avido di potere..." Estratto dal libro "La nascita del terrore" di joguntas Wart.
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Parabellum'
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Dolore

 

Lykta rotolò in avanti a destra. La violenta zampata del licantropo spacco il terreno. Pezzetti di terriccio e pietra saltarono in aria per la forza dell'impatto. Il figlio dell'orso girò velocemente su se stesso e sferrò un fendente al muso della bestia. La lama passo morbidamente attraverso il muscolo della spalla ed il lato sinistro del volto del licantropo. Il metamorfo tirò una seconda zampata di riflesso che Lykta schivò scattando indietro. Il dolore raggiunse il centro nervoso ed il licantropo si afferrò il muso nel punto in cui la lama aveva tagliato a metà l'occhio sinistro. Lykta sfruttò il momento. Il figlio dell'orso prese la rincorsa, saltò e calò a mezz'aria un violentissimo fendente nel cranio della creatura urlando di rabbia e dolore.

 

La bora soffiava sulle scale ghiacciate che portavano all'entrata del Trono Bruno: il palazzo reale, se così lo si voleva definire. Queste, scavate nella roccia viva della montagna Kjita, erano teoricamente coperte dal vento perché concepite come una sorta di sottopassaggio aperto. La bora in particolare però finiva sempre per incanalarsi lì dentro, congelando velocemente la neve che vi si accumulava. Gli stivali in pelliccia di Lykta, grazie ai tacchetti metallici ricurvi, si attaccarono al ghiaccio senza problemi. La testa fracassata del licantropo penzolava dal gancio al fianco del figlio dell'orso. La facciata in pietra levigata dell'edificio luccicava di un blu scuro sotto i deboli raggi di sole. Il corpo di Kerint, sorretto dalle braccia di Lykta, si stava raffreddando rapidamente. Il palazzo era antico millenni. L'intero complesso era stato scavato all'interno della montagna e viveva in sinergia con essa. Nessun mattone o collante aveva mai visto la sommità di Kjita. Il figlio dell'ordine fissava inespressivo le porte di legno fossile rinforzate. Nessuno pattugliava l'entrata a causa del freddo. Lykta posizionò meglio il corpo del fratello. Usò il braccio sinistro e la spalla come schienale e fece passare l'avambraccio sotto alle ginocchia aggrappandosi al lato della gamba più interna. Tenne il fratello così, come un infante addormentato, mentre picchiava il pugno con rabbia contro le porte pesanti tonnellate facendole tremare.

 

Il chiacchiericcio all'interno del palazzo si fece minimo al passaggio della madre dell'orso "Tutto pronto?" Chiese Ivona con la voce femminile deformata dal nervosismo "Quasi mia signore" rispose calma la giovane servitrice dai capelli corvini "Più veloci! Più veloci! Quando quei due scapestrati tornano avranno freddo e fame!" La servitrice annuì ed alzò gli occhi al cielo dopo che la padrona di casa si voltò. Ivona scese la scala a chiocciola che connetteva il piano superiore, quello del trono, e la sala per i "ricevimenti".L'enorme androne era riscaldato da un sistema di tubi sotterranei bucati che lasciavano uscire il vapore bollente attraverso delle grate grezze. I canali erano tre: due sottostanti le alte finestre ai lati dell'edificio ed uno che separava  i tavoli al centro della sala riscaldando i commensali. Ivona concentrò il suo nervosismo sul vecchio guardacaccia "Jatog!  Soffia su quel dannato fuoco!" L'uomo si armò di pazienza cercando di non pensare che quella era la terza volta che la donna scendeva come una tempesta. Jatog era un cacciatore asciutto sul metro e settanta. Capelli, occhi e baffi grigi erano un'addizione all'aura di saggezza che già lo circondava. Avrebbe preferito essere lì fuori ad aiutare i due ragazzi. Si trovava invece a sventagliare sulla legna del forno che scaldava il vapore. Ivona fece capolino "Allora? Forza! Soffia Jatog!" "Guarda che se soffio con la bocca mica migliora" pensò freddamente il guardacaccia rispondendo "Mia signora c'è la sto mettendo tutta" e cercando di sembrare il più convincente possibile. Le porte del palazzo tremarono "Tornati! Tirate fuori quella zuppa! Allungatela con l'acqua se secca! Metteteci del pane se liquida! FORZA! FORZA! Avanti ragazzoni..." Disse indicando i quattro Kjitanet all'entrata "Aprite quelle porte ai vostri luogotenenti!" I soldati si guardarono mentre  tiravano le pesanti ante sperando in cuor loro che Lykta avesse ucciso la preda. Sarebbe stata una notte di bagordi allora.

 

La bora uccise le torce che proiettavano la loro calda luce all'interno dell'androne. In un attimo la sala divenne gelida. Lykta entrò a passi lenti. Teneva il fratello con entrambe le braccia. La sala era ammutolita. La servitrice corvina con cui aveva parlato Ivona poco prima cadde in ginocchio urlando e piangendo vedendo Kerint dal terrazzino al piano superiore.. Il volto giovane fu deformato in una maschera di dolore corrucciata ed incredula. Ivona, la madre di Kerint, non si mosse. Lykta posò il corpo del fratello sul tavolo in legno grezzo dove avrebbero dovuto mangiare. Mentre la giovane si disperava alle sue spalle Ivona si avvicinava silenziosa . Lacrime solitarie si perdevano tra le rughe del vecchio volto. L'anziana donna deglutì, chiuse gli occhi al figlio con una mano e si allontanò verso le sue stanza, incapace di sostenere la situazione. Jatog si fece avanti "Chiudete!" Le guardie erano troppo stordite a fissare il loro amato comandante per sentirlo "Siete sordi dannazione!?CHIUDETE!" I Kjitanet si ripresero e chiusero le antiche porte. Jatog si accostò al figlio dell'orso mettendogli una mano sulla spalla "Lykta dammi una mano a portarlo su in cortile" Il ragazzo rimase a fissare amaramente il volto esangue del fratello. Fiocchi di neve si erano incastrati nelle ciglia "Figliolo per favore. Dobbiamo farlo prima che il corpo cominci a decomporsi" Jatog accompagnò la frase scuotendo Lykta per la spalla. Dopo qualche secondo il figlio dell'orso reagì "Va bene vecchio. Portiamolo su" Jatog ebbe un momento di sorpresa e dolore. Il guardacaccia aveva cresciuto ed addestrato Lykta prendendolo sotto la sua ala. Provò ad ignorare il comportamento del pupillo ipotizzando come causa quel dolore che lui stesso faticava a controllare. Jatog prese il corpo per le braccia, Lykta per le gambe.

 

Avevano evitato di prendere la scala a chiocciola. Era meglio non passare per le stanze dei Kjitanet e del re. Avevano scelto i corridoi della servitù ed erano uscitì sul terrazzo a strapiombo sul ghiacciaio Lykta. Lì, rampicanti millenari vivevano a temperature estremamente fredde aggrappandosi alla faccia posteriore del Palazzo fin sulla cima dell'Occhio di Kjita, la torre più alta delle terre esplorate. Jatog e Lykta posarono il corpo di Kerint su una delle otto panchine in pietra liquida. La faccia superiore d'essa si adattò alla figura del figlio dell'orso deceduto come un guanto. Jatog alzò lo sguardo sul suo pupillo "Cos'è successo la sotto ragazzo".

 

   
 
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