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Autore: ClaireOwen    21/11/2016    6 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ci sono, ci sono! Pronto per voi ho un nuovo capitolo sul quale ho rimuginato tantissimo e soprattutto a lungo, avevo delle idee in mente già molto prima di arrivare a questo punto della narrazione, vi spiego meglio.
Ho preso ispirazione da un film visto un annetto fa che ho trovato tenerissimo e molto carino, si chiama "Two night stand" con l'adorabile Miles Teller e la bellissima  Analeigh Tipton, in realtà mi sono servita solo di un espediente narrativo (a base di neve dato che "l'inverno sta arrivando" ahah) che mi sembrava più o meno simpatico da sviluppare in una situazione del tutto diversa, ora se per caso avete visto il film già potrete figurarvi un qualcosa altrimenti vi lascio all'effetto sorpresa e magari vi ho solo suggerito un titolo di un film leggero e dai toni super fluff da vedere
:)

Per il resto vi ringrazio immensamente, mi avete lasciato tantissime recensioni sull'ultimo capitolo, ed essendo una più bella dell'altra mi avete quasi fatto scendere una lacrimuccia!
Come ormai sapete, mi trovate qui, se volete dirmi cosa ne pensate, darmi un consiglio, fare una critica... leggervi mi fa sempre un piacere smisurato 

Un bacione,
vostra Chiara.



 



XII
 
I momenti dei saluti arrivarono velocemente e Clarke lesse nello sguardo di Wells un’intenzione particolare comunque velata ed imbarazzata ma ben riconoscibile. Cercò di mantenere la calma mentre il ragazzo le si avvicinava titubante, le labbra scure e carnose puntavano le sue ancora più pallide per il freddo.
Non era quello che voleva, non da lui e poi avrebbe portato solo maggiori complicazioni tuttavia allo stesso tempo non voleva ferirlo, le sembrava così fragile ed era stato così dolce nell’architettare nel modo più maniacale un perfetto appuntamento romantico, non mancava davvero nulla e quello sarebbe stato, senza alcun dubbio, l’adeguato epilogo.
Tutto si fece più semplice quando lui ormai ad una distanza più che ridotta chiuse i suoi occhi ed avanzò ancora, adesso un po’ più deciso e sicuro, oramai si trattava di istanti ma in pochi secondi, d’istinto, la bionda voltò il capo facendo sì che il bacio di Wells si stampasse direttamente sulla sua guancia.
Tirò un sospiro di sollievo, non era il tipo di persona pronta a concedersi così, non dopo una settimana come quella quantomeno, non ad un ragazzo che di base era il solo vero amico che aveva a Boston, non adesso che i suoi sentimenti confusi aleggiavano insistentemente nella sua testa.
Fu lieta di non doverlo guardare negli occhi, essendosi voltata per tempo riuscì ad evitarlo, non avrebbe sorretto la delusione stampata a caratteri cubitali nel suo sguardo e senza dire nulla, dopo quel lieve contatto, girò sui tacchi e si diresse senza voltarsi verso l’ingresso.
Tenne lo sguardo basso notando che la neve stava già attecchendo al terreno e che l’intensità della precipitazione si faceva man mano più abbondante, non che le importasse fare considerazioni metereologiche ma cercò di distrarsi per non pensare alla figura di Wells che sicuramente stava ancora alle sue spalle aspettando un colpo di scena o probabilmente torturandosi con le più svariate domande.
Non era colpa sua, qualunque ragazza avrebbe potuto trovarlo attraente, qualsiasi ragazza normale si sarebbe sciolta di fronte a quel classico romanticismo da far invidia alla più illustre commedia sul genere, solo non Clarke, lei non era fatta in quel modo, sceglieva la via più difficile, era sempre stato così e per quanto ne sapeva, le cose non sarebbero cambiate quella notte.
Le luci erano spente e un forte odore di popcorn aleggiava nella sala ma la biondissima Griffin non vi badò, non aveva la più pallida idea se ci fosse qualcuno sveglio anche se giurò di aver sentito uno strano rumore sordo provenire dalla camera di Bellamy ma decise di non impicciarsi, la serata era stata già abbastanza densa di eventi,  così corse verso la sua stanza.
 
Si spogliò velocemente guardandosi allo specchio e provando una strana sensazione, si sentiva così lontana dalla figura proiettata sul vetro riflettente, vedeva una giovane donna, un corpo sano e aitante tuttavia si sentiva così distante da quella visione.
Aveva infranto un cuore senza provi rimedio quella sera, senza preoccuparsi di trovare una soluzione ed era scappata prima che qualsiasi senso di colpa potesse assalirla.
Cercò di non pensarci, spegnendo la luce, i suoi piani erano andati in fumo pensò, mentre si lasciava avvolgere dal piumone.
Si era illusa di poter dimenticare facilmente quelle sensazioni provate per Bell solo accettando di uscire con il suo collega di tirocinio ma se poteva ancora riconoscere distintamente lo strano sapore che la bile le aveva procurato quando Raven le aveva rivelato l’entità del suo rapporto con il maggiore dei Blake probabilmente tutto quello non era servito a niente.
Cercò con tutta sé stessa di scansare quei pensieri ma le sembrò impossibile soprattutto perché in quel letto si sentì profondamente piccola, il materasso era ancora freddo e la ragazza era rannicchiata in posizione fetale, solo due notti prima senza che potesse davvero realizzarlo aveva dormito il sonno migliore della sua vita e anche se sarebbe stato difficile ammetterlo non era per via dell’alcol o della stanchezza, si era sentita protetta ci avrebbe scommesso, anche se non poteva cercare una conferma nei ricordi annebbiati, sapeva che quella richiesta spudorata e fin troppo trasparente non era stata formulata casualmente.
Adesso, sola nel silenzio più assoluto e nel buio profondo, sentiva disperatamente il bisogno di avere accanto il corpo forte e rassicurante di Bell, avrebbe voluto aggrapparsi alle sue spalle, ai suoi fianchi e non staccarvisi più, ripercorse mentalmente la percezione delle sue gambe intrecciate a quelle del ragazzo, rivide il suo profilo dormiente e si rese conto di aver provato qualcosa di molto simile alla felicità, nonostante tutto.
Ora un muro nemmeno troppo spesso li separava, chissà cosa passava nella mente di Bellamy Blake.
 
-
 
Si svegliò di soprassalto, nonostante il freddo percepì la fronte imperlata dal sudore, sentiva i capelli appiccicati alla testa.
Si alzò velocemente e senza badare a nulla attorno a lui, ancora semi incosciente e con gli occhi quasi chiusi, si precipitò in bagno, aprì l’acqua della doccia e vi si buttò sotto.
Si era svegliato senza riuscire a capire se stesse sognando o ripercorrendo semplicemente con la mente ciò a cui aveva dovuto assistere, era pervaso da un senso di nausea e non sapeva se i brividi che sentiva lungo la schiena erano dovuti a quello o al freddo che sembrava aver avvolto la casa intera.
Pian, piano sotto il getto bollente i suoi sensi si svegliarono ed i nervi si sciolsero. Respirò mentre il vetro della cabina si appannava e i suoi pensieri addensavano la testa. Una goccia di sapone finì sul dorso della mano con la quale ieri si era sfogato colpendo l’armadio e il ragazzo quasi soffocò un urlo secco, l’impatto con l’armadio non era stato delicato, lo sapeva bene ma ora portando il suo sguardo alla ferita s’impressionò, era molto più profonda di quanto avesse potuto immaginare, la sentiva pulsare proprio come il suo cuore dolente l’altra sera alla finestra. Digrignò i denti e cercò nuovamente di tranquillizzarsi appoggiando la schiena alle mattonelle fredde dietro di lui mentre sentiva quello strano contrasto tra l’acqua bollente e la ceramica gelida.
Decise che avrebbe passato la mattina in camera, sarebbe uscito solo quando avrebbe avuto la certezza che Clarke non fosse stata nei dintorni. Prima o poi sarebbe tornata al suo maledettissimo tirocinio, adesso che aveva un motivò in più per apprezzarlo probabilmente non avrebbe aspettato altro… Forse si lasciò sfuggire involontariamente una singola lacrima che si confuse rapidamente con le gocce d’acqua che rapidamente s’infrangevano sul suo corpo.
 
Fu rapido ad asciugarsi i capelli che gli si gonfiarono più del solito e cercò di correre velocemente  verso la cucina per prepararsi una scorta di caffè e poter resistere così al suo isolamento autoindotto e programmato al fine di evitare scontri diretti con la principessa.
Tuttavia sembrò che le cose dovessero complicarsi e basta, il suo telefono squillò ancor prima che potesse osservare la situazione con i propri occhi.
“Pronto?”
“Bell, per l’amor del cielo, stai bene? Sei a casa?”
“O’?! Si certo, sono qui ed è tutto okay perché?”
“Come perché!? Non ti sei ancora affacciato alla finestra? Accendi la tv, c’è un disastro! Boston è completamente bloccata, la nevicata di stanotte si è trasformata in una tempesta e non accenna a smettere.”
“Cosa? Ma tu dove sei?”
“Tranquillo io sto bene, sono a casa del mio… amico Lincoln.”
Bell reagì con un grugnito a quella pseudo confessione.
“Spero risolvano questa situazione di merda il prima possibile o…” Ed esaurì la frase in un ringhio esasperato.
“Sei sicuro che vada tutto bene? Per favore non farmi preoccupare, non sei solo vero? Clarke è con te?”
Sembrava davvero che i ruoli si fossero invertiti.
“Si O’, tutto sotto controllo e si, la principessa sul pisello è qui…”
“Smettila di chiamarla così dai… Comunque accendi la tv, se ci sono novità, ci aggiorniamo.”
“Già, buona idea.”
“Un bacio!”
“Ti prego, fai attenzione.”
La sentì sbuffare dall’altro lato della cornetta mentre riattaccava senza degnarlo di una vera e propria risposta.
Nel frattempo il maggiore dei Blake si era precipitato alla finestra dalla quale non si vedeva praticamente nulla, poté realizzare solo adesso che il vetro era quasi del tutto coperto da uno strato di coltre bianchissima, così corse alla porta e provò ad aprirla.
Nulla, era completamente bloccata, ostruita da solo Dio sapeva quanta neve.
I suoi piani stavano andando in frantumi, se nessuno dei due poteva uscire di casa, per chissà quanto tempo poi, evitare Clarke sarebbe diventata un’impresa ardua se non impossibile.
Allarmato accese il televisore proprio come Octavia gli aveva suggerito, su tutti i canali gridavano all’allarme naturale, era del tutto fuori luogo che una tempesta di neve di quel calibro si abbattesse su Boston proprio l’ultima notte di Novembre, i giornalisti accusavano il sindaco di non essere ancora pronto all’eventualità mentre nel frattempo si raccomandavano di restare in casa.
“E chi esce con la porta bloccata…” si ritrovò a pensare con tono polemico Bell. Sospirò mentre sentì i passi dell’unica altra persona presente in casa farsi più vicini.
 
-
 
“Hei!”
Bell le fece un cenno con la testa, non aggiunse altro, non la guardò nemmeno, era troppo occupato a scrutare il televisore.
Appena sveglia Clarke aveva subito notato l’abnorme quantità di neve che ricopriva tutto il vicinato, era rimasta cinque minuti buoni, a dirla tutta, a scrutare il panorama, lo trovava così rilassante, amava il modo in cui la neve addolciva ogni linea. Non si era stupita dunque nel sentire quelle notizie alla tv, lo stesso però non poteva dirsi per il giovane Blake che non solo sembrava ancora non farsene una ragione ma le appariva anche piuttosto infastidito.
“Perché sembri così turbato? Non succede spesso anche a Boston?”
Disse mentre lo osservava incuriosita da quella sua espressione così tesa e inquieta.
“Non a Novembre.”
Rispose secco.
“Tecnicamente oggi è Dicembre…”
Si morse la lingua, chiedendosi perché aveva quello stupido vizio di dover precisare qualsiasi cosa anche se ,stranamente, il pungente Blake non sembrò farci caso e scosse solo leggermente la testa, lei provò a mandare avanti la conversazione.
“Voglio dire, non sei contento che potrai startene una giornata in tranquillità senza il bisogno di dover prendere ferie o dar conto a qualcuno?”
“Non ho mica dieci anni… Sarebbe come i bambini che sono felici di saltare scuola, non mi appartiene.”
“Okay, scusa allora… Era solo per dire!”
Disse Clarke disturbata da quel suo modo di fare, non riusciva davvero a comprendere da dove venisse, sapeva che molte persone potevano essere definite meteoropatiche ma non aveva mai visto qualcuno reagire così male dinnanzi ad una nevicata…
Lo lasciò davanti la tv mentre dirigendosi verso l’angolo cottura si rese conto che il ragazzo non si era degnato di fare nemmeno il caffè, sentiva qualcosa di davvero strano nell’aria ma non era in grado di captarlo ed analizzarlo, non capiva come Bell in sole quarantotto ore potesse essere passato dall’essere la persona più premurosa del mondo, tanto da dormire con lei, all’essere così scontroso e quasi insopportabile. Forse Raven sarebbe stata in grado di capirlo, forse lei poteva essere capace a smussare questo lato del suo carattere, chissà com’erano insieme…
Il bollitore le cascò dalle mani per la distrazione che quel pensiero le aveva procurato ed il frastuono della plastica sul pavimento rimbombò tra le mura.
“Che diavolo principessa, potresti prestare attenzione?”
Lei lo guardò infastidita, qualunque cosa avesse non poteva farla ricadere su di lei come se fosse la responsabile di ogni suo problema.
Tuttavia non gli rispose mentre si chinò per raccogliere i componenti di quel maledetto bollitore, invece continuò a torturarsi mentre riprese la preparazione, quel ragazzo l’avrebbe fatta impazzire se avesse continuato così, si sentì esattamente come la prima volta che lo aveva visto.
Lui non sembrava minimamente interessato a  staccarsi un attimo dal televisore, era come se lei fosse invisibile ai suoi occhi, a meno che non sbagliasse qualcosa, allora il ragazzo aveva magicamente una risposta pronta ed acida da rifilarle.
Gli si avvicinò stringendo la tazza bollente e cercando di scaldarsi come poteva, sembrava che il gelo fosse penetrato da ogni singola fessura invadendo l’intera casa oltre che il rapporto tra i due.
“Cosa dicono?”
“Non hai sentito?”
“Ero distratta.”
“Pare che continuerà così fino a domani, è tutto bloccato, tutto chiuso.”
“O’ dorme ancora?”
“Octavia non è in casa.”
Forse era questo che infastidiva il giovane Blake allora.
Tant’è che con un gesto piuttosto furibondo il moro spense la televisione lasciandola lì da sola, davanti uno schermo vuoto.
Doveva essere così, era sicuramente arrabbiato con la sorella, probabilmente la poverina aveva dovuto vuotare il sacco e dirgli che se ne stava da Lincoln e Bell che per la prima volta non poteva correre da lei doveva aver reagito particolarmente male alla frustrazione che lo aveva assalito, fu la motivazione più plausibile e concreta a cui Clarke riuscì a pensare.
Eppure, nonostante quella teoria avesse senso non riuscì a fare a meno di continuare a pensarci, avrebbe voluto essere sicura di cosa fosse a far stare Bellamy in quel modo, pretendeva una conferma e senza pensarci molto decise di chiamare la più giovane dei Blake.
“Si?”
“Hei O’ sono Clarke, tutto okay?”
“Ciao! Si dai, passerà, ci siamo abituati, forse era un po’ troppo presto ma insomma… Voi tutto bene? E’ successo qualcosa?”
“No… volevo solo chiederti un parere.”
“Dimmi pure.”
“Hai sentito Bell stamattina, vero?”
“Si, mi sembrava strano, come arrabbiato per chissà cosa.”
“E’ perché gli hai detto dove sei?”
“Oh bhè, gliel’ho dovuto dire per forza di cose ma non si è scomposto più di tanto, l’ho sentito così da prima a dirla tutta…”
“Ah…”
“Perché?”
“L’ho notato anch’io, solo non ha voluto parlare, in realtà è stato davvero scontroso.”
“In ogni caso credo che tu sia l’unica in grado di poter stabilire un contatto umano con lui.”
“Non ne sarei così sicura.”
“Fidati.”
“Dai, non voglio ammorbarti, ci vediamo appena riusciranno a mettere in funzione qualche spazzaneve.”
Riagganciò e si rigirò il telefono per le mani, poi si alzò di scatto e cominciò a fare su e giù per la stanza, sentiva uno strano nervosismo crescerle dentro. Probabilmente provò ad odiarsi, o ad odiare Bell quanto meno, non voleva stare in quel modo per qualcuno, non voleva perdere la testa, non si sarebbe mai sentita tranquilla se non fosse stata certa di avere la situazione sotto controllo ed era evidente che le cose non stavano così.
 
-
 
Si ricordò che quando Clarke era appena arrivata in casa loro era proprio lei a sparire per ore nella sua camera, forse in quel modo sarebbe riuscito ad evitarla ancora per un po’. Certo, pensò che probabilmente la ragazza era portata a farlo perché di certo non l’ avevano accolta con dei festoni ed un tappeto rosso…
In realtà la colpa era stata la sua, era lui ad esser stato decisamente poco amichevole e adesso non riusciva a biasimare la ragazza per quella scelta, era logico che si sentisse a disagio.
Il punto è che le situazioni non erano poi paragonabili, all’epoca la principessina poteva sentirsi indesiderata eppure adesso quando se la ritrovava davanti non poteva fare a meno di ripercorre con la mente quella scena alla quale, per sbaglio, aveva assistito almeno fino al momento in cui non era diventata davvero troppo da sopportare.
Quando quella mattina la vide provò un senso di rabbia misto a profonda amarezza e fece di tutto per nascondere le sue insulse sensazioni ma gli risultò davvero complicato. La frustrazione non lo aiutava, aveva sempre provato un enorme sollievo nel parlare con Clarke ma adesso non poteva farlo perché avrebbe voluto dire far chiarezza sui sentimenti che la riguardavano. Sarebbe stato come ammettere di provare qualcosa per lei, peccato che il tempismo non era davvero il forte del maggiore dei Blake.
Ma per quanto ancora poteva rimanere chiuso lì dentro? Avrebbe dovuto resistere ma poi per dimostrare cosa? E soprattutto a chi?
 
Sentì bussare alla porta e sospirò, evidentemente porsi tutte quelle domande retoriche non stava servendo a niente.
“Che c’è?”
“Senti, ho capito che te ne vuoi stare per i fatti tuoi e che probabilmente sei in collera per tua sorella ma non ti avrei disturbato se non fosse piuttosto importante.”
Grugnì qualcosa, invitandola a venire al dunque, non gli andava giù che avesse tirato in mezzo sua sorella, stranamente, per una volta, non si trattava di lei.
“Ti sei accorto stamattina che i riscaldamenti non funzionano?”
Il ragazzo sembrò come svegliarsi da un sonno profondo
“Cosa?”
“Sì, stavo congelando sotto e così mi sono appoggiata al termosifone che è completamente freddo.”
“Arrivo.”
Presero una torcia nel cassetto della cucina e si recarono nel seminterrato per vedere che problemi avesse la caldaia, provò un leggero divertimento quando vide Clarke stupita dallo scoprire che in casa ci fosse persino un seminterrato.
Era buio, la lampadina era fulminata da una vita e Bellamy aveva sempre rimandato l’ipotetica e semplice sostituzione.
“Tienimi la torcia ok?”
“Mh-mh.”
Bell aprì la caldaia mentre la ragazza teneva alta la luce per permettergli di vedere meglio, c’era un umidità pazzesca che entrava fino in fondo alle ossa e il gelo non migliorava la situazione.
Dopo qualche minuto il ragazzo fece sbuffando
“Siamo fottuti, la caldaia sembra apposto dev’essere stato un guasto dovuto alla tempesta, forse qualche tubatura esterna…”
La ragazza abbasso leggermente la lampada a pile e puntò la luce sulla mano del maggiore dei Blake che se ne stava ancora appoggiata sulla scatola nera.
“Dio, Bell ma che hai combinato con quella mano?”
 E fu preso alla sprovvista da quella domanda, non poteva certo dire che di sua spontanea volontà aveva sferrato un pugno contro l’armadio senza pensarci due volte.
“Ehm. Ieri sera ho sbattuto accidentalmente la mano contro l’armadio…”
Era troppo buio perché potesse intercettare qualsiasi tratto del suo viso o del suo corpo che potesse aiutarlo a capire cosa passava per la testa della principessa.
Passò poco ma dopo un silenzio forse troppo lungo, si sentì afferrare per un braccio, Clarke cominciò a camminare velocemente verso le scale che portavano al pianoterra.
 
“Avresti dovuto dirmelo ieri, idiota.”
“Non è niente di che…”
“Sinceramente non voglio proprio sapere cosa diavolo hai combinato per ridurti così, è decisamente profonda questa ferita e se non ci stai attento potrebbe infettarsi e metterci il triplo del tempo a cicatrizzarsi.”
Disse pragmatica, stavano seduti per terra, sul tappeto all’interno del bagno, Clarke aveva portato le ginocchia quasi al petto e appoggiata su una di queste analizzava attentamente la mano del maggiore dei Blake, mentre di lato aveva aperto, accanto a se, la cassetta del primo soccorso.
Aggrottò le sopracciglia e dichiarò la diagnosi finale
“Sei consapevole del fatto che ci sono delle schegge? Ma si può sapere che hai fatto?”
Lui sbuffò alzando le spalle
“Te l’ho già detto.”
“Passami le pinzette.”
La biondina si concentrò e cominciò ad estrarre le piccole schegge di legno dalla pelle viva del ragazzo che ogni tanto si faceva sfuggire qualche lamento ma che si perse, scordando per un attimo tutta la faccenda che lo aveva indotto a prendere a pugni il suo armadio, nel viso di Clarke, ancora una volta perfetto e capace di farlo sussultare, dimenticò il dolore per poco mentre percepiva ogni minimo contatto tra le loro mani.
Si dovette sforzare più del previsto per ignorare quelle fottute sensazioni.
La ragazza concluse il medicamento bendando meticolosamente l’ampia ferita.
Bellamy non aveva avuto possibilità di scelta e anche se in un primo momento ci aveva pensato, non riuscì a ringraziarla.
Semplicemente si alzò borbottando qualcosa che la bionda non capì subito e cominciò a camminare avanti ed indietro per smorzare quel nervosismo dovuto alla presenza di Clarke che non riusciva a scrollarsi di dosso ma anche per cercare una soluzione ed evitare di morire assiderati.
 
-
 
“E’ possibile che in casa non avete qualsiasi altra cosa per scaldarvi?”
“C’è un camino effettivamente.”
Quel giorno stava scoprendo un mucchio di cose che non aveva mai pensato quella casa potesse ospitare.
“Dove?”
“In camera di O’ ma non lo accendiamo da quando è morta Aurora, più che altro poi l’odore di fumo non si leva più dai vestiti, dalle pareti e soprattutto dalle coperte.”
Clarke realizzò che non era mai entrata nella camera della ragazza.
“Mh. Sì però proviamoci! La casa è completamente sotterrata dalla neve, già si muore di freddo, stasera non voglio immaginare come sarà.”
“Forse c’è della legna nel seminterrato, vado a controllare.”
“Ti serve una mano?”
Scosse il capo.
“Me la cavo solo.”
Clarke annuì fissando il pavimento e sfregandosi le spalle con le braccia che teneva incrociate al petto, il freddo non la aiutava ed i suoi pensieri non erano diminuiti nell’arco della mattinata, si chiedeva ancora per quale assurdo motivo Bell le riservasse un atteggiamento così distaccato e poco amichevole.
Quando poco prima gli aveva medicato la ferita lo aveva fatto perché si era preoccupata, perché a modo suo, seppur per una piccola cosa, non voleva vederlo soffrire, ancora una volta la sua reazione non le era sembrata affatto positiva.
Per quanto fino a quel momento avesse provato a reagire, a tener testa a quella sua ‘nuova’ attitudine, cominciò a sentirsi scoraggiata era come se lui la stesse respingendo ancor prima che lei potesse anche solo pensare di farsi avanti in qualsiasi modo.
 
Bell riapparse con una cassetta piena di legna, aveva un’espressione soddisfatta in volto ma non del tutto rilassata o compiaciuta.
“E’ davvero secca, non so da quanto tempo è lì.”
“Poco male.”
Entrarono nella camera di Octavia, era decisamente diversa dalle altre, aveva carattere, le pareti lilla si intonavano più o meno a qualunque oggetto od accessorio presente nel luogo, coperte, tende, cornici, oggettini… Nulla sembrava lasciato al caso e vigeva un ordine che la ragazza non avrebbe mai potuto sospettare.
Il camino era piuttosto grande e se ne stava sulla parete destra rispetto alla porta d’ingresso, proprio ai piedi dello spazioso letto che occupava gran parte dello spazio.
Senza chiedere il permesso al maggiore dei Blake, Clarke cominciò ad ispezionare i pezzetti di legna cercandone qualcuno adatto per l’accensione del fuoco.
 
Bellamy la guardò stupefatto quando circa dieci minuti dopo il fuoco illuminava la camera animandola con il suo caratteristico strepitio.
“Dio, c’è qualcosa che non sai fare Griffin?”
Disse il ragazzo quasi infastidito.
La ragazza lo guardò spazientita, in altre occasioni non si sarebbe mai e poi mai offesa o alterata per una frase del genere ma lui la stava stuzzicando da tutta la mattina e la sua comprensività era totalmente esaurita.
“Vorrei tanto capire cosa diamine ti prende oggi… Dimmi se ti ho fatto qualcosa ti prego perché mi sto sforzando ma non riesco a capire a cosa è dovuto questo trattamento speciale.
La luce del camino che colpiva lateralmente il volto del ragazzo le permise di osservare ogni singolo dettaglio, vide pian piano la fronte corrugarsi, gli occhi ridursi a fessure, stringeva i denti e per un attimo la ragazza si chiese se avesse fatto la cosa giusta a sbottare in quel modo, senza nemmeno un po’ di preavviso.
“Perché non ti sei fatta accompagnare da Wells al matrimonio?”
Lo disse con un tono secco e grave, sentiva la gola bruciare e non capiva se fosse solo la rabbia o si stesse effettivamente raffreddando.
Clarke lo guardò spaesata, cosa andava dicendo? Non riusciva minimamente a comprendere che senso avesse quella domanda.
“Non fare la finta tonta, vi ho visti ieri sera, almeno mi avresti risparmiato la seccatura.”
Clarke rimase a bocca aperta, sembrava un’altra persona, era totalmente diverso anche nei lineamenti che adesso apparivano severi e ruvidi ma è pur vero che lei non era il tipo di persona che se ne sarebbe stata lì a soccombere.
“Hai toccato il fondo Bell, sai benissimo che nessuno ti ha costretto, avevo semplicemente bisogno di un amico e mi sembravi la persona più adatta, dato quello che abbiamo condiviso.”
“Ah si? E cosa abbiamo condiviso precisamente, sentiamo? Qualche melenso sfogo post-adolescenziale ecco cosa, se non fosse che non siamo in grado ad autocensurarci o di elaborare i nostri problemi come due persone normali, io e te saremmo solo  semplici coinquilini.”
Clarke sentì il respiro farsi sempre più corto, era come se avesse corso per dieci chilometri senza mai fermarsi, ogni parola di Bell, le accorciava il fiato provocandole un’immensa fitta tra le costole.
Perché stava dicendo quelle cose? Cosa voleva insinuare, non erano solo semplici coinquilini dopo tutto?
Respirò avvertendo l’odore dell’aria affumicata.
Cercò di recuperare il controllo e sferrò l’ultimo attacco lentamente, soppesando ogni sillaba.
“Non venirmi a fare la predica su Wells… Quando mi avresti detto che Raven non ci faceva pagare perché te la portavi a letto?”
Lui la guardò con diffidenza.
“Non ti riguarda.”
Sibilò.
“Come a te non riguarda la faccenda di Wells, che per la cronaca, dato che sembra interessarti così tanto, ho respinto ieri sera, se solo fossi stato più attento ed avessi avuto con te un binocolo.”
 
-
 
La fissò esterrefatto, appoggiando con fare arrendevole le spalle allo stipite del letto, cosa voleva dire che lo aveva respinto? Possibile che era accaduto tutto questo nel momento in cui ormai nauseato si era coperto gli occhi come uno sciocco vigliacco? E se tra loro non era successo nulla, il suo comportamento non aveva scuse, non che agli occhi di lei ne avesse in ogni caso.
Si prese la testa tra le mani, noncurante del fatto che probabilmente Clarke stesse lì ad osservarlo, come poteva giustificarsi, non era così evidente ormai?
Avrebbe voluto immaginarlo in maniera diversa, non aveva mai avuto realmente bisogno di dichiararsi a qualcuno ma questa situazione era qualcosa di patetico. Eppure anche lei aveva tirato la storia di Raven, sapeva che prima o poi sarebbe venuta a galla ma non pensava così, perché alla principessa interessava tanto?
Calò un silenzio imbarazzante tra i due che se ne stavano ai lati opposti e cercavano conforto nella fiamma del fuoco che ardeva rumorosamente tanto quanto i loro sentimenti usciti fuori allo scoperto senza che nemmeno avessero il tempo di comprenderlo pienamente.
“Vado a preparare qualcosa da mangiare, hai qualche idea?”
Il ragazzo cercò di spezzare quell’atmosfera angusta.
Parlò come se nulla fosse, ma fu tradito da un tono incerto e tremolante.
Clarke rispose senza guardarlo
“Non ho fame.”
“Nemmeno io.”
“Perché?”
Lui alzò lo sguardo che puntò dritto nelle iridi di lei, era una domanda lecita.
“Come ci siamo arrivati?”
Continuò la giovane che adesso sembrava piuttosto sconvolta.
“Io non volevo, non so cosa mi è preso…”
Sapeva di non essere del tutto sincero, non era difficile comprendere che era stato accecato da una poco motivabile e cieca gelosia.
La vide tremare e stringersi ancora, più di quanto non avesse già fatto fino a quel momento.
Gli si catapultò affianco, prese le mani esili di lei tra le sue e le sfregò, erano gelide e pallide proprio come il marmo.
Solo poco dopo si rese conto che le distanze tra loro si erano praticamente azzerate, complice probabilmente il freddo, e la collera che si era dissipata furiosamente lasciando spazio solo a parole dette a mezza bocca e una sorta di tenerezza di fondo, di apprensione, di voglia di comprendersi forse e finalmente.
“Scusa.”
Disse lei mordendosi un labbro e cercando con lo sguardo il suo.
Bellamy si specchiò come già aveva fatto altre mille volte in quegli occhi enormi e limpidi come il cielo in una giornata primaverile.
Non riuscì a rispondere, ipnotizzato da quella bellezza così pura, in grado di sovrastare qualsiasi cosa, in grado di stordirlo, capace di smuoverlo a tal punto da fargli perdere la testa.
“Ti prego, di qualcosa.”
Lo incalzò ma Bell rimase ancora qualche minuto a perdersi in lei.
Clarke abbassò allora il suo sguardo quasi intimorita da quella nuova ondata di silenzio.
Lui lasciò la presa sulle sue mani ma solo per afferrarle il volto e costringerla a rivolgergli nuovamente quello sguardo, del quale sentì tutto ad un tratto un disperato bisogno.
Era una presa forte e decisa, spogliata da tutte le incertezze e i dubbi che fino ad allora avevano accompagnato ogni gesto, parola e silenzio.
I suoi occhi indugiarono sulle sue labbra rosee più di quanto non si fossero mai permessi di fare, nonostante conoscesse il loro profilo a memoria ormai, sentì il cuore palpitare, poteva distinguere perfettamente ogni singolo battito.
Non volle farsi domande, aveva passato troppo tempo a farlo.
La distanza che li separava era ridicola eppure a Bellamy sembrava ancora incolmabile nonostante riuscisse a percepire su di lui il respiro lieve e sincopato di lei.
La presa sul suo volto si trasformò ben presto in un spasmodico bisogno di sentire ogni singolo lembo di pelle accaldata sotto i suoi polpastrelli.
E quella prossimità, quell’insistenza con cui cercava d’imprimere dentro di lui ogni dettaglio che delineava il viso di Clarke non poteva che fargli desiderare ancora di più quelle labbra adesso leggermente dischiuse.
 
Improvvisamente percepì che i centimetri che li separavano erano sempre meno,
ora le punte dei loro nasi si stavano toccando.
Millimetri.
Le loro labbra appena socchiuse, tremanti, erano quasi sul punto di sfiorarsi restando in quel limbo ancora per un po’, sarebbe potuto finire tutto da un momento all’altro se solo avessero voluto e forse ne sarebbero usciti ancora illesi, in preda alla tachicardia ma senza ferite.
 
Bellamy guardò un’ultima volta i suoi occhi, cercava una conferma, sarebbe bastato il più piccolo segnale e non si sarebbe più mosso facendosi scivolare addosso quel desiderio che stava diventando incontenibile, più avvertiva il contatto fugace con la carne pulsante della sua bocca meno riusciva a pensare lucidamente.
Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire il sapore delle sue labbra, era pronto a farsi del male se anche fosse stato quello il rischio, l’avrebbe affrontato senza remore.
Clarke ricambiò velocemente quell’occhiata ma poi si abbandonò a lui chiudendo gli occhi e respirando pianissimo, era sicuro che le sue guance si fossero tinte del più bel tono di rosso scarlatto.
Sentì un brivido lungo la schiena ed anche le sue palpebre si serrarono.
Le loro labbra si sfiorarono con calma, si assaporarono, le mani finalmente affondarono sulla pelle candida di Clarke mentre sentiva quelle di lei aggrapparsi ai suoi capelli.
Stavolta perse il conto dei battiti del suo cuore ma poté percepire il sangue caldissimo ribollire e percorrere all’impazzata ogni vena pulsante sotto la sua pelle.
Lo spazio, i suoni, i pensieri… non c’era più nulla che potesse avvertire, solo il fuoco che continuava a scoppiettare accanto a loro, come loro ed un retrogusto prima acre e poi dolcissimo, come un melograno, era quello il sapore di Clarke.
 
Ora le due bocche si cercavano con prepotenza, una disperata e violenta prepotenza.
   
 
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