Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: JeiBieber_Smile    22/11/2016    2 recensioni
Mi chiamo Justin, ho ventidue anni, sono canadese e mi sono innamorato di una ragazza che non vede con gli occhi, ma vede col cuore.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1
Look in my eyes, what do you see?
-'Sei bellissima lo stesso'-

Bum. Bum. Bum.

Sbattei più volte la pallina sul muro di fronte a me, prendendola sempre in modo impeccabile.

Bum. Bum. Bum.

Avevo cercato quella ragazza, Anastasia, ovunque. Non era su Facebook, su Twitter, su Instagnam, su Ask, su Shots, su Fahlo, su MySpace, su YouTube. Avevo persino cercato il suo cognome sull'elenco telefonico, ma di certo non potevo chiamare più di cento persone solo per trovare lei. Perché diamine doveva avere un cognome così comune? Così comune, ma che addosso a lei suonava perfettamente.

Bum. Bum. Bum.

Il mio cuore, ormai troppo ferito, mi pregava di non pensarla. La mia testa, invece, faceva il contrario. Il suo sorriso e le labbra che lo contornavano non smettevano di offuscare i miei pensieri e le mie facoltà mentali. Cavolo, mi aveva stregato e il solo pensiero di non riuscire a trovarla da nessuna parte mi faceva andare in tilt. Mi aveva preso, con una semplice frase e un semplice sorriso. Mi incuriosiva, volevo conoscerla e sapere qualcosa in più di lei. Cosa che andava contro le promesse che avevo fatto a me stesso, dato che era una ragazza e non volevo avvicinarmi ad una di loro.

Bum. Bum. Bum.

Ma cosa potevo farci, se mi aveva preso così tanto? Non riuscivo nemmeno a capire il perché. Era il potere delle donne. Era potere delle donne prendere un uomo e farlo diventare il proprio cagnolino. Senza far niente, mi aveva già stregato e già era diventata la regina dei miei pensieri. Da idiota mi stavo lasciando trasportare ancora, sicuro di ricevere un'altra delusione. Speravo, per lo meno, che fosse diversa. Anche se infondo sapevo, che tutte le ragazze sono uguali e tutte le ragazze prima o poi ti pugnalano. Per qualcuno più figo e con un portafoglio più gonfio nei pantaloni. Patetiche.

Bum. Bum. Bum.

-
Tesoro, sai vero che dalla mia stanza si sente tutto?- mia madre entrò in stanza, disturbando i miei pensieri. Mi distrassi un secondo, lasciando la pallina cadere.
-E tu lo sai che stavo facendo un record? Ero arrivato a trecentosessantasette- mia madre alzò gli occhi al cielo portando le braccia al petto.
-Trecentosessantasette rotture di scatole, Justin..- mormorò, sedendosi sul mio letto.
-Simpatica- mi sedetti anch'io, dandole un bacio sulla tempia.
-Non sei felice di aver vinto il premio?- chiese, poggiando le mani sulle ginocchia. Feci spallucce.
-E' uguale, insomma.. non mi cambia nulla- le sorrisi rassicurante, nascondendo un velo di tristezza.
-Perché non esci con i tuoi amici?- mi accarezzò il viso, incontrando i miei occhi a metà altezza.
-Perché devo andare a lavoro, stasera. Ricordi?- batté una mano sulla fronte, facendomi sorridere.
-Allora va a preparti che sono le sei- si alzlò con nonchalance, dandomi una leggera carezza sul volto.

Pochi secondi dopo, uscì dalla stanza lasciandomi solo. Amavo mia mamma, era la donna più buona che io abbia mai conosciuto. Forse l'unica, era davvero l'unica donna che si meritava tutta la mia stima e la mia approvazione. Mi aveva cresciuta da sola, senza mio padre. Mi ebbe all'età di diciotto anni, pochi mesi dopo papà mi lasciò e si ritrovò a dover portare avanti una casa, un figlio, una famiglia, tutto da sola. Magari fossero state tutte donne come lei, magari tutte avessero bene in mente il concetto di 'amore' come lo aveva mia mamma. Le ragazze pensavano solo a scherzare e a farsi un nome, non pensavano all'altra parte che magari rimaneva un vero e proprio schifo. E per altra parte, ritenevo noi uomini.
Straziato dai miei pensieri, mi alzai dal letto e mi diressi verso il bagno. Stavo diventando abbastanza monotono e sinceramente, scocciavano anche me quei pensieri. Dopo essermi dato una sciacquata, presi un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e indossai le mie Supra nere. Lavoravo in un bar e, bene o male, ognuno di noi doveva essere vestito secondo un certo standard quando andavamo a lavoro. Erano appena le sette e il mio turno sarebbe cominciato solo mezz'ora dopo, così presi le chiavi della moto e mi avviai verso la porta d'uscita.

-A dopo, dolcezza- baciai sulla fronte mia madre che mi sorrise.
-Dolcezza?- alzò un sopracciglio, annuii.
-Hei, sei la mia donna- l'abbracciai, sorridendo.

Ed era vero, era la mia donna. L'unica che veramente mi aveva amato e che amavo con tutto me stesso.
Mi incamminai verso la porta di casa e varcai la soglia, ritrovandomi sul vialetto di sassolini grigi. Li calpestai, mentre camminavo lentamente verso la mia moto. Era un regalo di mio padre, un regalo un po' eccessivo, forse, dato che era una MV Agusta F3 675. Per quanto amassi le moto, aveva speso un botto per comprarmela e sinceramente preferivo mi comprasse una scacchiera. Ma di certo, non potevo lamentarmi. Hei, avevo la moto di Batman.
Arrivai a lavoro con un quarto d'ora anticipo, il tempo di mettere il grembiule e di sistemarmi i capelli che si fece ora e dovetti andare al banco.

-Hey, amico- salutai Chad con una stretta di mano.
-Complimenti per oggi- gli sorrisi, alzando entrambe le sopracciglia.
-Sono Justin Bieber- commentai, scoppiando poi a ridere seguito da Chad, mio collega nonché mio ex compragno di squadra di hockey. Era un portiere ed era anche sensazionale, non faceva entrare un solo dischetto in porta.
-Allora, mitico Bieber, cosa mi racconti?- presi a lavare dei bicchieri, focalizzandomi sul renderli lucidi.
-Il solito- feci spallucce, ormai la mia vita era la solita monotonia.
-Hai pure il coraggio di dire il solito dopo aver vinto un premio?- alzò un sopracciglio stranito, seguendo i miei movimenti.

Ridacchiai e scossi la testa, l'unica cosa che proprio non sopportavo di lui erano le troppe domande che faceva. Non mi piacevano le persone che mi riempivano di domande, preferivo stare sulle mie e tenermi le cose per me. Il mio motto era diventato: meno cose gli altri sanno di te, meglio è. Avevo imparato a nascondermi dietro ad una maschera, a mentire e a far credere agli altri che andava tutto bene. Anche quando tutto bene non andava.

-Mi scusi, può indicarmi il bancone?- alzai di scatto la testa e mi irrigidii, sentendo quella voce.
-Se togliessi gli occhiali da sole lo vedresti- ridacchiò l'uomo, per poi fermarsi improvvisamente. Presi la tazzina contenente del liquido caldo più comunemente conosciuto come caffé, per poi poggiarlo su un piattino di ceramica bianco.
-Grazie- sussurrò la ragazza, sorridendo ad un punto impreciso della stanza.
-Prego- ricambiò il sorriso, smettendo di toccarle la schiena.

Ah beh, era ora. Commentò la vocina nella mia testa. 
Guardai quella ragazza, che da ore aveva impegnato i miei pensieri. Era lì, di fronte a me, con lo sguardo fisso nel vuoto e quello splendido sorriso sul volto stanco. Gli occhiali da sole non smettevano di essere presenti sui suoi occhi, impedendomi di decifrarne il colore. Aveva un viso sottile, la pelle chiara e una folta chioma di capelli castani. Portava una coda di cavallo alta, proprio come la portava nel pomeriggio. Era bellissima, anche in quella circostanza. Chad fece per avvicinarsi, quando lo bloccai di scatto con la mano e gli indicai l'entrata: erano appena arrivati un paio di ragazzi. Non volevo si avvinasse a lei, era un tipo che ci provava con tutte e quella ragazza, Anastasia, mi sembrava così preziosa per essere lasciata nelle mani di un ragazzo simile. With love, Chad.
Mi feci coraggio, avvicinandomi e mettendomi proprio davanti a lei.

-Ciao, cosa posso portarti?- le parole mi uscirono lente, quasi in un sussurro. Non sapevo cosa diamine era successo alla mia voce. Tossii più volte, sperando che tornasse normale.
-Justin?- aggrottò le sopracciglia e arricciò il naso. Non era contenta di vedermi? -Non pensavo lavorassi qui, non ho mai sentito la tua voce-
-Be', non so come sia possibile dato che ci lavoro da tre anni, tesoro- poggiai entrambe la braccia sul bancone, sentendola ridacchiare. Aveva una splendida risata.
-Forse sarà perché io mi siedo sempre infondo mentre è Lea che prende le ordinazioni per me- fece spallucce, girando come una bambina sullo sgabello girevole.
-Lea sarebbe la ragazza con cui eri oggi pomeriggio?- le chiesi, cercando di intravedere i suoi occhi dal vetro scuro degli occhiali. Nemmeno la luce mi aiutava.
-No lei era Bernadeth, Lea è una ragazza.. be', molto simpatica e chiacchierona- annuii. -Ci sei ancora?- chiese, facendo un giro completo sulla sedia.
-Sì, piccola, sono sempre qui- ridacchiai, attirando nuovamente la sua attenzione.

Aveva ragione Chaz, quella ragazza era strana ma allo stesso tempo tanto dolce e carina. Mi piaceva parlare con lei, anche se avevamo scambiato giusto un paio di parole. L'unica cosa che proprio non sopportavo, era non poterla guardare nei occhi. Quando parlavo con una ragazza la cosa che più mi piaceva era poterla guardare negli occhi per capire il suo stato d'animo o semplicemente per distinguere una bugia dalla verità. Con lei, non poterlo fare, mi mandava in crisi.

-Mi porteresti un..uhm..cosa mi potresti portare?- prese il meno tra il pollice e l'indice, assumendo un espressione pensierosa.
-Posso portarti il listino, se vuoi- mi allungai col braccio prendo un listino che era a pochi centimetri da lei, porgendoglielo.
-Una birra andrà benissimo- si affrettò a dire, sorridendo innocente.
-Almeno hai diciotto anni?-
-Passati da tre anni, ormai- riese lievemente, portandosi dietro l'orecchio una ciocca che le era uscita dalla perfetta coda di cavallo.
-Alla spina o in bottiglia?- le chiesi, guardandola sott'occhio. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, fissando un punto impreciso. Poggiai lo sguardo sul punto che fissava, era una parete vuota.
-Alla spina, penso sia più buona..- fece spallucce mordicchiando un'unghia, era adorabile, davvero. -Fai tu, io non me ne intendo-

Annuii ancora, prendendo un calice piccolo e portandolo sotto un tubicino di metallo. Lasciai che il liquido giallastro riempisse il bicchiere, per poi porgerglielo. Titubante, mosse la mano cercando il bicchiere. La vidi deglutire e abbassare lo sguardo verso il bancone, per poi sorridere soddisfatta non appena prese il bicchiere. La guardai aggrottando le sopracciglia, quel suo comportamento strano mi incuriosiva. Avvicinò il bicchiere alle labbra, lasciando che queste si poggiassero sulla superficie liscia. La pressione le schiacciò, facendo notare ulteriolmente la loro morbidezza. Prese un piccolo sorso di birra, per poi allontanare il bicchiere e leccarsi le labbra con la lingua. Sorrise, guardando lo stesso punto davanti a sé.

-E' buona- annuì, bevendo un altro piccolo sorso.
-Qui alla Hause's Coffee abbiamo solo alimenti di prima scelta- la vidi incurvare le labbra in un sorriso, per poi scuotere la testa.
-Voi ragazzi ve la tirare sempre per qualasi cosa?- chiese trattenendo una risata, ancora senza guardarmi. E voi donne siete sempre traditrici?
-Be', quando si tratta della verità, sì- feci spallucce e ridacchiai, pulendo il bancone e poggiando una tazzina sporca nel lavabo. -Ti va di aspettare che finisca il mio turno?- le chiesi, stupendo me stesso.

Era la prima volta che avevo una conversazione così lunga con una ragazza, cercavo sempre di evitare la loro compagnia da quando anche Hayley mi aveva lasciato. Solo che quella ragazza mi aveva stregato e cavolo, avevo passato quasi due ore intere a cercarla su internet. Avevo un desiderio enorme di conoscerla meglio, andando contro tutti i principi che avevo costruito nel corso degli ultimi due anni. Cosa potevo farci se mi aveva attratto così tanto? Aveva qualcosa, che mi spingeva a cercarla. Qualcosa, che mi diceva che di lei potevo fidarmi.
"La conosci appena, Justin" continuava a ripetermi il cuore.
"Fidati di lei, è diversa" ripeteva la mia testa.
Avete presente l'angelo e il diavolo? Non avevo loro sulle mie spalle, ma avevo un cuore parlante ed una mente contorta. M'impauriva questa situazione.

-Di notte ho paura di camminare da sola- guardai fuori dalle porte, era già buio pesto.
-E' già buio..- sussurrai, andando per un secondo alla cassa. -Due dollari, grazie- un uomo mi porse una banconota da cinque, gli diedi il resto per poi tornare a guardare Anastasia che torturava il suo labbro e si girava e rigirava il bicchiere tra le mani.
-Allora, uhm.. se mi accompagnerai a casa, sì- gli occhi mi si illuminarono, sorrisi.
-Volerai sulla mia splendida moto- mi misi di fronte al suo volto, ancora una volta non mi degnò di uno sguardo. Abbassai lo sguardo e mi scostai, probabilmente non le faceva piacere la mia compagnia quanto a me faceva stranamente piacere la sua.
-Non vedo l'ora- ridacchiò, bevendo un altro sorso dal suo bicchiere. -Penso che nel frattempo avrò bisogno di un'altra di queste- indicò il bicchiere vuoto, poggiandolo piano sul bancone, il più vicino possibile al suo corpo. Lo fece scorrere piano, firno a farlo arrivare a metà bancone.

La guardai sorridendo, presi il suo bicchiere e ne riempii un altro, mettendolo affianco alle sue dita lunghe. Lo afferrò saldamente, prima di portarlo alle labbra e ripetere quel procedimento straziante. Era troppo bella e quelle labbra erano troppo provocanti. Morsi l'interno guancia e mi sforzai di non guardarla, concentrandomi sugli altri clienti. John desiderava il suo solito spritz, Candice il suo solito caffè per restare sveglia, Colin stranamente desiderava un mojito anziché la sua vodka alla fragola.. Insomma, la solita monotonia della serata. Anche se, a differenza delle altre serate, avevo una ragazza seduta a gambe conserte su uno sgabello che stava aspettando me per poter tornare a casa. Mi piaceva parlare con lei e sorridere, ogni qual volta sorrideva lei.
Il tempo, parlando e ridendo, passò in fretta.

-Vado a cambiarmi, aspettami qui- le sfiorai la mano con le dita, facendola sussultare.
-Aspetta, devo pagare le due birre- prese la borsa e cominciò a frugarci al suo interno. -Quanto ti devo?- chiese, prendendo il portafogli tra le mani. Mi avviai alla cassa-
-Quattro dollari- dissi in un sussurro, osservando le sue dita. Aprì il portafogli, tirando fuori una banconota da cinquanta dollari. -Non ne avresti una da cinque?- le chiesi, cercando di incrociare ancora una volta il suo sguardo.
-Oh, ho di nuovo confuso i sue lati..- borbottò tra sé e sé, riposando la banconota da cinquata e porgendomene una da cinque dollari. -A destra quelle alte, a sinistra quelle basse. A destra quelle alte, a sinistra quelle basse- sussurrò tra sé e sé, sospirando. La guardai confuso per un secondo, porgendole il resto. Restai col braccio alzato per un paio di secondi, finché non mi schiarii la gola.
-Ehm, il resto lo vuoi?- chiesi, trattenendo un sorriso.
-Oh, sì- le sue gote si colorarono di rosso, allungando titubante la mano e porgendomi il palmo.
-Arrivo subito, aspettami qui- diedi un ultimo sguardo all'orario, lasciando il mio posto a Leonard e andando a cambiarmi.

I suoi atteggiamenti, erano insoliti. Parlava da sola e sembrava con lo sguardo assente, sempre e costantemente. Sembrava una ragazza che aveva la testa tra nuvole, come se fosse stata in una realtà parallela e tornasse alla reltà solo quando veniva chiamata o interpellata. Nonostante questo, aveva un sorriso mozzafiato e un senso dell'umorismo che non ero riuscito a riscontrare in nessua ragazza. Era riuscita a far ridere me, ed erano anni che non ridevo a causa di una ragazza. Mi stava stregando, e non riuscivo a capire come.
A passo svelto, entrai nel camerino riservato ai dipendenti, appesi il grembiule, presi il cappotto e lo indossai, per poi uscire. Attraversai il piccolo corridoio color sabbia, come l'interno del locale. Era una caffetteria, tutto doveva bene o male assomigliare al colore del caffé. Dal colore delle pareti, al colore delle sedie. Una volta uscito dal camerino, mi avvicinai alla ragazza poggiandole una mano dietro la schiena. Sussultò irrigidendosi, sembrava quasi che non si fosse accorta di me quando invece il suo sguardo era puntato verso la porta da dove ero uscito. O più semplicemente, non voleva essere toccata.

-Andiamo- sembrò rilassarsi, non appena sentì la mia voce. Annuì posando qualcosa nella borsa, non riuscii a capire cosa fosse ma ugualmente non le chiesi nulla.
-Mi porti a casa?- sentii le sue mani sottili stringermi piano il braccio. Questa volta, fui io ad irrigidirmi. Non la faceva nessuna ragazza, da troppo tempo ormai.
-Sì- mi scostai, avvicinandomi a passo svelto verso la porta. La aprii e la vidi lì, immobile e spaesata. Mosse il primo passo lentamente, poi un altro e un altro ancora. Sembrava avesse paura di camminare. La vidi deglutire, prima di stringere tra le mani la stoffa della borsa e camminare più velocemente. Morsi il labbro e mi sentii in colpa, non sapevo nemmeno io per cosa. Così bloccai la porta e mi avvicinai al suo corpo, le poggiai lentamente la mano dietro la schiena e le sorrisi. -Meglio?- le chiesi, notandola camminare più velocemente e più sicura.
-Molto- annuì lei, per poi abbassare lo sguardo. -Scusa, è solo che io..- sospirò, stringendosi le braccia al petto.
-Non preoccuparti- le accarezzai piano il viso, sentendo una scarica di adrenalina scorrermi lungo il corpo. Alzò nuovamente le braccia verso di me, tastò il mio petto per poi spostarsi sul braccio e stringersi a questo, come aveva fatto poco prima. -Hei piccola, già vai dritta al punto?- risi lievemente scherzando, sorrise anche lei.
-Ne ho bisogno- la sentii sussurrare, abbassando poi la testa verso il pavimento in cemento sicuramente freddissimo.

Ne ho bisogno. La sua era sembrata pià una supplica che un'affermazione. Annuii impercettibilmente, trasportandola con me verso la mia moto. Non era tanto male dopotutto, tenerla aggrappata a me come una bimba si tiene impaurita aggrappata al papà quando ha paura di qualcosa di astratto. In quel momento, Anastasia sembrava tanto una bambina impaurita, l'uinco problema era che io non sapevo tanto fare l'uomo forte come lo sono solitamente i papà. Ero tutt'altro che forte. Ma averla vicino, mi infondava una certa sicurezza.
Una volta arrivati affianco alla mia moto, presi le chiavi dalle tasche e mi fermai un secondo a contemplarla. Nonostante fosse nera, brillava sotto la luce della luna.

-Ti piace?- le chiesi, contemplando la bellezza del mio gioiellino.
-Cosa?- aggrottai le sopracciglia, guardandomi intorno. C'era solo la mia moto e una macchina qualche isolato più avanti. -Sai com'è, con gli occhiali neri non vedo..ehm..nulla..- sospirò ancora, portando poi lo sguardo alle punte dei suoi piedi.
-Toglili allora, se non riescono a farti vedere la bellezza della mia bambina- ridacchiai, rialzandole il viso tra le mani. Deglutì e si giro, camminando piano verso la direzione della mia moto. Allungò una mano, tastando la superficie fredda.
-Sembra molto bella- continuò a toccarla con entrambe le mani, tastò per bene l'intera sella, i comandi. Si abbassò, toccando poi la marmitta e il lato. -E anche potente, suppongo- si alzò e si girò verso di me, sorridendo.
-E' potentissima-la raggiunsi, montando in sella. -Sai salire da sola o hai bisgono di una mano?- mi toccò una spalla e poi la sella, per poi scuotere la testa più volte. -Ho capito- soffocai una risata scendendo dalla moto e prendendola per i fianchi. Era leggera come una piuma. L'aiutai a salire, per poi salire anch'io. -Ti farò vedere quanto veloce riesce ad andare-
-Magari potessi- sussurrò contro la mia schiena, lasciandomi perplesso. -Però posso sentire il suo rombo- continuò, tenendo stretta la sella.
-Ti conviene tenerti a me..- le passai un casco, che indossò. Menomale che ne avevo ancora uno di riserva. Era di Selena. -..andremo molto veloce-

Non le diedi nemmeno il tempo di contrabbattere che sfrecciai, veloce. Sentii le sue braccia stringersi attorno al mio corpo in meno di un secondo, sorrisi a quel suo tocco. Il cuore mi batteva e non per la velocità, ero ormai abituato anche a toccare i duecento chilometri orari. Averla così vicina, praticamente incollata al mio corpo, faceva un certo effetto. Insomma, non avevo un contatto fisico con una ragazza, se non con mia madre, da due anni. Era strano per me sentire un corpo femminile così vicino al mio. E non un corpo qualsiasi, tra l'altro, ma il corpo di quella ragazza che mi aveva affascianato dal primo momento che l'avevo vista. Per quanto strana potesse essere, mi piaceva la sua compagnia.
Le chiesi, quasi urlando, dov'è che abitasse. Sembrava assorta nei suoi pensieri, infatti ci mise un po' prima di dirmi la via. Volendo stare più tempo con lei, feci il giro più lungo. La sentii staccarsi leggermente, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli -dato che aveva sciolto la coda per poter mettere il casco-. La guardai da uno specchietto ed era bellissima, per quel che riuscivo a vedere dato che quei dannatissimi occhiali da sole erano ancora lì, a coprire i suoi occhi.
Una volta arrivati, mi sentii mancare.

-Qual'è casa tua?- le chiesi, scendendo dalla moto e aspettando che facesse lo stesso.
-E' una villetta gialla..- rispose vaga, guardandosi intorno. Deglutì, abbassando poi lo sguardo. -Potresti, uhm..- si grattò la tempia imbarazzata, guardando a destra e a sinistra, ancora. -..indicarmela tu?- continuò, lasciandomi spiazzato.
-E perché io? Non riesci a riconoscere casa tua?- risi lievemente, facendola sospirare.
-No,- serrò le labbra in una linea. -non ci riesco- sospirò ancora.
-E perché?- chiesi ancora, aggrottando nuovamente le sopracciglia.
-Perché non ci vedo, Justin..- quasi sussurrò, levandosi gli occhiali. -Sono cieca- continuò, guardando un punto dritto davanti a sé.

Incrociai finalmente i suoi occhi, l'azzurro era quasi impercettibile dato quel velo bianco che lo copriva.
La sua espressione era impassibile, non lasciava trasparire nessuna emozione.
Mi sentii in colpa, dannatamente in colpa per averla presa in giro.
Presi il suo viso tra le mani, avvicinandomi piano al suo volto.

-Sei bellissima lo stesso- deglutii, sentendomi morire.

Avevo appena preso in giro una ragazza cieca e le avevo pure detto che era bellissima.
Justin, penso che stasera ti sei proprio superato.

Image and video hosting by TinyPic __________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Buonasera, tesori miei.
Anche se sono circa le cinque, fuori è già buio ed è bruttissimo vedere il tempo così.
Sopratutto col mio stato d'animo, ma traslasciamo.
Purtroppo i problemi ci sono e più di provaread affrontarli, non posso fare.
Ma ho delle persone stupende vicino, per cui le ringrazio davvero di tutto.

E voi? Come state?
Sapete, vero, che per qualsiasi cosa io ci sono per voi?
Qualsiasi, giuro. Infondo, noi Beliebers siamo una famiglia.
E le sorelle si aiutano.

L'unica cosa che proprio mi rende felice, è sapere che Justin ci ama.
E ce ne ha dato la certezza al concerto, dicendo esplicitamente 'I love my italian Bliebers'.
Io non c'ero, ma so che quelle parole erano indirizzate anche a me.
Come a tutte voi, che da casa lo avete seguito tesori miei.

Parlando della storia, ecco che abbiamo capito una cosa importante della nostra protagonista: è una non vedente.
E sembra che al nostro Justin questa cosa non dispiaccia.
Cosa succederà?
Be', continuate a seguirmi.



Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.

Seguitemi su Twitter se vi va (chiedete il follow back c:).
Se volete, qui c'è il mio Instagram (chiedete il follow back sotto una foto).
Se volete leggere la mia prima FF, ecco 'Do you believe in love?'
E per leggere la mia seconda FF, ecco a voi 'We Can Fly To Never Neverland
Passate anche a lettere.. 'The Storm'?

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: JeiBieber_Smile