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Autore: Piperilla    28/11/2016    3 recensioni
In un mondo come quello moderno, in cui l'unicità di ogni persona rappresenta un Universo a sé, le cose non sono mai o bianche o nere. Eppure, è così che appaiono Richard e Agathe: lui, ormai un uomo fatto, algido, composto, più simile a un gentiluomo d'altri tempi che non a un uomo d'affari e di cultura del ventunesimo secolo; lei, ancora adolescente, dal temperamento impetuoso e la lingua tagliente, con l'argento vivo addosso e a prima vista impossibile da fermare: non potrebbero essere più diversi. Come il bianco e il nero. Tra due estremi ci sono un'infinità di sfumature... quante ne servono perché due mondi - e due persone - apparentemente agli antipodi si incontrino a metà strada?
[Tratto dal capitolo 40]
«Non mi illudo che possa bastare così poco per legarti a me» replicò Richard. [...] «Anche se vederti questi gioielli addosso me ne dà la piacevole illusione ».
«Se ti assecondassi, finiresti per credere che sia la realtà» mormorò lei.
«No, mia piccola Agathe, mai» sospirò Richard contro la sua pelle. «Quest’illusione è amara e non mi appaga. Quello che voglio è che sia tu a legarmi a te. Sii pure la mia carceriera».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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A tre settimane dalla disastrosa combo “cena di famiglia-appuntamento con Noah”, Agathe riuscì finalmente a tirare il fiato.
   Era nel giardino sul retro di casa Zimmermann, distesa sull’erba a godersi il sole di metà Luglio insieme a Lara, Thomas e Moses, quest’ultimo per una volta libero dal lavoro: tutti e quattro tenevano gli occhi chiusi e il viso rivolto al cielo, mugugnando soddisfatti come gatti su una stufa.
   «Non posso credere che sia finalmente finita» borbottò morbida Lara.
   «Concordo pienamente» rispose Thomas.
   La sua fidanzata sussultò e aprì gli occhi per guardarlo.
   «No! Tu, felice di non avere nulla da studiare? È impossibile!» esclamò in tono drammatico.
   «Smettila, pescetto» la rimbrottò piano Agathe. «Anch’io sono felice di essermi lasciata gli esami alle spalle: per quanto possa piacermi studiare, non c’è niente di strano».
   «Anche tu! Il cielo cadrà sulle nostre teste» replicò Lara, fingendo di ripararsi con un braccio dalle macerie immaginarie.
   «Davvero, Lara, avresti dovuto fare un pensierino sull’Accademia d’Arte Drammatica» ridacchiò la sua migliore amica.
   «Quindi adesso non rimane che la cerimonia di consegna dei diplomi» commentò Moses pigramente. «Poi sarete davvero fuori dalla St. Margaret una volta per tutte».
   «Niente più vedere la faccia acida della King o quella supponente di Davenport di prima mattina» disse soddisfatta Agathe.
   «Sì, ma ci toccherà ascoltare ancora un discorso di Collins» le fece notare Lara.
   Agathe gemette disperata.
   «Non ti abbattere, Will: pensa solo che sarà l’ultimo» cercò di rincuorarla Thomas: i discorsi del preside Collins erano tra i più noiosi mai pronunciati nella storia della Gran Bretagna.
   «E meno male» bofonchiò di rimando la ragazza.
   Moses si sollevò sui gomiti e scrutò i tre diplomandi. «Allora, siete pronti ad affrontare il mondo?»
   «Ad affrontare altri anni di studio, semmai» lo corresse Thomas con uno sbadiglio. «Io ho scelto la facoltà di Economia, Lara si è iscritta a Medicina per seguire le orme di suo padre e Agathe ci abbandonerà tutti per andarsene in Italia e diventare un’orafa e una designer».
   «Ehi, io non vi abbandono» replicò oltraggiata Agathe. «Mi allontano solo un pochino e vi fornisco un’ottima scusa per farvi qualche viaggetto romantico in Italia e passare a salutarmi».
   «Oh, lo fa solo per noi» dissi ironica Lara. «Che anima generosa!»
   L’altra le diede un colpetto sul braccio. «Stare con Tom ti fa male: un tempo non eri così sarcastica!»
   «Ha imparato più da te che da me» si difese il ragazzo.
   «Però è vero che te ne vai» disse malinconico Moses poco dopo.
   «Non per sempre» rispose Agathe. «Tornerò: ti pare che possiate liberarvi di me così facilmente?» scherzò.
   Lo sguardo che Moses le rivolse era strano. «È che non posso fare a meno di pensare che forse, se non fosse stato per Prescott, saresti rimasta».
   Lei scosse la testa. «No, Moses: sarei andata via lo stesso. Ne avevo parlato anche con Richard, quando ancora ci… vedevamo. Pensa che è stato lui il primo a darmi l’idea di frequentare un’accademia in Italia…»
   «A proposito, l’hai detto a tuo padre?» intervenne Thomas.
   Agathe scosse di nuovo la testa. «No. Ho deciso che glielo dirò dopo la consegna dei diplomi; subito dopo partirò con Penelope per la Spagna. A proposito, siete tutti invitati a raggiungerci, compresi Alan, lo zio Damon e la zia Leah…». Ridacchiò tra sé. «Anche se Penny è un po’ contrariata che siano entrambi fuori dal mercato: sperava ancora di sposare almeno uno di loro…»
   Gli altri tre scoppiarono a ridere.
   «La tua bisnonna non si smentisce mai» sghignazzò Lara. «Per quanto mi sia simpatica, però, sono felice che alla fine papà e la zia Leah abbiano ammesso di essere innamorati: sembrano raggianti».
   «Non è che lo sembrano: lo sono» la corresse Agathe. «A quanto pare avrai una madre degna di questo nome, pescetto: mi sembra un gran miglioramento. E lo zio Damon sembra un ragazzino alla sua prima cotta».
   «In un certo senso è come se lo fosse, no?» rise Lara. «È sempre stato innamorato di Leah…»
   «E così alla fine tutti hanno il loro lieto fine» commentò Agathe. «Tu e Tom andrete allo stesso college e resterete insieme, Moses e Alan sono riusciti a far accettare il loro amore al signor Theodore, lo zio Damon e la zia Leah dopo una vita sono riusciti a costruirsene una nuova insieme… soltanto io rimango da sola, bloccata, a guardarvi tutti andare avanti» concluse con un pizzico d’amarezza.
   «Non sarà sempre così, sorellina» disse l’altra ragazza, cercando di consolarla. «Troverai qualcuno che ti ami come meriti e farà follie per averti, ne sono sicura».
   «Volendo, c’è sempre Marco, il nipote di Alan» propose Moses. «Scommetto che farebbe carte false per avere un’altra possibilità con te».
   «O magari potresti fare un tentativo col dottor Covington, adesso che non è più il tuo medico curante» disse maliziosamente Thomas. «Non gli dispiacerebbe affatto, a giudicare da come ti guardava in ospedale, ammaccata e con la testa tutta fasciata…»
   Agathe rise e gli sferrò un pugno sul braccio.
   «Marco è storia vecchia e Covington non è un’opzione, per quanto bello sia» rispose. «Penso che ci sia un motivo se sono sola: forse, se ci fosse stato ancora Richard, o chiunque altro, non mi sarei mai decisa a partire, e avrei perso un’ottima opportunità. Quell’accademia è una possibilità troppo grande per rinunciarci».
   «Quindi è proprio deciso» disse Moses.
   «Penny mi ha già pagato le tasse per il primo anno» confermò Agathe. «Devo solo trovare un appartamento e qualcuno con cui dividere le spese dell’alloggio… e magari fare baldoria nei fine settimana» aggiunse in tono innocente.
   «Non ci andavi per studiare?» la punzecchiò Thomas.
   «Ehi, voi avrete le feste organizzate nei dormitori: io devo pur arrangiarmi in qualche modo!» ribatté la ragazza con grande dignità.
   «E fai bene» disse Moses, schierandosi con lei. «Dovremmo festeggiare anche i vostri diplomi. Quand’è la cerimonia di consegna?»
   «Sabato» rispose Lara.
   «Quindi, quattro giorni da oggi» precisò il più grande, facendo i conti. «Immagino che a pranzo ognuno di voi starà con le rispettive famiglie, ma la sera potremmo andare a Londra. Magari in discoteca…»
   «Perché non al Luxury, prima?» buttò lì Agathe. «Luke conosce me e Lara, magari rimediamo anche un paio di consumazioni gratis».
   «Perché proprio quel locale?» chiese Lara.
   La sua amica scrollò le spalle. «Forse perché per me tutto è cominciato lì; magari tornandoci riuscirei a… non lo so, chiudere il cerchio o qualcosa di simile. Per partire in pace con il mio cervello… sempre che questo sia possibile…»
   «Si può fare» decretò Thomas. «Una puntatina al Luxury, un paio di drink, e poi in discoteca per tutta la notte. Moses, non provare a cambiare idea e darci buca perché in quel caso ti trascineremo con noi tirandoti per i capelli».
   «Ricevuto» disse l’altro.
   «Ora basta chiacchiere» disse Agathe, buttandosi di nuovo di schiena sull’erba. «Godiamoci la libertà».

I successivi tre giorni erano passati in un lampo; ormai era sabato mattina, e pur essendo soltanto le sette e mezza, Agathe era già in piedi e fresca di doccia.
   Il cellulare squillò.
   «Dimmi, pescetto» esalò la ragazza a colpo sicuro: pur senza guardare il display, sapeva con assoluta certezza che soltanto la sua migliore amica avrebbe potuto chiamarla a quell’ora indecente.
   «Will! O Dio, Will!» quasi urlò la voce di Lara attraverso l’apparecchio. «Che cosa mi metto?»
   Se non ne avessero discusso per due giorni, Agathe si sarebbe messa a ridere. «Ne abbiamo già parlato, pescetto. Metti il tubino color crema, la giacca nera e i sandali neri e beige».
   «Sei sicura?» chiese agitata l’altra. «Non sarà troppo… formale?»
   L’altra sospirò paziente. «È la nostra festa di diploma, e Collins ha detto che vuole un abbigliamento adeguato. Così sarai elegante al punto giusto. Fidati, no? Persino Vivienne ha approvato la scelta, e per quanto mi stia antipatica, lei di moda ne capisce: è il suo lavoro!»
   «Scusa, hai ragione» disse Lara. «Tu cosa metterai?»
   «La gonna nera a tubino e la blusa di chiffon color cipria» rispose Agathe. «Come avevamo deciso due giorni fa, ricordi?»
   «Te le metti le scarpe col tacco?»
   Agathe trattenne un sospiro spazientito ed esilarato al tempo stesso: non capiva come Lara potesse essere tanto agitata per una sciocchezza come l’abbigliamento. Paradossalmente, non era stata tanto nervosa neanche durante gli esami veri e propri, e quella era solo la consegna dei diplomi!
   «Sì, pescetto, metto i sandali col tacco anch’io, così non ti sentirai sola» rispose. «Adesso rilassati: fa’ colazione, poi una bella doccia e preparati, perché dobbiamo essere a scuola alle nove e mezza».
   «Agathe…». La diretta interessata sospirò, aspettando che Lara continuasse. «E se il vestito non mi stesse bene? E se sembrassi ridicola?»
   Agathe fece per rispondere, ma un improvviso, confuso intreccio di voci di sottofondo e un rumore di lotta la bloccarono.
   «Will?» disse la voce di Damon: evidentemente aveva strappato di mano il telefono a sua figlia. «Non ti preoccupare per Lara e le sue paranoie: è arrivata Leah, adesso ci pensa lei a calmarla un po’. Tu fa’ le tue cose in pace, se tua sorella non si rilassa, ho già i tranquillanti pronti all’uso».
   La ragazza scoppiò a ridere nel sentire la serietà e la determinazione con cui suo zio aveva pronunciato quelle parole. «Capito, zio. Ci vediamo più tardi a scuola!»
   «A dopo». Damon le scoccò un bacio attraverso il microfono e chiuse la conversazione.
   Scuotendo la testa divertita, Agathe scese per fare colazione, dove Evan e incredibilmente anche Gisèle la stavano aspettando.

Il prato della St. Margaret era assolato e brulicante di persone: gli studenti, insieme alle loro famiglie e agli amici, vagolavano intorno alla zona in cui era stato allestito il palco, di fronte al quale una montagna di sedie era disposta in file ordinate.
   «Sono quasi le dieci: è meglio che andiate a sedervi» disse Jennifer, lisciando la toga color porpora che Thomas indossava sopra il completo blu scuro; suo figlio si raddrizzò il tocco alzando gli occhi al cielo, ma la lasciò fare.
   «Jennifer ha ragione: andate, ragazzi» li spronò Damon.
   Agathe, Lara e Thomas obbedirono: seguendo la disposizione per ordine alfabetico le due ragazze sedettero fianco a fianco all’estremità dell’ultima fila riservata agli studenti, mentre Thomas, costretto a separarsi da loro, prese posto tre file più avanti.
   Damon e Leah, insieme a Moses e Alan, si appostarono in fondo alla parte riservata ai familiari; James e Jennifer sedettero un paio di file più avanti, non distanti da Evan e Gisèle, arrivati alla St. Margaret con Penelope, Benedict e Myra al seguito.
   I professori sfilarono sul prato; salirono i quattro gradini che portavano alla piattaforma e si accomodarono sulle sedie. L’ultimo fu il preside Collins, che si portò subito di fronte al leggio.
   «Sono lieto di dare il benvenuto qui, oggi, ai diplomandi e alle loro famiglie» esordì. «In genere, alla consegna dei diplomi tengo un discorso, ma quest’anno, insieme al consiglio d’istituto, è stato deciso di lasciare che fosse un’altra persona a parlare».
   Un mormorio si diffuse nell’aria e parecchi studenti si scambiarono furtivi gesti di trionfo: sfuggire ai pomposi monologhi di Collins era sempre una gioia.
   Collins non parve accorgersi di nulla e riprese la parola.
   «Do quindi il benvenuto su questo palco a una personalità molto importante per la St. Margaret: il generoso benefattore che quindici anni fa ha finanziato per intero la ricostruzione della nostra biblioteca andata distrutta in un terribile incendio, e che per tutto questo tempo ha continuato a prodigarsi per renderla sempre migliore». Tese la mano verso il lato del palco. «Richard Prescott».
   Richard sbucò da dietro il palco, impeccabile nel suo completo grigio scuro, salì con passo agile i gradini e raggiunse Collins; i due uomini si strinsero la mano mentre un educato applauso accoglieva il nuovo arrivato, poi il preside lasciò il leggio all’altro e andò a sedersi.
   Lara strinse la mano di un’Agathe pallidissima, mentre per un momento lo storico osservava le centinaia di persone rivolte verso di lui.
   «Buongiorno a voi» salutò calmo, recuperando un paio di fogli dalla tasca interna della giacca. «Prima di cominciare, voglio rassicurare tutti promettendo un discorso breve: non sono qui per battere il record del preside Collins».
   Una serie di risate si levò qua e là.
   «Oggi celebriamo i diplomandi classe 2013 e il loro raggiungimento del primo, importante traguardo del lungo cammino che li aspetta» iniziò Richard. «Il conseguimento del diploma è un momento fondamentale della vita: segna il confine tra due ere, quella in cui beneficiamo della protezione della famiglia e quella in cui si fa il pieno ingresso nel mondo per affrontarne le sfide». Lasciò vagare lo sguardo sulle decine di giovani facce che lo fissavano. «Da domani, sarete adulti: andrete al college, troverete un lavoro, vi costruirete una famiglia e, in breve, farete tutto ciò che la società si aspetta da voi. Quello che non dovrete mai dimenticare è la leggerezza di questi anni da cui oggi vi congedate: leggerezza che racchiude in sé la spensieratezza, l’audacia, l’ostinazione e l’imprudenza che, se conservate e opportunamente coltivate, vi renderanno adulti migliori di quelli che ora vi circondano. Seguire i dettami morali e conformarsi alla società non significa sottomettersi a essa; se per conformarvi alla società rinunciate a ciò che per voi conta davvero, alla passione che vi muove, allora vi sottomettete, e tutto ciò che avrete sarà una morte precoce dello spirito. Essere felici è da rivoluzionari; conquistare quello che ci rende felici, conservarlo ed esserne degni, è un’impresa degna di un re. Per questo vi consiglio: vivete in modo da essere re e regine del vostro avvenire, lottate per quello che conta davvero, non lasciatevi scoraggiare dagli ostacoli che verranno posti sul vostro cammino ma ostinatevi, aggrappatevi alle persone che vi rendono migliori e lasciate che vi guidino quando non ne avrete la forza, e che vi indichino la via quando la smarrirete. Siate ambiziosi, ma non ciechi; determinati, ma non ossessionati; siate audaci, rinnegate la vigliaccheria; coltivate assieme le abilità e i sentimenti, la mente e il cuore, perché l’uno non viva a spese dell’altro, ma coesistano da buoni fratelli».
   Richard guardò di nuovo la folla silenziosa e attenta.
   «Dunque vi dico: innamoratevi. Non abbiatene paura; neanche quando vi sembrerà di perdere voi stessi in un’altra persona, neanche quando un amore finirà e soffrirete. Non ascoltate chi vi dirà il contrario, e non credete al vostro stesso intelletto quando ne valuterà i pro e i contro. Nell’amore non ce ne sono: non è qualcosa che si possa misurare con i meri calcoli della ragione. Dovete ricordare, sempre, che la ragione assoluta uccide l’uomo incauto che si vota a essa. Io lo so. Ho vissuto di puro intelletto, e di puro intelletto sono quasi morto». Ancora una volta, Richard lanciò uno sguardo agli astanti. «Se sono qui oggi, a dirvi questo, non è solo per voi; non è un atto disinteressato di trasmissione della saggezza. No, se oggi sono su questo palco, a dirvi cose che probabilmente non capirete se non dopo averle vissute, è solo per egoismo: sono venuto a fare ammenda, e a chiedere perdono per gli errori che ho commesso». Tacque per un momento. «Vi ho detto di come, di sola ragione, il mio spirito è quasi perito di quella morte precoce che spetta a chi sottomette se stesso al sentire comune. Io mi sono sottomesso; non ne vado fiero, ma è così. Per paura, per evitare ostacoli tutto sommato non insormontabili, ho sacrificato il cuore alla ragione, e l’amore all’opportunità. Ho capito troppo tardi il mio sbaglio, sbaglio a cui probabilmente non c’è rimedio; ma devo tentare. Quando ormai credevo che per me fosse passata l’età dell’amore, ho scoperto che all’amore non importa che tu sia giovane o vecchio, che tu creda o non creda in esso. Mi sono innamorato, e prima di potermene rendere conto, tutto quello che ero l’avevo riversato nell’ultima donna che avrei mai pensato di poter amare. Non credete che sia stato un amore semplice, privo di rischi; l’amore vero non lo è mai. Lei ha riportato nella mia vita la spensieratezza e l’audacia, l’ostinazione e l’imprudenza; ha riversato in me questi doni che io avevo perso; ha scavato oltre la superficie di cui tutti s’accontentavano e ha creduto in me, ha creduto che potessi essere migliore: me l’ha ripetuto con le parole e con i fatti, con gli sguardi e con ogni gesto che mi ha rivolto negli ultimi mesi. Me ne ha convinto. E ci ho creduto, finché la codardia non ha avuto la meglio su di me: ho rinnegato tutto per scegliere la via più facile, senza capire che il pedaggio richiesto per prendere quella strada era il sacrificio della parte più importante di me stesso. Per questo oggi sono qui; per dire a lei, solo a lei, che è seduta tra di voi: ti amo. L’amore che provo per te non è cambiato, né cambierà mai. È più forte della paura, più forte degli ostacoli, ma ero troppo sciocco per comprenderlo. Ora non ho più paura: perché se devo scegliere tra lottare per averti e lasciarti andare per non dover combattere, allora sceglierò sempre di battermi; averti accanto mi ripagherà di ogni battaglia che dovrò affrontare per stare con te». Richard ignorò il brusio che aveva accompagnato le sue ultime parole e cercò il volto di Agathe tra la folla. «Auguro a ognuno di voi di essere amato nello stesso modo in cui sono stato amato io: è qualcosa che ti riempie l’anima. E se avrete questa fortuna, non gettatela al vento: custoditela con cura, perché diventerà la vostra stessa vita. Tutto quello che mi rimane da fare, adesso, è chiedere perdono all’unica donna che amerò mai: Agathe Williams».
   Il silenzio venne spezzato da una cacofonia di voci urlanti. Richard non batté ciglio: rimase impassibile sul palco, a cercare con gli occhi le persone che conosceva. I suoi migliori amici battevano le mani al suo indirizzo, sorridendo e gridando qualcosa che non poteva capire attraverso la folla rumoreggiante; Penelope sorrideva e annuiva soddisfatta; poco più a destra, Richard scorse Evan rivolgergli uno sguardo furioso e omicida digrignando i denti. Guardando la folla, si rese conto che più d’uno lo scrutava con disgusto e rimprovero… ma quando incontrò gli occhi di Agathe e lei non distolse lo sguardo, pensò che valeva la pena affrontare chiunque si fosse messo sulla sua strada solo perché lei lo guardasse ancora.
   
 
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