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Autore: _Tenshi89_    18/05/2009    0 recensioni
*Postato cap. 47!*
Per tanti anni mi sono detta che quella gente doveva morire. Per tanti anni mi ero giustificata dicendo che qualcuno doveva pur fermarli.
Balle. Tutte balle.
Io ero un’assassina.
Ero la più perfetta delle macchine per uccidere, in fondo. Un predatore micidiale.
Ho sempre avuto la pretesa di giudicare quella gente perché seguiva un folle ideale, ho sempre preteso di dire che loro erano la feccia, che io ero nel giusto. Era giusto per me vederli morire uno per uno, con il terrore marchiato per sempre nei loro occhi.
Se è vero quel che si dice, che l’ultima immagine vista in vita rimane per sempre impressa negli occhi, loro vedranno me per l’eternità.
Li uccisi tutti. Come loro avevano fatto con la mia famiglia; li avevo uccisi perché erano delle persone malvagie, avevano fatto soffrire tante persone innocenti. Avevo messo finalmente fine a quei massacri assurdi.
Erano i cattivi.
Ma io ero forse migliore di loro?

Gli errori si pagano, sempre.
Ma le conseguenze non sono sempre facili da affrontare...
Questa è la storia di Elian.
Una storia di odio, una storia di amore.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!
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***















Bella mi guardò ad occhi spalancati. «L’avevano preso loro? I Volturi?».
Annuii. «Ma questo lo seppi solo molto tempo dopo. Al momento, non avevo la minima idea di cosa fosse successo.
Lo cercai dappertutto. Pensai a qualunque cosa, setacciai il bosco in lungo e in largo», le dissi, sospirando, «ma non riuscii a trovarlo».
Ero disperata. Un attimo prima era nata in me la speranza, un attimo dopo il mio intero universo mi crolla addosso. Di nuovo.
«A spaventarmi era l’odore che circondava la casa. C’erano degli odori nuovi, che non conoscevo; era l’odore di altri vampiri. Non avevo idea del perché sarebbero dovuti venire da noi, o del perché avessero potuto prendere Vincent. Iniziai ad avere davvero paura. Non c’erano evidenti segni di lotta, la casa era perfettamente in ordine, niente era fuori posto. Apparentemente niente lasciava intendere che avessero preso Vincent con la forza, o che lo avessero costretto. Se l’avevano fatto, non avevano lasciato niente che potesse farlo pensare.
C’era solo una cosa: il loro odore. Seguii la loro scia, e gli odori erano talmente tanti che non riuscivo a quantificarli. Erano in molti, ma a me non interessava. Dovevo trovarli.
Seguii la scia per molto tempo, senza badare troppo a dove mi portasse. Raggiunsi il punto in cui l’odore si faceva più forte, più stagnante, e capii quello che era successo.
Ero arrivata all’accampamento».
Non c’era più niente. I resti dell’accampamento e della gentaglia di qualche settimana prima, i segni della mia furia, non c’erano più. Tutto era perfettamente normale, banale; i miei acutissimi occhi vedevano solo una radura ampia e spoglia. Nessun segno del mio passaggio.
Niente.
«Niente lasciava pensare che qualche tempo prima li ci fosse stato un massacro. Erano venuti a fare piazza pulita, ad eliminare le prove, per ripulire il disastro che io avevo combinato. Erano venuti a punirmi.
E avevano trovato lui».
Non ce la facevo. Non potevo riuscirci. Il suo nome mi moriva in bocca, quando ripensavo a quei giorni. Non riuscivo a pronunciarlo.
Ma Bella capì. L’amore sconvolge completamente l’essenza di un vampiro, la sua natura.
Nessuno ha mai detto di quello che può fare il dolore.
Non si limita a sconvolgere l’esistenza; sradica ogni singolo briciolo di buon senso, ogni possibilità di ragione, impedisce agli occhi di vedere, alle orecchie di sentire.
Ci si ritrova in un posto sconosciuto, dove tutto è avvolto dalla nebbia. Mille lame di fuoco attraversano la mente e il corpo; cercano un cuore da trafiggere, un cuore da spezzare. Un cuore che non c’è.
E continuano all’infinito. Nel limbo non è possibile trovare pace. È peggio dell’inferno, è il nulla.
Il vuoto più assoluto.
La cosa più terrificante è la certezza di essere soli. Nessuno sarebbe mai venuto a tirarmi fuori, nessuno mi avrebbe afferrata se fossi caduta nel baratro.
Poco male. Io, nel baratro, ci ero sprofondata già da un bel pezzo.
«Quando capii quello che era successo, quello che io avevo combinato, seppi quello che dovevo fare. Dovevo andare in Italia. Dovevo andare dai Volturi. Speravo di poterlo ancora salvare. Lui non doveva pagare i miei errori. Non avrebbe dovuto.
Quando arrivai in Italia, mi precipitai nella fortezza dei Volturi, ma era troppo tardi.
Trovai Alec e Jane ad aspettarmi. Erano stati trasformati da poco, erano appena stati “reclutati” da Aro.
Fu Jane a parlare. Mi disse che mi stavano aspettando, che sapevano che sarei andata da loro. E mi dissero a chiare lettere che non potevo fare niente. Non avevo idea del perché sapevano che io sarei andata da loro, del perché sapessero chi ero, di come facessero anche solo a sapere della mia esistenza. Vincent era stato portato al cospetto di Aro, Caio e Marcus, per il verdetto finale. Gli chiesi quale diavolo potesse essere l’accusa per cui doveva essere giudicato.
Lo accusavano di aver messo in pericolo la segretezza del nostro mondo, per aver perpetuato un massacro di notevole dimensione allo scoperto, senza occultare poi le prove del suo passaggio.
Lo stavano incolpando di quello che io avevo fatto.
Bella, dovevo fermarli. Loro non sapevano che ero stata io a combinare quel disastro, loro non sapevano che stavano per punire un innocente. O almeno così credevo.
Ero pietrificata. Mi dissero che alcuni esseri umani avevano visto troppo, e che la colpa era sua. Dissero che era stato un grave pericolo per noi, e che spettava una punizione a chi non rispettava la legge. La loro legge. Al diavolo».
Sputai questa parole con puro disgusto.
Li odiavo. Odiavo i Volturi, odiavo quello che facevano, odiavo quello che rappresentavano.
Li odiavo.
Quasi quanto odiassi me stessa.
«Ero disperata. Provai in tutti i modi a dire che in realtà lui non c’entrava niente, che era tutta colpa mia. Non mi credettero. Mi dissero che oramai era troppo tardi, che non potevo più salvarlo, qualsiasi cosa avessi fatto. Non mi ascoltavano; mi dissero che potevo solo aspettare.
Non capivo niente di quello che mi succedeva intorno. Dentro di me nutrivo ancora la piccolissima speranza che in realtà potessi ancora fare qualcosa. Insieme a loro, c’era un uomo, di nome Eleazar. Mi guardava spaventato, come se avesse paura di me. Chiamò gli altri due fuori dalla stanza, così che non potessi sentirli. Mi lasciarono da sola per qualche minuto, e quando tornarono insieme a loro c’era Aro».
Non mancava nessun attore all’appello. Aro era il regista, colui che avrebbe scritto il finale della mia storia.
Per sua sfortuna, non ho mai permesso a nessuno di decidere per me.
E mai l’avrei fatto.




***





  
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