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Autore: Oducchan    18/05/2009    5 recensioni
Seguendo l’iter dei suoi ricordi, si solleva per mettersi seduto sul materasso, puntellandosi qua e là per non cadere di nuovo indietro, ed emettendo un paio di gemiti di dolore per la ferita fresca. Si sfrega gli occhi, che non sono più abituati alla luce e bruciano da morire, prima di mettere a fuoco l’altro ragazzo che occupa la stanza.
È seduto a pochi passi dal suo capezzale, leggermente scomposto, con le gambe accavallate; tiene sulle ginocchia un blocco di fogli bianchi, su cui scribacchia qualcosa di vago e indefinito. Veste di nero, è pallido, ha i capelli corti di una complessa sfumatura della pece. E il paziente numero 32, è sicuro di conoscere quella fisionomia.
-Sasuke?- biascica malamente, ancora intontito – Che cazzo hai fatto ai capelli?-
Il ragazzo, a quelle parole, alza immediatamente il capo dal suo lavoro per fissarlo; e il paziente numero 32, nient’altri che Suigetsu, capisce subito che non è Sasuke. Il suo cosiddetto caposquadra ha il fuoco, negli occhi, sepolto dietro la cortina nera delle iridi. Che sia per rabbia, per dolore o per insofferenza, Sasuke ha lo sguardo che brucia e carbonizza. Di sicuro, il suo non è vuoto e cristallizzato in un nulla perenne come quello di questo sconosciuto.
-Prego?- e la voce del signor nessuno lo colpisce, perché è il diretto collegamento di quello che le iridi esprimono: nulla. Completo.

il classico day after, con protagonisti meno scontati: Sai...e Suigetsu
[partecipante al contest "Sai in pairing" di princess21ssj]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sai, Suigetsu
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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La battaglia

Non ho molto da dire, e non dirò molto. Solo, un grazie gigantesco alla nostra “giudicessa”, princess21ssj, per lo splendido commento e per il giudizio equo e celere. Un grazie a tutte coloro che hanno partecipato al contest per averlo reso estremamente interessante, e complimenti a tutte loro.

Bene, si va.

 

 

 

 

 

 

 

 

La battaglia.

Sasuke si volta, altero, e ordina loro di tenere a bada i ninja di Konoha per impedire una qualsiasi interferenza; poi si lancia contro il ragazzo biondo, la spada sguainata.

Il caos. Juugo che perde il controllo in un urlo furibondo, Karin che cade malamente a terra, lui che tenta di far vorticare la Tagliateste per tenere lontani i nemici.

Poi una sorta di mostro bianco e nero, un cane e uno sciame d’insetti che s’avventano su di lui, un dolore lancinante e improvviso alla gamba, il sangue.

Il buio.

 

 

La battaglia.

Naruto si piazza in prima linea, attivando la modalità eremita, dicendo a lui e a Sakura di coprirgli le spalle; poi si lancia contro l’Uchiha con un rasengan nel palmo.

Il caos. L’assalto dell’Akatsuki, il tentativo di bloccare quanti più attacchi possibili, le ferite e la vittoria.

Quando si volta di nuovo, i due principali combattenti sono a terra, esamini.

E lui scopre finalmente cos’è la paura.

 

 

 

 

ATTESA

Seventeen days in a hospital room

 

 

Si odono un paio di mugugni strascicati, prima che la sagoma nel letto cominci lentamente a muoversi. Un paio d’occhi neri si alzano per qualche secondo su di lei, per controllare cosa stia facendo, prima di tornare a concentrarsi sul carboncino rossastro.

All’improvviso, il paziente numero 32 apre di scatto le palpebre. Guarda il soffitto, spaesato, probabilmente cercando di stabilire come sia possibile che solo cinque minuti prima si trovava su un campo di battaglia sporco di sangue dal naso in giù e ora invece è disteso da qualche parte in una stupida stanza con il soffitto beige, avvolto in lenzuola soffocanti che puzzano di medicinale.

Seguendo l’iter dei suoi ricordi, si solleva per mettersi seduto sul materasso, puntellandosi qua e là per non cadere di nuovo indietro, ed emettendo un paio di gemiti di dolore per la ferita fresca. Si sfrega gli occhi, che non sono più abituati alla luce e bruciano da morire, prima di mettere a fuoco l’altro ragazzo che occupa la stanza.

È seduto a pochi passi dal suo capezzale, leggermente scomposto, con le gambe accavallate; tiene sulle ginocchia un blocco di fogli bianchi, su cui scribacchia qualcosa di vago e indefinito. Veste di nero, è pallido, ha i capelli corti di una complessa sfumatura della pece. E il paziente numero 32, è sicuro di conoscere quella fisionomia.

-Sasuke?- biascica malamente, ancora intontito – Che cazzo hai fatto ai capelli?-

Il ragazzo, a quelle parole, alza immediatamente il capo dal suo lavoro per fissarlo; e il paziente numero 32, nient’altri che Suigetsu, capisce subito che non è Sasuke. Il suo cosiddetto caposquadra ha il fuoco, negli occhi, sepolto dietro la cortina nera delle iridi. Che sia per rabbia, per dolore o per insofferenza, Sasuke ha lo sguardo che brucia e carbonizza. Di sicuro, il suo non è vuoto e cristallizzato in un nulla perenne come quello di questo sconosciuto.

-Prego?- e la voce del signor nessuno lo colpisce, perché è il diretto collegamento di quello che le iridi esprimono: nulla. Completo.

-Chi cazzo sei tu?- chiede, sollevando maggiormente la schiena ed allungando contemporaneamente la mano alla ricerca di un qualcosa che non c’è. Probabilmente la Tagliateste gli è stata requisita non appena ha messo piede lì dentro, e chissà dove e come è custodita. Chissà se la stanno trattando bene…

-Mi chiamo Sai. Molto lieto- gli risponde il moro, con la stessa identica voce apatica che perlomeno lo distrae da certi melanconici [ e un po’ stupidi] pensieri. Suigetsu arriccia il naso, studiando con un cipiglio aggressivo il sorriso finto e plastico che gli viene rivolto, mal disegnato in quel volto bianco e vuoto. No, decisamente con Sasuke non ha nulla a che fare, una volta visto meglio.

-Io per niente. Dove diamine sono?- ringhia, sulla difensiva, mostrando apertamente la sua dentatura affilata nel vano tentativo di sembrare minaccioso e pericoloso. Sai sembra non farci caso, inclinando il capo di un millimetro in più verso la spalla.

-Nell’ospedale di Konoha. Suigetsu Hozuki, giusto?- chiede candidamente.

-Giusto. Vedo che sei informato, verme putrefatto – lo rimbecca il paziente, con un ghigno poco amichevole che dovrebbe suonare quantomeno ostile. Solo che Sai continua a sorridere imperturbabile, parendo quasi impermeabile alla provocazione.

-Ho le mie fonti, tonno desalato- risponde, tornando a disegnare tranquillamente. Il munekin della nebbia ribolle, dentro di sé, ma prima di controbattere si ricorda, improvvisamente, di quello che è successo prima del suo svenimento.

-Dove arcidiamine sono i miei compagni? Sas..- chiede, ansioso, ma Sai lo interrompe prima che possa finire: si alza in piedi, avvicinandosi alla porta della stanza, e fa dei cenni a qualcuno che si trova nel corridoio.

-Spiacente, non sono autorizzato a darti queste informazioni- chiarisce, stringato. Suigetsu tenta di insistere, ma in quel mentre entra una ragazza dai capelli rosa raccolti in una crocchia sulla nuca: la riconosce, è l’amichetta del ragazzo biondo, la mocciosa di cui Sasuke ha parlato in un paio di occasioni. Lei lo studia, attenta, con quegli occhi verdi così particolari, analizza i suoi parametri vitali e scambia un paio di parole sottovoce con il moro. Poi, quasi a tradimento, gli pratica un’iniezione al braccio collegato alla flebo, prima di andarsene raccomandando qualcosa al suo controllore.

L’ultima cosa che vede, prima di addormentarsi un’altra volta, è quel sorriso vacuo stampato sul viso del cosiddetto Sai. Un sorriso che gli ricorda molto quello di qualcun altro…

 

 

Il secondo giorno, Suigetsu tenta la prima ribellione. Ha trascorso le ultime quarantottore tra un risveglio e l’altro, ha la testa che pulsa e la pressante sensazione che ci sia qualcosa che gli vogliano tenere nascosto. Sai è costantemente presente nella sua stanza, ogni volta che apre gli occhi; anzi, sembra quasi che nel trascorrere delle ore non abbia mosso nemmeno un muscolo, se non quelli indispensabili per scarabocchiare sul suo foglio; così, il munekin torna all’attacco.

-Voglio sapere come stanno gli altri tre-

-Te l’ho già detto- risponde, pacato [freddo, lontano] il pittore – Non posso dirtelo-

E Suigetsu non ce la fa a resistere, proprio no. Gli hanno insegnato a non farsi mettere i piedi in testa dalle persone sbagliate, reagisce e attacca come un demone infernale: senza aggiungere una parola, chiude gli occhi e utilizza la sua particolarissima abilità innata per violare quelle regole che già gli stanno strette, trasformandosi in un informe massa d’acqua, provando così a raggiungere l’uscita. Ma a sorpresa, Sai è più rapido e scattante di quello che sembra: in un battito di ciglia, balza dalla sedia con un movimento elegante, e gli si fionda addosso stringendo un sigillo scritto in azzurro tra le dita. Glielo applica addosso, bloccando la metamorfosi e costringendolo a tornare di carne e ossa in un gemito contratto di dolore; poi, immobili, si fissano negli occhi per alcuni, interminabili, minuti.

-Voglio sapere come stanno gli altri componenti del mio gruppo. Se sono vivi, perlomeno – uggiola l’Hozuki, comprimendosi malamente la gamba ferita che gli manda scariche dolorose ai suoi centri nervosi. Sai tace ancora, parendo quasi rifletterci sopra, e poi si risolleva, sistemandosi la maglia.

-Ho parlato con Sakura-san, stamane- annuncia – La tua amichetta dai capelli rossi dovrebbe star bene, ha avuto un trauma cranico ma è cosciente. L’altro, quello coi capelli arancio, sembra avere parecchi problemi di autocontrollo. È sotto sedativi dal suo arrivo-

Suigetsu annuisce, compunto, permettendosi di rilassare per un nanosecondo il respiro; si era aspettato, quelle notizie, ma si sente lievemente meglio comunque. Però, manca qualcosa a quel discorso, qualcosa che è fondamentale.

-Sasuke?-

Il volto di Sai ha, per la prima volta, una sorta di cedimento: corruga lievemente la fronte, mentre le palpebre si abbassano di qualche millimetro.

-Sasuke e Naruto sono in coma. Uno per le ferite riportate nel combattimento, l’altro per i danni creati dallo scontro precedente con Madara Uchiha e per l’utilizzo del chakra della Volpe. Non si sa se e quando si sveglieranno-

E in quella frase loro due non lo sanno, ma è condensata la loro esistenza. Il loro destino, e il loro presente. Entrambi, sono preda del più grande nemico che un ninja che segue il sangue può avere. La paura

 

 

Il quinto giorno, Suigetsu sonnecchia. È stato apatico nelle ultime giornate, salvo chiedere, a sprazzi, notizie sulla salute fisica degli altri membri del Taka, sempre sorvolando accuratamente di fare domande precise sull’ultimo degli Uchiha. Sai non lo ha mai perso d’occhio, osservando scrupolosamente il compito che l’Hokage stessa gli ha affidato, restando a studiarlo dalla mattina alla sera; un po’ la cosa gli interessa, perché parlando con Yamato-san sembra che i ninja del Villaggio della Nebbia seguano un programma d’allenamento che è molto simile a quello della Radice, e vuole vedere quanto questo sia vero. Quel ragazzo dai buffi capelli azzurri che si ritrova davanti, infatti, per certi versi gli ricorda se stesso: vede nei suoi occhi gli anni d’addestramento, i morti, le punizioni, la rigidità degli schemi di pensiero. Ma annidato in quei occhi violetti trova anche uno spirito indomito che fatica a restare imbrigliato negli ordini, una determinazione verso un obiettivo che malamente si sposa con la sua idea di non esistenza. Il cuore di Suigetsu Hozuki può essere arido quanto il suo, ma batte con una funzione specifica.

E l’inconscio di Sai, pare capire che loro due, in qualche modo, si possono aiutare.

Chiuso in questi pensieri non s’accorge della figura che s’è avvicinata lungo il corridoio e che staziona davanti alla porta aperta, finché questa non attira la sua attenzione tossicchiando lievemente: Kiba Inuzuka, con il braccio destro fasciato e legato al collo, si gratta la nuca con l’arto sano, a prima vista imbarazzato.

-Ehm…Sai, siccome sono quello messo meglio, l’Hokage mi ha mandato a dirti che sembra che Danzo-sama ti voglia parlare-

Il moro lo fissa, pensieroso, prima di girare lo sguardo sulla sagoma del suo “incarico” sdraiata nel letto. Ci riflette, analizzando i vari dettagli e incastrandoli tra loro, e poi scuote appena la testa, stringendosi nelle spalle.

-Riferisci che Danzo-sama mi può aspettare. Ho un incarico da portare a termine- risponde, secco, riprendendo in mano il pastello a cera di un colore arancio. Stavolta, non sarà qualcun altro a decidere per lui: se le cose devono cambiare, in qualunque senso questo succeda, sarà presente e ne sarà consapevole.

Se è così che deve andare, vuole essere pronto, e sapere che espressione mostrare, stavolta.

 

 

Il settimo giorno, Sakura dichiara Suigetsu fuori pericolo, e che la somministrazione di tranquillanti può cessare. L’interessato ha accolto la notizia con una sfilza di insulti rivolti ai medici che lo imbottivano di farmaci inutili, e la cosa si è conclusa con una bella litigata tra lui e Ino, che era di turno al momento e che gli stava cambiando le medicazioni. Sai non è intervenuto né ha provato a placare i due contendenti, restando isolato nel suo mondo d’inchiostro, beccandosi con perfetto disinteresse tutti i rimproveri indirettamente indirizzati a lui.

Quando i due restano di nuovo soli, l’atmosfera sembra farsi tesa, palpabile, quasi tagliabile con un coltello. È snervante.

-Si sa niente di nuovo su…sui due?- azzarda l’Hozuki, a un certo punto, probabilmente per spezzare il silenzio opprimente che avvolge la stanza

-Ci sono il venticinque percento delle probabilità che Sasuke si riprenda. Diciassette, passando a Naruto. Non hanno reazioni visibili alle stimolazioni esterne: no, non ci sono novità- lo informa Sai, con pragmaticità e [crudele] schiettezza. Suigetsu strabuzza gli occhi, sbalordito, non riuscendo a stabilire se quello che ha sentito è realtà oppure se l’è sognato.

-Ma a te, non t’importa?- sbraita, incredulo, tirando una manata al materasso con un tonfo sordo che si ripercuote in un debolissimo eco.

Sai si ferma, alzando la mano dal foglio su cui sta lavorando, e lentamente, con una calma che ha del soprannaturale, alza gli occhi neri [vacui, piatti, inespressivi], su quelli di Suigetsu. Poi, sempre a rilento, gli rivolge alla finestra che dà sul panorama cittadino di Konoha, lasciandoli vagare senza meta né destinazione nel cielo azzurro. È una domanda che non s’era mai posto, e il sentirsela rivolgere, l’ha in qualche modo colpito. A lui non dovrebbe importare.

Perché allora ci tiene, a restare in ospedale ad aspettare?

-A dir la verità, non lo so….- mormora, pianissimo.

E quella risposta, fa rabbrividire entrambi, seppur per motivi diversi.

 

 

L’undicesimo giorno le cose sembrano finalmente avere una svolta. Suigetsu rimane disteso per un paio d’ore, sempre sotto stretta osservazione; prende senza lamentarsi le medicine, non reagisce alle domande che gli vengono rivolte, sembra immerso in un mondo a parte, in cui non rientrano né Konoha né il suo ospedale.

Finché, all’improvviso, non esplode. I suoi lineamenti si contraggono, mentre serra i pugni e ne tira uno al muro dietro la sua testa, assume i lineamenti di una belva incatenata; e scatta.

-Basta!- urla, a pieni polmoni, tirando indietro le coperte dal petto e armeggiando per mettersi seduto. Sai, che lo osserva silenzioso, si affretta ad alzarsi e ad avvicinarsi, estraendo celere il solito sigillo che ha in dotazione.

-Metti via quell’affare- gracchia il paziente, stringendo convulsamente il materasso nello sforzo di mantenersi dritto –Voglio andare dagli altri-

-Sasuke è ancora in coma- lo informa l’altro, laconico, senza perdere d’occhio nessuno dei suoi movimenti. Quello scoppio improvviso, stranamente, ha suscitato il suo parziale interesse, e vuole proprio capire qual è il punto a cui l’altro vuole arrivare, qual è l’obbiettivo che vuole raggiungere. Suigetsu non ribatte, aggrappandosi con tutte le sue forze al supporto della flebo per tirarsela accanto, e punta a terra i piedi, alzandosi e traballando in avanti

-Qualcuno deve parlarne a quei due cretini- digrigna malamente, sforzandosi di restare dritto e di non far cedere la gamba ferita con conseguente caduta poco autorevole – Juugo è un po’ troppo emotivo, e Karin…oh insomma, vado da loro!-

-Non sei nelle condizioni di muoverti- commenta l’altro, senza muovere un solo muscolo. Suigetsu volta di scatto il capo verso di lui, con un’occhiata che taglia in due.

-Non ho intenzione di stare fermo ad aspettare, non anche stavolta! – urla, barcollando pericolosamente in avanti. Sai è rapido a muoversi in avanti e ad afferrarlo per un braccio prima che finisca a terra, ma una volta evitato il peggio tiene ostentatamente il capo abbassato per non doverlo a guardare. C’è qualcosa che Suigetsu non dice e che Sai non chiede, qualcosa che brucia nella loro mente [che dovrebbe essere ottenebrata, dal sangue e dall’allenamento, ma invece sente ancora le cicatrici infertegli]

-Ti accompagno- mormora il moro, dandogli le spalle per raccattare i suoi strumenti di disegno

-Bene- conferma l’altro, in una smorfia poco convinta, mentre, uno zoppicando e l’altro lentamente per seguire il suo ritmo, escono dalla stanza incamminandosi per il corridoio

 

 

La quattordicesima notte, Suigetsu si sveglia di soprassalto, sudato, dopo un incubo in cui sono venuti a fargli visita dei ricordi che credeva di aver definitivamente cancellato dalla sua mente parecchio tempo prima, prima ancora di finire in una teca d’acquario come collezione di un pazzo maniaco. Annaspa, aggrappandosi convulsamente a quello che le sue dita trovano, e cerca di riprendere fiato respirando pesantemente; e improvvisamente, si accorge che Sai non è lì: dopo due settimane in cui quella nera, fastidiosa e inquietante figura è sempre rimasta, più o meno presente, accanto al suo letto, si ritrova per la prima volta da solo.

E il groppo che gli chiude la gola è opprimente, nel comprendere quanto possa essere angosciante la solitudine.

 

Dal canto suo, la quattordicesima notte Sai la passa insonne: è nel suo appartamento, seduto per terra davanti a una grossa tela, e dipinge come suo solito, lasciando che i suoi movimenti vengano illuminati dal bagliore lunare, che filtra dalla finestra aperta. Il pennello descrive un arco, una serie di linee complesse, un’arricciatura leggermente sbavata; poi rotola a terra, lasciato andare, mentre il suo proprietario si passa i palmi aperti sugli occhi stanchi. Il moro si sdraia, supino, lasciando vagare lo sguardo nel cielo notturno, cercando le stelle che risplendono nel firmamento sereno. Allunga piano una mano accanto al suo viso, com’era solito fare una volta, ma a metà del gesto si ricorda che Shin non la stringerà con dolcezza, né oggi, né domani, né mai più.

Solitaria e impercettibile, una stilla salata scivola dalle ciglia folte sulla guancia, creando un gioco di riflessi opalescenti.

 

 

 

Avevano insegnato loro, a non guardare al passato in nessuna circostanza, e a non cercare il futuro con trepidazione. Per loro, che erano guerrieri, che erano armi e come tale dovevano comportarsi, doveva contare solo il presente.

Dovevano essere autosufficienti, e non dipendere da nessuno. Dovevano eseguire gli ordini. Dovevano scordarsi di esistere, sul campo di battaglia, per eseguire al meglio il loro dovere.

Uccidere.

 

Non

 

La battaglia. Sasuke che si scaglia contro Naruto, Naruto che s’avventa contro Sasuke.

E non si può restare a guardare, non ce n’è il tempo, bisogna imitarli, perché l’indispensabile è sopravvivere. Attacco e difesa, fendente e pittura, spada e pennello, uno contro l’altro, arte o follia.

 

Mi

 

Spia, assassino, ninja. Tanti modi d’essere e di rispecchiarsi. Il sangue che è un’abitudine, le armi che sono le fide compagne, le missioni e le uccisioni; la vita si compone di questo, senza distinzioni, senza novità.

Finché non incontri un ostacolo che non riesci a superare, finché non incontri il vetro che ti separa dal mondo e non lo vedi andare in frantumi.

 

Importa

 

Finché non incontri qualcuno in grado di cambiare le tue carte, con ostinazione e caparbietà.

Finché non incontri un te stesso che non esisteva, e capisci che senso ha vivere.

 

 

È strano rendersene conto, guardarsi allo specchio e riconoscere che quella che si vede non è la stessa persona che credevamo di essere. Facciamo parte di qualcosa; qualcosa di grande, qualcosa d’importante.

È strano rendersene conto, a un passo dal perderlo.

 

 

 

La mattina del quindicesimo giorno diluvia. La pioggia e i nuvoloni grigi che si sono assembrati nel cielo dandogli la consistenza del cemento non contribuiscono ad affievolire l’atmosfera; Suigetsu si agita, bloccato nel suo letto, bramando di poter fare qualcosa, che sia anche solo alzarsi e andare a trovare quei due deficienti che stanno nella camera affianco.

Sai arriva in ritardo, quella mattina. È bagnato fino al midollo, perché quando è uscito si è dimenticato [o non ha voluto] di disegnarsi un ombrello, e l’acqua gocciola dai suoi vestiti fino a terra creando delle pozzanghere ogni volta che si ferma; ha delle occhiaie poco calcate attorno agli occhi allungati, perché nemmeno stanotte ha dormito, perseguitato da pensieri fastidiosi che gli si insinuano nella mente: perché sta cambiando, Sai se n’è accorto da solo, basta guardarsi allo specchio per capire che la persona che vede non è quell’ombra che mesi prima credeva di conoscere e a cui affibbiava il nome di “sé stesso”. Sta cambiando, e la cosa lo inquieta.

Si trascina stancamente nella camera, afferrando la sedia per avvicinarla al termosifone, senza dire una parola. Si siede, muto e immobile, con lo sguardo fisso nel nulla: e questo a Suigetsu non sta’ bene, non dopo due settimane passate ad aspettare una notizia che non arriva.

-Sei in ritardo, pittoruncolo- ringhia, aggressivo

Il moro non reagisce immediatamente, volta appena il capo verso di lui, sbattendo le palpebre: dopo gli strilli di Sakura, che l’ha inseguito su per le scale cercando di convincerlo ad andare a cambiarsi, le parole del suo sorvegliato gli scivolano addosso come la pioggia da cui si è appena sottratto; piega la guancia contro la spalla, come se fosse pensieroso, e sussurra.

-Credi che non m’importi?-

Suigetsu inarca le sopracciglia, non riconoscendo l’argomento della conversazione. Sai annuisce, mesto, e poi continua, mormorando talmente piano che sembra quasi aver timore d’infrangere se stesso, ad incrementare il tono di voce.

-Lo credevo anch’io, davvero. Ma stamattina ho guardato il cielo e mi sono ritrovato a pensare che mio fratello si sarebbe lamentato del fatto che non sarebbe potuto uscire, e che quasi sicuramente lo avrebbe fatto anche Naruto. E ho realizzato anche che non voglio, che Naruto smetta di strillare cose senza senso da mattina a sera. Perché…perché non voglio ricordarlo, come ricordo Shin - tace, mordicchiandosi il labbro inferiore. Suigetsu lo guarda, tormentandosi le dita, annuisce e poi incrocia con forza le braccia al petto, cercando di suonare convincente anche a se stesso.

-Non moriranno- asserisce –stiamo parlando di Sasuke Uchiha e del moccioso della Volpe, non di tipi qualunque: non morirà nessuno dei due-

Passa qualche secondo di silenzio, in cui l’Hozuki riprende fiato cercando di non pensare al fatto di aver detto parole simili, quando Mangetsu era ferito, e in cui Sai cerca di restaurare il suo equilibrio indifferente, poi il primo torna a sbuffare, come se niente fosse successo.

-Allora, ti vuoi dare una mossa? Non ho intenzione di stare qui ancora a lungo- borbotta - Datti un’asciugata, che sembri un pesce appena pescato-

Sai si stringe nelle spalle, alzandosi per andare a mettersi una tuta asciutta.

 

 

 

Non

Posso

Sentire

Niente

 

Troppo diversi per considerarsi, troppo simili per ignorarsi.

Due punti di vista, due filosofie

Chi può capirti, se non chi ha seguito la tua via ?*

 

 

 

È il diciassettesimo giorno. Sembra che tutto debba svolgersi come di consueto. Suigetsu si è trascinato, zoppicando leggermente per via della ferita, fino alla camera di Juugo e Karin, come al solito, sempre seguito dalla sagoma nera e silenziosa del suo osservatore. Si è seduto sulla solita sedia, berciando insulti verso la ragazza e venendo ampiamente ricambiato, e cercando di svagare la mente del compagno di squadra, sperando come al solito che non accada niente; è stato scontroso e strafottente, nascondendo alla perfezione l’inquietudine. Sai è costantemente alle sue spalle, aggiungendo a sprazzi qualche battuta poco carina rivolta ora ai pazienti, ora alle infermiere; i suoi occhi neri si alzano raramente dal disegno che sta tratteggiando, correndo sempre, quelle poche volte, alla porta della stanza. Ad ammetterlo non ci crederebbe, ma sta aspettando Sakura.

Una Sakura che non arriva.

Improvvisamente scoppia un coro di urla, si sente qualcosa fracassarsi a terra, dei rimproveri e delle porte sbattute. Medici e infermieri in camice bianco corrono giù per il corridoio, da soli o in gruppi, verso la stanza che sta in fondo. Quella stanza.

Suigetsu è il primo a reagire. I suoi occhi violacei si spalancano per un nanosecondo, prima di balzare con una rinnovata agilità in piedi.

-Karin, vecchia troia, tieni d’occhio Juugo, ok?- blatera, agitato, mentre arranca con tutto il fiato che ha nei polmoni verso la porta. Karin gli risponde strillando, Juugo alza la testa, allarmato, Sai soffoca un’imprecazione e sistema i pennelli, pronto a intervenire. Le grida dal corridoio aumentano.

E allo stesso momento, Suigetsu e Sai capiscono. Capiscono chi è che sta urlando, capiscono perché tutti corrono avanti e indietro trafelati, capiscono perché c’è tutto quel trambusto. Si guardano, per trenta, lunghi, secondi netti.

Poi l’Hozuki scatta avanti, il moro si getta sottobraccio tempera, tela e pennelli e tutti e due si avviano, uno con un cipiglio aggressivo, l’altro più apatico, verso quella stanza, verso cui sono stati rivolti i loro pensieri delle ultime due settimane; scansano i medici assembrati, si fanno largo tra le infermiere preoccupate, ricevono una serie di rimbrotti e ammonizioni, ma nessuno dei due sembra farci caso: il primo mostra i denti, seminando una lieve ondata di panico; l’altro si limita a sorridere, facendo appena qualche cenno col capo per tranquillizzare i più esagitati. Ino tenta una piccola resistenza, ma la superano senza curarsene troppo.

Entrano nella stanza, uno dopo l’altro, chiudendosi subito la porta alle spalle; Sakura, che è l’unico medico presente all’interno, si gira immediatamente al loro indirizzo, allarmata, gli occhi verdi che si riempiono di furia non appena li riconosce.

-Che cosa ci fate voi qui? Uscite, dovreste…-

Sai le fa cenno di tacere. Suigetsu la ignora del tutto, marciando risoluto fino al letto di Sasuke: perché non riesce a trattenersi, vedendo quelle maledette iridi nere [quelle iridi che bruciano, che hanno il fuoco dentro] finalmente aperte, in quel volto d’alabastro; perché il sollievo è talmente grande, nel vederlo finalmente vivo, a sbraitare contro il suo migliore amico tutti gli insulti che conosce, che arriva a scambiarlo per rabbia.

-Tu! Emerito deficiente!- tuona, ricevendo un’occhiata piena di stupore – Vedi di piantarla di fare casino! C’è gente a cui non interessa un fico secco di quello che hai da dire!-

Sakura, Sasuke e Naruto spalancano gli occhi, a quell’affermazione. Sai, dalla porta, sospira appena, prima di avanzare, guadagnando la poltroncina accanto al letto dell’Uzumaki e accomodandovisi, sistemando meglio sulle proprie ginocchia fogli e colori; sul suo viso esangue, si delinea un sottile sorriso, mentre strizza appena le palpebre chiare. Accavalla le gambe, lisciandovi sopra il foglio, e alza la testa verso Naruto. Naruto che, dannazione, è vivo, è sveglio, ha il viso un po’ tirato e gli occhi un po’ confusi ma è lì che respira, non è morto.

-Ben svegliato, Naruto-kun- cinguetta –Tu e il tuo pisello come state?-

Naruto fa per ribattere, immediatamente alterato, ma a metà del gesto di stizza con cui vorrebbe strozzarlo coglie cosa c’è dietro la solita maschera plastica dell’amico; incassa il colpo, sbuffando appena, osservando poco convinto quel tipo coi capelli azzurri strillare e gesticolare all’indirizzo dell’Uchiha qualcosa di molto poco carino. Dopotutto, è bello scoprire che c’è qualcuno che si preoccupa per te.

-Va bene, basta! Uscite di qui, tutti e due, Sasuke e Naruto hanno bisogno di riposo!- s’intromette Sakura, cercando di far valere la sua autorità di medico, puntando i pugni sui fianchi in una posa che dovrebbe essere minacciosa. Purtroppo per lei, ha sbagliato i soggetti su cui prevaricare.

-Senti un po’, caramella, i tuoi amichetti hanno fatto fracasso fino a trenta secondi fa, quindi taci e lasciami urlare quello che mi pare!- attacca subito l’Hozuki, infatti, voltandosi di tre quarti verso la ragazza con due occhi infuocati che fanno paura. Lei apre la bocca, per ribattere, indignata, ma non emette fiato; agita i pugni, a casaccio, poi si gira verso l’altro compagno di squadra, puntandogli addosso un indice tremante

-Sai! Riportalo immediatamente in camera sua!-

-E perché mai dovrei, Sakura- san?- le risponde il moro, serafico, senza nemmeno alzare lo sguardo dal foglio –Lo sai, che sono dalla sua parte-

La giovane traballa, colpita nell’orgoglio, e se ne va soffiando come un cane arrabbiato si allontana dal gatto che lo ha appena sconfitto. Naruto si gratta il capo, confuso, fissando pensieroso il soffitto.

-Scusa una cosa, Sai….ma tu e quel tipo, vi conoscete, per caso?-

Il moro, solleva lo sguardo, davanti a sé, senza posare il pennello, incontrando l’occhiata d’intesa che Suigetsu gli ha rivolto ridacchiando; sorride, per una volta senza finzioni.

-Oh sì, Naruto-kun. Da diciassette giorni-

 

 

Diciassette giorni d’attesa. Diciassette giorni per scoprirsi simili, per capire l’importanza di esserci, per sapere quanto può essere grande la paura di una perdita.

Per essere parte di qualcosa di grande e di importante.

 

 

 

 

 

 

* la “via” è un riferimento alla già citata Nebbia di Sangue, che sia la Root che i ninja della nebbia praticano come allenamento per sopprimere le emozioni

 

 

 

concludendo….lo so da me che non sta in piedi. Ma ho la fissa con Sai e con Suigetsu

un besos

vostra wolvie^^

   
 
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