CAP 6
- SE LA MATEMATICA NON E’ UN’OPINIONE
Erano
ormai quasi due ore che percorrevano la polverosa strada maestra per
Bologna.
Nella
tiepida semioscurità della piccola carrozza la testa di
Cristina ondeggiava a
ritmo con l’andamento della vettura: la tensione dei giorni
precedenti l’aveva
letteralmente prosciugata di tutte le energie ed ora faticava a tenere
gli
occhi aperti mentre di fronte a lei Matilde, sdraiata sul baule che
fungeva da
sedile, aveva già ceduto alla stanchezza e dormiva
tranquilla. Lo avrebbe fatto
volentieri anche lei se il posto accanto al suo non fosse stato
occupato da
Federico, che guardava fuori dal finestrino assorto. Cercò
di sistemarsi meglio
contro la parete di legno, ma la stanchezza era davvero troppa.
Trasalí quando,
ormai abbandonata al sonno, andò ad urtare la spalla del
ragazzo seduto accanto
a lei.
-S-scusa,
scusami…- biascicó a occhi chiusi rialzandosi
subito e cercando di trovare una
posizione più stabile.
- No
non preoccuparti- fece lui - …tutto bene?- La sua risposta
fu un mugolio che
Federico interpretò come un assenso. La osservò
per qualche secondo mentre
cercava di puntellarsi al meglio nell'angolo della carrozza ad occhi
semichiusi
combattendo contro il sonno imminente. Era davvero buffa e, in un altro
momento,
si sarebbe anche messo a ridere vedendola così. Scosse la
testa.
- Io
vado a prendere un po’ d'aria…- disse alzandosi e
bussando alla finestrella chiedendo
a Guglielmo di fermarsi per farlo scendere. Lei disse qualcosa di
incomprensibile mentre finalmente poteva stendersi comoda sul sedile
per
riposare avvolta nel pesante mantello.
Federico
maledí la propria galanteria appena mise piede fuori dal
carro: il sole splendeva
nel cielo terso, ma l'aria gelida di quei primi giorni
dell’anno condensava il
respiro in nuvole di vapore e il freddo secco si infilava sotto i
mantelli e
gli abiti pensati. Si sfregó energicamente le spalle prima
di arrampicarsi a
cassetta.
- Visto
che aria frizzante? –
Guglielmo
ripartì con un deciso colpo di redini.
- Frizzante?
A me sembra di stare in una neviera… Non mi pareva facesse
così freddo a
Firenze...-
- Eh
no, ma ora stiamo andando verso le montagne, è normale che
faccia più freddo…-
- Giusto,
non ci avevo pensato…- Federico si strinse nel mantello.
Non
si era mai allontanato così tanto da Firenze. In
realtà non è che avesse
effettivamente mai viaggiato in vita sua. Una volta, quando doveva
avere sei o
sette anni, era andato a Monteriggioni, ma non ricordava
granché a parte il
gran caldo.
L’unica
memoria nitida era sua madre che lo abbracciava forte nonostante fosse
completamente fradicio…
-
Federico! Ma cosa t’è saltato in mente?! Vuoi
farmi morire?!- aveva quasi
urlato Maria tirando fuori di peso il figlio maggiore
dall’acqua.
Faceva
molto caldo quel pomeriggio, e lei aveva deciso di portare i suoi
bambini a
giocare vicino al bordo di una cisterna per l’acqua piovana
nei giardini della
villa. Mentre Federico ed Ezio si divertivano a schizzarsi, lei sedeva
poco
lontano, facendo giocare la piccola Claudia con l’acqua. Ad
un tratto però, il
suo anello d’oro si era sfilato, cadendo nella cisterna: essendo
l'acqua abbastanza profonda, Maria si era dovuta rassegnare a non
poterlo
recuperare. Federico però, che già sapeva nuotare
abbastanza bene, in un momento
di distrazione, aveva preso un grosso respiro e si era buttato sparendo
sott'acqua. La donna, aveva subito lasciato la bimba sul
prato,sporgendosi sul bordo
della vasca e, non vedendolo risalire
subito, aveva iniziato a chiamarlo e ad urlare in preda al terrore.
Erano
passati parecchi secondi, che le parvero secoli, prima che lo vedesse
finalmente tornare a galla.
-Ma
madre…-
-Sei
impazzito?! Si
può sapere perché stavi cercando di affogarti?!-
aveva continuato lei
scuotendolo per le spalle.
Il bambino
aveva
sorriso ed aveva aperto la mano che aveva tenuta serrata fino a quel
momento,
rivelando il piccolo cerchio d’oro. Maria aveva sospirato e
lo aveva stretto
forte, infradiciandosi il vestito…
Il
calore di quei ricordi riuscì a scaldarlo un po’
in mezzo a tutto quel
gelo…
-È
la
prima volta che vai a Bologna vero? – la voce di Guglielmo lo
riportò al presente.
-Be
si…in realtà è la prima volta che
lascio Firenze…-
-Ah
giusto, ho sentito prima di tua zia…cioè di tua
madre…Vabbè della parente…mi
dispiace…-
-Oh
non preoccuparti…- in realtà non aveva capito
bene nemmeno lui che parentela lo
legasse alla fantomatica donna con cui avrebbe dovuto vivere.
Ascoltando
meglio Guglielmo però, si era accorto della cadenza che
aveva nel parlare:
lavorando con suo padre qualche volta si era trovato ad ascoltare messi
e notai
bolognesi, ma quello non era sicuramente accento di quelle terre,
né tantomeno
toscano. Sembrava qualcosa di più caldo, di più
centrale…
-…tu
invece? Senza offesa, ma il tuo accento non mi sembra
emiliano…- indagò. Aveva
bisogno di parlare un po’ con qualcuno.
Guglielmo
rise -…nessuna offesa perché non lo è:
sono nato a Bologna ma sono cresciuto a
Roma…-
"Roma! Ma certo!" Trattavano
spesso coi
mercanti romani e laziali, ecco perché l'accento gli era
familiare.
-Sei
a Bologna per lavoro quindi?-
-No,
ci vivo-
Federico
lo guardò perplesso e il ragazzo alzò le spalle
tornando a guardare la strada -
...quando avevo tre o quattro
anni siamo andati a vivere a Roma, mamma ed io. Avevamo una bella
casetta,
vicino al Campidoglio. Mamma faceva la lavandaia e io...bè
ero troppo piccolo
per fare qualcosa. Stavamo bene nonostante tutto, finchè non
si è ammalata...- disse
rabbuiandosi un po’ -…Se ne andò in
poco meno di cinque giorni e io mi ritrovai
completamente solo…poi arrivò
Filippo…-
-Filippo?-
-Messer
Filippo De Quintis- fece Guglielmo con orgoglio
-…è un mercante d’arte: la sua
bottega è la prima di Bologna…-
-Forse
l’ho sentito nominare…- Maria acquistava tele e
dipinti in tutta Italia e,
naturalmente, aveva comprato anche a Bologna più di una
volta -…ti ha preso
come apprendista?-
-Non
proprio…diciamo che è in debito con
me…-
-In
che senso?-
-Gli
ho più o meno salvato la vita…-
-Scherzi?
–
Guglielmo
scosse la testa e iniziò a raccontare -Dopo aver perso
mamma, come ti ho detto,
non avevo più nessuno. Iniziai a vivere per strada: Roma
era, ed è tutt’ora,
piena di orfani e ragazzini lasciati a sé stessi. Qualche
elemosina, qualche
lavoretto, a volte un piccolo furto e si tirava avanti, sperando di non
morire
di freddo o di fame come facevano tanti. Anche se diciamocelo, quante
possibilità vuoi che possa avere un ragazzino di dodici anni
di diventare
adulto vivendo così? Pochissime. Io però ebbi la
mia: un giorno insieme ad un
mio compagno ottenni un piccolo lavoro che consisteva nel trasportare
alcune
tele. Il mercante d’arte ci ricompensò con un
ducato d’argento a testa, un
tesoro per noi! Ricordo che lo spendemmo tutto all’osteria e
mangiammo fino a
scoppiare…- rise piano, strappando un sorriso anche al
ragazzo accanto a lui -
…Ad ogni modo, mentre camminavamo per i vicoli, sentimmo
rumore di rissa
provenire da una strada senza uscita. Ci avvicinammo e vedemmo un uomo
che combatteva
da solo contro due sicari in nero. Riconobbi subito il mercante
d’arte del
mattino e, mentre il mio compagno se la filava, io non ci pensai due
volte:
afferrai un bastone e mi lanciai contro quello che ci dava le
spalle…-
Federico
si strinse nel mantello – E lo hai atterrato?-
Il
riccio scosse la testa -…No. Fu lui ad atterrare me, con un
colpo di piatto
della spada dritto sulla capoccia, talmente forte che rimasi dritto in
piedi
qualche secondo prima di cadere a terra!- risero entrambi di gusto.
-E
poi che è successo?-
-Be,
il mio “coraggiosissimo” intervento aveva dato
all’uomo il tempo di liberarsi
del primo sicario, quindi non ci mise molto a disfarsi anche del
secondo…
Quando ripresi i sensi il mercante, Filippo, mi ringraziò e
mi propose di
andare con lui a Bologna, promettendo che da allora in poi si sarebbe
preso lui
cura di me. Colsi la palla al balzo e ora sono quasi sette anni che
lavoro per
lui, anche se non mi ha mai trattato da garzone o
dipendente…-
Federico
si appoggiò alla spalliera - Deve essere bello: io non ho
mai sentito di datori
di lavoro così magnanimi…- I suoi superiori, nei
mesi in cui aveva lavorato
alla banca dei Medici, sicuramente non erano stati con lui.
-Bè
dai: il lavoro è sempre fatica-
-Non
se ti trattano con rispetto o se fai qualcosa che ti piace…
–
-Anche
questo è vero…-
Il carro sobbalzò per una buca e a Federico di colpo mancò l’aria: non seppe spiegarsi perché ma iniziò a tossire allarmando Guglielmo accanto a lui – Ehi, che hai? Tutto bene?- il ragazzo annuì respirando profondamente – S-si, si…sto bene, tranquillo…deve essere il freddo…- disse, cercando di convincere più se stesso che il compagno al suo fianco.
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-Dunque, sono quaranta fiorini d'argento per l'alloggio, venti per la cena di ieri sera e la colazione di stamattina, più quello che avete comprato, fanno settanta fiorini d'argento in tutto messere...-
Guglielmo
mise sul tavolo 4 fiorini d'oro che l'oste prese subito, restituendo al
ragazzo
il resto di dieci monete d'argento, e ritornando al suo bancone
all'ingresso
della fumosa sala. Erano passati ormai due giorni da quando avevano
lasciato
Firenze e nel pomeriggio sarebbero giunti a destinazione. Avevano
appena finito
di fare colazione, seduti ad un piccolo tavolo posto poco lontano al
grande
camino che però non doveva tirare troppo bene dato che
l’intera sala era
pervasa da una leggerissima nebbiolina. In compenso però,
quello doveva essere
il tavolo più caldo, data la sua vicinanza alle grandi
fiamme sulle quali
bollivano diverse casseruole.
-Questa
locanda ha prezzi davvero ottimi...- commentò il ragazzo
soddisfatto -...sono
venuto qui anche all'andata: non è facile trovare qualcuno
che ti faccia
pernottare a 10 fiorini d'argento, di solito ne chiedono quindici o
addirittura
un fiorino d'oro...-
-Già...peccato
che adesso l'oste se ne sia presi comunque cinque in più di
fiorini
d'argento...- Seduto accanto a lui Federico giocava con le monete sul
tavolo.
-Come
scusa?- Guglielmo lo guardò stranito.
-Il
resto, è sbagliato...-
-E
perché?
Gli dovevo settanta fiorini d'argento. Ho pagato con quattro fiorini
d'oro e
lui mi ha dato il resto di dieci fiorini d'argento: un fiorino d'oro
equivale a
venti fiorini d'argento no[1]?-
Federico
rise e prese in mano una moneta – esatto, ma questi non sono
fiorini d'argento,
sono bolognini...- disse facendola saltare in aria per poi riprenderla
al volo.
-E
allora? - chiese Cristina seduta di fronte a loro incrociando le
braccia - ..un
bolognino non vale quanto un fiorino scusa?-
-Certo,
un bolognino d'oro…ma un bolognino d'argento non vale quanto
un fiorino d'argento[2], il cambio
è diverso – continuò lui senza
smettere di giocare con la moneta. Seguì qualche secondo di
silenzio: Federico
alzò gli occhi e si accorse che
Guglielmo e Cristina lo guardavano perplessi. Scosse la testa - Un
fiorino
d'oro equivale a venti fiorini d'argento o a duecentoquaranta fiorini
di rame,
e questo vale anche per il ducato, il genovino e quasi tutte le monete
che
circolano in Italia e nel resto del continente. –
spiegò - Il bolognino però fa
eccezione: per fare un bolognino d'oro ci vogliono quaranta bolognini
d'argento, non venti. Quindi se un fiorino d'oro vale quanto un
bolognino
d'oro, un fiorino d'argento invece vale....-
Cristina
battè il palmo sul tavolo -...due bolognini d'argento!-
-Esatto-
fece lui alzando le spalle.
Guglielmo
però continuava a guardarli confuso.
-...Tu
hai pagato l'oste per settanta fiorini d'argento, con quattro fiorini
d'oro,
che sono ottanta fiorini d'argento. Lui avrebbe dovuto darti come resto
dieci
fiorini d'argento, ma t’ha dato 10 bolognini, che in fiorini
sono la metà...-
spiegò Federico.
Gugliemo si alzò di scatto -...e mo' me sente!- sbottò raccogliendo le monete dal tavolo e dirigendosi a grandi passi verso l’ignaro oste all’ingresso della sala.
-
Secondo me ora lo picchia…- fece Cristina appoggiando il
mento sul palmo della
mano e osservando divertita la scena.
-Oh
anche secondo me…e non avrebbe tutti i torti…-
concordò lui, incrociando le
braccia sul tavolo e sporgendosi per vedere meglio.
- Ma
che dite voi due?! Vergine Santa fermatelo prima che si scateni una
rissa!- esclamò
Matilde alzandosi e correndo dall’altra parte della sala,
dove Gugliemo inveiva
contro il povero oste che tentava invano di scusarsi, attribuendo
l’errore ad
una svista.
-Tu
comunque come lo sapevi del cambio?- chiese curiosa Cristina appena la
governante si fu allontanata, distogliendo l’attenzione dalla
rissa verbale al
bancone.
-Sono
figlio di un banchiere Cristina...se non lo so io...-
-Giusto...eppure
pensavo non ti piacesse la matematica, dato che non sei durato molto
nella
Banca dei Medici…-
-Pensi
molto male – rispose lui senza perdere d’occhio i
due all’ingresso - A me la
matematica piace un sacco...è lavorare che non mi va a
genio...- ammise.
Cristina
rise. - Ti hanno cacciato perché sei uno scansafatiche
insomma...-
-Mi sono fatto cacciare perché
non mi
piaceva quel posto! Mi sfruttavano come facchino e portalettere...le
uniche
volte che avevo a che fare con i numeri era quando mi mettevano a
copiare,
enormi registri con calcoli fatti male per giunta!- disse lui
appoggiandosi
allo schienale mentre lei continuava a ridere.
- Si certo
come no! -
- Non
ridere è vero! Non sai quante volte i colleghi bolognesi
hanno cercato di
fregarci col trucco del bolognino d'argento...- Federico giocava con
l'anello
che aveva al dito: cercava di essere serio ma la risata della ragazza
era
contagiosa -...se non avessi avvisato mio padre che i conti erano
sbagliati, a
quest’ora la banca dei Medici avrebbe perso un bel po' di
soldi... Deve ancora
ringraziarmi per questo…- Appena finì di
pronunciare quelle parole si fermò: si
era accorto solo in quel momento che, anche poco prima, aveva parlato
di suo
padre al presente, come se ci fosse ancora. Strinse il pugno attorno
all’anello
che aveva al dito: rendersene conto gli faceva male.
-Tu
te la cavi bene con la matematica vero Federico?-
Federico
aveva deciso di viaggiare a cassetta lasciando alle signore la vettura.
In
realtà Gugliemo gli era simpatico e parlare con lui riusciva
a distrarlo un po’
dai suoi pensieri: dopo aver mancato di poco la rissa alla locanda, aveva passato gran parte del
viaggio a
raccontare aneddoti su risse e truffe con protagonisti bizzarri che
avevano il
sapore più di favole che di fatti realmente accaduti.
Ascoltarli però era piacevole,
anche perché, effettivamente, il solo a parlare era lui.
La
domanda aveva quindi colto di sorpresa il giovane fiorentino -ehm...si
abbastanza, perché? -
Guglielmo
si appoggiò alla spalliera senza distogliere lo sguardo
dalla strada – Ti
spiego: una settimana fa il nostro contabile, Baldo, ci ha mollati per
andare a
lavorare a Pavia nella bottega del cognato. Filippo è a Roma
e non gli ho
ancora detto niente: intanto me ne sto occupando io...della
contabilità
intendo...-
- E allora?-
- Penso
ti sia accorto che io e la matematica non andiamo molto d'accordo.
Giuro che ce
la sto mettendo tutta, ma penso che se continuo così, quando
tornerà Filippo la
bottega sarà bella che fallita....-
Federico
lo guardò perplesso. -...insomma, mi chiedevo se ti andrebbe
di darmi una mano...-
continuò Guglielmo.
-...Mi
stai chiedendo di farti da contabile? -
-Si...cioè,
se non hai già altri progetti a Bologna. L’unico
problema è che non potrei
pagarti per ora… Ma avresti vitto e alloggio...- si
affrettò a precisare.
Federico
rimase qualche secondo in silenzio –
Ehm…be’ si…Si per me va
bene…- Avrebbe
dovuto prima parlarne con Cristina, ma accettare al volo era la cosa
più
sensata da fare. Forse la sua buona stella non lo aveva del tutto
abbandonato.
-Dici
davvero…Ah! – la gioiosa reazione di Guglielmo
aveva quasi fatto impennare il
povero Giuscardo davanti a loro, facendo fare alla vettura uno scatto
di
qualche metro prima di venire prontamente frenato. –
E’ fantastico! Sai che me
salvi la vita vero? –
Federico
rise accomodandosi contro la spalliera - se lo dici tu…-
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Arrivarono
in città che era da poco passata la Nona[3].
Bologna
era semideserta e dalle osterie e dalle case, uscivano i profumi di
varie
pietanze e le voci degli avventori impegnati a gustarle. Era diversa da
Firenze: al posto dei tozzi palazzi signorili, le strade erano
costeggiate da
portici di legno e pietra, sotto cui si aprivano botteghe, portoni ed
osterie.
La cosa che colpì subito Federico fu la presenza delle
torri: alte, basse,
tozze, ovunque girasse lo sguardo ve ne era una. Alcune presentavano
balconi
pensili o archi in modo da permettere il passaggio al di sotto.
“Bologna la Turrita”
ricordava di aver
letto da qualche parte: ora comprendeva il perché di quel
soprannome.
Procedettero
per vie e piazze di cui non conosceva il nome, fino ad arrivare ad un
grande
portone in quella che Guglielmo disse essere Via degli Orefici.
Antonio
era un mercante, un ricco mercante, e le sue ricchezze si riflettevano
perfettamente nell’elaborata facciata
dell’edificio: eleganti bifore circondate
da ricche architetture in risalto erano disposte sui due livelli del
secondo e
del primo piano, che poggiava su un porticato dai capitelli decorati.
Sotto il
porticato, oltre alle finestre del piano terra, vi era un grande
portone che
immetteva nel cortile d’ingresso.
-
Eccoci arrivati Madonne: Casa Vespucci…- annunciò
Guglielmo frenando il carro
davanti al portone - …vi aiutiamo a scendere i
bagagli…-
-
Lasciateli pure nel cortile: a portarli dentro ci penserà la
servitù…- disse
Matilde mentre attraversava la piccola porticina ed entrava nel cortile
- …vado
dentro ad avvisare che siamo arrivati…-
Cristina
scese dal carro aiutata da Federico. Era agitata: come avrebbe fatto a
spiegare
a suo padre la presenza del ragazzo? Aveva rimandato il problema ma
adesso
doveva affrontarlo. Restò nel piccolo cortile sfregandosi le
mani finchè i due
ragazzi non ebbero finito di portare dentro i bauli. Guglielmo
uscì e lei
rimase sola con Federico.
-
Meglio entrare se non vogliamo incrociare Papà…-
disse iniziando a salire - …la
casa è grande, molto più di quella a Firenze:
potrai sistemarti negli alloggi
della servitù. Mi dispace ma per ora è meglio che
mo padre non sappia che sei
qui…meglio che gli spieghi io con calma..- fece pronunciando
l’ultima frase più
per se stessa che per Federico dietro di lei.
- Oh
non c’è bisogno Cristina…- La ragazza
si voltò e si accorse che lui era rimasto
vicino alla soglia.
-Io
non resto qui…vado con Guglielmo… –
continuò giocando col basco che aveva preso
in mano.
-
Come? –
Federico
si schiarì la voce - Ha detto che posso stare da
lui…mi ha proposto di fargli
da contabile e io ho accettato…- disse.
-
Ah…bene…- sembrava sorpresa, ma nella sua voce
Federico non potè fare a meno di
notare una punta di risentimento.
-
Andiamo sapevamo entrambi che non potevo vivere nella tua cantina per
sempre,
specialmente ora che c’è tuo padre…-
scherzò alzando le spalle.
-no
infatti…- Cristina
sospirò e lanciò
un’occhiata alla porta d’ingresso in cima allo
scalone -ma avresti almeno
dovuto chiedermi
consiglio…-
- va
bene scusami – stava rispondendo lui sarcastico, quando
l’inconfondibile voce
di Antonio che cercava la figlia per salutarla fece sobbalzare entrambi.
Federico
uscì e si appiattì dietro il grande battente di
legno mentre Cristina si parò
davanti alla piccola apertura in modo da coprire del tutto la visone
dell’esterno, nel caso suo padre fosse uscito sul
pianerottolo.
-
Meglio che vada ora…non vorrei fargli prendere un
colpo…- disse lui dopo
qualche secondo, quando fu chiaro che Antonio si sarebbe limitato a
cercare la
figlia in casa, convinto che fosse già salita.
Lei
annuì - Io non posso muovermi da qui, mio padre non me lo
permetterebbe, ma manderò
Matilde a Firenze tra qualche giorno…magari ora che si sono
calmate le acque potrebbe
scoprire qualcosa… sapere dove sono andati. Appena torna, ti
dico se ci sono
novità…-
- Ve bene…a presto allora…- disse lui correndo verso il carro dove Guglielmo aveva appena finito di premiare il cavallo con una mela, e quasi perdendo il basco nel tragitto. Lei scosse la testa divertita mentre si dirigeva verso il grande scalone di ingresso, ma non aveva nemmeno iniziato a salire i primi gradini che la voce di Federico la fece voltare di nuovo – Ehi Cristina…- il ragazzo era affacciato al alla porticina nel portone d’accesso al cortile - …Grazie…per tutto…- Cristina sorrise. Poi si voltò e, mentre lui raggiungeva il carro, salì in fretta le scale reggendosi la gonna ed entrò nel palazzo – Eccomi Padre!-
[1] La monetazione dell’europa rinascimentale si basa sistema monetario introdotto da Carlo Magno (1 lira = 20 soldi = 240 denari) Per saperne di più date un’occhiata qui su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Fiorino)
[2] Questa differenza nel cambio la lessi su un articolo (che però ho dimenticato di salvare) un po’ di tempo fa: giuro che è vera e non me la sono inventata XD. Appena recupero l’articolo lo inserisco u.u.
[3] L’ ora Nona, secondo la misurazione medievale del tempo, equivale alle 3 del pomeriggio (ora in cui di solito si pranzava N.d.B.)
L’AngoloDiBibi
Salve a tutti gente =D!
Lo so che avevo detto che sarei tornata ad aggiornare a fine ottobre, ma cause di forza maggiore (leggi TESI) mi hanno impedito di scrivere u.u. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene e quindi rieccomi qui più in vena che mai, pronta a scassarvi di nuovo con questa storia =D.
Dunque: come accennato, a differenza del caro Ezio, che si sposta in un click da una parte all'altra dell'Italia (probabilmente dotato dello stesso cavallo a benzina di Marco Bello de "I Medici" p.p), i nostri poveri protagonisti devono sorbirsi tre giorni di viaggio, con tanto di freddo polare perchè siamo a Gennaio. Ne ho approfittato per farvi dare una sbirciatina in qualche tenero ricordo di Federico e per presentarvi un po' meglio Guglielmo (il fatto che ci racconti praticamente la sua vita su due piedi è una sua caratteristica: quando parla non sa fermarsi, è logorroico è.é).
Per quanto riguarda la parte sul resto sbagliato dell'oste, dato che sono anche una persona per niente fissata con la precisione storica, mi sono divertita ad impazzire e a scervellarmi sulle varie monete in corso all'epoca con relativi cambi per mettere su un discorso credibile su bolognini e fiorini, nonostante studi lettere e la matematica sia per me piacevole più o meno quanto lo stridere di un gesso sulla lavagna -.-".
Infine eccoci a Bologna, tra torri, tetti rossi e portici, dove Federico, grazie alla sua proverbiale fortuna, ha già trovato un posto sicuro, insieme ad un impiego che tutto sommato non dovrebbe gravargli troppo adorado (a differenza della sottoscritta) numeri e matematica in generale...
La mia euforia creativa troppo a lungo repressa si è riversata anche su carta, producendo i due disegni sparsi nel testo (e altri con cui ho aggiornto alcuni capitoli ^_^).
Penso di aver detto tutto quindi posso ringraziare la mia adorata Aoboshi (che riabbraccio domani <3) e _Anaiviv per le recensioni (che sono state davvero un raggio di sole in un momento nerissimo <3), valepassion95 per aver messo la storia nelle seguite (nell'altro capitolo ti avevo dimenticata scusa T.T) e il mio collega Dott. Giorgio, che anche se non è sul sito sta leggendo la storia <3.
Come sempre, grazie anche a tutti quelli che passano e leggono o danno solo un'occhiata.
Detto ciò *si aggiusta la corona d'alloro in testa* dato che sono le 3:00 e io tra esattamente 12 ore verrò ufficialmente proclamata Dottoressa in Lettere Moderne, non posso fare altro che dirvi
Alla prossima!
Dott.ssa Bibi