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Autore: arangirl    03/12/2016    3 recensioni
Clarke Griffin sta vivendo il giorno più bello della sua vita, il giorno in cui finalmente sposerà il suo migliore amico e fidanzato dai tempi del liceo, Finn. Clarke non ha mai avuto dubbi sul suo futuro, e sposare Finn, costruire una famiglia con lui, ha sempre fatto parte dei suoi piani. O almeno così credeva prima di incontrare per sbaglio, camminando verso l'altare, uno sguardo verde smeraldo destinato a cambiare la sua vita per sempre.
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Imagine Me and You AU
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Finn Collins, Lexa, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dire che Lexa era agitata per la sua imminente uscita con Clarke sarebbe stato un eufemismo. Aveva passato ogni singolo giorno che la separava da martedì a escogitare una scusa per non andare.
                                 
 

Aveva persino preso in mano il telefono un paio di volte, pronta a chiamare Clarke per annullare tutto; eppure non ci era riuscita, e temeva di conoscerne il motivo.
 
 

C’era una parte di lei che desiderava passare del tempo da sola con Clarke più di ogni altra cosa, nonostante tutto il buonsenso che aveva in corpo le dicesse di non farlo. L’altra sera, quando l’aveva vista al parco, era stata solo la presenza di Indra a impedirle di andare da lei.
 
 

Riusciva a immaginarsela ancora in quel momento, bella come un dipinto, mentre le sorrideva; l’aveva lasciata senza fiato, incapace di formulare un pensiero coerente. Cercò di non pensare a come doveva essersi sentita Clarke quando si era girata e non l’aveva più vista.
 
 

Era stata Indra ad afferrarla per il braccio e trascinarla via, lontano dalla sua sirena incantatrice, prima che potesse salutarla, sorriderle, fare qualsiasi cosa.
 
 

“Adesso capisco i discorsi di tua sorella.” La madre aveva scosso la testa “Dammi retta, quella ragazza può portarti solo guai.”
 
 

Lexa non aveva risposto, vergognandosi del suo comportamento di poco prima, adatto più a un’adolescente che a una persona adulta; il tono di Indra sembrò addolcirsi leggermente.
 
 

“Ti piace davvero questa ragazza?” Lei annuì, incapace di dire altro. “Penso che anche a lei tu piaccia.”
 
 

“Davvero? Io… io non ci capisco niente.” Lexa si passò la mano tra i capelli, emozionata e spaventata allo stesso tempo da quell’idea.
 
 

“E’ tutto nello sguardo piccola mia.” Indra le strinse il braccio e Lexa rimase sorpresa, non era mai stata una donna molto espansiva “Ti ha guardata come si guarderebbe una stella che ti indica la via verso casa.”
 
 

Indra le aveva lasciato il braccio, e si era allontanata leggermente. “Ma ciò non toglie che la situazione sia quella che è. Non sono nessuno per giudicare lei, ma non voglio che tu rimanga ferita. Stai attenta Lexa, proteggi il tuo cuore.”
 
 

Lexa si era domandata con paura se non fosse ormai troppo tardi per quello.
 
 

Si fermò a guardare per l’ennesima volta i vestiti che aveva sparsi sul letto, senza sapere cosa indossare. In fondo non era un appuntamento, Lexa si affrettò a togliere quell’idea dalla mente.
 
 

Si era fatta la doccia ormai mezz’ora prima, eppure continuava a girare per casa coperta solo con l’asciugamano, Gustus alle calcagna che miagolava affamato. “E’ mai possibile che tu abbia sempre fame? Sono in una situazione critica qui.”
 
 

Suonò il campanello e Lexa guardò l’ora preoccupata prima di tirare un sospiro di sollievo, era troppo presto, mancava almeno mezz’ora all’arrivo di Clarke. Questa doveva essere Anya, aveva detto che forse sarebbe passata sul tardi per salutarla e raccontarle delle novità. Lexa sperava tanto che non riguardassero Raven.
 
 

Aprì la porta senza preoccuparsi di controllare, lasciandola aperta e girandosi per cercare la spazzola che aveva appoggiato chissà dove qualche minuto prima “Entra pure Anya, scusa il casino ma non so cosa mettermi, puoi darmi una mano?”
 
 

“Volentieri.” Rimase immobile per un secondo, le spalle alla porta, i capelli ancora leggermente umidi che le ricadevano sulla faccia in ciocche scomposte e selvagge, prima di girarsi e trovarsi faccia a faccia con Clarke.
 
 

“Tu… non sei Anya.” Clarke rise nervosa e Lexa riuscì fisicamente a percepire il suo sguardo vagare sul suo corpo, sentendosi improvvisamente scoperta nonostante l’asciugamano “No, non sono Anya. Scusa l’anticipo, ma ho finito di lavorare prima e ho pensato di passare… se è un problema posso aspettare fuori.”
 
 

La presa di Lexa sull’accappatoio si strinse spasmodicamente “No figurati, entra pure. Scusa il disordine… e scusa l’abbigliamento.”
 
 

Clarke sembrò arrossire, ma Lexa non era sicura di averlo visto veramente “Siediti pure dove vuoi… Mi cambio subito, dammi cinque secondi.”
 
 

“Tutto il tempo che vuoi Lexa, davvero.” Clarke si sedette nervosa sul divano, e Lexa rimase per un attimo a guardarla, come se le sembrasse impossibile vederla lì in quel momento, sul divano di casa sua. Impegnata com’era nel salvarsi al meglio in quella situazione imbarazzante, non era riuscita a guardarla bene.
 
 

Indossava una sciarpa blu che richiamava il colore dei suoi occhi, i capelli biondi erano sciolti e le accarezzavano le spalle, incorniciando il suo bel viso. Lexa notò che sulla guancia destra portava ancora un segno di tempera arancione e la cosa la fece sorridere.
 
 

“Hai intenzione di andare a vestirti prima o poi?” Clarke la guardava divertita “Non che mi dispiaccia… Cioè no, nel senso di arrivare in ritardo. Non c’è problema.” Era arrossita di colpo e aveva borbottato le ultime parole in fretta, distogliendo lo sguardo, e lei la trovò adorabile.
 
 

“Hai ragione, torno subito.”  
 
 
 
 


Clarke guardò Lexa uscire dalla stanza e tirò un sospiro di sollievo. Che cosa le era saltato in mente? Si guardò intorno, osservando il piccolo appartamento di Lexa, cercando di memorizzare l’ambiente così da poterla immaginare lì quando pensava a lei.
 
 

Una cosa in particolare catturò la sua attenzione, e si alzò dal divano per osservare meglio il piccolo mobile davanti a lei, pieno di fotografie.
 
 

Ne trovò una di Lexa e Anya sulla cima di una montagna, vestita da trekking e stanche morte, e sorrise nel vedere l’espressione sfinita di Anya e il sorriso stanco di Lexa. Un’altra ancora mostrava Lexa e Anya da ragazzine, con la donna che aveva visto quella sera al parco; un piccolo ritratto di famiglia.  Le si scaldò il cuore nel vedere Lexa da piccola, i capelli selvaggi come adesso che le incorniciavano il viso, il sorriso sfrontato senza un paio di denti che le illuminava l’espressione. Notò che portava gli occhiali, e si rese conto di non aver mai fatto caso a quel dettaglio; probabilmente Lexa indossava sempre le lenti.
 
 

Un'altra foto, nascosta leggermente dietro le altre ritraeva Lexa il giorno della sua laurea. Clarke pensò di non averla mai vista sorridere così, sembrava il ritratto della felicità. In una mano stringeva la laurea appena ricevuta, e con l’altra mano stringeva a sé una ragazza, anche lei con la toga di laurea e incredibilmente sorridente.
 
 

Clarke prese la foto per osservarla meglio, notando come la ragazza accanto a Lexa fosse incredibilmente bella, la carnagione color caramello e i riccioli scuri e splendenti. E il modo in cui Lexa la guardava, lo sguardo pieno d’amore, sembrava renderla ancora più bella.
 
 

“Miao”
 
 

Clarke sobbalzò nel sentire il rumore, e per poco non lasciò cadere la cornice. Dietro di lei si era appostato un grosso gatto rosso, che la fissava con calma intensità. Clarke appoggiò la foto con delicatezza e si accucciò per accarezzare il gatto, che cominciò a fare le fusa rumorosamente; cercò di non pensare al modo in cui si era sentita nel vedere lo sguardo di Lexa, nel rendersi conto che avrebbe dato qualsiasi cosa per essere guardata così da lei.
 
 

Il gatto si sdraiò mostrandole la pancia, chiedendo più attenzioni, e Clarke sorrise “Sei davvero un bel micione. Come ti chiami?”
 
 

“Si chiama Gustus.” Lexa era rientrata nel salotto con un sorriso, finalmente vestita “E di solito non è così amichevole con gli estranei, devi stargli simpatica… oppure deve avere veramente fame.”
 
 

Clarke rise e si alzò, senza notare che Lexa aveva cambiato espressione. Il sorriso si era spento nel suo volto quando aveva notato la foto spostata, e Clarke si sentì immediatamente in colpa “Scusami io… non volevo curiosare.”
 
 

Lexa prese la foto con gesti delicati che parlavano di un grande affetto e la strinse tra le mani “Non importa, tranquilla. Questa è di quasi sei anni fa… Sembra un’altra vita.”
 
 

“Non sapevo fossi laureata.” Lexa sorrise “Una fiorista non può esserlo?” Clarke abbassò lo sguardo imbarazzata “No, non volevo dire questo.”
 
 

“Scusami tu, non è facile parlare di certe cose. Mi sono laureata in giurisprudenza, e ho esercitato per qualche anno come pubblico ministero. Costia si era laureata in Lettere Moderne.”
 
 

Clarke non riuscì a fare a meno di notare che la voce di Lexa aveva avuto un tremito nel dire quel nome. “La ragazza nella foto?” Lexa annuì “Era la mia ragazza. Volevamo sposarci dopo la laurea ma abbiamo deciso di aspettare qualche anno, giusto per sistemarci meglio, lei faceva fatica a trovare un lavoro e alla fine decise di aprire un negozio di fiori, perché le erano sempre piaciuti… era così piena di entusiasmo e di vitalità, sempre con nuove idee.”
 
 

Una lacrima solitaria le scese sulla guancia, lasciando una scia lucente sul bel viso di Lexa, e senza pensarci Clarke alzò la mano a stringerle il polso, cercando un contatto che potesse consolarla, perché aveva già capito che quella storia non poteva avere un lieto fine.
 
 

“E’ morta un anno dopo. Un piccolo bastardo voleva farmela pagare per averlo messo qualche mese in prigione per spaccio, e mi ha tamponato con l’auto, per farmi andare fuori strada.” La voce di Lexa era stranamente impassibile durante il racconto, cosa che stonava terribilmente con le lacrime che le solcavano il volto.
 
 

Clarke avrebbe voluto fermarla, dirle che non c’era motivo per dirle tutto questo, eppure sentiva che in quel momento Lexa aveva bisogno di parlare, di sfogarsi. Si chiese se avesse mai raccontato veramente questa storia a qualcuno.
 
 

Lexa riprese fiato con un sospiro “Doveva essere una cosa da niente, solo per spaventarmi… Ma c’era una curva ed io… io non sono riuscita a fermarmi. E’ morta sul colpo. Non ho potuto fare niente.”
 
 

Lexa ormai singhiozzava, e Clarke si avvicinò a lei per abbracciarla, la cornice con la foto intrappolata tra di loro. Lexa si strinse a lei, e Clarke sentì una lacrima scivolarle dolcemente sulla spalla. “Dopo l’incidente non sono più riuscita a lavorare. Non ne venivo fuori. Così ho cambiato lavoro, ho cambiato casa… Mi sono data all’unica cosa che aveva ancora un senso per me.”
 
 

“Il negozio di fiori?”
 
 

Sentì Lexa annuire “Era l’unica cosa che mi rimaneva di lei. Dovevo prendermene cura.”
 
 

“Avrei voluto conoscerla.” Clarke non sapeva bene cosa dire, eppure la distruggeva vedere Lexa in quello stato.
 
 

“Le saresti piaciuta. Ti avrebbe chiesto di dipingere dei fiori.”
 
 

Lexa si staccò da lei, improvvisamente imbarazzata, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia “Scusami, non so perché ti sto dicendo tutto questo, tu volevi solo andare alla partita e…”
 
 

Clarke le strinse nuovamente il polso, bloccandola “Puoi dirmi quello che vuoi Lexa, davvero. Sono qui per te.” Clarke registrò solo parzialmente la voce nella sua testa che le consigliava di stare attenta, perché era a un tratto tutto troppo intimo.
 
 

Lexa scosse la testa “E’ più facile parlarne adesso. Ma ci sono voluti anni… Il senso di colpa mi distruggeva tanto quanto la sua mancanza.”
 
 

“Non è stata colpa tua. Per niente. Sono sicura che anche Costia te lo direbbe.”
 
 

Lexa le sorrise; aveva smesso di piangere, e adesso sembrava più serena “Grazie Clarke, davvero. Adesso possiamo andare.”
 
 

Clarke intuì che Lexa volesse cambiare argomento, e questa volta non oppose resistenza. “D’accordo, andiamo.” Eppure quando la lasciò andare, annullando il contatto con la ragazza, fu lei a sentirsi persa per un attimo. Avrebbe voluto continuare a stringerle la mano.
 
 
 
 

Lexa non aveva pensato molto prima di rivelare la storia del suo passato a Clarke, le era venuto spontaneo essere sincera con lei, non cercare di nascondersi come di solito faceva quando si entrava sul personale.
 
 

Adesso, mentre camminavano fianco a fianco verso lo stadio, con il vento che le gelava le mani e le schiariva i pensieri, non era sicura di aver fatto la scelta giusta. Che cosa avrebbe pensato Clarke di lei dopo la sua confessione?
 
 

Era strano per lei, sentirsi così dipendente dall’opinione di qualcuno, lei abituata a stare da sola, indipendente e autonoma in tutto. Guardò Clarke di sottecchi, cercando di non farsi vedere, ma sorprese la ragazza mentre la guardava a sua volta, e i loro sguardi s’incontrarono.
 
 

Clarke arrossì e distolse lo sguardo “Scusami, non volevo fissarti.” Lexa sorrise spontaneamente nel vedere il rossore nel volto di Clarke, che la faceva sembrare una bambina “Un penny per i tuoi pensieri.”
 
 

“E’ una cosa stupida.” Lexa si avvicinò, dandole un lieve colpo di incoraggiamento alla spalla “Andiamo, dimmi.” “E’ strano essere qui con te.”
 
 

Lexa inarcò leggermente un sopracciglio, dubbiosa “Non strano in modo negativo. Mi piace, ma… Ci sono sempre venuta con Finn.”
 
 

Nel sentire quel nome Lexa fece un involontario passo indietro “Mi dispiace che lui non si riuscito a venire oggi.” Clarke alzò le spalle “E’ molto impegnato con il lavoro ultimamente. Ma non mi dispiace, ho te.” Lexa la guardò negli occhi, cercando di capire se Clarke la stesse o no prendendo in giro “Stiamo bene insieme io e te.”
 
 

Clarke arrossì di nuovo, ma Lexa annuì “Lo penso anche io.” Ci fu qualche secondo di silenzio imbarazzato, poi Lexa si schiarì la gola “Allora, è stato Finn a farti appassionare al calcio?”
 
 

Clarke rise mentre salivano i gradini che le avrebbero portate nei loro posti all’interno dello stadio “In realtà è stato il contrario. Vengo qua da quando sono piccola. Mio papà… Mi portava lui.”
 
 

Lexa sorrise “Oh, Marcus? Non mi sembrava un tifoso.”
 
 

Clarke s’irrigidì per un momento “Marcus non è mio padre.” Lexa rimase immobile per un attimo mentre Clarke proseguiva sulla scalinata, per poi affrettarsi a raggiungerla “Mi dispiace, non lo sapevo.”
 
 

“Non potevi saperlo.” Clarke le sorrise “Non parlo quasi mai di papà. Fa ancora male, a volte.”
 
 

Lexa rimase un secondo in silenzio, chiedendosi se insistere o meno, ma Clarke la guardò negli occhi e sembrò capire il suo dubbio, perché riprese a parlare.
 
 

“E’ morto. Un incidente sul lavoro, quando ero piccola… Sono passati quasi quindici anni.”
 
 

“Mi… mi dispiace moltissimo Clarke.” Lexa allungò la mano e le strinse delicatamente la spalla, timorosa che qualsiasi altro contatto avrebbe potuto innescare qualcosa che non sarebbe riuscita a fermare.
 
 

Vedere Clarke così fragile mentre cercava di trattenere le emozioni che provava dentro le rendeva quasi impossibile sopportare la distanza tra loro, eppure sapeva di non avere altra scelta; non poteva rischiare di rompere quel fragile equilibrio che si era creato tra loro, perché sapeva bene che facendolo non avrebbe ottenuto nulla, se non far soffrire Clarke ancora di più.
 
 

“Ormai ho imparato a conviverci. Non mi piace parlarne, ma dopo che tu mi hai parlato di Costia…” Che strano, sentire quel nome pronunciato da Clarke “Volevo dirti che ti capisco. Mia madre non è mai stata una donna molto espansiva, e quando papà è morto si è chiusa ancora di più in se stessa. Io ero una ragazzina, e non capivo più niente.”
 
 

Erano arrivate al loro posto, e Clarke si sedette con un sospiro, con le mani intrecciate sulle ginocchia “Avevo perso il mio punto di riferimento. Io e papà… eravamo molto uniti, più di quanto lo sia mai stata con mia madre purtroppo. Lui mi capiva, c’era sempre per me… era la mia roccia.”
 
 

Lexa non aveva mai avuto un padre, ma capiva bene di cosa parlava Clarke; Indra era sempre stata tutto quello per lei “Deve essere stato difficile per te.”
 
 

Clarke annuì “Ero così piena di rabbia. Non uscivo, non parlavo con nessuno, non dipingevo nemmeno più. Mi sentivo spenta, come se una parte di me fosse morta con lui.”
 
 

Nonostante la folla intorno a loro, la musica da stadio che risuonava tra le gradinate, Lexa poteva percepire che si era creata una piccola bolla tra lei e Clarke, una specie di mondo a sé, in cui non c’era suono più importante della voce leggermente incrinata di Clarke.
 
 

“Ci sono voluti mesi per rendermi conto che dovevo riprendermi. Le mie amiche, Raven e Octavia… Loro mi sono state vicine come nessuno. E’ grazie a loro se mi sono ripresa. Poi al college ho conosciuto Finn e… la vita è andata avanti.”
 
 

Clarke si girò a guardarla negli occhi e le sorrise “Marcus è un brav’uomo, e rende felice mia madre, ed è stato paziente con me anche quando lo odiavo perché pensavo volesse prendere il posto di mio padre. Poi ho capito che niente e nessuno potrà mai prendere il suo posto, riempire quel vuoto. Ma ci si può costruire sopra, si può andare avanti. So che è quello che lui avrebbe voluto per me e la mamma.”
 
 

Lexa annuì “Sono sicura che sarebbe molto orgoglioso di te.”
 
 

Clarke le sorrise, e Lexa non sentì più freddo, nonostante il clima gelido della serata
 
 

“Grazie Lexa. Grazie di essere qui.”
 
 

“Il piacere è mio.”
 
 

Rimasero a fissarsi negli occhi per un lungo momento, l’una accanto all’altra quando il fischio dell’arbitro tagliò l’aria, riportandole alla realtà.
 
 
 
 



“Avanti dai, buttalo giù! Colpisci alle gambe!”
 
 

Clarke gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di ignorare gli sguardi divertiti che Lexa le lanciava; non aveva mai visto una vera tifosa all’opera?
 
 

Non lo faceva certo per farsi vedere, assolutamente no, eppure mentre saltellava per la tensione, incitando la sua squadra, lo faceva con più veemenza del solito.
 
 

Forse era solo per cercare di togliersi di dosso quel senso di malinconia che l’aveva colpita parlando di suo padre, o semplicemente il desiderio di coinvolgere Lexa in quello sport che tanto appassionava lei.
 
 

Il giocatore della sua squadra che stava portando avanti la palla in quel momento si avvicinò alla porta, e per un attimo Clarke si concentrò interamente sulla partita.
 
 

L’uomo arrivò vicinissimo al portiere e, ingannandolo con una finta, riuscì a trovarsi da solo davanti alla porta. L’urlo di esultanza che stava per lanciare le morì in gola quando vide che il tiro da principiante non era andato a segno, lasciando spazio solo a un gemito di disapprovazione che si unì a tutti quelli degli uomini intorno a lei.
 
 

“Vai troppo di testa Clarke.”
 
 

“Che cosa?” Clarke spostò la sua attenzione su Lexa, che non sembrava minimamente toccata dalla tragedia a cui avevano appena assistito, ma che la guardava sorridente.
 
 

“Quando urli. Se vuoi che sentano gli insulti devi alzare la voce. Come… come se fossi il comandate di un esercito e dovessi urlare ai tuoi uomini di partire all’attacco.”
 
 

Clarke alzò lievemente un sopracciglio, scettica “Sono sicura che hai molta esperienza riguardo eserciti e urla, comandante...”
 
 

Lexa sorrise “No, ma quando devi parlare a un’aula piena di gente durante un processo, devi imparare a farti sentire.”
 
 

Clarke cercò di immaginarsi Lexa in un’aula di tribunale, e non le fu per nulla difficile vederla in piedi davanti alla giuria, gli occhi verdi che brillavano mentre cercava di far valere le ragioni del suo cliente. Per un attimo la sua mente fu trascinata via dai dettagli di quell’immagine, gli zigomi marcati della ragazza che sembravano incisi nel marmo, le linee del suo volto, il suo corpo tonico avvolto da uno di quei completi firmati che gli avvocati indossavano nelle trasmissioni che guardava sua madre in televisione.
 
 

Si accorse che Lexa era rimasta a fissarla in silenzio, e le sorrise imbarazzata “Insegnami allora.”
 
 

Lexa le riservò un sorrisetto scaltro che Clarke trovò tremendamente affascinante “Per prima cosa, indurisci i muscoli dello stomaco.”

 
 
Clarke rise “Non credo di averli.”
 
 

Lexa fece un passo verso di lei, sorridendo “Ma certo che ce li hai.” La sua mano le sfiorò l’addome, indicando un punto imprecisato.
 
 

Ora era così vicina che Clarke riusciva a sentire la sua voce sussurrata nel suo orecchio, facendola tremare come una foglia, e non per il freddo.
 
 

“Eccoli qui. Indurisci.”
 
 

Clarke si sentì più imbarazzata che mai “Ci sto provando.”
 
 

“Devi tenderli.”
 
 

“Sono già piuttosto tesa.” E lo era davvero; la vicinanza di Lexa la stava facendo impazzire.
 
 

“Bene. Adesso allarga il diaframma.”
 
 

“Il cosa?” Clarke sapeva esattamente di cose stava parlando Lexa, ma sperava che fosse l’altra a mostrarglielo.
 
 

Quando la mano di Lexa salì verso il suo petto, aumentando lievemente la pressione su di lei, non riuscì a capire se era felice o no di averlo fatto.
 
 

“Sta qui.”
 
 

“Oh” fu l’unica cosa che Clarke riuscì a dire. Si sentì improvvisamente avvolgere dal calore mentre il suo volto si colorava di rosso.
 
 

Il tono di Lexa scese di un’ottava mentre le sussurrava comandi all’orecchio, così vicina che Clarke riusciva a percepire il calore del suo respiro sulla sua pelle.
 
 

“Okay, spingilo contro la mia mano.”
 
 

Clarke non sapeva bene come fare, e si limitò a girarsi per guardare Lexa negli occhi.
 
 

“Senti la mia mano?”
 
 

Clarke prese un respiro profondo, incapace di trattenersi dal dare la prima risposta che le era venuta in mente
 
 

“Metticele tutte e due.”
 
 

Lexa esitò solo un secondo, fissando Clarke negli occhi, come valutando la pericolosità che un gesto del genere poteva comportare.
 
 

Per Clarke era come se camminassero su un filo sottilissimo, in balia di un vento che rischiava di farle cadere da un momento all’altro.
 
 

Lexa sembrò decidersi e la circondò con le braccia, stringendola a sé per un momento.
 
 

“Okay, adesso la cosa importante. Immagina come se il tuo palato fosse una cattedrale.”
 
 

Clarke rise e girò lievemente il volto, sfiorando la guancia di Lexa con la punta del naso
 
 

“No, non ti seguo.”
 
 

“Oh andiamo!” Lexa si separò da lei, lasciandola con un’improvvisa sensazione di freddo vuoto.
 
 

“No no, i muscoli, il diaframma, ci sono, ma…”
 
 

“E’ per sentire lo spazio! Hai una bocca enorme, grande, e devi cercare di riempirla di suono…”
 
 

“Vi insegnano questo a giurisprudenza?”
 
 

Lexa scosse la testa ridendo, ma riprese il discorso “Dal tuo più profondo, riempi lo spazio e poi… fuori.”
 
 

Clarke la guardava ancora molto scettica “Come?”
 
 

“Così…”
 
 

Lexa guardò i giocatori che stavano tornando in posizione per ricominciare il gioco, sporgendosi leggermente in avanti, mentre Clarke la guardava onestamente incuriosita.
 
 

“NON VALI UNA SEGA NUMERO NOVE!”

 
 

Il giocatore numero nove, colpevole di aver sbagliato il tiro qualche attimo prima si girò a guardarle, visibilmente stupito.
 
 

Clarke si portò la mano alle labbra, nascondendo una risata, colpita dall’abilità di Lexa, e Lexa le sorrise, solo leggermente imbarazzata; nonostante la folla intorno a loro che le fissava, era come se non ci fosse nessun altro.









Note: Ciao a tutte! Intanto spero che il capitolo vi sia piaciuto! Avevo pianificato di mettere tutto l'appuntamento in un unico capitolo, ma stava diventando troppo lungo e non volevo farvi aspettare troppo per l'aggiornamento (lo so, vi ho fatto aspettare un sacco lo stesso)  quindi questa è solo la prima parte! Sto cercando di inserire più scene originali che posso, anche perché mi piace molto scriverle, ma a volte non è facile inserirle nella trama generale! Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie a tutti quelli che mi lasciano recensioni e che continuano a seguire la storia,
alla prossima!
  
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