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Autore: Elizabeth_2206    03/12/2016    4 recensioni
"Hallelujah ci porta attraverso un immenso spettro di luoghi emozionali, spiegando quanti tipi di alleluia esistono, e che tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. E' un desiderio di affermazione della vita con entusiasmo, con emozione. Chiunque la ascolti chiaramente scoprirà che è una canzone che parla di sesso, di amore, della vita sulla terra. L'alleluia non è un omaggio ad una persona adorata, a un idolo o un Dio. E' un'ode alla vita e all'amore."
1900, Casa Hawkeye. L'arrivo di una persona cambia per sempre il futuro dei suoi abitanti. E' l'analisi dell'adolescenza di Riza e di come si trova ad interagire con tutti i tipi di amore che esistono. Il racconto di come le vite di quella ragazzina e di Roy Mustang si sono intrecciate per sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berthold Hawkeye, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Hallelujah'
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Hallelujah
#3 – The Tempest
Well, it goes like this, the fourth, the fifth,
The Minor falls, and the Major lifts
The baffled King composing Hallelujah

Riza aveva passato tutto il pomeriggio a fare il bucato, senza dire una parola.
Roy aveva accettato di buon grado questo suo silenzio e, dopo il discorso fatto quella mattina, aveva preferito lasciarla in pace.
La ragazzina, dal canto suo, non poteva che dirsi sollevata da questo.

Ma le faccende di casa erano ben presto finite e ora, di fronte a lei, seduta sul letto con le ginocchia strette al petto, si stagliava solamente una fioca candela che lei fissava da quasi un’ora, ripensando alle parole che aveva detto al ragazzo.
‘Ma cosa diamine mi è preso?’

Una smorfia le contrasse il volto, mentre ripensava alle parole non proprio gentili che quella mattina le erano sfuggite di bocca, e che ancora faticava a realizzare di aver detto. In particolare, non riusciva a togliersi dalla testa le parole ‘Ha ragione mio padre a dire che lei non è pronto.’.
Strinse ancor di più le ginocchia al petto, contraendosi per un brivido gelido lungo la schiena causato dal pensiero di essere d’accordo con suo padre. Era una di quelle cosa che mai si sarebbe aspettata di pensare.

‘D’accordo non è proprio corretto.’ Pensò ‘Diciamo più che sono arrivata alla stessa conclusione.’

E la conclusione era che Roy Mustang, quell’infantile, borioso, ma gentile narcisista che viveva con lei da più di un mese, non avrebbe mai dovuto essere pronto per l’alchimia di suo padre.
Chiuse gli occhi e un pensiero le passò la mente, veloce come una freccia. Nello studio di suo padre, al posto di una chioma biondo spento c’erano dei sottili capelli neri. Gli occhi che la fissavano, sollevandosi stanchi dai libri, non erano più azzurro cielo, ma neri come la pece. E la voce che la chiamava per nome, un tempo calda e dolce, era solo un roco sussurro.
‘Riza…’

Aprì gli occhi di scatto, scuotendo la testa con veemenza. Non avrebbe mai lasciato che Roy diventasse come suo padre.
“Riza, è tutto a posto?”

Mustang la fissava dall’uscio della sua camera da letto. Riza sobbalzò, vedendolo.
“Ero venuto per darti la buonanotte, ma sembravi molto… pensierosa. Non volevo disturbarti.”
‘Allora non me lo sono sognata, mi ha davvero chiamata.’

Fissò il pavimento per un secondo, poi sospirò.
“Non fa nulla. Buonanotte, Roy. A domattina.”

Il ragazzo annuì mestamente, e chiuse la porta dietro di sé.
Riza con un soffio spense la candela, poi si gettò sotto le coperte.




Era notte fonda, e un gufo fuori dalla finestra bubolava tristemente. Riza non aveva ancora chiuso occhio.
Uno strano senso di inadeguatezza si era impossessato di lei e la teneva legata all’altezza del petto, come un boccone che faticava a deglutire. Si rigirò nel letto, sperando che una posizione diversa avrebbe fatto scomparire quel malessere, ma non funzionò.

Ad un tratto il gufo si zittì, ed un silenzio innaturale calò sulla casa. Riza si drizzò improvvisamente, come se sentisse che qualcosa stava per succedere. Scivolò fuori dalle coperte e, mentre metteva i piedi a terra, un urlo squarciò l’immobilità della casa.
Era un grido disumano, che sembrava provenire dritto dall’inferno, e Riza credette fermamente che qualcosa del genere potesse essere unicamente demoniaco.
Un secondo verso si aggiunse al precedente, carico di frustrazione, rabbia e disprezzo, più qualcos’altro che Riza non era in grado di identificare.
Corse fuori dalla sua camera e si fermò di fronte alla porta della stanza dalla quale le grida venivano.
Ora che si trovava così vicino, oltre ai suoni riusciva a distinguere della parole.
“Così vicino…manca così poco! Perché?! Perché mi sfugge?!”

E le grida continuavano, mentre la rabbia di Berthold Hawkeye per la sua ancora incompleta ricerca si riversava sulla figlia, immobile davanti a quel legno consunto dal tempo e dagli acari.

E così l’alchimia aveva vinto ancora una volta in quella casa. Era riuscita di nuovo a portare con sé il senno di suo padre e la sua stessa innocenza da bambina undicenne.
Si era impossessata della quiete notturna, l’aveva squarciata come un fulmine e l’aveva lasciata lì, sotto una pioggia di grida di dolore.

Riza non si accorse né delle lacrime che ormai le rigavano il volto, né di Roy, che era comparso infondo al corridoio. Quando lui chiamandola alzò la voce, per sovrastare quelle urla, la ragazzina si voltò tremante, mentre le mani stringevano convulsamente la camicia da notte.
Lo guardò confusa, quasi furiosa del fatto che lui fosse lì, ad assistere al suo crollo emotivo. Gli lanciò uno sguardo implorante, prima di fuggire via, in una corsa incontrollata per la casa, fino ad arrivare alla cucina, a quel tavolo, che a lungo era stata la sua unica protezione.
Si accovacciò sotto di esso, stringendo le ginocchia al petto, mentre dei forti tremiti la scuotevano e le facevano battere i denti. Chiuse gli occhi e si tappò le orecchie con le mani, ma le grida continuavano.

Ad un certo punto, una presenza entrò nel suo spazio personale e si mise al suo fianco.
Riza alzò lo sguardo, e vide che Roy l'aveva raggiunta sotto al tavolo. I suoi occhi  fissavano il vuoto di fronte a lui.
“Fa… fa paura anche a me.”

La voce del ragazzo tremava, ma il suo corpo era fermo, immobile. Riza, invece, era ancora scossa da spasmi violenti, e le lacrime correvano sul suo volto. Roy si voltò con una lentezza esasperante, e la fissò intensamente.
Anche se erano sotto ad un tavolo, nel bel mezzo della notte, al buio più completo, Riza riuscì vedere nei suoi occhi una scintilla luminosa, a cui ancora non riusciva a dare un nome.
Il labbro del ragazzo tremò debolmente, mentre si avvicinava con il viso alla ragazzina.
“Vuoi che ti abbracci?”

Quella domanda ebbe il potere di fermare il tremito che scuoteva Riza.
Nessuno mai le aveva chiesto una cosa simile, almeno non da quando sua madre era morta. Una parte di lei continuava a gridarle di rifiutare, di allontanarsi da quel tavolo e da lui.
Ma la parte che prevalse fu quella a cui il contatto umano mancava da troppo, troppo tempo.
Così fece scivolare le sue gambe ormai poco tremanti su quelle del ragazzo e si accoccolò contro il suo petto, mentre lui la cingeva con una mano sulla spalla e una sul fianco. Le mani strinsero il tessuto, e si fece sempre più piccola in quella stretta.
Immediatamente la maglia del ragazzo si bagnò di lacrime, ma i respiri di Riza erano tornati più regolari.
Quando smise di piangere, si accorse che anche il ragazzo, la testa immersa nei corti capelli di lei, aveva gli occhi umidi di pianto. Per un breve istante, Riza si chiese se quell'abbraccio fosse servito più a lei o a Roy. Poi cadde tra le braccia di Morfeo.
Rimasero lì per un tempo interminabile, anche quando le urla si interruppero e il gufo ricominciò il suo lamento notturno.

L’alba li illuminò così, mentre erano ancora stretti in quell’abbraccio, sotto al tavolo della cucina di una casa ormai silenziosa.
















Note dell'autrice
Sono finalmente arrivata infondo a questo dolorosissimo capitolo, in tutti i sensi.
La scena era così limpida e chiara nella mia mente, ed ho la tremenda paura di non essere stata in grado di descriverla con quella durezza e quel realismo necessari per far 'passare il messaggio'.
Questa volta, penso che partirò dalla spiegazione della citazione.
Come Cohen rivelò nelle interviste, questi versi, in cui scrive i veri e propri cambi di tono della melodia (la quarta, la quinta -nota-; il minore, il maggiore -accordo-) vogliono esprimere il ritmo che si alza, una vera e propria elevazione, la tensione che aumenta sempre di più. Il che si collega alla crisi di Berthold che rompe la quiete della notte ed è un crescendo di emozioni, per Riza.
Poi dice 'the baffled king composing Hallelujah'. Qui, baffled va tradotto come confuso, sconcertato, frastornato. Si può riferire sia a Berthold, che è in preda al delirio, sia a Riza, che è sconvolta dalla crisi del padre.
E' la prima vera volta che Roy assiste ad uno dei deliri del maestro. E' spaventato anche lui da quelle grida disumane, in particolar modo perchè non aveva realizzato quanto l'ossessione di Berthold lo dissociasse dalla realtà, e soprattutto non aveva realizzato quanto ciò turbasse Riza.
Come avete visto, ho recuperato il ricordo di quando Riza, nel primo capitolo, aveva detto "Quando gli verrà una delle sue crisi...non venga a nascondersi con me sotto il tavolo".
Non sarà né la prima, né l'ultima volta che recupero un elemento dai capitoli precedenti.
Detto questo, spero che il significato di questo capitolo sia abbastanza chiaro. Se ci dovessero essere dubbi o perplessità, aspetto le vostre domande.
A presto.
-Elizabeth

 
   
 
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