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Autore: gattina04    04/12/2016    3 recensioni
Tanti personaggi nuovi, le cui storie non sono mai state raccontate, sono arrivati a Storybrooke. E se tra questi si celasse qualcuno legato al passato di Hook? Come potrebbe reagire se una persona che credeva ormai perduta per sempre si aggirasse tra le vie di Storybrooke? E oltre a tutto questo cosa faranno Hyde e la Regina Cattiva?
Storia ambientata tra la quinta e la sesta stagione, cercando di immaginare ciò che sarebbe potuto accadere all'inizio di questa nuova stagione di OUAT.
Dal testo: "Non sapevo più chi guardare, non ci stavo capendo più nulla. Avrei voluto rassicurare Killian ma non sapevo neanche da cosa fosse turbato. Chi diavolo era quella donna?"
"Non era il solito bacio; sapevamo entrambi che aveva un significato diverso. Era un gesto disperato di due amanti costretti a lasciarsi troppo presto, era una atto di due innamorati separati dal destino"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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24. Una madre
 
Il cielo era limpido e terso, non c’era neanche una nuvola ad oscurare quel tetro giorno. Per quanto l’animo di tutti potesse essere triste e il cuore colmo di dolore, quella giornata sembrava invece rispecchiare la pace che Sylvia doveva aver finalmente trovato.
Non era facile né per Killian né per me, che continuavo a vivere grazie al suo sacrificio. Ogni battito del mio cuore, ogni respiro, lo dovevo a lei e non mi capacitavo di non essere riuscita a salvarla. Non mi aveva solo concesso di continuare a vivere, ma mi aveva dato un milione di possibilità. Potevo veder crescere Henry, potevo passare del tempo con i miei genitori, potevo formare la famiglia che volevo con Killian ed un giorno aver dei figli con lui; o molto più probabilmente, visto che eravamo a Storybrooke, potevo continuare ad affrontare pericoli e nemici a testa alta, comportandomi da eroina.
Per quanto Killian potesse dire di stare bene, sapevo che stava soffrendo e il fatto di essere stata io a privarlo di sua madre continuava a tormentarmi. Non potevo farci nulla e non ci sarebbero state alternative; era stata una libera decisione di Sylvia, eppure continuavo a pensare che avrei dovuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa pur di evitare un dolore del genere ad Hook, e anche a Jekyll.
Sospirai profondamente e mi preparai a salire a bordo della Jolly Roger. Il tubino nero che avevo indossato non mi aiutava certo nei movimenti, ma, anche se con un certo impaccio, riuscii ad arrivare sul ponte della nave. Mi guardai intorno per cercare il mio amato pirata, finché non lo scorsi appoggiato ad un parapetto a tribordo della Jolly. Stava guardando l’oceano e l’orizzonte, probabilmente per cercare di calmarsi. Ormai lo conoscevo talmente bene da poterlo leggere come un libro aperto: poteva dirmi di essere sereno e di essere felice di aver ritrovato me. Tuttavia la mia presenza non poteva offuscare il fatto che aveva perso sua madre per la seconda volta; era naturale che soffrisse.
Mi avvicinai a lui, sapendo che il rumore dei miei tacchi doveva averlo avvertito della mia presenza. Lo abbracciai da dietro appoggiando la testa sulla sua schiena, riuscendo così a sentire i suoi respiri lenti e regolari.
«Ehi».
«È già ora?», mi domandò senza voltarsi.
«No, sono passata in anticipo, volevo stare un po’ con te». Mi aveva detto che voleva restare da solo, ma quando mai gli avevo dato retta? Alla fine facevo sempre di testa mia, e almeno per quella volta avevo un buon motivo per farlo.
Si scostò in modo da ribaltare le posizioni e poter essere lui a stringermi tra le braccia, intrappolandomi tra il suo petto e la balaustra della nave. Mi strinse nel suo caldo abbraccio, appoggiando la testa sulla mia spalla e tornando a fissare l’oceano. Lasciai che mi cullasse tra le sue braccia, posando a mia volta la guancia sulla sua spalla e lasciando cadere il silenzio tra noi. Non si trattava di un silenzio pesante o forzato, valeva più di mille parole.
Passai le mani lungo la sua schiena, con un movimento lento e circolare. Sentii il suo battito, che era anche il mio, calmarsi e regolarizzarsi grazie a quel mio gesto. Anche se da fuori sembrava impassibile e indistruttibile, sapevo che in realtà era un fascio di nervi. Ed io ero il suo miglior calmante.
Da quando ci eravamo ritrovati, da quando ci eravamo baciati appassionatamente nella grotta, non avevamo più avuto molti momenti di intimità. Non che fosse la situazione giusta per averli, ma Killian mi era mancato tanto ed io ero mancata a lui; stare un po’ da soli, anche solamente a baciarci e a coccolarci era qualcosa che entrambi volevamo. Ne avevamo bisogno.
«Mi manca». Il suo tono era talmente basso che, se non avessi sentito la sua bocca muoversi vicino al mio collo, avrei sicuramente pensato di averlo immaginato.
«Lo so, manca anche a me». Feci risalire la mia mano in modo da passargli le dita tra i capelli. Il suo uncino, invece, mi strinse più forte spingendomi di più verso di lui.
«E mi sei mancata anche tu», aggiunse. «Tanto».
«So anche questo».
«Grazie per essere passata in anticipo, anche se ti avevo detto che non ce n’era bisogno».
Accennai un piccolo sorriso e mi attorcigliai una sua ciocca di capelli intorno al dito, per quanto ne consentisse la lunghezza. «Non sono il tipo che si fa dare ordini».
«Non lo sei mai stata Emma, tu non mi dai mai retta».
«Sono una testa dura».
«Sei impossibile».
«Ma mi ami per questo». Era il nostro scambio di battute, quello che era diventato il nostro ritornello da quando ci eravamo rincontrati nell’Oltretomba.
«Sì ti amo tantissimo». Si staccò da me e dalla mia spalla quel tanto che bastava per potermi guardare negli occhi. I suoi erano due pozze talmente chiare da potercisi riflettere.
«Ti amo tantissimo anche io». Posai le mie labbra sulle sue, gustando il suo sapore, dolce e salato allo stesso tempo. Lui le schiuse quasi in automatico, lasciando che la mia lingua potesse andare a cercare la sua. La sua mano si spostò delicatamente sulla mia schiena, tra i miei capelli, mentre l’uncino scese a sfiorarmi un fianco.
Le nostre labbra iniziarono a danzare insieme, cercandosi e trovandosi, come erano ormai abituate a fare e in un modo in cui non si sarebbero mai stancate di fare. Quando ci baciavamo tutto il resto scompariva: non c’erano più pericoli, problemi, nemici da affrontare. C’eravamo solo io e lui, talmente innamorati da diventare una sola cosa, una sola persona.
Non avevo mai capito cosa significasse amare ed essere amati da qualcuno prima di incontrare Killian. Non che non avessi amato Neal, ma era stato il mio primo amore, eravamo troppo giovani ed entrambi avevamo commesso troppi sbagli. Con Killian invece era del tutto diverso: non era stato un colpo di fulmine, ma qualcosa di lento e ragionato. Ci eravamo conosciuti, avevamo capito chi veramente avevamo di fronte e gradualmente, lentamente almeno per me, eravamo cresciuti insieme innamorandoci e costruendo qualcosa di duraturo. Sapevo che con lui poteva essere per sempre e adesso Sylvia aveva contribuito a rendere quel per sempre ancora più reale.
Lasciai scendere la mano giù lungo la sua schiena, fin sotto la sua giacca di pelle. Accarezzai i suoi muscoli, che conoscevo fin troppo bene, mentre anche la sua mano si spostava delicatamente sotto il mio cappotto sul mio fianco fino alla mia gamba, per poi risalire ancora più lentamente.
Abbandonando per un attimo le sue labbra, aprii gli occhi e lo guardai, il suo naso contro il mio. Fui catapultata nel mio oceano, dove avrei potuto navigare per ore, per secoli interi, senza mai stancarmi. Adoravo gli occhi di Killian, soprattutto quando mi rivolgeva quello sguardo capace di togliermi il respiro.
Involontariamente mi mordicchiai un labbro mentre lui mi concedeva uno dei suoi meravigliosi sorrisi. Eravamo talmente vicini, sia fisicamente che spiritualmente, da non essere più a Storybrooke, da non essere più solo Emma o solo Killian. Il suo respiro era il mio, i nostri cuori battevano insieme, il suo profumo si mescolava col mio creando una fragranza fantastica, la vicinanza dei nostri corpi emanava un confortevole calore.
Killian mi baciò di nuovo, stringendomi sempre di più. Assaporai le sue labbra non riuscendo a capire come potevo far altro nella vita oltre che baciarlo; avrei passato ogni minuto che ci restava con la sua bocca sulla mia, pelle contro pelle, stretta tra nel suo caldo abbraccio. Le nostre lingue continuavano ad incontrarsi, le nostre mani iniziarono a stringersi e a cercarsi sempre di più, mentre l’eccitazione ed il desiderio crescevano in entrambi.
Purtroppo la parte ragionevole di me si riaccese giusto in tempo per farmi notare che non era né il momento né il caso per lasciarmi andare. Per quanto entrambi non desiderassimo altro, avevamo un impegno importante da rispettare; dovevamo rendere onore ad una persona, dirle addio definitivamente, dovevamo dire l’ultimo grazie a colei che aveva reso possibile tutto questo.
«Credo», sussurrai quando le labbra di Killian si spostarono giù lungo il mio collo, «credo che dovremo fermarci».
Hook sospirò sentendo le mie parole e, per quanto controvoglia, fermò la sua scia di baci. Anche la sua mano si fermò adagiandosi sul mio fianco, mentre le sue labbra rimasero a contatto con la mia pelle.
«Già credo anch’io», disse sul mio collo, la voce arrochita dal desiderio. «Ma mi serve un momento». Lasciai che appoggiasse la fronte sulla mia spalla, in modo tale da calmarsi. Pian piano il suo respirò si regolarizzò, mentre la mia mano gli accarezzava dolcemente la schiena.
«Per quanto adori le tue carezze Swan, adesso non sono molto d’aiuto», sussurrò. Sbuffai ma lasciai cadere la mano lungo il fianco, obbedendo per una volta al suo velato ordine.
«Okay», sospirò infine, rialzando finalmente la testa. «Dobbiamo andare?».
«Credo di sì amore». Per quanto cercassimo entrambi di allungare quel momento, non potevamo più temporeggiare. Era giunto il tempo dell’ultimo addio, dell’ultimo saluto, e non potevamo più procrastinare.
«Sei pronto?», gli domandai prendendolo per mano.
«No, ma va bene così». Mi rivolse un dolce sorriso e mi guidò giù dalla sua nave, per andare ad assistere al funerale di sua madre. Per quanto poteva valere, Killian non era l’unico a non essere pronto. Neanche io ero preparata ad affrontare la scomparsa di una donna che, seppure l’avessi conosciuta solo da pochi giorni, mi aveva donato la vita solo come una madre può fare.
 
L’aria fresca mi costrinse a stringermi di più nel cappotto, mentre avanzavo accanto a Killian sul prato del cimitero. Lui, sentendomi rabbrividire, mi strinse più forte a sé, passandomi un braccio intorno alla vita, in un gesto del tutto istintivo.
Avevamo già percorso troppe volte, in troppo poco tempo, quella strada tetra e malinconica. Ed ecco come, dopo la tragedia di Robin, eravamo di nuovo tutti lì ad affrontare un’altra tragedia. Forse Sylvia era meno conosciuta e meno amata lì a Storybrooke, ma il suo gesto era il simbolo del suo gran cuore e gli abitanti di quella strana cittadina non potevano rimanere indifferenti.
La bara di legno era posata sull’erba vicino a quella che era stata la tomba di Killian. Adesso quella lapide non significava più niente, non rappresentava più nessuno; era solo un ricordo di ciò che avevamo affrontato, del fatto che neanche la morte era riuscita a separarci. Tuttavia Killian aveva voluto che sua madre fosse sepolta proprio là, vicino a lui, vicino all’unica parte della sua famiglia che si trovava ancora in questo mondo.
Là davanti si era radunato un piccolo nugolo di persone, tutte in nero, le espressioni contrite. Era questo che odiavo dei funerali: il dolore e la tristezza che permea ogni cosa, ogni persona, anche coloro che non avevano rapporti così stretti con chi se ne è appena andato. Sylvia non avrebbe voluto la tristezza, ma gioia e felicità; almeno il tempo quel giorno sembrava rispecchiare il suo desiderio.
Quando ci avvicinammo, mia madre si staccò dagli altri per venirci incontro.
«Killian, mi dispiace tanto». Lo abbracciò ed io fui lieta di lasciarlo andare per permettergli di ricambiare. Adoravo il fatto che mia madre avesse sempre trattato Killian, da quando avevamo iniziato la nostra storia, non come il pirata che era, ma come l’uomo di cui mi ero innamorata. Era una cosa che mio padre non era riuscito subito a fare, quello di discriminare il passato dalla persona che Killian era in quel momento.
«Grazie Mary Margaret». Quando la lasciò andare potei notare delle lacrime negli occhi di mia madre ed io sapevo per certo che erano sincere. Ciò che Sylvia le aveva regalato era paragonabile a ciò che aveva dato a me e a suo figlio.
Proseguimmo insieme a lei per arrivare dagli altri che, notando il nostro arrivo, si spostarono per lasciarci passare. Jekyll era lì in prima fila, con lo sguardo commosso, e forse era anche l’unica vittima innocente di tutta quella storia. Si era liberato definitivamente di Hyde, ma aveva perso tutto comunque; aveva perso la persona che lo aveva spinto a lottare fino alla fine contro la sua stessa metà.
Inaspettatamente Killian gli si avvicinò per appoggiargli la mano sulla spalla: erano una sorta di figlio e patrigno uniti nello stesso lutto, nella stessa tragedia. Con un cenno del capo lasciò che Jekyll fosse il primo a depositare il suo fiore sulla bara: una lunga e bellissima rosa rossa. Subito dopo Hook vi posò accanto la sua, che nel suo caso era bianca.
“Mia madre adorava le rose”, mi aveva confessato Killian poche ore dopo la sua morte. “Nel giardino di casa aveva coltivato un roseto, mio padre lo sradicò subito dopo la sua scomparsa”.
Dopo che Killian fu tornato al mio fianco, fu il mio turno: mi avvicinai alla bara e vi appoggiai la mia rosa. Era bianca anche questa, ma l’avevo incantata affinché resistesse e non appassisse. Nessuno lo sapeva, ma quel fiore avrebbe resistito e sarebbe stato con lei finché sia io che Killian non l’avremo raggiunta. Era il mio modo per dirle che non l’avrei mai dimenticata.
Tornai da Killian, per permettere anche agli altri di depositare il proprio fiore, e mi asciugai le lacrime con le dita. Nonostante mi fossi ripromessa di essere forte, alla fine, il dolore era uscito comunque.
«Ehi tesoro». Killian catturò con il pollice una lacrima che scorreva lungo la mia guancia. «Va tutto bene Swan». Mi strinse in modo tale che potessi appoggiare la testa sulla sua spalla.
Dio! Non era assolutamente giusto che in un momento del genere fosse lui a consolare me. Sarebbe dovuto essere il contrario; era lui il figlio ed io sarei dovuta essere abbastanza forte da sopportare e sostenere la sofferenza di entrambi.
Fu in quell’istante che la vidi: sbirciando da sopra la spalla di Killian, dietro tutta la gente venuta a dare l’ultimo addio a Sylvia, c’era lei, una diretta responsabile della sua dipartita. Mary se ne stava in piedi in disparte e osservava la scena che le si parava davanti. Era troppo lontana per poter decifrare la sua espressione, ma, qualunque cosa fosse venuta a fare, non doveva essere là.
Sentendo il mio corpo irrigidirsi, Killian voltò la testa per osservare cosa avesse attirato la mia attenzione. Non appena la vide, la sua mano si chiuse a pugno e i suoi muscoli si tesero.
«Che diavolo è venuta a fare qua?», fremette. La rabbia ribolliva dal suo sguardo e capii senza bisogno che aggiungesse altro che sarebbe presto esploso se Mary non se ne fosse andata subito. Una scenata non era assolutamente ciò che serviva per onorare la memoria di Sylvia. Lui doveva vivere quel momento di addio nel migliore dei modi, senza nessuno che potesse peggiorare ancora di più quella giornata. Non potevo permettere che Mary causasse ulteriori danni oltre quelli che già aveva creato.
«Killian, ci penso io». Appoggiai il palmo della mano sulla sua guancia in modo tale che mi guardasse dritto negli occhi e si convincesse che quella era la soluzione migliore. Vidi l’indecisione nel suo sguardo, ma poi la consapevolezza di ciò che stava accadendo lo travolse e lo fece cedere.
«D’accordo». Lasciai un leggero bacio sulle sue labbra e mi allontanai da lui, avviandomi verso Mary. Vidi Regina osservarmi perplessa mentre mi allontanavo, ma poi individuò la persona verso cui mi stavo dirigendo. Le ci volle meno di un secondo per lasciare Henry e venirmi dietro.
«Che cosa ci fa qui?», sussurrò quando raggiunse il mio fianco.
«Penso che sia la domanda da un milioni di dollari», risposi amaramente. «Comunque non può stare qui, non può assolutamente restare». Allungai il passo per raggiungerla più velocemente, in modo che nessun altro si accorgesse della sua presenza, soprattutto Jekyll. Neanche il dottore era benevolo nei suoi confronti.
«Devi andartene», le dissi fermandomi davanti a lei. «Non sei la benvenuta».
Lei mi guardò come se si accorgesse solo in quel momento della mia presenza. «Cosa?».
«Vattene». Il mio tono era ostile, ma ne avevo tutte le ragioni.
«Tu…», mormorò sconvolta. «Tu non hai nessun diritto di cacciarmi».
Stavo per ribattere ma Regina mi precedette. «Non credo che sia questo il luogo più opportuno per discutere». Così dicendo ci fece scomparire in una nuvola di fumo, per poi farci riapparire ai margini del bosco, sicuramente in una zona più lontana dalla cerimonia.
«Ma che diavolo…?», sussurrò Mary sconvolta.
«Tu non eri la benvenuta là, non dopo ciò che hai fatto. Credevi davvero che non avremo scoperto di te ed Hyde?». Ero così furiosa con lei per il fatto di essere venuta a rovinare ulteriormente quel momento e per avermi in quel modo allontanato da Killian e dalla cerimonia.
«Io volevo solo dirle addio». Solo allora notai il suo aspetto: era scompigliata, come se fosse provata dalla situazione, aveva profonde occhiaie, gli occhi rossi e gonfi, le guance solcate da lacrime. La rabbia crebbe ancora dentro di me: lei non poteva arrivare lì e fingersi addolorata, non dopo aver tradito la fiducia che Sylvia aveva riposto in lei.
«Tu sei l’ultima persona che dovrebbe piangere la sua scomparsa. All’inizio ho cercato di essere gentile con te, ma dopo aver scoperto chi sei veramente ho capito che non meriti questa mia cortesia».
Incassò la mia accusa senza fiatare, le spalle dritte in un atteggiamento fiero. «È stata la mia famiglia per tutta la mia vita, non volevo che finisse così, è sempre stata come una madre per me». Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non poteva dirmi che era come una madre; una figlia non l’avrebbe venduta ad Hyde in quel modo, non avrebbe tradito la fiducia incondizionata che le veniva offerta.
Fu un gesto del tutto repentino e dettato dalla rabbia che provavo. Senza neanche accorgermene le sferrai un pugno in pieno volto, facendola inevitabilmente sbalzare all’indietro.
«Emma!». Il tono di Regina era di rimprovero, ma sapevo che non disapprovava del tutto quel mio sfogo. Regina mi si avvicinò, forse pensando di dovermi trattenere ulteriormente, ma ormai avevo sfogato tutta la mia rabbia.
Cercai di muovere le dita con le quali avevo sferrato il pugno; avevo le nocche arrossate e mi faceva incredibilmente male la mano. Non tiravo un pugno da un bel po’, mi ero troppo abituata ad usare la magia nei combattimenti. In realtà non mi ricordavo neanche se avessi mai davvero colpito intenzionalmente qualcuno in quel modo.
Mary, d’altro canto, si era accucciata a terra e aveva portato le mani a coprirsi il naso. Beh sicuramente adesso aveva un motivo più valido per piangere. La vidi asciugarsi il naso con la manica del vestito da quello che con molta probabilità doveva essere sangue. Il mio pugno era stato più che efficace, Killian sarebbe stato fiero di me.
«Non puoi venire qua a dirmi che era come una madre per te», fremetti. «Lei è stata buona, ti ha accudito, ti voleva bene e tu invece sei stata solo capace di cospirare alle sue spalle con Hyde. Ti aveva dato la possibilità di essere come la figlia che non aveva mai avuto e tu l’hai sprecata».
Mary si rialzò, guardandomi intensamente. Questa volta però nel suo sguardo c’era qualcosa di diverso: era rimorso, dolore, forse pentimento. «Forse tu puoi pensarla così», disse con voce nasale. «Puoi credere che non mi importasse di lei, ma non è vero; le volevo bene. Non ho mai voluto che lei morisse, non avrei mai voluto che le accadesse niente di male. È vero ho rivelato ad Hyde alcuni suoi segreti, ma non per colpire lei. È stato per Jekyll».
«Tu sapevi che l’amava, colpire lui sarebbe stato come colpire lei».
«Lo so, credevo che lui non la meritasse, che l’avrebbe solo rovinata, come aveva fatto mio padre con mia madre e con me. Adesso so che ho sbagliato».
«È un po’ troppo tardi non credi?». Anche se sentirla ammettere i suoi errori era un gesto capace di alleviare, anche se di poco, la mia rabbia, non volevo darle soddisfazione.
«Lo so», ammise di nuovo sempre con la voce alterata a causa del mio pugno. «Non ho potuto chiederle scusa, non ho potuto ottenere il suo perdono. Non pensi che sia una condanna più che sufficiente?».
«Se tu glielo avessi detto, se le avessi detto dei tuoi sospetti su Jekyll, lei ti avrebbe ascoltato. Invece l’hai tagliata fuori».
«Lo so», mormorò.
«Non puoi dirle addio adesso», intervenne Regina che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
«Devo dirle addio», piagnucolò. Per quanto potessi odiarla ed essere arrabbiata con lei, in quel momento mi face comunque pena. Era rimasta da sola, non aveva più nessuno a cui appoggiarsi e nessuno che l’avrebbe aiutata. Sapevo bene cosa significava essere soli; non avevo capito quanto fosse orribile fino a che non avevo trovato la mia famiglia.
«Non adesso», mormorai. Ero restia a concederle ciò che chiedeva, ma d’altra parte non farlo mi avrebbe solo fatto passare dalla parte del torto.
Regina sembrò capirlo e venne in mio aiuto. «In questo momento suo figlio e il dottore le stanno dicendo addio. Come credi che reagirebbero se tu fossi lì accanto a loro? Hai cospirato alle sue spalle, che tu lo volessi o meno, non puoi chiedere la loro comprensione. Stanno già soffrendo abbastanza senza che tu sia lì a rigirare il dito nella piaga».
«Lo so, ma…».
«Stasera», la interruppi. «Potrai farlo stasera, quando ce ne saremo andati potrai andare da lei. Forse da dove è adesso ascolterà le tue parole e potrà perdonarti. Tu però non lo saprai mai; il rimorso per ciò che le hai fatto sarà una pena più che sufficiente». Così dicendo mi allontanai da Mary, non sopportando più la sua presenza. Volevo solo tornare da Killian e stare al suo fianco, dove sarei dovuta rimanere. Non avrei mai voluto lasciarlo solo in quella terribile giornata.
Regina mi seguì subito, mentre Mary rimase là forse grata per quella concessione che le avevamo fatto e forse anche devastata dalla verità delle mie parole. In qualsiasi caso, il peso delle sue azioni le sarebbe inevitabilmente ricaduto addosso distruggendola dall’interno.
 
Qualche ora dopo ci ritrovammo tutti da Granny; dopo la cerimonia Killian non aveva voluto fare niente che rattristasse l’atmosfera ulteriormente, voleva solo onorare la memoria di sua madre e riunirsi da Granny era sembrata l’idea migliore.
«Due bicchieri di rhum», ordinai sedendomi sullo sgabello accanto a Killian.
«Ormai conosci i miei gusti Swan». Abbozzò mezzo sorriso, passandomi una mano intorno alla vita.
«Come stai?», gli domandai accarezzandogli la guancia.
«Sto bene», rispose fissando un punto indistinto sulla parete di fronte a lui. Lo guardai intensamente non aggiungendo altro, aspettando che mi dicesse la verità.
Sentendo il mio sguardo addosso, non poté fare altro che correggersi. «D’accordo», sbuffo. «Non sto bene, ma è normale no? Comunque non scoppierò a piangere da un momento all’altro».
«Tu non sei il tipo che scoppia a piangere da un momento all’altro. Volevo solo sapere come ti senti Killian. Puoi parlare con me, lo sai tesoro».
«Mi sento uno schifo, okay?». Non poteva essere diversamente. «Ma non tanto perché lei è morta, ma perché mi sembra di aver sprecato un’intera vita senza di lei, senza la possibilità di averla conosciuta davvero. Non so minimamente chi fosse diventata e non aver avuto il tempo per conoscerla nuovamente mi distrugge. E lo stesso vale per lei, non sapeva niente dell’uomo che sono diventato».
«Lei era fiera di te».
«Sì, ma su che basi? Sapeva solo a grandi linee ciò che avevo fatto».
«Lei era tua madre, sarebbe stata fiera di te comunque. Però Sylvia lo era davvero, ha visto l’uomo che sei adesso e non poteva non esserne orgogliosa». Mi rivolse uno sguardo scettico, ma io sapevo benissimo come continuare.
«Killian, l’uomo che sei diventato, l’uomo che amo, non c’è davvero motivo per non esserne orgogliosi. Ogni madre vorrebbe che suo figlio diventasse proprio come te; non come il pirata, non come l’uomo tormentato dall’oscurità, ma colui che non è più il cattivo, ma è diventato un eroe, colui che mette il suo cuore in tutto ciò che fa».
«Sei così completamente innamorata di me da straparlare». La sua espressione non poteva nascondere quel piccolo sorriso che gli era spontaneamente salito alle labbra.
«Forse, o forse dico solo la verità».
Proprio in quel momento la nonna ci servì i nostri drink. Killian bevve il suo tutto di un fiato, riappoggiando rumorosamente il bicchiere sul tavolo.
«Cosa diavolo voleva Mary?», domandò cambiando argomento. Speravo proprio che non me lo chiedesse e che se lo fosse scordato; ma sapevo che le mie speranze erano del tutto vane.
«Voleva dire addio a tua madre», ammisi sospirando.
«Incredibile». Il suo tono era sarcastico e la sua espressione era ostile.
«Le ho tirato un pugno», buttai lì.
«Tu cosa?».
«Sì l’ho colpita, dritta sul naso». Mi guardò incredulo non sapendo più cosa dire o cosa pensare.
«Mi ha fatta arrabbiare», replicai incrociando le braccia al petto.
«E tu le hai tirato un pugno?». Alzò un sopracciglio ed assunse un’espressione divertita.
«Beh mi è scappato. È stata una reazione istintiva, però se l’è meritato».
«Oh non c’è dubbio su questo. Avrei davvero voluto assistere. E poi dici che sono io quello impulsivo!».
«Dovresti essere fiero di me, le ho tirato davvero un bel pugno. L’ho fatta cadere all’indietro e penso che le sia uscito pure il sangue dal naso».
«In questa caso sono davvero molto fiero di te. La mia piccola Swan tirapugni». Il sorriso che gli si disegno sulle labbra servì a ripagarmi di tutto. Ero riuscita con la mia rivelazione a spazzare via l’ombra che la comparsata di Mary aveva causato. Quella giornata non era diventata ancora più tetra e questo era già un gran traguardo.
Proprio in quel momento Belle si avvicinò a noi.
«Killian», disse abbracciandolo, «mi dispiace tanto». Lo baciò sulla guancia, posandogli una mano sul braccio. Se non fossi stata sicura di lui al cento per cento, molto probabilmente vedendo quella scena sarei stata divorata dalla gelosia.
«Ti offrirei da bere tesoro», le disse, «ma nel tuo stato credo che non sia molto indicato».
«Già, penso proprio che passerò».
«Vuoi sederti?», le chiesi indicandole uno sgabello accanto a noi. Lei accettò volentieri e si sedette continuando a tenere la mano sul braccio di Killian.
«Hook non so davvero come scusarmi con te», iniziò.
«E per cosa?».
«Non riesco a non pensare che in fondo Sylvia è morta per colpa mia. È per svegliare me che Tremotino ha causato tutto questo».
«Non è colpa tua Belle», mi precedette Killian. «Non pensarlo nemmeno».
«Ma…».
«Non è colpa tua», ripete fissandola negli occhi.
«Killian ha ragione», intervenni. «Sylvia ha preso la sua decisione spontaneamente».
«Lo so, solo ciò che ha fatto Tremotino è stato…». Lasciò la frase in sospeso non sapendo bene come esprimersi.
«Può sembrare strano ma, per una volta, non ce l’ho neanche con il coccodrillo». Sia io che Belle lo fissammo stupite da quella affermazione.
«Oh andiamo», si affrettò a spiegarsi, «Emma tu non saresti qui se lui non fosse intervenuto».
«Sì ma non sarei stata nemmeno in pericolo se lui non avesse rubato il bacio del Vero Amore».
«Lo so, ma almeno stavolta ha tentato di rimediare ai suoi errori. So quanto può essere difficile fare la scelta giusta».
«Già», mormorò Belle. «Stavolta sono riuscita di nuovo a vedere l’uomo dietro la bestia. Era da tanto tempo che non ci riuscivo più».
«Cosa pensi di fare con lui e con il bambino?», le domandai.
Si portò istintivamente le mani sulla pancia mentre rifletteva sulla risposta. «Ad essere sincera non lo so. Mi ha ferito troppe volte e per ogni passo avanti ne fa cento indietro. Però non posso escluderlo dalla vita di suo figlio; spero che l’amore di questo bambino possa cambiarlo, visto che il mio non è stato sufficiente».
Le passai una mano sulla spalla, capendo cosa poteva provare. Amare un uomo come Gold non era certo facile, né tantomeno doveva essere la decisione di fidarsi di lui per quanto riguardava suo figlio. Ma per Neal, Gold era cambiato; forse Belle aveva davvero ragione a concedergli quella possibilità.
Mentre stavo per continuare la conversazione con Belle, un colpo di tosse attirò la nostra attenzione e quella di tutti i presenti. Era stato Jekyll a richiamarci: era al centro della stanza e reggeva in mano un bicchiere. Aveva l’aspetto tirato, con profonde occhiaie, ma nonostante ciò cercava di mostrarsi forte. Sylvia non avrebbe sicuramente voluto vederlo piangere e lui stava rispettando la sua volontà.
«Vi ringrazio», balbettò imbarazzato. «Vorrei proporre un brindisi… un brindisi per Sylvia».
Prese fiato, cercando le parole adatte per esprimere ciò che provava. «Quando l’ho conosciuta ero una persona diversa, ero solo un dottore invischiato nei suoi esperimenti. Lei mi ha cambiato ed in meglio». Sentii Killian sospirare ed istintivamente gli afferrai la mano, intrecciando le mie dita alle sue.
«Era una donna forte e, per quanto potesse essere tormentata dai suoi fantasmi, mi ha aiutato a liberarmi dei miei. Era dolce e sensibile, ma forte e coraggiosa quando serviva».
«Era una persona altruista», intervenne mia madre, avvicinandosi a Jekyll. «Ed era una madre, una madre amorevole». Guardò Killian nel pronunciare quella frase e lo vidi annuire leggermente. Sapevo che non aveva la forza di parlare, ma quello era ciò che voleva sentir dire.
«Nonostante il suo errore», continuò mia madre, «non ha mai smesso di pensare ai suoi figli. Quando ti guardava Killian era chiaro a tutti quanto ti amasse». Hook annuì di nuovo, ringraziandola con lo sguardo.
«Sylvia», intervenni alzandomi in piedi, «è riuscita a donarmi letteralmente la vita. Non ha esitato neppure sapendo a cosa andava incontro. Avrei davvero voluto poterla conoscere di più, ma da quello che ho visto, non c’è stato assolutamente niente che potesse essere negativo. Forte, leale, coraggiosa, dolce; è stato davvero un onore averla conosciuta».
Killian prese un profondo respiro, assimilando ogni singola parola. «A Sylvia», disse alzando il suo bicchiere, che la nonna doveva aver prontamente riempito.
«A Sylvia», ripetei alzando il mio.
«A Sylvia», ripeterono tutti imitando il nostro gesto. Alla donna che aveva reso possibile il mio futuro e che non avrei mai potuto dimenticare, che nessuno avrebbe più potuto dimenticare.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica! Oh mio Dio non posso credere di essere arrivata quasi alla fine. Adesso manca solo l’epilogo e poi dovrò chiudere questa storia.
E a proposito di chiusure, penso di aver terminato tutte le questioni in sospeso. Mary è pentita, ma ormai quel che è fatto è fatto ed è rimasta inevitabilmente sola (il pugno di Emma, nato sul momento, è stato una vera soddisfazione), Jekyll affronta il lutto e così anche Killian, e Belle ha deciso che non può escludere Rumple dalla vita di sua figlio. Visto che questa storia è iniziata quando ancora lui aveva qualche speranza, quando ancora non aveva toccato il baratro della sesta stagione, mi sembrava dovuta questa decisione da parte di Belle. In fondo almeno nella mia storia Tremotino ha tentato di rimediare ai suoi errori.
Vi ringrazio come sempre e vi do appuntamento a domenica prossima con l’epilogo. Mi mancherà tanto questa storia, ma ho altre idee in testa per altre fanfiction.
Un bacione
Sara
 
  
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