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Autore: RubyChubb    19/05/2009    1 recensioni
La classe scoppiò in un boato di risate, cosa più tipica della neve d’inverno, e i tre fecero finta di non aver sentito. La loro vita era in quel modo da quando i loro genitori li avevano messi al mondo, c’erano più che abituati. Danny era il parafulmine, quello a cui venivano scoccate le prime frecce; dopo di lui, veniva direttamente Tom, detto anche FletChin, per via della prominenza del suo mento, ed infine Dougie, più propriamente definito Handjob Station. Tutti quei soprannomi avevano il copyright Made in Judd, ovviamente, era stato lui ad averli inventati. Quello stronzo se lo erano portati dietro dal primo anno di scuola elementare, non potevano liberarsene fino al termine di quell’ultimo anno scolastico di liceo. Eppure, in fin dei conti Danny lo invidiava un po’. Aveva una vita facile, piaceva alle ragazze ed aveva tutto quello che voleva. Se ne fregava dei voti, del suo futuro, aveva il papà che lo aspettava a braccia aperte.
Sentì qualcosa bussare alle sue spalle e si voltò verso Dougie. Con un gesto veloce del dito indice il suo amico gli indicò la porta.
Oh no… Ci risiamo.
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi qua! Di nuovo per voi <3
Ringrazio _Blakisavampire per il commento :) non chiedo critiche costruttive, anche se sono ben accette! L'importante è dire sempre la verità, il proprio parere. Altrimenti che ci sto a fare qua? FAccio ballare la scimmia xD Grazie ancora <3...  E anche _Vergessenes Kind_: sì, lo so che è difficile immaginarsi quei due con queste vesti... Non dirlo a me che li ho fatti nascere così xD abituata a vedere Jones che fa lo scemo ovunque e quell'altro che... Non mi far commentare Judd. Non lo sopporto xD
Un ringraziamento anche  a saracanfly! Ti ho visto nei preferiti <3 grazie ancora!
Un grazie anche a chi leggerà.

Dimenticavo! "Because the night", nickname del personaggio virtuale, è una canzone vera e propria, che non utilizzo con scopo di lucro. Ve la linko, un grazie a Patti Smith per averla interpretata ed al Boss per averla scritta insieme a lei.  Altra citazione: "Born to run", sempre del Boss, no scopo di lucro.

Fine del prologo, a voi!




CAPITOLO 2



Some people live and some people die



Lo stava studiando da un pezzo, il suo amico Dad Jones. A mensa, Tom spelacchiava la sua purea di patate e lo osservava con un sorriso soddisfatto, l’altro era ignaro di quello che era riuscito a combinare per lui.
Tre giorni prima Danny aveva quasi salvato il suo amore angelicato dall’ennesima insufficienza in matematica e, sebbene il suo sforzo fosse andato a vuoto, aveva guadagnato un sorriso che lo aveva fatto sbiancare, poi arrossire ed infine violettizzare, se così poteva definire lo stato in cui Danny riversava ogni volta che Alicia gli passava accanto, sebbene lei non gli avesse più rivolto parola né sguardo da quell’episodio.  Era letteralmente un caso perso, lo era da sempre e lo sarebbe stato fino all’eternità. Per lui esistevano solo i suoi libri, gli appunti, il pc e la musica, quella era la sua quotidianità ed aveva vissuto bene finché il testosterone non si era impennato alla vista di Alicia. In un primo momento Tom ne era rimasto quasi contento, aveva quasi supposto che il suo migliore amico di sempre fosse stato omosessuale, data il suo scarso interesse verso il genere femminile. Ma poi…
Dio, proprio di Alicia Lewis doveva andarsi ad innamorare!
Non sapeva se tutto quello che si diceva su di lei fosse stato vero, ma stentava a lasciar perdere alcune voci. Tutto era partito da quel cazzone di Harry Judd, era stato lui a rivendicare la cosiddetta ‘iniziazione’ di Alicia, essendo uscito con lei poche settimane dopo il suo arrivo in città. Ne dubitava, ma se fosse stato vero? Se Alicia fosse stata davvero la ragazza di cui si parlava? Danny si era innamorato della persona sbagliata, aveva bisogno di qualcuna alla sua portata. Tom faticava a dire che non fosse una ragazza carina… Molto carina, ed ammetteva tranquillamente a sé stesso che i suoi pensieri su di lei non erano stato propriamente puri, ma non era il suo tipo ideale di ragazza, come sembrava esserlo diventato per Danny.
E se i problemi sentimentali del suo amico fossero finiti lì, allora poteva mettersi l’anima in pace e attendere che si disinnamorasse di Alicia, ma non era così. Per essere breve, durante i martedì passati a guardarsi qualche film, a Dougie era capitato un paio di volte di approfittarsi dei momenti di sua assenza per ficcanasare nel portatile di Danny. Avevano così scovato con stupore le lunghe conversazioni che intratteneva con una certa BecauseTheNight, di cui non erano riusciti a leggere il nome perché il tempo a loro disposizione era sempre stato molto esiguo. Sembravano essere diventati molto intimi, si psicanalizzavano a vicenda con la tranquillità di due persone vissute insieme per anni ed anni.
Loro due non ne sapevano niente, Danny aveva tenuto tutto nascosto.
I suoi due migliori amici non erano a conoscenza di questa ragazza. La cosa li aveva preoccupati e si erano decise ad indagare, ma Danny si era dimostrato sempre reticente nel parlarne, ed alla fine avevano accantonato la questione. La curiosità di leggere cosa si dicevano quei due, però, non era mai morta e trovavano ogni occasione per scacciarlo via dalla stanza, spesso con la scusa di mandarlo a fare i pop-corn.
 Ad ogni modo, Alicia era il problema del suo presente, quello in carne ed ossa. Era capace di togliergli ogni capacità umana, dal pensiero alla parola e alla mobilità degli arti inferiori e superiori.
Doveva fare qualcosa per aiutarlo ed aveva trovato una soluzione, cadutagli sotto il naso ed approvata all’unanimità da Dougie.

Piantala di fissarmi!”, esclamò Danny infastidito, lasciando perdere le sue patatine fritte, “Ho una caccola che pende dal naso?”
Scusami.”, gli rispose, “Non volevo farti innervosire.”
Tom prese il suo vassoio e, dopo averlo sistemato nello scaffale insieme ai vassoi dei suo compagni di scuola, se ne andò. Lo attendeva il corso di disegno, che frequentava insieme ad Alicia.
Sul suo volto apparve un ghigno soddisfatto.


.*.*.*.


Daniel!”, si sentì chiamare da sua madre, “La cena ti aspetta!”
Chiuse il manuale di storia e si sgranchì il collo, le gambe e la schiena.
Arrivo!”
Si lavò le mani e scese al piano inferiore, dove il profumo di carne al forno lo trascinò al suo posto. Vicky non li aveva ancora raggiunti e, nonostante avesse un buco al posto dello stomaco e fosse piuttosto tardi, la attesero.
Com’è andata al lavoro mamma?”, le domandò.
La donna gli sorrise, una ruga stanca apparve sulla fronte.
Bene, ma sono distrutta dalla fatica e dal raffreddore.”, disse e sbadigliò, “Tua sorella non sta meglio di me.”
La videro apparire avvolta in una lunga sciarpa, con il naso gonfio e gli occhi arrossati. Influenza in arrivo, pensò Danny. Cenarono tra i lamenti, gli starnuti e le soffiate di naso di Vicky, ma fu comunque piuttosto piacevole.
Stasera tocca a te.”, disse poi lei, riferendosi ai piatti sporchi, “Penso che andrò a letto e morirò per un’overdose da aspirine.”
Va bene.”, acconsentì subito.
Non ti lamenti neanche un po’?”, fece Vicky, sorpresa, “Non hai da studiare? Né da chattare con quegli sfigati?”
Tom e Douglas non sono degli sfigati.”, la riprese subito Kathy, “Sono dei bravi ragazzi.”
Uno si ammazza tra videogames e computer, l’altro si perde nel disegnare fumetti idioti… Non so la tua, ma la mia generazione li chiama sfigati!”, le spiegò Vicky con naturale schiettezza, “E mio fratello ne fa parte!”
Basta!”, si ribellò Danny, “Vai a spargere i tuoi microbi altrove!”
Per l’affronto, Vicky gli starnutì in pieno viso e se ne andò inviperita. Danny guardò sua madre e scosse la testa, a volte sua sorella era proprio una prima donna insopportabile. Sparecchiarono la tavola in silenzio e, quando il lavello fu colmo d’acqua calda, Danny vi spruzzò del detersivo. Sebbene la camicia che indossava fosse stata da lavare, indossò un grembiule ed arrotolò le maniche ai polsi; immerse le mani nell’acqua calda ed evitò così che lo facesse sua madre, che aveva lavato teste per tutto il giorno e ne doveva avere abbastanza.
E com’è andata oggi?”, gli domandò Kathy, passandogli i primi piatti.
Bene.”, le rispose.
Non è accaduto niente di particolare?”
Danny si strinse nelle spalle. Le cose particolari erano fuori dalla sua vita, a parte i momenti imbarazzanti che la scandivano quotidianamente, ma non credeva che a sua madre interessassero.
No, tutto è filato liscio come l’olio.”
Non amava particolarmente lavare i piatti e vide sua mamma sorridere alle sue facce disgustate. Preferiva fare tutt’altre cose, i lavori di casa non gli andavano generalmente a genio ma la collaborazione era fondamentale, altrimenti la sporcizia e le stoviglie sporche avrebbero preso il sopravvento. Sua madre lavorava duramente per mantenere entrambi i figli e il tempo rimanente per le pulizie lo spartiva con loro. Vicky la aiutava economicamente con il suo impiego al pub dietro l’angolo ma aveva una carriera universitaria da portare avanti e faceva già troppo. Dal canto suo e del suo cervello pallottoliere, Danny cercava di amministrare con coscienza e razionalità le finanze di tutta la baracca. Di loro padre nessuna traccia, stava bene con l’altra sua famiglia e non allungava un centesimo nemmeno se era il tribunale a spingerlo. C’erano così abituati che avevano rinunciato a ciò che spettava loro, preferendo mantenersi da soli piuttosto che aspettare l’assegno familiare che loro padre avrebbe dovuto staccare ogni mese.
Aspetto il giorno in cui mi dirai che…”, disse sua madre, ma il campanello la zittì.
Si chiesero con lo sguardo chi fosse il visitatore, dato che non aspettavano nessuno alle nove di quella sera.
Sarà Mary.”, disse sua madre, riferendosi alla vicina di casa, “Ha sempre problemi con quella maledetta macchina per cucire. Vado a sentire cosa vuole.”
Ok, finisco io.”, le fece..
Sua madre lasciò perdere lo straccio per i piatti appena risciacquati e sparì nel corridoio. Danny si impegnò così nella scrostatura della teglia da forno, dandoci sotto con l’olio di gomito e una buona spugnetta di ferro, ma stando però attento a non rigare la superficie antiaderente.
Daniel?”, si sentì chiamare, “Puoi venire?”
Si chiese il perché.
Un attimo!”, le rispose.
Si asciugò frettolosamente le mani e si presentò da sua madre.
Un colpo apoplettico coincise con un aneurisma ed un ictus.
Ciao Jones.”, lo salutò Alicia, sulla soglia della porta.
La fissava come un cretino, occhi e bocca spalancati per l’accidente che gli era preso. Alicia aveva una borsa nera a tracollo, le dita giocherellavano con le cuffie dell’i-pod e sembrava in attesa di qualcosa. Jeans chiari, una maglioncino a collo alto, un paio di strani orecchini e un sorriso amichevole.
Accanto a lei sua madre, che lo guardava perplessa.
Cia-Ciao…”, le rispose con un filo di voce, “Che… Che ci f-fai qua?”
Lei sembrò ancora più stupita di sua madre.
Sono venuta a prendere ripetizioni di matematica da te…”, rispose lei.
Ripetizioni? Matematica? Alicia?
Beh… Io…”
Fletcher mi ha detto che ti sei offerto di aiutarmi… E dato che mi hai fatto capire quella cosa sui triangoli, ho voluto cogliere l’occasione!”, si spiegò lei.
Se è così allora vieni pure!”, esclamò sua madre con un sorriso, e le fece cenno di entrare, “Per puro caso ho fatto un dolce, ve ne porto subito una fetta!”
Alicia sorrise a sua madre, ripose l’i-pod nella borsa e mise il primo piede in casa sua. Danny sentiva il suo cuore trapanargli il petto, sfondarlo e cadere per terra, continuando a battere impazzito.
Carino!”, esclamò Alicia, fermandosi e sorridendogli.
Ebbe un corto circuito lievemente fatale.
Daniel!”, lo chiamò sua madre, “Togliti quel grembiule!”
Si guardò indosso.
Una valanga infinita di imprecazioni travolse ogni suo pensiero e, a velocità supersonica, si liberò del grembiule . Gli occhiali sbalzarono via dal viso, ma fu abile nel riprenderli e indossarli di nuovo. Appallottolò la stoffa biancastra e umida e la nascose alle sue spalle.
Molto piacere, mi chiamo Kathy.”, sua madre si presentò ad Alicia.
Alicia Lewis.”, le rispose lei, stringendole la mano con educazione.
Mio figlio non mi ha mai parlato di te.”
Sono praticamente nuova.”, le rivelò Alicia, “Sono arrivata quest’anno ed abbiamo in comune solo l’ora di matematica.”
Capisco…”, disse sua madre, “Beh, la vuoi ancora la fetta di torta?”






Alicia mangiava la crostata al lampone, Danny non la guardava. Era troppo impegnato ad immaginarsi che cosa avesse pensato quando lo aveva visto apparire con quel cazzo di grembiule legato al collo.  Perchè Vicky aveva dovuto scaricargli i piatti proprio quella sera? E Tom… Tom! Tom Fletcher!  Se avesse potuto prenderlo in quel momento, gli avrebbe ficcato su per il culo il servizio da dodici di porcellana. Ma che cazzo gli era saltato in mente, dire ad Alicia che poteva darle ripetizioni senza il suo consenso, consigliandole di presentarsi alla sua porta così non avrebbe potuto cacciarla via! Che grandissimo figlio di pu…
Vi lascio soli.”, disse sua madre, “Finisco di riassettare la cucina.”
Grazie per la torta.”, fece Alicia, alzandosi e porgendole il suo piattino, “ Era veramente deliziosa!”
Troppo gentile…”, rispose la donna, ricevendo la stoviglia dalle sue mani.
ttana! Stronzo che non era altro! Bastardo dalla a alla zeta, anzi, dallo zero al più o meno infinito!  Era un suicidio, dirle che poteva darle ripetizioni era un harakiri vero e proprio.
Allora Jones.”, lo chiamò Alicia, “Mi vuoi aiutare?”
Fece lo sforzo di alzare gli occhi e guardare i suoi per una frazione di secondo.
Ma sì che lo è!”, esclamò sua madre al posto suo, “Andate pure in soggiorno, spero di non disturbarvi!”
Alicia si alzò, come per esortarlo. Non era stupida, stava sicuramente afferrando il senso del suo terrore e Danny dovette fare fronte alla situazione davanti alla quale Tom lo aveva messo, sicuramente in combutta con Dougie, organizzata dopo quel fottuto teorema di Pitagora secondo Euclide.  Danny decise così di alzarsi e le fece cenno di seguirlo, ma sulla soglia della porta della cucina Vicky gli si parò malauguratamente davanti. Fu impossibile nasconderle la vista di Allie, che la salutò subito.
Ciao! Mi chiamo Alicia.”, e le porse la mano alla velocità della luce.
Vicky la guardava con occhi sbarrati, la visione di lei era più aliena di un extraterrestre. Soprattutto, la visione di lei accanto a lui era più strabiliante di un miracolo divino. Qualsiasi ragazza nei pressi di Danny Jones, che non si trovasse lì per errore o che non fosse sua sorella né sua madre, era un film di fantascienza.
Vicky…”, rispose lei presentandosi.
Le do ri-ripetizioni.”, le spiegò frettolosamente Danny.
Certo… Buona fortuna.”, gli augurò scansandosi dalla loro strada ed osservandoli per tutto il breve tragitto che percorsero nel raggio della sua visuale.
Quando entrarono nel salotto e se la lasciarono alle spalle,  tutto l’entusiasmo di Alicia si spense improvvisamente. Quel cambiamento lo disarmò e, per qualche attimo, Danny non seppe cosa fare. Se ne stava seduto all’altro capo del divano, cercava di trovare le parole giuste per iniziare ma non sapeva come fare.
Senti…”, le fece, “Beh… Da cosa vuoi pa-partire?”
Non lo so, dimmi tu.”, rispose lei.
Accavallò la gamba e la lasciò tentennare nel vuoto, impersonando la stessa Alicia che condivideva con lui l’ora dei numeri e delle formule.
Beh… Io…”, balbettò ancora.
La borsa a tracolla di lei gli venne in aiuto.
Hai po-po-portato qualche libro?”, le domandò.
Quello di matematica, ovviamente.”, rispose lei.
Incantato e disincantato allo stesso momento dalla stupidità della domanda che le aveva posto, Danny si sentì infinitesimamente stupido ed insignificante. Nel mentre la sua disperazione aveva preso piega, Alicia aveva preso il suo libro e glielo porgeva. Lo prese senza nemmeno volgerle lo sguardo e sfogliò le pagine, tentando di afferrare un appiglio numerico a cui aggrapparsi.
Hai in mente qualcosa che non hai capito?”, le domandò, stupendosi di non aver balbettato per una sola volta.
Tutto!”, esclamò lei, esplodendo in una risata genuina che quasi lo stuzzicò, ma non ci riuscì fino in fondo.
Riprendiamo Pitagora?”, le disse.
Ok, Jones.”, rispose lei, avvicinandosi paurosamente.
Si sentì come un gatto impaurito: non poté inarcare la schiena e drizzare il pelo, ma se avesse potuto lo avrebbe fatto.
Mi chiamo… Da-da-Danny!”, la corresse, veloce come uno sparo.
Alicia aggrottò la fronte, lo osservò come un esperimento malriuscito e rise ancora con genuino divertimento, portandosi la mano davanti alla bocca e chiudendo gli occhi in una fessura. Stava ridendo di lui, era palese. Danny non resistette e la accompagnò, ma solo per pochissimi attimi.
Da… Da-Danny!”, ripetè Alicia, che stava quasi piangendo.
Danny attese che si calmasse.
Scusami.”, le disse, “Non volevo farti perdere tempo.”
No, mi piace ridere.”, rispose lei, cercando di cancellare le lacrime dagli occhi senza disfare quel po’ di trucco che li abbelliva, “Comunque, Danny…”
E stette quasi per ridere ancora.
Danny…”, disse Alicia, calmando il sorriso che era di nuovo nato sul volto, “L’ho fatto solo perché Fletcher ha insistito… Ma anche perché, se non rimetto a posto i miei voti in matematica, rischio davvero di finire nei casini.”
Ok.”, le disse, sforzandosi di non perdere il senno, “Va bene…”
Iniziamo?”
Danny annuì.
Era troppo impegnato su di lei, su tira e molla del suo atteggiamento. Un attimo era conciliante, quello dopo sembrava avercela con qualcosa… Ok, erano stati burattini nelle mani di Tom e di Dougie, entrambi avevano i loro buoni motivi per avere le palle girate: certa di essere attesa e non di piombare dal cielo come un meteorite imprevisto, Alicia era stata spedita da un coglione balbuziente come lui, che l’aveva accolta con le mani  insaponate ed un grembiule macchiato di sugo. Danny aveva capito che cercava di fare buon viso a cattivo gioco, sapeva che avrebbe colto la prima occasione per fuggire ed infilarsi tra la mischia di coloro che lo prendevano in giro per ciò che era.
Un perdente.
Tom l’avrebbe pagata molto cara, una cosa del genere non avrebbe mai dovuto fargliela. Danny non avrebbe mai avuto più il coraggio di guardarla in faccia, e già prima di quella serata le occasioni che si era concesso per qualcosa del genere risicavano lo zero assoluto.





Non seppe come successe ma la fine arrivò, sebbene il tempo trascorso tra l’inizio di quelle ripetizioni e la loro conclusione, dettata dallo squillo cellulare di Alicia, gli fosse parso di una lunghezza esasperante. Sulla soglia dell’ingresso la salutò, lei gli sorrise e la lasciò avviarsi verso la grossa auto nera, pulita e lucida, che l’attendeva sul marciapiede. Alicia salì su di essa e sparì voltando l’angolo. Danny non perse altro tempo e si chiuse in camera. Accese il portatile, era piuttosto tardi ma Tom era ancora in linea e non era l’unico. Non volle parlargli e lasciò che il suo stato rimanesse invisibile, ma non per lui.
Tirando le somme, Alicia era sicuramente rimasta così disgustata da Danny Jones che non sarebbe più tornata a prendere ripetizioni ed il pensiero lo faceva quasi stare meglio. Era già un problema affrontarla a scuola da lontano, l’averla a distanza così ravvicinata era praticamente impossibile da gestire. Soprattutto, non era riuscito a capire se lei aveva capito... Insomma, nessuno aveva capito niente.

I’m RATLEG scrive:
Allie, ci sei?

Ci volle molto prima che lei gli rispondesse, il piccolo orologio disegnato accanto al suo nickname stava a significare che non doveva essere nei pressi del computer. La attese mordendosi le unghie, mentre Tom se ne andò poco dopo.

BecauseTheNight scrive:
Cinque minuti e me ne vado a letto, sono morta dalla stanchezza....

I’m RATLEG scrive: 
Cosa stavi facendo di bello?

BecauseTheNight scrive: 
Sono stata fuori… Ma non è quello il problema.

I’m RATLEG scrive:
E qual è? Non dirmi lui.

BecauseTheNight scrive: 
Lui. Mi ha riportato a casa. Dio, è stato un travaglio.

Danny scosse la testa. Non le raccontò delle ripetizioni e di Alicia: potevano discutere di come la musica riusciva ad estraniarli dal mondo intero, permettendo loro di sopravvivere al mondo esterno, oppure di come suo fratellastro la torturava con complimenti e apprezzamenti sconvenienti, mentre i rispettivi problemi sentimentali non erano mai stati tirati in ballo.  Avrebbe potuto iniziare quella sera, ma Allie aveva tra le mani una patata bollente più grossa di lui, che decise di eclissarsi e darle lo spazio che si meritava.

I’m RATLEG scrive: 
Dimmi tutto…

BecauseTheNight scrive: 
Non ce la faccio… Mi fa schifo. Mi fa vomitare.

I’m RATLEG scrive: 
Chiudi gli occhi e pensa alla canzone più bella del mondo.

BecauseTheNight scrive: 
Because the night belongs to us! YEEEEEEHHHHH!!! E voglio dormireeeeeeee

I’m RATLEG scrive: 
XD ti saluto allora!

BecauseTheNight scrive: 
Te ne parlo domani sera, prometto…

I’m RATLEG scrive: 
Dormi bene Allie :-)

BecauseTheNight scrive: 
Anche tu. Un bacio….



.*.*.*.


I’m RATLEG scrive: 
Dormi bene Allie :-)

BecauseTheNight scrive: 
Anche tu. Un bacio….


Chiuse la finestra di dialogo asciugando le lacrime che piangeva da quando si era seduta davanti al computer, nella sua stanza tutta colorata. Si era chiusa lì dentro, come ogni volta che lui si tratteneva sotto il suo stesso tetto.
Odiava suo fratellastro, odiava Mark.
Odiava Judith, la sua matrigna, e quasi odiava Adrian, suo padre.
Ma soprattutto odiava se stessa per averli fatti incontrare.
L’ultimo ricordo felice risaliva a circa dodici anni prima, lo rammentava ancora come se fosse accaduto qualche secondo fa. Al tempo aveva una mamma vicina a sé, si chiamava Melissa, e profumava di menta piperita. La portava sempre al parco vicino casa, la lasciava giocare sul grande scivolo e l’attendeva sempre a braccia aperte alla fine della veloce discesa. Le comprava il gelato alla panna, sua mamma lo prendeva sempre al cioccolato, e si sedevano a mangiarlo l’una di fronte all’altra.
Un giorno non la vide più.
L’ultima immagine di lei che ancora conservava nella memoria, confusa e piuttosto sbiadita, era un’istantanea che la ritraeva sdraiata sul letto, con indosso la sua comoda vestaglia di spugna, e suo padre le toccava la testa ed il collo. Poi era stata spedita fuori dalla stanza e qualche tempo dopo la casa si era trovata piena di persone: fuori in giardino, aveva visto una grossa auto con dei lampeggianti.
Accettò così di vivere con suo padre e con il surrogato di mamma che aveva cercato di propinarle appena ne avesse avuta l’occasione. Una dopo l’altra quelle donne se n’erano andate: alcune per colpa sua, si era impegnata a fondo nel farsi odiare dalle fidanzate di papà; le altre, invece, si erano stancate di essere soltanto una tata per la problematica figlia e volevano essere delle mogli, mentre suo padre sembrava non interessarsi ad indossare una nuova fede all’anulare sinistro.
Se n’erano andate tutte tranne una, Judith.
Judith diventò presto quello che le altre non erano mai state, la seconda moglie di papà. Li aveva presentati lei stessa, ogni volta che ci pensava voleva prendere a testate il muro davanti a sé.
Al tempo abitava ancora a Londra ed ogni martedì e giovedì frequentava un corso di pittura, Judith era la sua insegnate. Dopo uno di quegli incontri suo padre non si presentò con il suo macchinone sportivo e Judith si offrì di accompagnarla, vedendola in difficoltà nel percorrere a piedi le strade dei quartieri che la dividevano da casa sua. Erano zone abitate da famiglie benestanti, ma la notte cittadina non era mai sicura per una ragazzina di quindici anni. Una volta sotto casa, chiese a Judith di salire per prendere un tè e riscaldasi un po’: la stimava e le piaceva molto come insegnante, perché non avrebbe dovuto ringraziarla con un gesto così semplice?
Rincasò, trovando il tavolo di cucina occupato da una quantità esorbitante di libri e fogli di carta scritti o appallottolati. Adrian doveva essersi portato di nuovo il lavoro a casa, aveva pensato, molto probabilmente uno dei suoi pazienti si era presentato con un caso clinico che non era stato capace di risolvere subito e stava impegnando la sua serata sui libri di medicina per trovare una soluzione. Si malediva ogni giorno della sua vita per quell’invito, ma soprattutto per aver abbassato le difese su se stessa e su suo padre. Se fosse stata vigile, se non avesse pensato di trovare in Judith una buona amica, non sarebbe mai arrivata ad odiare tutto e tutti.
Judith aveva un figlio, Mark, più grande di lei di cinque anni. Non lo aveva conosciuto fino a pochi giorni prima del matrimonio, aveva saputo che viveva da qualche parte con suo padre, ad est di Londra, e che vi sarebbe rimasto perché non distava molto dalla facoltà che frequentava. Se n’era letteralmente disinteressata: era figlia unica e lo sarebbe rimasta anche dopo quel matrimonio, ne era certa. Quando lo conobbe ne rimase piuttosto colpita, era certamente un bel ragazzo, uno di quelli che sembravano fatti apposta per popolare le commediole per teenager. Simpatico, bel sorriso e battuta sempre pronta, era un intrattenitore nato e somigliava molto a sua madre. Fecero amicizia presto, adorava le persone che la facevano ridere dal niente e sentiva che si sarebbe presto affezionata a Mark,.
Ma.
Il giorno del matrimonio. La cerimonia fu anche troppo pomposa e floreale per i suoi gusti, avrebbe preferito qualcosa di più sobrio per suo padre, ma non era il suo di matrimonio. D’altronde, entrambi gli sposi potevano permettersi quelle spese, quindi perché vietarle? Pranzarono, ballarono e cantarono, a metà dei divertimenti erano quasi tutti ubriachi, le cravatte e le scarpe con i tacchi furono abbandonati in disordine sopra o sotto i tavoli circolari. Lei non era da meno, aveva iniziato a ridere al secondo bicchiere di vino e a camminare scalza al terzo. Aveva passato tutto quel tempo in compagnia delle sue cugine Betsy e Clara, erano loro le colpevoli della sua ubriacatura e tra i ricordi di quel giorno c’era anche la ramanzina che sua zia, la sorella di papà, fece a quelle due, che al tempo erano già maggiorenni, mentre lei ancora minorenne.
Mark era venuto insieme ad un paio di suoi amici, rammentava sempre gli apprezzamenti che Betsy e Clara facevano nei loro confronti.
Meno male che il sesso tra cugini non è mai stato un reato!”, disse Clara.
Un tempo nemmeno quello tra fratelli!”, le rispose Betsy.
Lei scosse la testa: i ragazzi non le erano mai interessati più del poco, era sempre stata piuttosto impegnata a far impazzire le fidanzate di papà; sebbene non avesse fatto altrettanto con Judith, la fauna maschile che popolava la sua scuola era composta solamente da decerebrati insensibili, cosicché aveva respinto molti inviti e non aveva mai avuto uno straccio di fidanzato. Oltretutto il pensiero di quello che quelle due avevano detto  la faceva rabbrividire.
Dai! Venite con noi!”, chiese loro Mark, qualche ora dopo quelle battute infelici, quando la notte era già inoltrata e la festa proseguiva per le lunghe, “Vi portiamo via di qui!”
E dove volete andare?”, domandò a sua volta Betsy.
Dove ci si può divertire senza essere brontolati dai genitori!”
Lei aveva storto il naso ma si era lasciata convincere dalle sue cugine. Salirono sulla grande monovolume straniera di Mark e si misero in viaggio. Seduta davanti, sentiva i quattro occupanti dei sedili posteriori ridacchiare e schioccarsi qualche bacio.
Lasciali fare.”, le disse Mark, “Non sono sempre così sessualmente attivi!”
Risate di gruppo, e lei si stringeva in un sorriso imbarazzato.
Mi porteresti a casa?”, gli chiese con un filo di voce, “Sono piuttosto stanca.”
Un coro di disapprovazione.
Ma no! Ti giuro che ti divertirai!”, provò a convincerla Mark, “Te lo prometto!”
Vedeva solo fonti di guai e nessun divertimento. Non aveva ancora capito dove si sarebbero diretti, né cosa avrebbero fatto… Ed erano tutti visibilmente ubriachi. Suo padre non le avrebbe mai perdonato una pazzia del genere, lo sapeva, quindi perché rischiare una punizione eterna per qualcosa che non voleva veramente fare?
Per favore.”, gli disse, “E poi sono ancora minorenne.”
Va bene, ma prima lascio i miei amici al locale.”, Mark si piegò alla sua volontà.
Accettò quella clausola.  Circa quarantacinque minuti dopo erano sotto casa sua. Inaspettatamente, quello che Mark fece non fu semplicemente scaricarla davanti alla porta, con le scarpe dal tacco fine in mano e il cappottino intonato al vestito appoggiato sulle spalle. Si misero a parlare. Passarono due ore di fila a raccontarsi della propria vita, di chi erano, di cosa avevano fatto, di quello che avrebbero voluto dal futuro e di quante ne avevano combinate ai propri genitori.
Si ricordava perfettamente di aver pensato: [i]avrei sempre voluto un fratello come te.[/i]
Al terzo palese sbadiglio, Mark le lasciò il via libera.
Quei quattro mi hanno dato per disperso!”, esclamò, “Sarà meglio che li raggiunga.”
Certo!”, gli disse.
D’istinto, le venne di allungare le braccia e stringerle intorno al suo collo, dandogli così il benvenuto nella sua vita. Non si era mai sentita del tutto accettata dal resto del mondo ed aveva sempre sofferto di solitudine. Ora che suo padre aveva trovato una nuova moglie e lei un fratello, la sua vita poteva dirsi migliorata all’ennesima potenza.  Mark ricambiò il suo abbraccio stringendola con altrettanto calore, la fece piuttosto felice. Dopo qualche attimo, le venne più che naturale distaccarsi da lui, senza alcuna cattiveria, ma Mark la teneva ancora stretta a sé. Iniziò a sentirsi a disagio, ma cercò di non dimostraglielo.
Poi le mani di Mark si mossero sulla sua schiena. Stava quasi per sospirare di sollievo e, nonostante fosse stata lei a cercarlo, quell’abbraccio era durato un po’ troppo per i suoi gusti.
Mark non sembrava aver finito.
 Le dita si spostarono sui suoi fianchi, poi scorsero la linea delle gambe.
Rabbrividì e si paralizzò al tocco delle sue labbra sulla pelle del collo.
Pensò di impazzire quando lui le accarezzò il petto e la bocca si avvicinò pericolosamente alla sua.
Toc toc toc.
Posso entrare?”
Trasalì e cercò di arginare il fiume in piena che sgorgava dagli occhi.
Un momento.”, disse.
Si alzò dalla scrivania ed andò ad aprire la porta a suo padre.
Ti sei chiusa un’altra volta dentro la tua stanza?”, le chiese.
Sì…”, gli disse, senza mostrarsi in viso.
Devi smetterla.”, le fece, “Questo atteggiamento non funziona più con me.”
Non le aveva mai creduto, mai.
Si sentiva tradita dalla persona che amava di più al mondo, quella che aveva cercato di salvare dalle persone sbagliate presentate come le sue nuove mamme. Aveva adorato suo padre fino allo spasmo, fino ad essere gelosa perfino della donna delle pulizie, e ora che protestava perché la verità su Mark venisse a galla, lui non la ascoltava più. Aveva gridato troppe volte ‘al lupo, al lupo!'.
Adrian entrò nella sua stanza toccandosi la fronte e sospirando, era il suo modo per dire indirettamente che era al culmine delle sue capacità di sopportazione.
Com’è andata a scuola?”, le chiese.
La guardò in volto ed ignorò i segni del suo pianto.
Bene.”, gli rispose, tagliando corto.
Matematica?”
Alzò le spalle. Adrian sbuffò ancora.
Spero che serviranno a qualcosa.”, disse suo padre, massaggiandosi il viso con le mani.
Non te lo so dire adesso.”
Finora le ripetizioni che ti ho pagato sono state del tutto inutili.”, sottolineò lui, non perdendo l’occasione di farla sentire un’incapace.
Doveva essere la sua vendetta per avergli detto che il figlio della sua perfetta moglie aveva provato -più volte- ad approfittarsi di lei, della sua figlia di sangue.
Vedremo.”, gli rispose, “Adesso sono stanca, vorrei dormire.”
Adrian si alzò ed andò alla porta.
Buonanotte, Alicia.”, le disse, e chiuse la porta.
Tornò al portatile, era ancora acceso sulla scrivania, lo screensaver riproduceva una serie di fotografie scattate durante i viaggi fatti in passato. Se ne stette a fissare il desktop, come se sforzandosi avesse potuto trovare la risposta a tutti i suoi problemi nella confusione delle icone che lo popolavano. Sì, doveva fare un po’ di pulizia in quel computer, era pieno di robaccia e forse anche di virus, ma non era il momento di cancellare le scansioni dei suoi disegni. Decise invece di aprire la posta elettronica.  Davanti alla pagina bianca scrisse quello che aveva in testa, senza fermarsi né tornare indietro a correggere i suoi pensieri, espressi a ruota libera.
Li inviò alla persona più improbabile del mondo, quella che sapeva tutto di lei, ed al contempo niente.
Aveva avuto tanti amici, un paio di amicissimi, tre psicologi, e nessuno di questi aveva saputo di Mark.
Ma Ratleg sì, ed Alicia non sapeva nemmeno che faccia avesse, dove abitasse, quale fosse il suo cognome. Forse era proprio per quello che glielo aveva confessato, perché chi sapeva tutto di lei, suo padre, aveva rifiutato di crederle. Ratleg non aveva mosso alcuna obiezione e l’aveva compresa nel modo in cui lei aveva bisogno di sentirsi capita. Gli aveva mentito sul proprio nome, dicendogli di chiamarsi Allie, ma fu una cosa dettata dal caso: quando lui, che al secolo era Daniel, le aveva chiesto il nome, aveva risposto di getto rammentando il modo in cui era solita chiamarla sua mamma.
In fondo, conosceva il suo segreto più grande, che cos’era a confronto una piccola bugia involontaria?
Si chiedeva spesso che tipo di persona fosse nella realtà, se fosse stato alto, basso, biondo o moro, fratelli o figlio unico, patentato o no, libero o fidanzato… Non lo sapeva e spesso aveva avuto voglia di togliersi quelle curiosità, ma ogni sera la conversazione verteva su uno di loro, altrimenti parlavano di musica o di film, lasciando fuori i particolari che componevano la loro vita quotidiana.  Stimava profondamente quel ragazzo, non c’erano dubbi.
Guardò il poster di Bruce appeso sopra al suo letto e gli strizzò un occhio stanco. L’aveva conosciuto grazie a lui, e per ringraziarlo accese il suo fedele i-pod, si infilò le cuffie nelle orecchie e si mise a scrivere.



.*.*.*.



Si alzò e cedette il suo posto ad una signora e a suo figlio, poteva starsene in piedi, l’autobus non gli poneva problemi di equilibrio ed era forte abbastanza per aggrapparsi alle maniglie e non cadere. Si sistemò lo zaino sulle spalle e cercò di concentrarsi sul paesaggio urbano, ma il tragitto fu troppo breve: non era in grado di staccare la spina della sua mente con cinque minuti di autobus, tanto era il tempo che gli serviva per andare da casa a scuola durante le mattine in cui la pioggia sembrava aver voglia di affogare tutta la città.
Non era Tom a tormentarlo, né il calcio nelle palle che il suo amico avrebbe ricevuto come ringraziamento per quello che aveva combinato alle sue spalle. Era bensì quello che aveva trovato nella sua casella di posta elettronica. Quella mattina, poco prima di lasciare casa, aveva acceso il computer perché, nella piena pazzia della serata precedente, si era dimenticato di stampare alcuni articoli di giornale dal Financial Times per il corso di economia, e nell’attesa che la vecchia stampante producesse qualcosa di buono aveva dato un’occhiata alla casella di posta, senza alcun interesse. Aveva cestinato la spam proveniente da Dougie, che gli girava ogni sorta di catena di mail su raccolte di fondi, sfiga a valanga ed amore infinito, insieme alle newsletter a cui non sapeva di essersi iscritto.
Il mittente era  Allie_from_Wonderland.

Sto ascoltando ‘Born to run’ e la voglia di scappare via correndo è così grande che sto tenendo sott’occhio il borsone sotto al letto. Non lo faccio solo perché ho abbastanza buon senso da sapere che sarebbe inutile. E non perché me lo hai detto tu…  Ok, sei stato tu a convincermi a non fuggire di casa, te lo concedo.
Credo di doverti molto più di una semplice e-mail in cui ti spiego come lo Stronzo mi abbia raccontato di come si è scopato la sua ultima conquista, tanto per farmi rabbrividire dall’orrore, e di come il Padre mi abbia fatto sentire incapace.  E’ tutta colpa mia…  Ma ormai non posso cambiare le cose, non è così? Devo imparare a conviverci, e rassegnarmi.
Forse avrò la fortuna di andarmene a studiare lontano da casa e da questo incubo. Dovrei davvero pensare a qualche borsa di studio per la Francia, la Spagna o l’Italia…
Qual è la cosa giusta da fare, Ratleg?
Dimmela, perché non sono in grado di capirla. Ci ho provato, credimi, ma non vedo molte vie d’uscita. Odio questa claustrofobia.
Aiutami, ti prego.
Allie.

Ps: farei meglio ad andare a letto, altrimenti ti direi che ti voglio bene <3

Nascose la mail nel libro di matematica, da quando l’aveva stampata l’aveva letta così tante volte che il foglio era tutto stropicciato.
Altrimenti ti direi che ti voglio bene <3
Sentì una risata gracchiare davanti a lui e quella sorta di bolla di sapone esplose. La faccia di Tom gli si apriva davanti come un tiro al bersaglio sguaiato.
Fletcher…”, gli disse, quasi ringhiava, “Tu e Poynter siete i più grossi figli di puttana che conosca.”
E dai!”, esclamò l’altro, “Ti abbiamo fatto un favore!”
Favore un bel cazzo!”, gli rispose, sentendosi sempre più animato, “Mi avete fatto fare una figura di merda che non la raccomanderei nemmeno a Judd!”
Se non fosse stato per noi, non vi sareste mai rivolti la parola!”, si difese Tom, “Ogni volta che si avvicina, inizi ad iperventilare!”
Fanculo Tom!”, gli rispose e tornò a scartabellare il suo libro di matematica.
Nello sfogliare animatamente le pagine, la mail di Allie volò via ed attirò l’attenzione di Tom che, molto più veloce di lui, allungò una mano e la bloccò, prima che potesse cadere a terra.
Cos’è questo?”, fece, allontanandosi dal raggio di azione delle mani di Danny.
Ridammelo!”
Oh! Una mail della tua amica di laptop!”, ridacchiò Tom.
Era la fine.
Perse dieci minuti nel ricorrerlo per la classe vuota, Tom si arrese solo quando entrò uno dei loro compagni e, per evitar domande e ulteriori prese in giro, decise di restituirgli la mail e tornare a sedersi. Per tutta la lezione gli riservò occhiatine e battute, a cui si unì Dougie, appena li raggiunse.
Ma non dette ascolto a quei due.
Alicia non venne, né la scorse nei corridoi, a mensa ofuori l’edificio scolastico. Quel giorno non si presentò a scuola.
Ecco si disse Danny, l’hai traumatizzata.
Ci volle il lunedì per vederla di nuovo.




   
 
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