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Autore: luxaar    04/12/2016    2 recensioni
Beatrice Macrì è una specializzanda di uno dei più importanti ospedali del Paese. Eppure, nonostante il risultato fino ad ora raggiunto, non è affatto sicura di se stessa, vittima della competizione sprezzante tra colleghi, che la rimproverano di essere troppo debole o comunque troppo poco fredda per quel lavoro così difficile. La passione è ciò che la guida in ogni sua decisione.
Edoardo Della Scala rappresenta, invece, esattamente il contrario di lei, almeno apparentemente.
Cinico, lucido e brillante sul lavoro, è amato da tutti i suoi colleghi e non soltanto perché è il figlio del primario, anche se questo sicuramente non guasta affatto.
Inutile dire che le loro strade si incontreranno e che il tempo dimostrerà loro quanto in realtà, al di là di ogni convinzione e aspettativa, siano inesorabilmente simili.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
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Quel fatidico giorno mi alzai alle cinque, consapevole che non sarei potuta scappare delle grinfie di Edoardo, come avevo fatto il giorno prima.
Proprio il padre, il primario, aveva deciso di tenermi con sé quel giorno per un motivo allora ignoto e che aveva inspiegabilmente destato nel figlio uno sguardo di fuoco, ma che il padre aveva seraficamente eclissato.
"Sempre in anticipo o vuoi fare buona impressione sul tuo nuovo supervisore?" mi chiese, derisorio, il mio biondo supervisore, mentre io stavo studiando le cartelle di quei pazienti che avrei, da lì a poco, visitato con lui.
"Veramente sei tu ad essere in ritardo, come sempre del resto, no?" risposi acida io, sorridendo a mia volta e alzando lo sguardo su di lui.
Dovetti mandar giù la saliva, mentre sgranavo gli occhi.
Quella mattina era davvero ridotto male. Un taglio profondo e poco regolare passava dalla fronte in alto a sinistra fino alla guancia destra, inoltre diversi ematomi erano presenti sul viso.
Il mio sguardo, ritengo, si intenerii a quella vista e naturalmente non avrebbe dovuto.
"Allora stai attenta ad ogni mia entrata?" domandò ironico, incominciando a incamminarsi, finalmente, verso la stanza del primo paziente.
Una bimba giocava sul letto con le carte dei Pokémon e, nonostante le profonde occhiaie, sorrideva ad ogni mossa in cui il padre la lasciava teneramente vincere.
"Papà, ma sei proprio scarso!" gli disse, tossendo, alzando la testa dalla carta di Squirtle e rivolgendo gli occhi azzurri verso di lui.
"Ma allora sei una campionessa! sai che anch'io sono un campione a Pokémon? Se mi lasci Pikachu, vuoi vedere che ti batto?" le disse Edoardo, avvicinandosi, con gli occhi che sembravano brillargli di tenerezza.
Non potevo crederci.
Pensavo fosse uno di quei medici freddi, di cui tanto decantava lui la bravura e non uno che giocava con le carte dei Pokémon  con i suoi piccoli pazienti. Sembrava una persona completamente diversa. Mentre scherzava e giocava con Chiara, la convinceva a farsi prendere i valori di rito e a metterle la flebo, cosa che fino ad ora era stata un'impresa. Nel frattempo chiedeva a me, da bravo insegnante, di controllare altri valori o ascoltarle il respiro. 
"Certo che la Dottoressa Beatrice è proprio scarsa: non capisce nulla di quanto sia forte Charmender, vero?" chiese il mio supervisore a Chiara, che rideva e mi abbracciava, mentre mi suggeriva una o due mosse, di quel gioco, in cui i due mi avevano costretto a giocare e di cui, sicuramente ne sarei uscita sconfitta.
Risi e conclusa la visita ce ne andammo promettendo alla piccola che il giorno dopo avremmo giocato nuovamente con lei.
"Dopodomani la dimetteremo. Incomincia a stampare i moduli, sempre che tu sia in grado di farlo, vista l'incompetenza dimostrata fino ad ora" mi disse uscendo dalla stanza e riprendendo il suo atteggiamento rigido e altezzoso. 
Stronzo.
Sapevo di aver eseguito ogni esame come scritto da manuale.
Cretina io e quando avevo pensato, in quella stanza, che sarebbe stato, in fin dei conti, un bravo maestro.
Ma decisi di non rispondere alla provocazione e andai a eseguire il suo ordine.
Mi chiesi mentre attraversavo velocemente i corridoi il perché di quel cambiamento di atteggiamento. Prima mi sorrideva e annuiva benevolmente alle mie mosse e poi, usciti dalla stanza mi insultava.
Non capivo e continuai a non capire per tutta la mattinata, visto che si comportò così per ogni paziente visitato.
"Come fai ad essere così poco preparata?" mi chiese uscendo dall'ultima stanza.
Guardai il mio camice bianco e il mio nome scritto sopra, guardai il suo ed erano identici.
Eravamo entrambi specializzandi e, nonostante lui fosse uno dei migliori, non poteva comunque permettersi di insultarmi e sminuirmi così. Non poteva.
Avevo resistito a tutti gli insulti possibili immaginabili, ma che fossi poco preparata non lo potevo accettare. Io, mi spaccavo il culo, pur di studiare il più possibile. Mi alzavo presto e andavo a dormire tardissimo; avevo detto addio sia alla mia vita sociale che sentimentale, pur di essere dove ero ora.
Non avevo fatto perno su alcuna raccomandazione, come metà degli specializzandi qui, né su un nome importante come il ragazzo che mi stava di fronte e mi guardava con ribrezzo, con quell'aria di superiorità che non aveva alcun diritto di avere.
La mia rabbia stava montando, e quella era stata la fatidica goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
"Tu non hai alcun diritto. Non hai alcun diritto di dirmi che sono poco preparata. Io, ho fatto di tutto pur di essere qui e non ho di certo fatto perno sulla presenza di mio padre"  Gli gridai, ben conscia che in realtà, anche se magari il nome non lo aveva di certo buttato giù, comunque era stramaledettamente bravo. E oggi ne avevo avuto la dimostrazione.
I suoi occhi si infuocarono.
"Almeno non ho venduto il mio corpo, visto che il mio adorato fratellino se ne sbatte di me e non è mai venuto a trovarmi una volta e non mi ha mai insegnato nulla. " mi disse sprezzante, mentre io agii di istinto come ogni santa volta e gli diedi uno schiaffo, incurante del suo viso già distrutto.
Aveva esagerato. Non solo perché non avevo fatto nulla di quello che aveva sottinteso ma anche perché non poteva capire il rapporto che avevo con mio fratello.
Però era vero che Stefano, mio fratello, a volte, sembrava fregarsene di me.
Forse è per questo che le mie dita rovinarono ancor di più il suo viso: avevo paura che stesse proprio dicendo la verità.
E questa pulce incominciò a insediarsi nella mia mente, mentre io realizzavo ciò che avevo fatto. Come se tutte le informazioni rientrarono, dopo un attimo di abbandono, nella mia testa, ripresi coscienza della mia posizione e dell'azione, assolutamente non da me, che avevo appena compiuto.
Mai mi ero permessa tanto neanche con Giulio, che mi aveva usato come una bambolina e tradito innumerevoli volte.
Io ero sempre stata per la non violenza, era difficile che gridassi o che affrontassi qualcuno, di solito preferivo scappare dalle situazioni, ispirare e inghiottire amaro.
Non potevo credere di averlo fatto.
"Senti, scusa, non volevo..." cercai di dire, ma lui mi zittì con un sorriso tanto amaro quanto serafico, che mi ricordò in modo letale il padre. Avevo appena dato uno schiaffo al figlio del primario. Inghiotti la saliva e lui incominciò a ridere di me apertamente.
Ero decisamente nei guai questa volta.
Ero sicura che avrebbe usato quello schiaffo per rovinarmi la vita.
Quella sera mi recai a casa del mio gemello mancato: mio fratello. 
Purtroppo quella pulce che Edoardo era riuscito a mettermi nella testa aveva incominciato a creare in me un forte dubbio. Forse era vero che a lui non importava nulla di me.



Stefano era nato esattamente lo stesso giorno due anni prima di me, e rappresentava la mia immagine speculare al maschile. Era una bellezza eterea, che faceva battere i cuori di troppe donne. Bruno, con occhi caldi e confortanti, che ti trasmettevano una calma e serenità che una ninna nanna al confronto non era per niente rilassante. Quegli occhi erano circondati da delle ciglia così lunghe che qualsiasi ragazza gli aveva invidiato almeno una volta, così come era stata gelosa delle sue labbra carnose.
Non andava spesso in palestra, ma manteneva comunque un bel fisico. Ci somigliavamo più di quanto ci sembrasse, anche caratterialmente. A primo acchito, chiunque direbbe che   siamo almeno da quell'aspetto agli antipodi. Ma in realtà scavando più a fondo è evidente la nostra somiglianza. Io parlo molto, ma dico poco. Stefano, parla poco ma quel che dice mette alla luce molto di più di mille mie parole della sua anima, del suo io.
Io confondo le persone con la mia parlantina, racconto di tutti, ma di me stessa mai, se non superficialità; ed è per questo che, anche se ho tanti amici, in ogni momento di difficoltà preferisco presentarmi alla porta di Stefano e della sua non troppo simpatica fidanzata, Lucrezia.
Mio fratello e Lucrezia sono fidanzati da tre anni e hanno deciso l'anno scorso di provare a convivere. La fidanzata di Stefano per me è un'idiota, e mi dispiace dirlo, perché mio fratello le vuole bene veramente, ma per me è così. Forse è perché si è costruita un'immagine di ragazza perfetta, dedita agli eventi di beneficenza e alla casa, che non sopporto. Nasconde la sua essenza dietro quell'aspetto costruito e falso. 
Suonai al campanello e sperai che non fosse Lucrezia ad aprirmi.
Qualche minuto dopo mi si presentò mio fratello davanti e non potei fare altro che abbracciarlo, anche se in realtà l'avevo visto tutto il giorno, ma solo di sfuggita. Nonostante le illazioni del mio supervisore, comunque sentii che dovevo essere un po' rassicurata, stare un po' tra quelle braccia che avrebbero potuto anche rivelarsi, da lì a poco, indifferenti. Avevo bisogno di tenere in piedi quella che poteva essere un'illusione, ma che per me rappresentava una certezza, almeno per un altro po' di tempo, prima di abbatterla.
Non potevo e non volevo credere che colui che io ritenevo il mio perno, la roccia sicura a cui poter fissare la corda da cui lanciarsi con una corda nel vuoto che era la vita, fosse in realtà una scultura di sabbia. Pronta a rivelarmi la sua natura reale solo al momento della caduta.
Anche Stefano lavorava all'ospedale ed era all'ultimo anno di specializzazione in Medicina Interna ed era, naturalmente, il migliore del corso.
"Beatrice, c'è freddo" mi disse, guardandomi con quegli occhi così caldi e trasportandomi dentro.
Cercava di capire, studiandomi, la motivazione di quella visita, ma soprattutto di quell'abbraccio così anomalo: Stefano odiava il contatto fisico e le nostre dimostrazioni d'affetto erano perciò molto sporadiche.
Sapeva che non gli avrei detto nulla di mia spontanea iniziativa e per questo vedevo il suo cervello lavorare alla ricerca di un qualsiasi gesto che potesse essere indicatore, mentre io mi sedevo sul divano.
Alla fine, sorrise comprensivo, si girò, versò il tè, che stava preparando, in due tazze e me ne porse una sedendosi nella poltrona di fronte a me.
Ecco perché i nostri genitori chi chiamavano gemelli mancati.
Era un po' inquietante il nostro rapporto, i nostri meccanismi d'azione non erano convenzionali né semplici da comprendere: sembravamo estraniarci completamente dal mondo, come a creare delle mura tra noi e il resto. E tra quelle mura di condivisione c'eravamo solo noi con le nostre risate o i nostri silenzi o i nostri sorrisi, i quali erano un toccasana l'uno per l'altra: sembravano dire “ho capito”. E niente più di quella frase sembrava sgravarti dal terribile peso della solitudine.
"Beatrice, lo sai. Eppure sembri dimenticare ogni volta che qualcuno ti dice qualche idiozia. Sei sempre stata la migliore della classe, a scuola e all'università. I tuoi 30 facevano impallidire tutti, come il tuo studio faceva impallidire e preoccupare me. Pur di pretendere il massimo da te stessa rischiavi e rischi di ammalarti, e la caduta dei capelli dell'anno scorso ne è la più tangibile dimostrazione." mi sfiorò la guancia, cercando di confortarmi.
"Non è facile rimanere apatici di fronte alla morte, ne sono più che consapevole. Nessuno tra tutti noi specializzandi o anche tra i medici rimane freddo e per nulla scosso. Tutti reagiamo in modo diverso, ma reagiamo. Non si può affatto non rimanere turbati da quello che ci scorre sotto gli occhi ogni giorno. Chi dice che non gli importa, mente. E poi, lo sai, che all'ospedale tutti i medici ti amano, e non perché, come dici tu, sei mia sorella, ma perché sei tu. Tu e il tuo impegno, la tua bravura."
Lo guardai un po' incredula, sia perché un discorso così lungo non era mai uscito da quelle labbra credo, sia perché aveva capito quasi tutte le mie insicurezze. Mai avrebbe potuto pensare che avessi dubitato di lui. Ero stata un'idiota e adesso, mi sentivo profondamente in colpa. come avevo potuto credere a quello sbruffone?
Del resto nonostante le mie paure sulle conseguenze del  gesto inconsulto di quella mattina, anche se mi ostinavo a non credergli, sapevo in fondo al cuore, che aveva mio fratello aveva ragione su tutta la linea. Ero brava, nonostante le mie piccole sbavature. Molti medici mi stimavano e questa era  più che una grande conquista. Nonostante fossi stata premiata più volte per essere la migliore del corso, mi lasciavo condizionare da miei colleghi o specializzandi più grandi, quali Edoardo Della Scala. Chiunque altro avrebbe capito che quella degli altri ragazzi fosse solo invidia, ma non io. Non io e le mie insicurezze.
Anche perché, la verità era che a me dell'opinione di Edoardo importava e molto di più di quanto dovesse, soprattutto dopo quella giornata e dopo aver visto la sua bravura e quel lato che mostrava solo di fronte ai suoi piccoli pazienti. Per questo mi sentivo abbassarmi sempre un po' di più ad ogni sua riflessione sulla mia incapacità medica.
Sorrisi a Stefano più che riconoscente e incominciai a ridere quando notai che entrambe le tazze erano rimaste sul tavolo e che il loro contenuto si era ormai inesorabilmente raffreddato. A questa risata un po' isterica e un po' liberatoria si unì anche mio fratello. Fu allora che capii che qualcosa non andava neanche sul suo di fronte.
"Lucrezia potrebbe essere incinta" così disse, abbassando gli occhi, rispondendo al mio  viso piegato su un lato e allo sguardo interrogatorio.
Corrucciai ancor di più la fronte, cercando di capire il perché di quella reazione così anomala.
Proprio in quel momento, mentre potenziali d'azione andavano diffondendosi lungo tutti i miei neuroni alla ricerca disperata di una motivazione, sentimmo il rumore delle chiavi nella porta.
Ci ricomponemmo, ma io comunque gli lanciai un'occhiata che faceva ben intendere quanto la conversazione non fosse affatto finita là.
Stefano acconsentì annuendo e andò ad aiutare Lucrezia con i pacchi della spesa, scattando verso la porta, preoccupato per il peso.
Sorrisi teneramente e decisi che quello era proprio il momento di andare. Salutai la fidanzata di mio fratello e uscii, non prima di aver notato anche in lei una crepa, che sembrava rovinare la sua maschera perfetta.
Sospirai al buio, formando la condensa, fuori da casa di mio fratello e, dirigendomi verso la mia macchina blu, sperai che non ci sarebbero state ripercussioni sul mio lavoro a causa dello schiaffo dato al figlio del primario.
Quanto mi sbagliavo.

****
Ciao a tutti,
Innanzitutto grazie per essere arrivati fino a qui, e spero che questo capitolo vi sia piaciuto più di quanto sia piaciuto a me! purtroppo è un capitolo di passaggio e non ho potuto correggerlo al meglio perché volevo essere il più veloce possibile a pubblicare il capitolo!
Anche con la grafica faccio un po' schifo, quindi vi prego di scusarmi!
Fatemi sapere, vi prego, qualsiasi vostra opinione!
Ringrazio le ragazze che hanno recensito perché mi hanno dato molti spunti per migliorare.
Un abbraccio, 
Luxaar
 

 

  
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