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Autore: Piperilla    05/12/2016    4 recensioni
In un mondo come quello moderno, in cui l'unicità di ogni persona rappresenta un Universo a sé, le cose non sono mai o bianche o nere. Eppure, è così che appaiono Richard e Agathe: lui, ormai un uomo fatto, algido, composto, più simile a un gentiluomo d'altri tempi che non a un uomo d'affari e di cultura del ventunesimo secolo; lei, ancora adolescente, dal temperamento impetuoso e la lingua tagliente, con l'argento vivo addosso e a prima vista impossibile da fermare: non potrebbero essere più diversi. Come il bianco e il nero. Tra due estremi ci sono un'infinità di sfumature... quante ne servono perché due mondi - e due persone - apparentemente agli antipodi si incontrino a metà strada?
[Tratto dal capitolo 40]
«Non mi illudo che possa bastare così poco per legarti a me» replicò Richard. [...] «Anche se vederti questi gioielli addosso me ne dà la piacevole illusione ».
«Se ti assecondassi, finiresti per credere che sia la realtà» mormorò lei.
«No, mia piccola Agathe, mai» sospirò Richard contro la sua pelle. «Quest’illusione è amara e non mi appaga. Quello che voglio è che sia tu a legarmi a te. Sii pure la mia carceriera».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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*Angoletto piccino picciò dell'Autrice*
Orbene, gente, siamo giunti quasi alla conclusione! Dopo esservi sorbiti novantotto capitoli, oggi finalmente metto online il finale. Ora, io ho evitato sempre di appestarvi con queste note, perché poteste concentrarvi solo sulla storia; oggi, però, ho deciso di fare un'eccezione e rompervi le scatole subito subito, prima del capitolo, per essere certa che tutti leggeste questa cosa. Mi è stato chiesto se ci sarà un sequel e purtroppo devo rispondere che no, non ci sarà: dopo aver scritto novantanove capitoli su Richard, Agathe & Co., sinceramente non saprei che altro dire! Ci sarà però un capitoletto extra, lunedì prossimo... per salutarci come si deve da questa banda di pazzi che hanno tenuto compagnia a voi, e in primis a me, con le loro vicende.
E adesso, senza altri indugi... il finale!




Quattro anni dopo


Oltre le finestre e le tende smosse dalla brezza leggera, il sole di Giugno baciava la campagna romana: nonostante fosse pomeriggio inoltrato, la luce splendeva ancora brillante sul prato. Un suono discreto di voci riempiva l’aria e arrivava fino alla villa.
   In un’ampia stanza al pianoterra, Agathe cercava con tutte le proprie forze di ignorare sua madre.
   «Continuo a pensare che il vestito non vada bene» disse critica Gisèle.
   La giovane donna alzò gli occhi al cielo e guardò il proprio riflesso. L’abito di chiffon bianco le aderiva al corpo fino alla parte alta delle gambe per poi allargarsi in una gonna morbida che la copriva fino ai piedi, mentre le piccole maniche e lo scollo a cuore le lasciavano le braccia, il petto e la parte alta della schiena scoperti. Era semplice e senza fronzoli, ma Agathe l’aveva voluto così, e continuava a essere certa che fosse perfetto.
   «L’abito va benissimo, mamma» bofonchiò esasperata.
   «È troppo semplice» obiettò Gisèle.
   «Ed è proprio per questo che è perfetto» ribatté Agathe, controllando che nessuna ciocca di capelli fosse sfuggita all’acconciatura.
   Stizzita, la francese se ne andò ancheggiando sui tacchi alti.
   «Finalmente se n’è andata» sbuffò sollevata Lara, sistemandosi il tubino accollato color verde menta. «Possibile che non possa fare a meno di criticare ogni singola cosa?»
   «Ormai ci ho fatto l’abitudine: è fatta così» rispose semplicemente l’altra, indossando gli orecchini. «Credi che sia tutto in ordine?»
   «Oh, di sicuro» rispose Lara. «Tua madre è una perfezionista, si occuperà lei di tenere tutto sotto controllo». Si sentì bussare alla porta. «Era ora!»
   Penelope entrò nella stanza appoggiandosi al bastone da passeggio; Gloria, dietro di lei, teneva una scatola piatta e larga tra le braccia.
   La vecchia irlandese raggiunse sua nipote e le prese le mani nelle proprie.
   «Sei bellissima, Urania» disse, emozionata. «Incantevole come un giglio appena sbocciato».
   Agathe arrossì e abbassò lo sguardo. «Grazie, nonna».
   «Manca una cosa, però» continuò la sua bisnonna. Aprì la scatola che Gloria le porgeva e ne trasse un velo di tulle, ornato di un’ampia bordura di pizzo fatto a mano ricamato di tanti piccoli zaffiri.
   «Questo è stato velo di sposa di mia madre» disse Penelope. «Glielo donò mio padre per le loro nozze. Dopo di lei l’ho indossato io, poi tua nonna e infine tua madre, anche se nell’ultimo caso l’ho permesso soltanto per non interrompere la tradizione». Prese dei piccoli fermagli d’argento e fissò il velo all’acconciatura di Agathe. «Oggi tocca a te. Questo velo ora è tuo, e così sistemiamo anche la tradizione: è vecchio e c’è del blu».
   Agathe rise e abbracciò la sua bisnonna, emozionata. «Grazie, nonna» sussurrò.
   «Grazie a te» rispose Penelope. «Non credevo che sarei vissuta abbastanza da vedere un’altra generazione indossare questo velo».
   Qualcuno bussò alla porta e Thomas entrò nella stanza.
   «Mi dispiace interrompere» esordì per non incorrere nelle ire delle quattro donne. «Signora Penelope, Edward ha bisogno di lei».
   «Ovviamente» sbuffò l’irlandese, alzando gli occhi al cielo. «Possibile che non sappiano fare nulla, senza di me?»
   «Abbiamo un disperato bisogno di lei, signora» la blandì Thomas. «Quando non c’è, siamo perduti».
   Penelope gli scoccò uno sguardo d’apprezzamento e passando gli pizzicò una guancia. «Tu mi piaci, giovanotto». Guardò Lara. «Se te lo fai scappare, lo sposo io».
   Lara soffocò una risata. «Non avevo dubbi, Penelope».
   Senza replicare, Penelope uscì dalla stanza insieme a Gloria; oltre la porta, Agathe scorse Damon e Alan allontanarsi e li sentì battibeccare riguardo una vecchia scommessa.
   «Will, sei splendida» disse sincero Thomas.
   «Oggi sto facendo il pieno di complimenti: non è che siete stati pagati per tenermi di buonumore?» scherzò lei.
   «Non c’è complimento che possa tenerti di buonumore, se dovessi arrabbiarti: sei peggio di una furia scatenata» rispose Thomas.
   «Ma grazie!» sbuffò Agathe.
   Lui scrollò le spalle. «Conosci la mia politica: onestà a tutti i costi».
   «E picchiare selvaggiamente chiunque infastidisca la tua fidanzata» lo punzecchiò Agathe.
   Thomas le rivolse un ampio sorriso innocente. «Anche».
   Tutti e tre scoppiarono a ridere, e Agathe si affrettò a riprendere fiato. «Va tutto bene, di là?»
   «La gente vaga per il prato, osserva il posto e chiacchiera: sembrano tutti tranquilli» disse Thomas.
   «E Elena?» chiese lei, alludendo all’amica conosciuta all’Accademia che le faceva da terza damigella.
   L’amico alzò gli occhi al cielo. «Elena sta incantando gli invitati più irrequieti raccontando loro un sacco di piccole curiosità su Roma e si assicura che tua madre stia un po’ zitta e non dia di matto» rispose. «Dai, Will, smettila di preoccuparti di queste cose: oggi dovresti pensare a tutt’altro, no?»
   «Non lo so, non sono pratica». Agathe si mise di nuovo a ridere. «È la prima volta che mi sposo!»
   «La prima?» ripeté Lara. «Pensa se ti sentisse il tuo promesso…» aggiunse maliziosa.
   «Oh, smettila. Sai bene che intendevo» la rimbrottò l’amica. «Piuttosto, aiutami» disse, prendendo la collana di diamanti dal cofanetto di velluto.
   «Quindi hai deciso di metterla» commentò Lara, prendendo il collier; Thomas sollevò il velo dalle spalle dell’amica e la sua fidanzata allacciò il gioiello al collo di Agathe. «Ecco perché ti sei intestardita nel volere un abito semplice».
   «Mi hai scoperta: tutto per mettere questa collana» rispose leggera l’altra. «E poi, se non la metto oggi, quando?»
   «Mi pare giusto» sorrise Lara, risistemandole il velo in modo che cadesse alla perfezione.
   In quel momento, qualcuno bussò di nuovo alla porta: stavolta fu Leah a entrare, anche lei vestita di verde menta.
   «Ciao, tesoro!» salutò entusiasta, baciando la guancia di Agathe. «Sei meravigliosa, alle persone là fuori verrà un colpo quando ti vedranno».
   «Lo spero: almeno non dovrò sentire mugugni di disapprovazione» bofonchiò Agathe.
   «Non ti preoccupare: se qualcuno borbotta, lo spedirò fuori dal parco a calci!» promise Leah con aria truce. «Ma non è per questo che sono qui» proseguì con uno sguardo birbante. «Fuori dalla finestra c’è qualcuno che vuole parlarti: mettiti sul davanzale e resta nascosta dietro la tenda».
   «Sì signora» rispose divertita Agathe mentre Leah, Thomas e Lara uscivano.
   Obbediente, Agathe si avvicinò alla finestra e sedette sul largo davanzale. Il vento aveva trascinato all’esterno la tenda bianca; ora pendeva sul muro della facciata come una vela ammainata.
   «Agathe?»
   Lei sorrise nel sentirsi chiamare da quella voce familiare.
   «Non dovresti essere qui» rispose piano.
   Pur senza poterlo vedere, la donna sapeva che Richard stava sorridendo.
   «Mio padre, Penelope e Alan stanno tenendo occupati i tuoi genitori; Damon è di vedetta, pronto ad avvertirmi in caso si accorgessero che sono proprio dove Evan mi aveva proibito di andare» replicò lui.
   «Non hai paura della sfortuna?» lo punzecchiò Agathe.
   «No» rispose all’istante Richard. «Perché dovrei? Sei nascosta dalla tenda: non posso vederti!»
   La risata di Agathe trillò nella stanza.
   «Sono stanco di tutta quest’attesa» continuò lui. «È da una settimana che ci tengono separati: mi ci è voluta tutta la mia pazienza per non mandare al diavolo tutti quelli che con una scusa o l’altra ci hanno tenuti lontani».
   «Quanto ardore…». Ridacchiando, Agathe mise i piedi sul davanzale; piegò la testa verso l’esterno e chiuse gli occhi. «Conservalo per me, vuoi?»
   «Qualsiasi cosa, per te» disse Richard. «Anche sopportare tua madre».
   «Non credere che non apprezzi l’importanza di un tale sacrificio: so bene quanto Gisèle possa essere irritante» mormorò lei, trattenendo un’altra risata. Abbassò ancora la voce. «Mi sei mancato» sussurrò.
   «Manca poco» la rincuorò Richard. «Poi non avranno più nessuna scusa per dividerci».
   Agathe tacque per qualche momento. «Credi davvero che fossero scuse?»
   «Ne sono sicuro» rispose lui. «Hanno provato ancora una volta a farmi cambiare idea, a convincermi che questo matrimonio non si deve fare, che in ogni caso non durerà. Con te non l’hanno fatto?»
   «Mia madre mi ha dato il tormento per tutta la settimana» ammise Agathe. «Stranamente, mio padre non sembrava essere dalla sua parte: le ha urlato di smetterla almeno una decina di volte».
   «Evan che finalmente mi accetta come genero? Altro che fantascienza!» sbuffò ironico Richard.
   La sua fidanzata scoppiò a ridere fino a restare senza fiato.
   «Ha dell’incredibile, vero? Se ripenso al giorno della consegna del mio diploma…». Sorrise per un momento, in parte divertita e in parte commossa al ricordo.
   «Intendi quando si è scaraventato verso il palco a passo di marcia e ha provato a staccarmi la testa, urlando che per nessun motivo avrebbe permesso che un vecchio porco come me toccasse la sua bambina?» bofonchiò Richard: al contrario di Agathe, il ricordo di quel momento non lo divertiva affatto.
   «Non ti arrabbiare: ormai è passato» disse affettuosamente lei.
   Richard borbottò qualcosa di incomprensibile. Entrambi rimasero in silenzio per qualche momento.
   «Credi che ti mancherà l’Italia?» si decise a chiederle Richard, scrutando il parco assolato della villa privata che avevano affittato per l’occasione. Un paio d’anni prima, dopo aver accettato un lavoro all’Università di Roma per stare più vicino ad Agathe, avevano visitato quel posto e la ragazza se n’era innamorata, come era accaduto in molti altri dei posti che avevano visitato in quel Paese.
   «Sì, molto» rispose malinconica Agathe. «Ma in fondo nessuno ci impedisce di tornarci quando ne avremo voglia, no?»
   «Ogni volta che vorrai» confermò lui.
   Il silenzio calò di nuovo.
   «Dovresti andare, Rick» disse dolcemente Agathe. «Se mio padre ti trova qui, potrebbe anche rimangiarsi la benedizione che ci ha concesso…» rise piano.
   «Un’ultima cosa». Agathe lo sentì agitarsi appena al di là della tenda. «Ho parlato con Penelope e Lara, e mi dicono che ti manca qualcosa per rispettare la tradizione».
   D’istinto, Agathe si tastò, facendo un rapido elenco mentale: Lara le aveva regalato una giarrettiera di seta – non si smentiva mai – nuovissima, Penelope le aveva passato l’antico velo ricamato di zaffiri blu della famiglia O’Brien…
   «Oh» mormorò: in effetti, una cosa mancava. «Be’, ci arrangeremo. O hai così tanta paura della tradizione?» scherzò.
   «No, ma perché rischiare?» replicò Richard. Allungò una mano chiusa oltre la tenda. «Questo è in prestito: bada di starci attenta e mettilo dove solo io potrò vederlo, perché più tardi me lo riprendo».
   Agathe prese il pugno di Richard e ne schiuse le dita. Sul palmo c’era un fermacravatta, ma aveva qualcosa di familiare: era di forma cilindrica, e l’intreccio di fili d’oro bianco e i piccoli rubini brillavano appena alla luce della stanza…
   «Il mio vecchio orecchino» sussurrò Agathe, incredula: lo prese e l’osservò come se non credesse ai propri occhi. «Ero certa che l’avessi buttato…»
   «Ho pensato di farlo, all’inizio, ma non ci sono riuscito» confessò Richard. «Era come avere un pezzetto di te, e anche se all’epoca non riuscivo a capire per quale motivo avesse tanta importanza, non sono riuscito a sbarazzarmene. L’ho messo in un cassetto e l’ho lasciato lì per tanto tempo. Quando alla fine me lo sono ritrovato tra le mani, ho deciso di dargli una nuova vita, perché non restasse più chiuso a prendere polvere». Tacque per un istante. «Sei tu quella che amo, sei sempre stata tu».
   Agathe sorrise in silenzio, trattenendo le lacrime; con gesti veloci sollevò la gonna e agganciò il fermacravatta alla giarrettiera che le aveva regalato la sua migliore amica.
   «Ho anch’io una cosa per te» disse all’improvviso. Quasi corse verso l’antico mobile da toeletta che faceva bella mostra di sé nella stanza; aprì un piccolo portagioie che aveva portato con sé e vi frugò dentro fino a trovare quello che cercava.
   Quando tornò alla finestra prese la mano di Richard, appoggiata appena oltre la tenda.
   «Visto che mi hai dato qualcosa di tuo in prestito, voglio fare lo stesso» annunciò, premendogli un oggetto nella mano. «Considerala una garanzia per il tuo fermacravatta».
   Richard ritrasse la mano, l’aprì lentamente e prese tra due dita l’oggettino: da una sottile catenina d’oro bianco pendeva l’altro orecchino, il gemello di quello che era diventato un fermacravatta, trasformato in ciondolo.
   L’uomo sorrise.
   «L’hai tenuto» disse; s’infilò la catenina al collo e la fece scivolare sotto la camicia, al sicuro dove nessuno poteva vederla. «Non ti facevo così romantica…»
   Sentì Agathe sbuffare.
   «Non volevo che andasse buttato» rispose petulante lei.
   Richard sogghignò divertito.
   «Continua a ripetertelo, tesoro, e forse un giorno te ne convincerai» replicò compiaciuto.
   Un fischio basso e prolungato li raggiunse.
   «È Damon» disse Richard. «Deve quasi essere ora». Dall’altra parte della finestra, sentì Agathe muoversi e la cercò alla cieca con la mano; lei gli afferrò subito le dita e le strinse. «Ci vediamo tra poco. Ricorda: sarò quello vicino all’officiante».
   Agathe ridacchiò. «E io sarò quella in bianco» rispose. «Mi raccomando, non scappare».
   «E tu non farmi aspettare troppo» ribatté all’istante lui. Provò a sfilare la mano da quella di lei, ma Agathe non si decideva a lasciare la presa. «Devo andare, Agathe, o si chiederanno che fine abbia fatto».
   «Sei sicuro che non te ne andrai?» chiese incerta.
   Richard sbuffò forte. «Se avessi voluto scappare, l’avrei fatto quando c’erano quasi duemila chilometri a dividerci. E poi non mi perderei la torta per niente al mondo».
   Lei rise e dopo avergli strizzato le dita un’ultima volta, lo lasciò andare.
   Rimasta sola, Agathe si alzò e si risistemò il vestito appena prima che qualcuno bussasse alla porta: Lara entrò, seguita da Leah, Elena e Evan, quest’ultimo impeccabile in completo scuro.
   Le sue tre damigelle le si affaccendarono intorno per lisciare pieghe inesistenti del vestito e controllare che fosse perfetta, e Evan le sorrise.
   «Allora, tesoro: pronta per farti accompagnare all’altare?» le chiese, offrendole il braccio.
   Agathe afferrò il bouquet dalla toeletta e gli rivolse un sorriso smagliante.
   «Sì».
   
 
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