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Autore: ClaireOwen    05/12/2016    6 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Se volete insultarmi potete farlo, 
Sebbene non abbia mai dato una scadenza del tutto fissa agli aggiornamenti mi sento decisamente in ritardo e mi dispiace... è un periodaccio, pieno di cose da fare purtroppo 
:(
In ogni caso eccomi qui, vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare tanto ma alla fine ce l'ho fatta e dunque vi cedo con piacere questo nuovo capitolo ringraziandovi immensamente per tutto il vostro affetto e sostegno, sempre crescente e più caloroso, non potete immaginare la mia felicità!

Oggi non vi anticipo proprio nulla, spero solo vi piaccia e che sia degno di quello precedente... Non voglio assolutamente deludervi e mi auguro di riuscire al meglio in questa "missione".
Fatemi sapere come va la lettura,
un bacio ad ognuno di voi,
Chiara.

P.s.
Non voglio essere crudele o cosa ma molto probabilmente in questo periodo difficilmente riuscirò ad aggiornare prima di 10/15 giorni, spero possiate perdonarmi.



 


XIII
 
 
Gli aveva chiesto scusa ma per cosa poi? Perché aveva tirato fuori la storia di Raven?
L’aveva percepito subito dalla sua espressione preoccupata che c’era qualcosa che non andava, le aveva detto che non erano fatti suoi eppure sembrava davvero turbato, come se non avesse mai desiderato che lei venisse a saperlo.
Perché? Cosa cambiava?
Era la sua vita e lei non c’entrava, lei gli pagava solo uno stupido affitto dunque non aveva diritto di essere gelosa, perché non era stupida, di questo si trattava, non poteva certo mentire a se stessa, lo aveva fatto per troppo tempo, si era illusa di stare bene, di poter accettare Marcus in breve tempo, di poter far finta che il trasferimento a Boston fosse solo dovuto alle sue aspirazioni ma poi tutto era crollato, la maschera che si era costruita si era sgretolata in un attimo. Non poteva mentire di nuovo, poteva omettere dei dettagli agli altri, poteva tenersi tutto dentro ma con se stessa avrebbe dovuto iniziare ben presto a fare i conti.
Chiedere scusa era risultato naturale quando Bellamy le si era avvicinato così tanto da toglierle il respiro, quando in fretta aveva preso le sue mani e quel contatto le aveva donato un tepore che andava ben al di là della percezione fisica.
Ora però il moro se ne stava in silenzio e la guardava con un’intensità tale da lasciarla di stucco, era disarmante, si sentiva nuda sotto quello sguardo nero come la pece, profondo come l’abisso, tanto da non poterlo più sorreggere.
“Ti prego di qualcosa.”
Il tono era basso ma implorante mentre non osava incontrare ancora i suoi occhi, cercava disperatamente di trattenere la calma fissando le sue ginocchia pericolosamente vicine alle gambe incrociate di lui.
Poi sentì le mani di Bell interrompere il contatto con le sue e per un attimo pensò di non riuscire a sopravvivere a quel distacco, ne aveva bisogno, sentiva che ogni cellula del suo corpo chiedeva disperatamente di mantenere un contatto con lui.
Fu solo un istante perché la presa del maggiore dei Blake, quasi aggressiva si strinse attorno alle sue guance, obbligandola a tirare di nuovo su i suoi occhi e a posarli su di lui, non voleva perché sapeva di non essere in grado di poter resistere ancora a lungo.
Sentì il cuore in gola quando si rese conto di quanto fosse vicina al suo viso perfetto, se avesse voluto avrebbe potuto contare senza problemi le lentiggini che maculavano elegantemente il volto del ragazzo e per un minuto forse lo fece.
Venti.
Si fermò, no, non erano finite ma il viso di Bell si era avvicinato di più irrimediabilmente.
Percepì il contatto con il suo naso freddo.
Le loro labbra non erano mai state a quella distanza, pensò, sarebbe bastato il più piccolo movimento e si sarebbero toccate, sentiva il respiro affannato di Bell addosso e l’unica cosa che avrebbe voluto in quel momento era sentire quel fiato fondersi con il suo.
Bellamy la guardò come non aveva mai fatto, Clarke stava tremando ma non era più il freddo a provocarle la pelle d’oca.
Sostenne i suoi occhi ancora per un po’, sapeva che in quel momento stava rispondendo ad una domanda implicita, la leggeva perfettamente nelle iridi scure di lui.
Chiuse gli occhi.
Era un sì, lo avrebbe anche gridato se fosse stato necessario.
L’impatto con le labbra severe di Bellamy fu lento, sentì un sapore simile a quello delle rotelline di liquirizia che da piccola mangiava insieme a Jake.
Ma non c’era spazio adesso nella sua mente per rievocare quei ricordi, sentì tutto il corpo fremere a quel contatto, le loro bocche avevano preso a cercarsi ad assaporarsi, con le mani afferrò due ciuffi scompigliati dalla capigliatura ribelle del maggiore dei Blake.
Perse il senso del tempo e dello spazio mentre le loro labbra, le loro lingue diventavano un tutt’uno, quel baciò lasciò spazio anche ad un paio di sorrisi spontanei che automaticamente sorsero mentre uno dei due tentava di riprendere fiato velocemente, non potevano permettersi di perdere nemmeno un istante, si sentiva come se avesse sprecato tutto il suo tempo fino a quel momento.
 
Il suo rapporto con Bellamy era stato come contemplare un opera d’arte in un museo, dietro una teca di vetro, poteva analizzarla, guardarla a lungo, provare a donarle un significato ma senza toccare la tela, sentire sotto le proprie dita ogni pennellata, ogni grumo di tempera, ogni granello di polvere, non avrebbe mai realmente compreso l’entità di tale bellezza e maestosità.
Adesso la teca di vetro si era frantumata in mille pezzi e Clarke era tornata a sorridere, non aveva più paura di potersi far male con il vetro tagliente.
 
-
 
Non seppe dire quanto durò, forse una manciata di minuti eppure continuava a sembrargli solo un attimo fugace che avrebbe potuto protrarsi anche per tutta la vita, probabilmente non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Si staccarono l’uno dall’altra lentamente, senza togliersi gli occhi di dosso, storditi dall’intensità che li aveva assaliti che forse gli aveva fatto perdere irrimediabilmente il controllo conducendoli su un punto di non ritorno.
Bellamy distinse due fossette sulle gote di Clarke, ancora arrossate.
Sorrideva e questo bastava.
Eppure non poté impedirsi di chiedersi che cosa sarebbe successo di lì a poco ma anche di lì a qualche giorno, temeva, lo sentiva nel suo cuore ancora tremante, che potesse essere stato solo un momento, che tutto potesse svanire in un secondo, forse già in quel frangente Clarke stava cambiando idea.
Tossì imbarazzato.
La ragazza guardava il fuoco per fuggire i suoi occhi.
“Clarke…”
Scandì il suo nome senza sapere bene come continuare, aveva paura che qualunque cosa avrebbe detto potesse rovinare tutto.
“Sai in realtà ho mentito prima.”
Non gli aveva dato il tempo di proseguire e adesso lo sguardo di Bell era smarrito.
“Prima… quando?”
“Quando ho detto di non avere fame.”
Lo stomaco del ragazzo borbottò come richiamato da quella parola, se le cose stavano davvero così la principessa non era stata l’unica ad aver detto il falso.
“Possiamo ancora rimediare.”
Si alzò prima ancora di aver finito la frase dirigendosi verso la cucina, sapeva che Clarke non lo avrebbe seguito, adesso avevano bisogno di assimilare quanto appena accaduto, da soli.
 
Si prese tutto il tempo per cucinare mentre rimuginava su quel bacio che nemmeno troppo inconsciamente aveva agognato.
Era come se avesse paura ad ammettere di stare maledettamente bene, non si era mai permesso dalla morte di sua madre di dirsi davvero felice, in realtà cercava solo di fare in modo che gli altri lo fossero, che sua sorella potesse continuare a fare una vita normale, degna di essere chiamata tale, ma lui no, Bellamy non si era mai concesso quel lusso, non ci aveva pensato nemmeno per pochi secondi.
Si, c’era stata Gina ed era stato vero quello che aveva sentito per lei, così tangibile da fargli provare anche un pizzico di dolore eppure con lei non aveva mai provato quel desiderio, quell’irrequietezza, quella voglia incontenibile di baciarla o di poterla avere per sé anche per un attimo, solo standole accanto, solo sfiorandole per sbaglio la pelle.
 
Tuttavia, nonostante il suo cuore sprizzasse felicità da ogni poro, nonostante ripensare a quel momento appena passato gli facesse sentire le farfalle nello stomaco e dimenticare la fame, il freddo e persino l’ansia per O’, Bellamy Blake non riusciva a smettere di tormentarsi, odiava non poter avere potere decisionale, non sopportava quel groppo in gola che i dubbi gli provocavano ed aveva una dannata paura di sentirsi così vulnerabile. Era abituato ad avere sempre tutto sotto il suo totale controllo ma con Clarke era diverso, imprevedibile ed era difficile approcciarsi a quella nuova sensazione d’instabilità che gli faceva accapponare la pelle.
 
 
Notò che Clarke aveva abilmente alimentato il fuoco che continuava ad essere l’unica fonte di calore mentre mangiavano in silenzio, senza permettersi di indugiare troppo l’uno sull’altra, avrebbe voluto dire qualcosa ma era convinto che qualunque cosa fosse uscita dalla sua bocca sarebbe risultata banale e fuori luogo, che gli succedeva?
Era sempre stato sicuro di sé soprattutto se si trattava di ragazze, aveva avuto le sue esperienze, le sue avventure, al liceo poi godeva di una popolarità spropositata, si era sempre chiesto da dove venisse tutto quell’attaccamento nei suoi confronti, non era il tipo che amava la compagnia, in realtà non aveva grandi difficoltà a sopportarle le persone… Eppure quasi come una punizione divina, chiunque lo prendeva a modello, era stato persino costretto a candidarsi come rappresentante del comitato studentesco, vincendo ovviamente.
E allora cos’era tutta questa insicurezza? Con Clarke si sentiva come un ragazzino alle prime armi, non sapeva dove mettere le mani, non sapeva nemmeno cosa dire per smorzare quella maledetta tensione, probabilmente avrebbe dovuto odiarsi.
“Sei andato sul classico eh?”
Esclamò ironica la ragazza poggiando con delicatezza il piatto ormai vuoto sul tappeto che li aveva ospitati sinora.
“Hai ragione, uova, pane e bacon non sono esattamente un piatto degno di una principessa.”
Clarke rispose con una faccia buffa che Bell non credeva decisamente far parte del suo repertorio espressivo, il suo viso sempre serio e quasi mai scomposto era indubbiamente la prima cosa che si notava della giovane Griffin.
Spostò la sua attenzione lontano da lei, ci provò quanto meno e questo bastò per fargli abbassare la guardia, in un attimo si ritrovò sovrastato dal corpo della ragazza che ridacchiando tentava di fargli il solletico.
Cominciò a ridere senza freni, sentiva le mani di lei insinuarsi giocosamente tra i suoi fianchi ed il contatto con il suo corpo lo fece ardere proprio come il fuoco accanto a loro.
“Ti avevo avvertito Blake, dovresti smetterla di chiamarmi in quel modo.”
Lo disse divertita mentre il ragazzo si contorceva continuando a riempire l’aria con la sua risata cristallina, il silenzio religioso, quel silenzio che è possibile ascoltare solo mentre fuori la neve continua a cadere leggiadramente, amplificava ogni singolo suono che usciva dalle loro bocche, di nuovo così vicine.
Cercò di riprendere fiato, aveva dimenticato quanto fosse faticoso ridere di gusto, contraendo l’addome, avvicinò il suo viso a quello di lei fermandosi solo quando ormai sarebbe bastato solo un altro lieve slancio per colmare i pochi centimetri ed azzerare di nuovo le distanze.
Come previsto la ragazza, presa alla sprovvista e quasi intimorita fermò le sue mani all’istante, Bellamy afferrò i suoi polsi con decisione e con agilità la bloccò, fu semplice, un movimento attento e studiato affinché nessuno dei due potesse farsi male ed il maggiore dei Blake si ritrovò al comando di quella lotta più che bizzarra che li vedeva protagonisti, ora le posizioni erano invertite.
 
-
 
Bellamy era su di lei, poteva avvertire la pressione del suo corpo robusto e teso sul suo esile e in quel momento fragilissimo. L’aveva immobilizzata, le sue braccia ora erano a terra e le mani del ragazzo tenevano saldamente i suoi polsi incollati al parquet.
Clarke ansimava per lo sforzo tenendo fisso lo sguardo sul volto di Bell sul quale trionfava un ghigno vincente e soddisfatto, a quanto pare anche stavolta era stato lui ad avere la meglio.
Sentiva il respiro caldo e affaticato di lui addosso attrarla come una calamita.
Era sicura di non riuscire a mantenere quell’insensato autocontrollo ancora per molto.
Non fece in tempo a chiedersi se fosse giusto, allungò il collo permettendo alle loro labbra di incontrarsi di nuovo, era chiaro che entrambi aspettavano solo quello.
Fu nettamente diverso da prima, sentì la foga di Bell riversarsi nella sua bocca, fu un bacio aggressivo e capace di annebbiarle completamente la mente, tutto ciò che riusciva a percepire in quel momento era il desiderio crescente nei confronti di quelle labbra, di quel viso, di quel corpo che la premeva a terra con un vigore sconvolgente.
La pressione sui suoi polsi si alleggerì dopo poco permettendo alle sue mani, di nuovo libere, di avvinghiarsi ed esplorare il corpo fremente di Bellamy.
Sapeva che se fosse riuscita anche solo a mantenere la propria lucidità per qualche minuto in più avrebbe sicuramente esordito con qualche domanda simile ad un “Che stiamo facendo?”, non aveva la più pallida idea di cosa le fosse preso, era come se una parte sepolta in lei avesse preso il sopravvento donandole a quanto pare una maggiore sicurezza e liberandola quasi del tutto dai freni inibitori, per Bell invece non aveva scuse pronte eppure Clarke non si era mai sentita così desiderata da qualcuno.
Sentiva le mani ancora fredde di Bell farsi largo tra i suoi vestiti, aggrapparsi alla sua pelle, bastò quello a farle dimenticare tutto, non c’erano i melodrammi, l’astio e l’incomprensione che riguardavano sua madre, i dubbi che continuavano ad assalirla o la mancanza di suo padre, nulla se non lei e Bellamy e l’odore agrodolce dei loro corpi che ormai non riuscivano più a mantenere un’adeguata distanza di sicurezza.
Ciò che venne dopo fu confuso esattamente come quel sentimento crescente che non riusciva a smettere di provare nei confronti del maggiore dei Blake, d’un tratto ogni indumento che avevano indossato fino a pochi istanti prima, giaceva accanto a loro in un mucchio indistinto, disordinato, il ragazzo aveva afferrato la coperta che pendeva dal letto scaraventandola sui loro corpi nudi e ormai completamente imperlati dal sudore, erano rimasti a terra avvinghiati l’una all’altro, i loro respiri sempre più altisonanti riempivano il silenzio assordante che già da tempo si era impossessato della stanza.
Mentre Bell affondava il viso nel suo collo solleticandolo con le sue labbra estremamente umide e morbide, Clarke sospirò, fu diverso da tutti quelli che si era lasciata sfuggire finora a Boston, non era intriso di sofferenza e rimpianto, no, era come se insieme al suo fiato si fosse disperso nell’aria anche tutto quel senso di oppressione che nei giorni precedenti, nei mesi e  negli anni l’aveva resa prigioniera di sé stessa.
Clarke si sentì libera, libera di ricominciare a provare emozioni, di chiamarle con il loro nome, lasciò che le sue gambe cingessero i fianchi di Bellamy mentre le labbra del ragazzo erano arrivate velocemente al lobo del suo orecchio provocandole un brivido di piacere e facendo sussultare interamente il suo corpo che già da un po’ aderiva perfettamente a quello di lui.
Chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito.
Sentì la bocca del moro muoversi delicatamente e sussurrare in modo fin troppo apprensivo:
“Sei sicura?”
Avrebbe voluto ridere in risposta a quella domanda ma si proibì di farlo, non era mai stata così tanto sicura di qualcosa in vita sua.
Si morse il labbro inferiore ed annuì guardandolo dritto negli occhi, lasciando che le sue dita lo rassicurassero ancorandosi alla spina dorsale di quel ragazzo così diverso da chiunque altro, così simile a lei.
Fu delicato e violento al tempo stesso, lento e spasmodico, i loro corpi erano diventati un tutt’uno, le loro labbra si cercavano costantemente quasi avessero paura di perdersi, i loro fianchi si muovevano in una perfetta sintonia, le loro dita s’incrociavano, ogni singolo muscolo, ogni lembo di pelle aveva trovato esattamente il modo perfetto per intrinsecarsi, era come se fossero stati progettati per trovarsi.
Clarke si rese conto presto che probabilmente quella era la vera prima volta in cui faceva l’amore con qualcuno.
 
-
 
Non aveva mai provato nulla di simile prima d’ora, lo pensò mentre ormai giacevano sfatti e sudati avvolti solo da quella coperta che aveva avuto la premura di recuperare prima di perdere totalmente il controllo, di abbandonarsi incondizionatamente a Clarke.
Erano sdraiati su un fianco, le loro fronti quasi si toccavano, le loro gambe ancora intrecciate, il viso di Clarke era paonazzo, le pupille dilatate, i capelli scompigliati le ricadevano disordinatamente lungo la spalla nuda rimasta scoperta, era la creatura più bella che avesse mai visto, poteva dirlo con certezza, senza alcuna ombra di dubbio.
Non c’era più imbarazzo nei loro occhi incapaci di chiudersi, di abbandonare quella vista; alle loro spalle nel camino non c’era più legna infuocata, l’ultima cosa che aveva notato prima di perdersi nei meandri del corpo perfetto della giovane Griffin, solo brace ardente, sembrava che anche il fuoco li avesse emulati e non riuscì a nascondere un sorriso genuino.
“Che c’è?”
chiese lei con un filo di voce, incuriosita da quella reazione apparentemente immotivata.
“Nulla… è che il fuoco si è spento.”
“Non direi” Non si voltò per cercare conferma “Posso sentire perfettamente il rumore della brace che continua a consumarsi.”
“Esatto.”
“Non capisco.”
“Non devi sempre capire tutto, Clarke.”
Lei lo guardò interdetta e Bellamy le stampò un bacio sulla punta del naso, la ragazza era sul punto di dire qualcosa ma lui fu più veloce e posò un dito sulle sue labbra
“Non dire nulla.”
Allora sorrise e lui si ripromise di conservare quel momento nel suo cuore il più a lungo possibile mentre allargando le braccia le permetteva di accucciarsi accanto a lui, le apparve così piccola e fragile, la cinse in un abbraccio, cullandola dolcemente.
Solo allora Clarke sussurrò quasi impercettibilmente contro il suo petto
“Ho bisogno di te Bellamy Blake, non posso perdere anche te, non ora, promettilo.”
Bell la strinse più forte a sé, sapendo che quel gesto poteva valere più di una qualsiasi promessa fatta a voce.
Si addormentarono così, con i vestiti ancora accanto come un avviso inequivocabile di quanto fosse appena accaduto, avvolti in una vecchia coperta, consumati dai loro sentimenti esattamente com’era stato per la brace con il fuco alle loro spalle.
 
Sentì tossire in lontananza, credeva ancora di sognare e ci mise un po’ ad aprire gli occhi, una luce intensa avvolgeva la stanza ed un odore aspro di legna gli pizzicò subito il naso. Dalla finestra i raggi di sole brillavano cristallini e riflettendosi sul bianco della neve donavano all’ambiente una quiete ed uno splendore mozzafiato. Clarke era ancora lì accanto a lui, dormiva con un sorriso sereno stampato sul volto, avrebbe potuto abituarsi troppo facilmente a risvegli simili, si sentiva leggero e vivo.
Di nuovo fu distratto da un borbottare sommesso, non poteva essere la principessa ancora visibilmente assorta nei suoi sogni e così allungò il suo sguardo verso la porta dove due figure ostruivano il passaggio, strizzò leggermente gli occhi per mettere a fuoco: Octavia lo guardava con aria divertita mentre dietro di lei riconobbe il ragazzone della festa alla confraternita il cui viso era caratterizzato da un ben evidente imbarazzo.
Istintivamente si tirò la coperta sulle spalle, assicurandosi che anche Clarke fosse ben avvolta dal tessuto pesante.
“Okay, questo è qualcosa che non avrei mai pensato di vedere.”
Esclamò sua sorella squittendo acutamente.
Lui le lanciò un’occhiata esasperata ma complice
“Taci O’, Clarke sta ancora dormendo… Se mi aspettate in cucina e mi date il tempo di mettermi qualcosa addosso, arrivo in pochi minuti, promesso.”
Octavia sorrise e fece cenno a Lincoln di seguirla, chiudendosi la porta alle spalle.
Il ragazzo invece si prese ancora qualche minuto di tempo per osservare la sua principessa, aveva paura di dimenticare cosa volesse dire provare quella gioia che scorreva inarrestabile dentro di lui ma ben presto si rese conto di alimentarla incessantemente solo guardandola, le sue labbra si schiusero in un ghigno tenero.
Si infilò velocemente la maglietta che giaceva insieme a tutti i loro vestiti e lo stesso fece con i pantaloni, poi si chinò e piegò con cura i vestiti della ragazza, li impilò riponendoli al suo fianco, lasciando un bigliettino sul quale scrisse frettolosamente “Buongiorno principessa, sono in cucina, non siamo soli per cui non farti venire in mente strane idee.” Uscì solo dopo averle posato un bacio leggero sulla fronte.
 
“Ce l’hai fatta eh romanticone?”
Bell guardò la sorella di sbieco mentre la ragazza riempiva tre tazze di caffè appena fatto.
“Mi spieghi come siete finiti in camera mia?”
Dato che il ragazzo sembrava restio a parlare di sua spontanea volontà la più piccola dei Blake aveva optato per una sorta d’interrogatorio al quale Lincoln sembrava assistere senza voler attirare l’attenzione.
“Scusa O’, ti sei accorta del freddo?”
Lei lo guardò stralunata.
“Boston è stata bloccata per due giorni a causa di una tempesta di neve… cosa ti aspettavi un caldo caraibico?”
“Intendo non senti che dentro casa si congela quasi quanto fuori?”
“Oh ti assicuro che non è affatto così.”
Disse ridacchiando.
“In ogni caso i termosifoni sono andati.”
“Cosa?”
“Non so deve essere successo qualcosa… Forse delle tubature, la caldaia non sembrava danneggiata.”
“Ecco perché tu e Clake avete deciso di…”
“Non c’è bisogno che continui.”
Lo disse volgendo uno sguardo fuggente al ragazzone che stava accanto a Octavia, evidentemente anche Bellamy Blake aveva i suoi punti deboli ed era in grado di provare imbarazzo.
Cercò di riprendersi in fretta rivolgendosi all’altra presenza maschile.
“Grazie… ehm…”
“Lincoln”
Disse l’altro prontamente.
“Lincoln… Grazie per averla riportata a casa sana e salva.”
“Figurati, è stato un piacere.”
In un’altra situazione il giovane Blake avrebbe travisato quella frase ma era ancora troppo frastornato dalla notte appena passata per badare a quell’implicito apprezzamento che quel ragazzo aveva fatto su sua sorella, si limitò ad annuire impassibile, assottigliando leggermente le labbra.
“Credo sia arrivato il momento di togliere il disturbo…”
Disse in quel momento l’accompagnatore di O’
“Perché non rimani a pranzo invece?”
Ribatté lei senza cercare approvazione nello sguardo di Bell.
“Ma no…”
“Dovresti, invece.”
L’offerta di Bellamy fece sgranare gli occhioni acquamarina della sorellina mentre l’invitato gli sorrise quasi riconoscente per quell’atto di simil misericordia.
“Ho mandato un messaggio a Rav’, passa anche lei.”
Bell non capì il nesso.
“Scusa, perché dovrebbe?”
Fece leggermente allarmato.
“Per i termosifoni idiota, sai perfettamente che se la cava con qualsiasi cosa, almeno non dovremo chiamare e pagare fior fior di quattrini un idraulico, sarà divertente, una vedilo come una sorta di pranzo pre-natalizio tra amici…”
Non poteva darle torto e poi O’ era euforica, vederla così provocava un moto di serenità in Bell anche se, avrebbe preferito ricavarsi un momento solo per lui e Clarke, sapeva che non sarebbe finita lì, gli avrebbe chiesto di confrontarsi, la biondina non era il tipo da rendere tutto spontaneo o semplice, avrebbe voluto dei chiarimenti e forse, in parte, li voleva anche lui.
Era come essere stato catapultato in un sogno, era successo tutto in fretta, senza un senso apparente e nonostante dalle labbra di lei, la scorsa notte, fossero uscite parole ben chiare che gli erano rimaste impresse nel profondo del suo cuore, temeva con tutto se stesso che adesso Clarke potesse tornare sui suoi passi.
“Quindi tutte le strade sono nuovamente agibili?”
“Già… perché?”
Scosse la testa, evitare la presenza di Raven con loro quella mattina sarebbe stato impossibile.
 
-
 
Sentiva la gola terribilmente secca, tossì, l’aria era densa di fumo e le girava la testa, allungò la mano in cerca di quel corpo che era stato capace di accoglierla e farla allontanare anche solo per una notte da tutte le sue incertezze, da tutte le sue paure. Si rese conto presto di essere rimasta sola in quel giaciglio improvvisato.
Aprì gli occhi e si alzò di scatto. La coperta le scivolò di dosso lasciando che il suo busto nudo si scontrasse con l’aria fredda e frizzante della mattina.
Portò le ginocchia al petto e cercò di ricoprirsi.
Si guardò intorno spaesata ed indolenzita, non era stata una gran trovata quella di passare la notte per terra, avrebbero potuto benissimo spostarsi sul letto…
Solo in quel momento i ricordi si fecero più vividi, assalendola quasi violentemente e Clarke si ritrovò a sorridere, di certo la loro prima preoccupazione non era stata la comodità, non riuscì a biasimarsi, sentiva ancora ogni singola parte di lei elettrizzata, era una sensazione difficilmente descrivibile che non aveva mai provato prima.
I suoi occhi, dopo aver percorso il perimetro della stanza, arrivarono velocemente ai panni accanto a lei, naturale, stava congelando, nonostante dei timidi raggi di sole si infrangessero proprio sul parquet donandogli un leggero tepore.
Lesse il bigliettino sussurrando, non erano soli, chi poteva essere arrivato?
E da quanto?
Li avevano visti?
Cosa avrebbe dovuto dire a Bellamy?
Mille domande tempestarono il suo cervello impedendole di rilassare ogni nervo teso.
Si portò distrattamente gli indumenti al naso, erano impregnati dell’odore di Bellamy, dei loro corpi sudati.
Sorrise di nuovo, nonostante continuasse a cercare spiegazioni razionali, non riusciva a convincersi che fosse potuto accadere davvero invece doveva cercare di far ordine in quella situazione velocemente, se solo Bell fosse stato accanto a lei in quel momento.
Sentì il campanello suonare, accompagnato da un vociare in lontananza, e adesso chi era ancora?
Si vestì in fretta piuttosto scombussolata da quel risveglio solitario che non era stato affatto utile ad assimilare i sentimenti provati la scorsa notte che ancora sembravano galleggiarle nel petto.
   
 
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