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Autore: rossella0806    06/12/2016    2 recensioni
E' vero che la vita toglie sempre qualcosa per poi restituire con gli interessi?
E' quello che pensa Lara, una ragazza di ventitré anni, che studia Lingue a Milano ed è nata due volte.
Quattro anni prima, infatti, era stata rinvenuta esanime nella camera del convitto in cui si era trasferita dopo la fine delle superiori; l'incidente misterioso che l'ha vista coinvolta non è mai stato chiarito, costringendola a rimanere in coma per tre mesi.
Quando si sveglia, un giorno di fine aprile, non ricorda nulla, sa solo che deve riprendere in mano la sua vita e, per farlo, dovrà impiegare tutta la forza e la caparbietà che nemmeno lei sapeva di possedere.
La riabilitazione nel reparto di Neurochirurgia durerà un altro mese, ma alla fine ne uscirà vittoriosa e più determinata che mai, anche grazie all'aiuto del dottor Cavani, l'uomo a cui deve la sua stessa vita, e di cui si innamorerà perdutamente.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga ed in salita.
Riuscirà Lara ad affrontarla?
P.S. Il titolo della storia è un omaggio al film (tratto dall'omonimo libro) di Boris Pasternak "Il dottor Zivago", un autentico capolavoro che vi consiglio di vedere!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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If you were here beside me
[…]
I’d tell you that I loved you before I ever
knew you
‘cause I loved the simple thought of you
[…]
There’s so much this hurt can teach us
both,
There’s distance and there’s silence, your
words have never left me,
they’re the prayer that I say every day

(Snow Patrol, “New York”, 2011)


Quattro giorni dopo le mie confessioni ad Alessia, mi incontrai con lui.
Stesso posto, stesso orario, stessa camera.
Era un venerdì incredibilmente afoso, facevo persino fatica a parlare e a muovermi, talmente il livello di umidità era insopportabile.
Avevamo appena finito di fare l'amore, e adesso lui si era alzato per spalancare la finestra socchiusa.
Erano quattro settimane, ormai, che quell'albergo era diventato il nostro piacevole ritrovo, e continuava a conquistarmi sempre di più.
Mi guardai attorno, accarezzando con lo sguardo il lampadario, l'armadio, lo scrittoio con la TV, persino le sedie e la poltroncina rivestite di velluto blu, il tutto adagiato sul parquet, fino a soffermarmi sui due grandi quadri di Van Gogh.
Il primo raffigurava "La stanza di Arles", e tappezzava quasi interamente la parete di fronte al letto; l'altro, invece, riproduceva "La notte stellata", ed era stato appeso proprio sopra il baldacchino rosso che proteggeva i nostri corpi ancora mezzi nudi.
“Mi piacciono molto queste stampe” considerai ad alta voce, mentre mi mettevo a sedere.
Lui tornò indietro, il torso nudo e i pantaloni non allacciati sui piedi scalzi, ma non disse nulla, nemmeno mi guardò.
“Che cos'hai? È per via di questo caldo?”
Mi avvicinai, l'accappatoio indosso che mi ero messa dopo la doccia, e gli accarezzai una guancia, cercando di sorridergli e di capire l'origine di quell'improvviso silenzio.
A dirla tutta, era da quando era arrivato che sembrava strano, ma non avevo insistito per sapere il motivo di un comportamento tanto diverso dal solito.
“Se ti ho fatto qualcosa, non credi che dovrei saperlo?!” sbottai forse esageratamente, dopo l’ennesima assenza di risposta.
Era sovrumano reprimere il moto di stizza che avvertivo salirmi fino all’esofago e che mi faceva prudere le mani: ma per quale ragione si ostinava a rintanarsi in quel dannato mutismo?! Cosa stava succedendo tra di noi? Che cosa gli avevo fatto di così terribile da indurlo a non rivolgermi nemmeno una semplice sillaba o una banale parola?!
Avevo di nuovo davanti la sua schiena, e questo fatto che non si girasse a guardarmi mi stava dando davvero sui nervi.
Ripercorsi velocemente con la mente le ore precedenti, persino l'ultima settimana che non ci eravamo visti, ma non mi sovveniva alcuna spiegazione degna di una logica a me ignota.
“Tu non mi hai fatto niente, Lara, non mi hai mai fatto niente se non del bene…”
Perché temevo che quelle parole celassero una terribile notizia? Perché aveva quel tono basso e, seppure si fosse finalmente voltato verso di me, mi stava fissando con quegli occhi d'ambra insolitamente sofferenti?
“E allora per quale motivo ti comporti così?! Dammi un motivo, una spiegazione che mi aiuti a capirti!”
“Lei...”
“Lei chi?”
“Lei è incinta di quasi quattro mesi. Dovrebbe essere una bambina, cioè, è una bambina”.
Aprii la bocca in una smorfia di smarrimento, retrocedendo verso il letto.
All'improvviso, sentii mancarmi l'aria, la testa mi girava e nelle orecchie continuava a rimbombarmi quell’assurda frase.
Non ci potevo credere, non volevo crederci… era un incubo, forse avevo capito male, forse si riferiva a qualche altra donna…
“Lara, ascoltami, io l'ho saputo il giorno dopo che sono tornato da Marsiglia: ti giuro che prima non sapevo nulla! Era da due anni che insisteva per avere un figlio, ma non ci riuscivamo. Per questo me lo ha tenuto nascosto fino ad allora… perdonami”
Tentò di sfiorarmi il braccio, ma io lo respinsi.
Mi misi invece a sedere sul letto, stordita, nervosa, vergognandomi di tutto questo.
Avevo pensato che, con la mia sola presenza, ogni cosa sarebbe cambiata, ne ero pazzamente convinta.
Credevo che quello che ci aveva legati sarebbe bastato a superare le difficoltà, le differenze che ci univano e, allo stesso tempo, ci dividevano.
Per l'ennesima volta, avevo fatto la figura della stupida, perché io ero una stupida, una poco di buono, una persona senza un briciolo di cervello!
L’occhio mi cadde sull’orologio in argento e oro bianco, con il quadrante tempestato di minuscoli Swarovski e il cinturino intrecciato a nido d’ape, simbolo dell’amore che avrebbe dovuto unirci per sempre.
Inconsciamente, avrei voluto prenderlo e scaraventarlo contro il muro, contro di lui, calpestarlo per poi gettarlo dalla finestra: tuttavia, una strana forza mi inchiodava la mano sulle ginocchia nude, mentre l’accappatoio scivolava dalle spalle.
In quelle ultime due settimane non aveva fatto altro che ingannarmi, cercandomi e parlandomi come se nulla fosse accaduto, desiderandomi e coprendomi di baci e carezze con la stessa sensualità e trasporto che lo avevano contraddistinto fin dal primissimo istante.
“Dimmi qualcosa, ti prego…” mi supplicò con voce strozzata, in piedi davanti a me.
Non riuscivo più a trattenere le lacrime, ma mi imposi di ricacciarle indietro: non volevo dargli alcuna soddisfazione, non potevo mostrarmi ulteriormente debole e succube.
“Ti faccio i miei migliori auguri. Spero possiate essere felici”
Cercai di alzarmi e di andare in bagno per rinfrescarmi il viso, però lui mi bloccò il polso con un movimento repentino.
“Lara, aspetta, io non so cosa fare, so solo che non voglio perderti”
Quella frase così comune ebbe l’unico effetto di farmi ribollire ancora di più: era come la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, come l’insana curiosità di Pandora che aveva scoperchiato il prezioso contenitore donatole da Zeus.
In breve, gli riversai addosso tutta la mia delusione, gridandogli contro senza riserve.
“Forse adesso è troppo tardi, non credi?! Quello che mi fa più male, che non riesco a sopportare, è che ho atteso di stare con te per quattro interminabili anni! Per tutto questo tempo, ho pensato solo a te, ho immaginato e voluto solamente te! Quando quel mercoledì ti ho rivisto, ho capito che per me non era cambiato nulla, che non avevo mai smesso di amarti, nonostante la lontananza, nonostante le nostre vite così diverse, nonostante ci fosse lei! Non mi importava nemmeno di fare la parte dell'amante, pensa che sentimentale! E non mi interessava cosa avrebbero potuto dire o pensare gli altri, perché io ero sicura del mio amore! E adesso non lo so più! Giuro che se tu me lo chiedessi, io non esiterei a rimanere, anche se ho paura di te, ho paura di lei! Adesso ci sarà sempre qualcosa che vi unirà, qualcuno di cui dovrete prendervi cura, della cui esistenza deciderete insieme! Ti avrà sempre in pugno e, quando vedrai tua figlia, penserai che avevo ragione!”
Ripresi fiato, passandomi nervosamente le mani tra i capelli, orgogliosa di non aver pianto, sebbene la voce fosse incrinata dall'emozione.
“Allora resta, semplicemente resta…”
Lasciai che mi attirasse a sé, accennando solamente ad una lieve resistenza, poi desistetti e mi lasciai abbracciare.
Lo odiavo, odiavo l'altra, odiavo persino quella bambina non ancora nata.
In quel momento, però, la verità era che non sapevo neppure io cosa realmente provassi.
Rabbia? Frustrazione? Delusione? Amarezza? Perdita?
Era tutto questo e molto altro. Era la fine di un sogno. Era la fine del mio sogno.


Nei due giorni successivi al nostro disastroso incontro, evitai accuratamente di rispondergli.
I suoi messaggi e le sue telefonate si accumularono nella memoria del mio cellulare come la posta nella buca delle lettere quando si parte per una lunga vacanza, senza prima premurarsi di affidare le chiavi a qualche parente.
Non ero ancora pronta per affrontarlo: avevo timore di cedere alle sue richieste, proprio come quel venerdì nero in cui alla fine mi lasciai convincere a fermarmi un'altra ora in quella stanza d'albergo, nel silenzio di quel letto che mi appariva immenso e privo di qualsiasi significato.
Rimasi seduta per un tempo che mi parve infinito, poi mi sdraiai, mentre lui non accennava a smuoversi dalla finestra lasciata aperta.  
Non andammo a cenare, sarebbe stata una scelta di cattivo gusto, oltre ad essere completamente insensata.
E poi, avevo bisogno di riflettere, dovevo capire cosa sarebbe cambiato tra di noi.
Tutto, mi spronava a rispondere una voce interiore, ma non ne ero completamente convinta.
Insomma, l'amore per una donna è diversissimo da quello per un figlio, e mai e poi mai, per nessuna ragione, gli avrei imposto di scegliere tra me e la bambina, ma tra me e lei, beh, quello sì.
Sapevo che avrei dovuto aspettare ancora molto tempo, però mi consolavo dicendomi che ormai ero diventata la Regina dell'attesa.
Iniziò così un periodo fatto di congetture e di notti insonni, passate a rigirarmi nel letto e a fissare il soffitto senza trovare una via di uscita.
Piangevo, mi mordevo le labbra e stringevo i pugni come se volessi picchiare qualcuno.
Ascoltavo l’mp3 con il solo intento di stordirmi, ma non riuscivo a concentrarmi oltre la prima o la seconda canzone, quindi lo spegnevo e lo gettavo stizzita sul comodino, riprendendo a piangere e a tormentarmi.
Avrà i suoi occhi? O magari il suo stesso naso e il suo sorriso così dolce. Che nome sceglieranno?
E se non nascesse? Se lei perdesse la piccola?
Era un pensiero orribile, lo so, ma non privo di una logica, almeno per me.
La verità era che io lo amavo, e l'unica cosa davvero importante era non perderlo.
Trascorsi le mie giornate a vagare per il centro, entrando in decine di negozi e ad uscirne dopo nemmeno due minuti per un profondo senso di oppressione che temevo finisse per schiacciarmi.
Domenica sera, poco prima delle otto, ero ancora sdraiata sul letto della mia camera, la porta finestra spalancata e il sole ormai oltre la linea dell’orizzonte: avvertii la vibrazione del cellulare, fin troppo simile ad una spada che mi trafiggeva il petto.
Inizialmente lo ignorai, poi fissai il telefono come se avesse potuto aprirsi da un momento all’altro e liberare il Genio della lampada che avrebbe esaudito i miei desideri.
Dopo qualche secondo di esitazione, mi decisi a mettermi seduta e ad afferrare lo strumento elettronico con riluttanza e ansia, leggendo l’ennesima delle sue chiamate andate perse.
Sospirai e chiusi gli occhi, ma alla fine optai per rispondere almeno agli SMS.
Forse è meglio che non ci vediamo per un po’, tanto più che tra due settimane partirai per le ferie.
Lui mi scrisse dopo nemmeno un minuto.
Se è questo che desideri, rispetterò la tua decisione, ma non lasciare che tra di noi finisca. Non lo sopporterei, amore mio. E poi, prima che parta, abbiamo ancora tempo per vederci.
Mi grattai la punta del naso e sospirai, travolta dal solito vortice di passione che mi provocava anche il suo più vago segnale.
Perché dovremmo incontrarci? Adesso tu hai altro a cui pensare. E stai tranquillo che anch'io non ho alcuna intenzione di perderti. Se sarà necessario e se tu lo vorrai, lotterò per te.
Sentii un rumore nel corridoio del convitto, quindi troncai la conversazione: aspettavo che tornasse Alessia per metterla al corrente di quello che era successo, dal momento che prima avevo dovuto metabolizzare in autonomia ciò di cui ero venuta a conoscenza.
Ora devo andare a cena. Buona serata.
La risposta non attardò ad arrivare.
Ti amo. Un abbraccio ed un bacio al mio piccolo angelo.
Non mi soffermai più di tanto a leggere le sue parole, sebbene fino a pochi giorni prima mi avrebbero fatto saltare di gioia.
Dovevo cominciare ad abituarmi a stargli lontana, a non far dipendere più le mie giornate dalla sua presenza, fisica o virtuale che fosse.

   
 
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