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Autore: ValeryJackson    06/12/2016    1 recensioni
[Seguito de La Pietra dei Sogni]
Dicono che non ci è dato scegliere la cornice del nostro destino, ma che siamo noi a decidere cosa mettervici dentro.
Skyler, però, non è affatto d'accordo. A diciassette anni si è ritrovata al centro di una profezia millenaria dettata dalle Parche, e non sa come venirne a capo.
Gli dèi hanno nominato lei, Michael, John ed Emma come i prescelti; custodi di doni che potrebbero salvare o peggiorare le sorti del Campo. E loro non possono tirarsi indietro.
Perché Prometeo è in agguato, deciso a tornare. Ma la figlia di Efesto non è sicura di essere pronta a fronteggiarlo.
Lui le ha rubato il fuoco, strappandole con la forza qualcosa di cui ora sente inspiegabilmente la mancanza, e lei avverte il peso di tutte le responsabilità che incombono su di lei.
Attraverso amori, dolori, amicizie, litigi, lacrime, promesse, delusioni e alleanze del tutto impensate, la ragazza dovrà ritrovare nel profondo della propria anima le fiamme che ha in sé, e prepararsi per la battaglia.
Perché Prometeo le ha già portato via tutto ciò per cui vale la pena vivere.
Ed ora è pronto a toglierle anche ciò per cui vale la pena morire.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Le labbra di Matthew si incurvarono all’insù, in un ghigno ironico e sadico.
La mora sentì le ginocchia cedere. Lui era lì, di fronte a lei, a scrutarla con quella sua aria di superiorità. E questo poteva significare soltanto una cosa.
Prometeo era tornato.
E stavolta, anche fisicamente.
 
Skyler avrebbe tanto voluto avere la forza di scappare. O di tenere testa alle avversità. O meglio ancora, di chiedere aiuto.
Ma chissà per quale arcano motivo, non era mai stata brava a fare la scelta giusta.
Il titano sostenne il suo sguardo consapevole della sua fragilità. Si era presentato di nuovo con le sembianze di un diciottenne.
Magari perché sapeva quanto ciò la rendesse vulnerabile. In fin dei conti, si era fidata davvero di quella persona.
Aveva creduto in lui; aveva creduto a tutte le bugie che le aveva raccontato. E in un modo o nell’altro, vedere quel volto non faceva altro che ricordarle quanto fosse stata ingenua e stupida.
Come aveva fatto ad entrate, tra l’altro?
I confini erano protetti da una barriera magica. E consapevoli che questo non l’avrebbe comunque fermato, Chirone e la Signora Gunvor avevano raddoppiato la sicurezza – assicurandosi che nessuno avesse accesso al Campo senza che loro lo venissero a sapere.
Dov’erano, adesso? Dov’erano tutti?
Era di nuovo sola contro di lui, si rese conto con un groppo in gola.
E Matt dovette accorgersi di come il suo viso fosse sbiancato, dato che abbozzò un sorrisetto sghembo, inarcando le sopracciglia piantagrane.
«Sorpresa?» domandò retorico.
«C-C…» balbettò lei, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce. «Come…»
«Come faccio ad essere qui?» la precedette il moro, facendo spallucce. «Beh, dolcezza, dopo tutto questo tempo dovresti aver capito che ho i miei assi nella manica.»
Detto ciò, si azzardò a fare un passo verso di lei; ed inconsciamente, la figlia di Efesto ne fece a sua volta uno indietro. Si portò una mano al petto, lì dove poggiava la sua spada ora sotto forma di collana.
«Che cosa vuoi da me?»
Prometeo fece scivolare i suoi occhi verdi su di lei, continuando a mantenere quel suo irritante cipiglio indecifrabile.
«Il rosso ti dona molto, sai?» si complimentò, ignorando bellamente il suo quesito. «Risalta il tuo incarnato. Suppongo sia proprio il tuo colore.»
«So che ti sto solo immaginando» eruppe allora la ragazza, chiudendo gli occhi e stringendo il ciondolo azzurro nel pugno. «Questo è solo un'altra delle tue stupide illusioni. Ti diverti così tanto a giocare con la mia mente che…»
«Mi spiace contraddirti» la interruppe sfrontatamente lui, con un cenno della mano. «Ma purtroppo per te, questa volta non è così. Sono davvero qui, Skyler.» Dopo di ché allargò le braccia, avanzando lentamente verso di lei. «Non sei felice?»
La giovane indietreggiò a tal punto che ben presto si ritrovò con le spalle alla parete, la schiena premuta contro di essa quasi potesse affondarvici dentro e scomparire.
Matthew approfittò di quella situazione per pararlesi davanti, posando i palmi sul muro a sua volta, proprio ai lati delle spalle di lei.
«Ti sono mancato, mh?» la provocò, con tono basso e roco. Ma non appena fece per sfiorarle il viso con la punta delle dita, la mora fece uno scatto repentino con la testa, sfuggendo bruscamente al quel tocco indesiderato.
«Non mi toccare» sibilò a denti stretti.
Però invece di intendere quelle parole come un avvertimento, il titano ne parve divertito – tant’è che ridacchiò sommessamente.
«Uuh…» la prese in giro, con un verso di scherno.
Fu sorprendente la rapidità con cui i suoi lineamenti cambiarono smorfia, passando da un sogghigno ironico ad uno sguardo penetrante e tagliente. Chiuse le dita sul braccio della figlia di Efesto con così tanta forza che quest’ultima non ebbe neanche il tempo di opporsi.
«Credi di essere nella posizione di sollevare minacce?» soffiò, quasi fosse sconvolto dalla sua sfacciataggine. «Tu sei sotto il mio controllo. Ti ho in pugno, Ragazza in Fiamme» le ricordò, fingendo un sorriso innocente. «Non trovi anche tu? Mila Arnold. Elvi Petterson. Emily Bulter.» Contò quei nomi su ogni dito della mano sinistra, come a volerne sottolineare lo spessore.
Skyler non avrebbe mai potuto dimenticarli. Quelli erano i tre ragazzi vittime degli indovinelli di quell'assassino.
Coloro che avevano perso la vita per un sacrificio del quale non conoscevano neppure il motivo.
«Il tuo amichetto Michael è stato intelligente» continuò Matt, imperterrito. «Ha capito il mio schema prima che io potessi prendermi ancora gioco di voi. Ma pensi davvero che questo basterà a fermarmi?»
Si chinò verso di lei, avvicinando talmente tanto il volto al suo che le narici della ragazza furono invase dalla sua pungente acqua di colonia. «Ben tre morti, piccola. Non sono un po’ troppi?»
La mora tentò di divincolarsi dalla presa sul suo bicipite, invano.
«E tutti a causa tua» le fece notare sadico lui.
«No…» La voce di Skyler si incrinò a quel sussurro, mentre sentiva gli occhi ardere per via delle imminenti lacrime.
«Quante vite mi costringerai ancora a sacrificare, prima di capire che è solo una quella che voglio?» La provocò dunque Prometeo, sfiorandole la guancia con le labbra con fare voluttuoso. «Tu sei mia, Ragazza in Fiamme. Il tuo fuoco mi appartiene, e non esiste modo in cui tu possa sfuggirmi. Ti è stata già rivelata la profezia, no?»
A quella domanda, la giovane non replicò, stringendo gli occhi e soffocando un singulto.
Matthew si lasciò andare ad un ghigno soddisfatto. «Oh, certo che sì» constatò, alquanto compiaciuto. «Allora saprai anche che nulla mi fermerà dall’ottenere ciò che mi spetta. Il mio messaggio è stato chiaro» continuò poi, afferrandole il mento per costringerla violentemente a guardarlo negli occhi.
Soffiò sulle sue labbra tremanti quelle parole, mentre lo stomaco di lei si contorceva per la paura ed il disgusto.
«Sto vedendo a prenderti. Questa non era altro che una battaglia in confronto alla guerra che sta per cominciare.»
La figlia di Efesto era sicura di poter svenire da un momento all’altro. Fu pervasa da delle moleste vertigini che le diedero il capogiro, e la nausea provata dalla vicinanza con il corpo di quel mostro di certo non era d’aiuto.
Qual era il suo scopo? Che cosa aveva intenzione di fare?
Era già palese di cosa fosse in grado. Ma se ciò che aveva visto fino ad allora non fosse che una minima parte delle tragedie che avrebbe potuto compiere?
Chi sarebbero state le prossime vittime? I suoi parenti? I suoi amici?
Michael, forse?
Perché solo ora si rendeva conto di quante persone si trovassero a rischio solo affinché lei continuasse a vivere ancora per un po’?
«Non rispondi?» inarcò un sopracciglio il moro, prendendosi gioco della sua evidente vulnerabilità. «Sei spaventata?»
Ma la sua voce arrivava ovattata ai timpani di lei, quasi fosse intrappolata in una bolla che non riusciva a far scoppiare. Tutto intorno a lei girava, in un vortice stomachevole dove il suo più grande nemico era anche l’unico punto nella stanza a restare fermo.
In altre circostanze si sarebbe convinta che fosse tutta un’illusione di Prometeo, che tentava di destabilizzarla. Ma purtroppo nell’ultimo periodo era stata vittima di troppi attacchi di panico per non accorgersi di quando stava per averne uno.
«Ti ho già spiegato che mi nutro della tua paura, no?» mormorò sommessamente il ragazzo, toccando con il pollice il suo labbro inferiore, con fare lussurioso. «Io vivo grazie al tuo terrore. Ciò che temi tu è anche ciò che alimenta me. E devo ammettere di essere leggermente affamato.»
Le sue dita le afferrarono con prepotenza il collo, mentre il respirio della mora diventava sempre più irregolare.
«Coraggio, fiammella mia» la invitò, lascivo. «Urla per me. Fammi sentire quanto può essere potente il grido di una persona in preda al panico.»
I suoi occhi persero qualsiasi tonalità di verde, per essere sostituiti da due iridi dorate. Le stesse che l’avevano guardata prima di provare a toglierle la vita.
Le stesse che continuavano a tormentarla ogni notte, insinuandosi negli angoli più reconditi della sua mente.
«Che aspetti?» sbraitò lui, e la figlia di Efesto si sentì definitivamente soffocare. «Fallo. Urla, Skyler» insistette di nuovo, prima di trasformare quella frase in un ordine.
«Urla!»
E stavolta, lei lo fece davvero.
Si lasciò andare a quel grido che fino a quel momento aveva serbato in un angolo recondito del proprio cuore. Lasciò fluire in esso tutta la propria paura, e il tormento, e quella sensazione d’inadeguatezza che ormai faceva parte di lei.
Urlò così forte che le sue corde vocali presero a dolerle; talmente tanto, che persino Matthew barcollò all’indietro, stupito.
Per un attimo, la vista della ragazza si tinse di un rosso intenso, ed ebbe l’impressione che la sua pelle stesse involontariamente prendendo fuoco. Incontrò gli occhi flavi del moro, fissi su di lei in un’espressione di pura perplessità.
Dopo di ché – quasi nello stesso istante – lui si piegò su sé stesso, afferrandosi la testa in un lamento strozzato, e lei fu colpita da una lancinante fitta alla cassa toracica.
Si portò una mano al petto, accasciandosi contro il muro e sentendo i battiti accelerare sempre di più – fino all’inverosimile.
Che si trattasse di un attacco di panico le era ben chiaro… ma non era mai stato tanto devastante.
Non riusciva letteralmente a respirare; e per quanto si sforzasse di fare qualche affannoso respiro, ogni suo tentativo sembrava vano.
La stanza intorno a lei prese a vorticare vertiginosamente, fino a farle perdere il senso dell’equilibrio. Cadde sulle ginocchia, mentre la minaccia indispettita di Prometeo arrivava ai suoi timpani solo come un’eco distante.
Era andato via, dissolvendosi in un lampo di luce con la stessa velocità con la quale era sbucato fuori. Ma ora Skyler non si trovava nelle condizioni giuste per pensarci.
Faceva sempre più fatica a riempire a sufficienza i polmoni. Dei violenti brividi le correvano per tutto il corpo, e aveva perso qualsiasi sensibilità di braccia e gambe.
La sua retina fu d’improvviso invasa da dei puntini neri, che rendevano il mettere a fuoco ulteriormente più difficile.
Quel dolore straziante tra le sue costole non diminuiva neppure di un po'.
Doveva aggrapparsi a qualcosa e stringerla con quanta più forza potesse, ma purtroppo in quella stanza non c’erano altro che lei e il suo malessere infrenabile.
Che cosa le stava succedendo? Perché questa volta quell’attacco sembrava non volersi dissolvere più?
Qualcuno entrò dalla porta, esclamando a gran voce il suo nome. Ma la figlia di Efesto non capì chi fosse finché i lineamenti di Michael non entrarono nel suo campo visivo.
Avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene; di stare tranquillo, e che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Ma riusciva a malapena a mettere insieme quei pensieri nella propria testa, figuriamoci a dar loro suono.
«Skyler!» la chiamò allarmato il figlio di Poseidone, chinandosi immediatamente accanto a lei e sollevandole il busto dal pavimento. La strinse tra le braccia, afferrandole il volto con una mano per costringerla a guardarlo.
«Skyler, sono qui. È tutto okay» la rassicurò, una palese tensione ad incrinargli la voce. «Aiuto! Qualcuno vada a chiamare aiuto!» strillò, nella speranza che qualcuno gli desse retta. «Presto! Chiamate Chirone!»
In altre circostanze, la mora avrebbe notato il piccolo gruppetto che osservava la scena dalla soglia, o che in seguito all’ordine del ragazzo alcuni di quei giovani si fossero affrettati per andare dal centauro.
Ma il tutto le appariva così distante, che le sembrava quasi che la sua mente e la sua anima non condividessero più lo stesso corpo.
Con il respiro sempre più irregolare, aveva iniziato a sudare freddo e a tremare convulsamente contro il petto del giovane semidio.
«Oh miei dei» fu l’unico mormorio impaurito che riuscì ad udire.
Era di Melanie. Anche lei si era inginocchiata al suo fianco.
«Skyler, guardami. Non mi mollare» le intimò Michael, che poté giurare di non essersi mai sentito tanto impotente in vita sua. «Che cos’ha?» domandò poi alla bionda, in una richiesta disperata di soccorso. «Che cosa le sta succedendo?»
«Ha un attacco di panico» la tranquillità con la quale quella gli rispose sorprese anche la stessa figlia di Demetra.
«Dov’è John?» sbraitò allora il figlio di Poseidone, furioso. «Fallo venire qui. Lui saprà cosa fare. Lui sa sempre cosa fare! Digli… fallo….»
«Deve stringere con forza qualcosa» lo interruppe quindi la ragazza, tentando di mantenere a propria volta la calma.
«EH?»
«Me l’ha spiegato una volta John. È un metodo efficace. Funziona. Facciamole stringere qualcosa.» Ma lanciandosi una rapida occhiata tutt’intorno, i due giovani si resero conto che non vi era nulla a cui la mora potesse aggrapparsi.
Melanie inspirò dunque a fondo, afferrandole una mano e sporgendosi verso di lei.
«D’accordo, Skyler. Ora voglio che tu ti concentri. Fa forza sulla mia mano.» Ma inizialmente, tutto ciò che percepì fu una debole pressione. «Coraggio, Skyler. Concentrati. Focalizzati sulla mia voce, d’accordo?»
La figlia di Efesto strizzò le palpebre, digrignando i denti ed impegnandosi nel controllare il proprio respiro.
«Adesso conterò fino a dieci secondi, durante i quali tu dovrai stritolare la mia mano più forte che puoi.» Lanciò di sfuggita un’occhiata al moro, che la supplicò con lo sguardo di andare avanti, se fosse servito realmente a qualcosa.
«Okay. Pronta. Uno, due, tre, quattro…»
Skyler strinse a tal punto le dita della bionda da sentirle scrocchiare dentro il suo palmo.
«Cinque, sei…»
Quei numeri erano scanditi in modo lento e regolare, e la mora cercava di far coincidere quel ritmo costante con i propri profondi e faticosi respiri.
«Sette, otto…»
Melanie non mollò la presa, e di questo la ragazza gliene fu grata. Non la lasciò andare neppure quando la mora sentì di farle davvero male.
«Nove…»
I battiti del suo cuore stavano gradualmente rallentando. La vista tornava a farsi più nitida.
«Dieci.»
Skyler si accasciò sfinita contro il petto di Michael, e le braccia le scivolarono inerti lungo i fianchi, sul pavimento. Al di là della fronte imperlata e il fiato grosso, sentì di aver ripreso pieno possesso del proprio corpo.
Il figlio di Poseidone l’accostò dolcemente a sé, passandole le dita tra i capelli sudati e baciandole protettivo il capo.
«Va tutto bene» le sussurrò, mentre lei continuava a tremargli tra le braccia. «È tutto finito. Va tutto bene.»
La figlia di Demetra buttò fuori tutta l’aria che per l’ansia aveva trattenuto, chiudendo gli occhi in un gesto sollevato.
«Va tutto bene» continuò ad assicurare il moro alla figlia di Efesto.
E nonostante avesse tanto voluto credergli, la giovane sapeva che non c’era proprio nulla – in tutta quella situazione – che potesse anche solo minimamente avvicinarsi all’andare bene.
 
Ω Ω Ω
 
Skyler ci aveva messo un po’ prima di calmarsi abbastanza da fare mente locale e rendersi conto di ciò che era successo.
Gli occhi dei presenti fissi su di lei la facevano sentire impotente; quasi nuda.
Quello che aveva avuto non era altro che uno degli innumerevoli attacchi di panico di cui era vittima da un anno a quella parte, eppure questa volta era stato devastante.
Non era riuscita a fermarlo da sola, come aveva sempre fatto. Ne era stata sopraffatta, e questo era soltanto l’ennesima dimostrazione di quanto fosse diventata debole.
Si era accorta delle calde lacrime che le bagnavano le guance solo quando aveva percepito un sapore salato in bocca, e Michael le aveva posato una mano dietro la nuca – facendole nascondere il viso nella sua camicia e rassicurandola che fosse tutto okay.
«La porto nella sua Cabina» l’aveva udito mormorare a Melanie, di modo che solo la bionda potesse ascoltarlo. «Cerca John, e digli di raggiungerci lì. Ma non far venire nessun altro.»
«In realtà lui sta…» La figlia di Demetra aveva esitato, titubante. Poi aveva emesso un breve sospiro. «Non so se potrà correre da voi.»
«Beh, se lo vedi, digli lo stesso dove trovarci.»
A quelle ultime parole la giovane aveva annuito, chinando tristemente il capo. Il figlio di Poseidone non aveva neanche perso tempo ad indagare su che fine l’amico avesse fatto.
Al contrario, si era limitato a passare un braccio nell’incavo delle ginocchia della mora, sollevandola da terra e conducendola fuori da quella stanza. L’aveva tenuta stretta al proprio petto per tutto il tragitto, e la figlia di Efesto si era rifiutata di aprire gli occhi – troppo spaventata da ciò che si sarebbe potuta ritrovare davanti.
Eccola lì, di nuovo vinta dall’astuzia di Prometeo. Piccola, fragile, indifesa.
Un ingranaggio arrugginito inserito nella macchina sbagliata.
Aveva mantenuto un tale silenzio fino ad allora, che per un attimo Michael credette che si fosse addormentata.
Varcò con cautela la soglia della Casa Nove, assicurandosi che al suo interno non vi fosse nessuno. Dopo di ché, evitò di accendere le luci, lasciandosi guidare dal fioco bagliore dei raggi lunari che filtravano tra le persiane.
Raggiunto il letto della ragazza, ve la adagiò con una delicatezza disarmante, quasi temesse che anche il minimo movimento brusco potesse ferirla. Quando però fece per alzarsi e rimboccarle le coperte, lei lo trattenne per la camicia.
«Ti prego, non mi lasciare» lo supplicò, e il suo tono disperato non lo fece dubitare neanche per un secondo.
Si sdraiò con accortezza accanto a lei, tirando le coperte su entrambi e sistemandosi su un fianco, in modo tale che i loro visi fossero l’uno di fronte all’altro.
Fu solo a quel punto che la giovane sollevò finalmente le palpebre. Aveva le iridi rosse di pianto; e tirò su col naso non appena lui le accarezzò con l’indice il profilo della mascella.
«Mi dispiace» si scusò in un sussurro strozzato.
Il figlio di Poseidone abbozzò un tenero sorriso. «Non preoccuparti.»
«Avrei dovuto dirtelo» continuò imperterrita Skyler, con voce tremante. «Continuo a rovinare sempre tutto, e invece avrei dovuto… a-avrei…»
«Ehi» la interruppe con premura il moro, cercando si incontrare il suo sguardo. «Ne parliamo domani, d’accordo? Abbiamo avuto tutti un brutto quarto d’ora.»
La figlia di Efesto non aveva mai saputo resistere a quelle iridi del colore del mare. Così gentili, e limpide, e vive. In quell’istante erano di un intenso blu scuro, e non avevano nulla di diverso dal modo in cui l’avevano sembra guardata.
A farle brillare non c’era rancore, o delusione, o amarezza. C’era solo puro amore.
Non poteva continuare a dirgli altre bugie. Non capiva come Michael facesse a non odiarla, ma sapeva di dovergli molto di più delle proprie scuse.
«Ho iniziato ad averli circa un anno fa» ammise, con tono basso. «Dopo che mi sono risvegliata dal coma… beh, sono arrivati più o meno insieme agli incubi di Prometeo. Sognavo lui, e l’attimo dopo mi svegliavo di soprassalto, e non riuscivo a respirare. E le pareti della stanza sembravano volermi soffocare. Era orribile.»
Si concesse una breve pausa, prima di proseguire. Il ragazzo pendeva dalle sue labbra in un religioso silenzio, attento a qualsiasi suono fosse emesso dalle sue corde vocali.
«All’inizio pensavo fosse normale. Ma poi è capitato ancora. E ancora. E ancora. Così ho fatto le mie ricerche su internet.» Deglutì, vergognandosi della propria accidia. «Ho giurato a me stessa di non rivelarlo a nessuno finché non avessi capito come fare a controllarlo. Ma tu non sei ‘nessuno’. E non hai idea di quanto mi senta in colpa per averti tagliato fuori un’altra volta.»
Lì per lì, il non replicare di Michael le fece temere di aver perso completamente la sua fiducia, con quella confessione.
Lui le squadrò il volto, un’espressione indecifrabile a stirargli la faccia. Poi allungò una mano, spostandole una ciocca di capelli dalla fronte ed attorcigliandosela attorno al dito.
Skyler si rese conto di aver trattenuto il fiato solo in quell’istante, mentre lui si mordeva l’interno della guancia.
«Tutti commettiamo degli errori» le fece notare, con fare pacato. «E so che questo ti fa rabbia, Sky. E so che sei convinta di farne più degli altri, ma… non è così. Sei fin troppo combattiva, considerate tutte le responsabilità che hai. Per non parlare poi di quelle che neanche volevi.»
Le pulì una lacrima dallo zigomo con il pollice. «Il tuo spirito animale era azzeccato, sai? Tu sei un leone» le ricordò. «Un leone che però crede ancora di potercela fare senza il resto del branco. Ma la verità è che nessuno può sopravvivere da solo. Prima o poi imparerai a confidare negli altri tanto quanto gli altri confidano in te.»
«Quando?»
«Con i tuoi tempi» la tranquillizzò lui, con un’alzata di spalle. «Non c’è fretta. Ma posso assicurarti che – per quanto mi riguarda – abbiamo già fatto passi da gigante.»
La ragazza avrebbe tanto voluto aprirsi in un sorriso, ma purtroppo non ci riuscì. Ripensò a quello che era accaduto; a come tutto sarebbe andato diversamente, se ci fosse stato qualcuno con lei.
E non poté fare a meno di chiedersi se fosse stato meglio o peggio.
«Lui era lì, Michael» confessò, rabbrividendo al solo pensiero.
Il moro parve perplesso. «Intendi…»
«Intendo lì lì. In carne ed ossa. Davanti a me. Mi ha minacciata, e mi ha toccata, ed era troppo vero per poter essere un sogno.»
Dalla sua espressione, le fu palese quanto il figlio di Poseidone si stesse sforzando di non crederci. Non voleva crederci. Anche se sapeva che non avrebbe comunque potuto fare nulla, contro il titano, un moto di rabbia gli incendiava il petto all’idea che lui avesse osato sfiorare la figlia di Efesto.
Il suo primo istinto fu quello di esplodere, di fiondarsi fuori dal letto e di mettersi alla disperata ricerca di quel figlio di Era. Ma tutta la sua furia scemò nel momento in cui incontrò le iridi screziare d’oro di lei – che lo guardavano in preda alla solitudine e ad un disperato bisogno di conforto.
«Okay, senti» esordì, spostandosi sul materasso così da potersi accostare di più alla giovane. Quando le posò un palmo contro la guancia, i loro nasi erano tanto vicini da scontrarsi.
«So bene di non essere invincibile. E che ci sono moltissimi combattenti migliori di me. E che non sono il massimo, come eroe. Ma ti prometto che non permetterò mai a nessuno di toccare la mia ragazza.» Si incatenò a lei con il proprio sguardo intenso, deciso.
«Io so proteggerti» affermò, senza timore.
«Non posso chiederti di farlo.»
«Non c’è bisogno che tu me lo chieda. È quello che farò, perché è così che deve andare. Indipendentemente dall’eventualità che ci lasciamo, o che uno dei due se ne vada, o che l’universo ci remi contro» dichiarò. «Ti proteggerò, perché so che quello è il mio destino.»
La mora tirò nuovamente su col naso, con amarezza. «E qual è invece il mio, di destino?»
Michael si strinse nelle spalle ingenuamente, prima si attestare: «Essere il nostro leader.»
Skyler rimase atterrita nell’udire quelle parole.
Leader. Proprio come era stato predetto dalla profezia.
Dopo aver sentito quella frase, divenne molto più difficile sostenere quegli occhi blu senza che il senso di colpa la logorasse dall’interno.
Lo stava facendo ancora: non riusciva a raccontargli tutta la verità.
Perché non gli diceva ciò che le Parche avevano predetto? Cosa ci avrebbe risolto, se lui comunque avrebbe dovuto scoprirlo lo stesso, prima o poi?
Michael non meritava le sue menzogne. E lei non meritava un tale rispetto da parte sua.
Non meritava il rispetto di nessuno, ad essere sinceri. Non meritava di essere il loro punto di riferimento.
Non lei, che non era più neanche certa di che aspetto avesse un punto, figuriamoci se sapesse come guidare una massa di semidei.
Il figlio di Poseidone dovette interpretare il suo mutismo come una stanchezza emotiva dovuta all’onere che le era stato affibbiato – non potendo minimamente immaginare che invece fosse dato solo dall’eccessiva colpevolezza che l’affliggeva.
«Vieni qui» le intimò infatti, sollevando un braccio e permettendole di nascondere il viso nell’incavo del suo collo, per poi posarle un dolcissimo bacio sulla fronte. La strinse a sé, sperando che percepisse in quell’abbraccio tutta la protezione che lui era seriamente pronto a darle.
E Skyler non poté fare a meno di sentirsi al sicuro, accoccolata tra le sue braccia. E pregò gli dei affinché la facessero restare così per sempre, in quello stato di quiete in cui tutto il resto pareva dissolversi introno a loro – lasciando spazio solo al calore del loro amore.
«Ti amo» le sussurrò piano lui, prima di posare un casto ma intenso bacio sulle sue labbra.
La figlia di Efesto sospirò, chiudendo gli occhi per assaporare appieno quell’istante.
«Ti amo anch’io.»
 
Ω Ω Ω
 
Skyler non aveva idea di dove si trovasse, per il semplice motivo che intorno a lei era tutto, inesorabilmente, dannatamente buio.
C’era un unico occhio di bue, ed era puntato su di lei.
La ragazza si guardò intorno, sconcertata. Doveva tentare di mantenere il controllo, perché se era uno dei suoi soliti sogni, sapeva sia che era tutto frutto della propria immaginazione, sia che stava per succedere qualcosa di terrificante.
È opera di Prometeo, pensò, facendo dei grandi respiri.
Come desideroso di dare una conferma a tutti i suoi dubbi, un suono fendette l’aria, riecheggiando in quella che ora aveva tutta l’aria di essere una stanza. Una stanza molto piccola.
Ma non era il solito suono. Non era una risata, malefica e capace di farle accapponare la pelle.
No.
Quello era un grido.
Un grido di dolore.

Arrivò all’orecchie di Skyler con un fischio così acuto che la giovane temette che da un momento all’altro il suo cervello potesse scoppiare.
Solo quando il grido si ripeté, Skyler riconobbe quella voce.
«Mamma?» mormorò, senza fiato. Sgranò gli occhi, e un altro urlo esplose alle sue spalle.
Skyler si voltò di scatto. «Zio!» esclamò.
Che stava succedendo? Perché tutte le persone a cui voleva bene stavano urlando di dolore?
Le stavano torturando?
Skyler provò a muoversi, nella speranza di correre verso l’origine di quella richiesta di aiuto. Ma le sue gambe non risposero al cervello.
Era come bloccata; intrappolata in quel dannatissimo occhio di bue.

Altri lamenti si susseguirono, straziati.
«Michael!» urlò. Si guardò intorno freneticamente, sforzandosi di muovere qualche passo. «Zio! Michael!» Le risposero solo altre strilla lancinanti.
Di suo zio, di Michael, di Emma, di John, di sua madre, di Leo.
Arrivarono ad accalcarsi, lacerandole i timpani.

Non è reale, si ripeté, in preda al panico. Tutto questo non è reale, è solo un’illusione.
Ma se non era reale, allora che cos’era? Un altro scherzo meschino di Prometeo? Se si, come faceva a riprodurre quelle urla così bene, in modo così realistico?
Non avrà mica…
Cercò di restare avvinghiata alla propria sanità mentale, ma la cosa divenne più difficile, quando quel coro di orrore perfettamente orchestrato si fece più forte, più intenso, tant’è che ora non passava neanche un secondo senza che quelle grida fendessero l’aria.
Cadde in ginocchio, tormentata. Ormai evitarle era impossibile. Si accucciò a terra, premendosi le mani sulle orecchie con così tanta forza che avrebbe potuto benissimo rompersi il cranio.
Ma loro non se ne andavano. Erano ancora lì, riusciva a sentirle.
E fu a quel punto che temette che non sarebbero svanite più.

Iniziò a singhiozzare, scossa dai brividi. «No…» mormorò, con voce incerta, mentre i suoi occhi si strizzavano e il cervello le sanguinava di dolore.
La gola le bruciava tremendamente. «No» esclamò, stavolta con più forza. Scosse violentemente la testa, rifiutandosi di aprire gli occhi. «No. No! No!»
Ci fu una grossa esplosione. E non nel senso che la terra tremò e il soffitto raggiunse la terra.
No.

L’occhio di bue si espanse, ricoprendo tutto introno a lei di una luce abbagliante. Le grida cessarono immediatamente.
Skyler era ancora accucciata a terra, tremante, le mani sulle orecchie e gli occhi chiusi.
Quando si accorse che intorno a lei c’era solo silenzio, però, focalizzò i pensieri.
Lentamente, schiuse le palpebre e si tolse i palmi dalle orecchie, guardandosi intorno.
Lo scenario era cambiato.
Era in un laboratorio, o almeno così le sembrava. Grossi tavoli erano ricoperti di torni per metallo, seghe da banco, attrezzi. C’erano molte più cose di quanto le fucine della Casa Nove avrebbero potuto contenere.
Skyler si guardò intorno, basita. Faceva caldo, lì. E dov’erano finite le grida?
Si alzò in piedi, circospetta, e quando alzò lo sguardo, per poco non le venne un infarto.
«Mamma mia!» esclamò, sobbalzando.
Davanti a lei c’era l’uomo più grosso e malandato che avesse mai visto.
Era robusto, con braccia forti e possenti, e mani piene di calli. Indossava una tuta da lavoro tutta sporca, ma era stato il suo viso a spaventarla. Quell’uomo aveva una barba incolta, arruffata e sporca d’olio. Le sopracciglia erano così folte da coprirgli quasi tutto il volto, che, tra l’altro, era bitorzoluto e coperto di lividi, come se fosse stato pestato più volte, e poi ripestato di nuovo.
L’uomo la guardò, ghignando sotto la barba. Poteva sembrare Babbo Natale. Un Babbo Natale brutto e sporco, ma pur sempre Babbo Natale.
Ok, forse un po’ più muscoloso. Ma il suo sguardo era gentile.

«Papà mio, figliola» la corresse l’uomo. «Dovresti conoscere la differenza.»
Skyler aggrottò la fronte, squadrandolo dall’alto in basso. «Efesto?»
Il dio allargò le braccia, sorridente. «In persona.»
La mora fu scioccata. «M-ma…ma… ma come hai… perché hai… dove…» balbettò.
«Oh, scusa per quell’incubo di prima» disse il dio, buttando una mano in aria con noncuranza. «Morfeo non è riuscito a connettermi in tempo. Avrei voluto interromperlo, davvero, ma quel tizio è troppo forte.»
La semidea aprì la bocca per replicare, ma inizialmente non ne uscì alcun suono, così la richiuse.
Efesto fece un passo avanti, squadrandola dolcemente; poi sospirò. «Mi dispiace» mormorò.
Skyler abbozzò un sorriso. «Non preoccuparti, non è colpa tua. Lui lo fa di continuo. Ormai ci sono…»
«No, non per quello» la interruppe il dio del fuoco. «Io… è colpa mia, lo so. L’ho sempre saputo.»
La ragazza corrucciò le sopracciglia, confusa. «Che vuoi dire?»
Lui sospirò. «Tu non dovresti essere mai nata.»
Quell’affermazione fu come uno schiaffo in faccia.
Skyler era indignata. Suo padre — il potente dio del fuoco che non si era mai fatto vivo per diciassette anni — le appariva ora in sogno per dirle che non era contento della sua nascita?
Era pronta a replicare, ma lui la precedette.

«Tua madre lo sapeva, ma non ha voluto rinunciare.»
Alla mora mancò il fiato. «Che cosa centra mia madre?»
Efesto incrociò le braccia al petto, sospirando. «Credo che non ti abbiano raccontato tutta la storia.»
Skyler esitò. Beh, le avevano raccontato molte cose. Della profezia, del piano del titano; e poi ancora della guerra imminente, e del suo dono.
Ma dalla sua espressione capì che forse il dio non stava alludendo a nulla di tutto ciò.

Davanti al suo sconcerto, Efesto sorrise. «Ti sei mai chiesta perché Prometeo ha puntato proprio te?»
La giovane decise che non avrebbe fatto di nuovo scena muta. «Beh, io… lui ha… ha detto che voleva impadronirsi del mio fuoco» ciangottò. «Anche se non so esattamente cosa questo voglia dire.»
Lui annuì mestamente. «Ora te lo racconto io» disse. Si diresse verso uno sgabello lì vicino e, dopo essersi seduto, si voltò a guardarla.
In quel momento, Skyler si rese conto di quanto in realtà fosse vecchio. Aveva un’espressione vissuta, stanca, e, a differenza di tutti gli altri dei, portava sulle spalle tutti i suoi anni come se fossero un peso troppo grande da sopportare.
Quando iniziò a raccontare, la sua voce era segnata dal tempo.
«Iniziò tutto quando le Parche scrissero quell’assurda profezia» spiegò. «Noi… sapevamo che era una cosa insensata. Noi dei dell’Olimpo, intendo. Avevamo affrontato migliaia di mostri, durante gli anni, e i semidei ci erano sempre stati accanto. Vedi, all’inizio eravamo molto più egoisti, e qui non si parlava di noi. C’era in gioco la sopravvivenza dei nostri figli, non la nostra. Insomma, diciamocelo, noi procreiamo ogni anno. Un figlio in più, un figlio in meno, non fa differenza. Per questo, quando l’Oracolo predisse la caduta dell’Olimpo per mano del figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, ci siamo preoccupati di quello, e la profezia delle Parche é stata dimenticata. Ma non da me.»
Schioccò la lingua.
«Quando conobbi tua madre, ne rimasi estasiato. Lei… lei era bellissima, ed io non ho potuto fare a meno di innamorarmi. Non so se te l’ha mai detto, ma rimase incinta di te dopo soli sei mesi.» Fece un sorriso malinconico. «Quando nascesti, però, c’era qualcosa che non andava. Qualcosa di sbagliato. Tu eri… diversa dagli altri miei figli; io riuscivo a sentirlo.
«Quando ti portarono per la prima volta da tua madre, i medici dissero che non ce l’avresti fatta. “Ha il cuore troppo debole” dicevano. “Non reggerebbe lo sforzo”. Tua madre era distrutta. Quella sera andai da lei, per consolarla, ma quando arrivai all’ospedale, quest’ultimo non c’era più. E al suo posto, solo fiamme.
«Tua madre ti stringeva fra le braccia, in un impeto di protezione; ma a dispetto di tutti i presenti, lei non era spaventata. E tu non piangevi come tutti i bambini. Quando mi vide, fece una cosa che non mi sarei mai aspettato. Sorrise. “È stata lei” mi disse, orgogliosa. “La fiamma è partita dal suo cuore”. Ma anche se lei era felice, io sapevo cosa questo poteva significare.

«Le spiegai tutto. Le spiegai che quell’avvenimento non era un buon segno; le dissi che facevi parte di un disegno più grande di te, ma lei non volle ascoltarmi. “È mia figlia” continuava a ripetere. “Io non la lascio”. Lei sapeva che tenerti con sé non era la cosa giusta da fare, eppure faceva finta di niente.
«Ti crebbe, proprio come vengono cresciuti tutti i semidei normali: con tanto amore e all’oscuro del mondo divino. Ma io ti osservavo, e sapevo che qualcosa c'era non andava. Il tuo cuore, il tuo spirito, il tuo potere… stavano diventando troppo potenti!»

Alzò lo sguardo verso Skyler, gli occhi coperti da un velo di tristezza.
La ragazza era rimasta in silenzio fino ad allora. Non aveva osato parlare, troppo destabilizzata ed incuriosita da quella storia per trovare il coraggio di interromperlo.
Efesto irrigidì la mascella. «Così ho fatto ciò che era necessario.»
La giovane aggrottò la fronte, intuendo dal suo tono che si trattasse di qualcosa di grave. «C-Che cosa hai fatto?»
Il dio abbassò quindi lo sguardo, cpon fare pentito. Non riusciva a guardarla negli occhi, e questo non prometteva nulla di buono.
«Quando avevi sette anni» mormorò mestamente lui. «Ho bruciato l’officina.»
Skyler si sentì mancare la terra sotto i piedi. Barcollò all’indietro, come se qualcuno le avesse appena tirato un pugno nello stomaco. «Tu…» disse sommessamente, incredula.
«Era necessario» continuò il dio. «Per te e per tutti quanti.»
«Tu!» Skyler sentiva gli occhi bruciare. «L’hai uccisa!» strepitò. Si portò alla bocca una mano tremante, singhiozzando disperata.
Sua madre. La dolce, innocente madre...
«Perché?»

Efesto digrignò i denti, tanto che lei riuscì a vedere i muscoli della sua mascella contrarsi. «Sai perché il tuo potere continuava ad accrescere, Skyler?» le chiese, ma la ragazza non aveva le forze di rispondergli.
«Il fuoco!» sbottò lui, buttando le braccia al cielo. «Tu generavi fuoco! E non come Leo, che sembra un prototipo di torcia umana. No! Tu avevi il fuoco dentro, Skyler. Nel cuore.» Si passò una mano fra gli sporchi capelli. «È per questo che non sei morta, come i medici avevano detto. Il fuoco ti ha salvata, capisci? Viveva dentro di te. Avevi questa cosa qui — questa fiammella — che bruciava nel tuo petto e ti teneva in vita.
«Ti stava salvando, è vero. Ma ti stava anche distruggendo. Perché semmai avessi usato quella fiamma con troppa forza e troppo a lungo, si sarebbe consumata; e a quel punto il tuo cuore non avrebbe davvero retto lo sforzo.»
Si sfregò la faccia con le mani, il senso di colpa ad inasprirgli i lineamenti. «Dovevo fare qualcosa. Dovevo fartelo temere, in modo che ogni volta che l’avresti visto ti saresti spaventata a tal punto da non volerne più sapere.»

Skyler non sapeva se essere arrabbiata o sconvolta. «È per questo che l’hai uccisa?» esclamò, con le lacrime agli occhi. «Solo per farmi avere paura del fuoco?»
Efesto incontrò il suo sguardo, prima di ribattere. «Lei lo sapeva» disse.
Notando lo sconcerto di lei, lo ripeté.
«Lei lo sapeva. Non l’avrei mai uccisa, figliola! Sono un dio, non un serial killer. No, io… le ho detto di uscire, di salvarsi, ma lei si è opposta. Lei lo sapeva.»
«Che cosa sapeva?»
«Che non ce l’avrebbe fatta.»
Quando gli occhi di Skyler si sgranarono, il dio capì di non poter più tornare indietro. Si stropicciò le palpebre con il pollice e l’indice.
«Skyler, tua madre aveva un tumore al cervello» mormorò. «Lei… sarebbe morta di lì a poco. Sarebbe morta comunque.»
La semidea non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Cosa?» sussurrò, con un filo di voce tremante.
«Aveva capito che quella era la cosa giusta da fare per te. Non ti è… non ti è mai sembrato strano il fatto che lei avesse già scritto un testamento a soli trent’anni?» domandò il dio.
In effetti, non ci aveva mai pensato.
«Skyler, lei sapeva già di dover morire. Ma sapeva anche che se fosse deceduta in un letto d’ospedale, i tuoi nonni avrebbero fatto di tutto per ottenere la tua tutela, senza leggere neanche il suo testamento. Però non era questo che tua madre voleva. Lei voleva che tu stessi con tuo zio, Ben. Lui era l’unico in grado di poterti allenare. Un giorno, quando lei era ancora incinta, lui le aveva promesso che si sarebbe preso cura di te. E lei era sicura che l’avrebbe fatto.
«Tuo zio ti ha insegnato a lottare. E ad essere forte, e a non arrenderti mai. Era questo che tua madre gli aveva chiesto di fare. Per questo, quando le dissi di lasciare l’officina in fiamme, lei mi rispose che lo stava facendo per te. Ti stava dando tutto ciò che altrimenti non avresti mai avuto. Un buon addestramento, una casa, e l’amore sigillato da una promessa che non poteva essere spezzata.» Efesto la guardò nelle iridi scure, sorridendole dolcemente. «L’ha fatto per te.»

Skyler era incapace di credere a ciò che stava udendo. Tutte quelle informazioni si accavallavano nella sua mente come troppi fogli in una stanza durante un uragano.
Si accasciò a terra, abbracciandosi le ginocchia mentre si sforzava con tutta sé stesa di non piangere.
Suo padre la guardò per un po’, in silenzio. Dopo di che sospirò. «Sai… sai qual è stata l’ultima cosa che mi ha sussurrato tua madre, prima di morire?»
La giovane non aveva le energie sufficienti a rispondere, ma riuscì a scuotere la testa.
Efesto abbozzò un sorriso malinconico. «“Abbi cura di lei”» citò, con nostalgia. «“Perché non ha idea di che cosa è in grado di fare”.»
Skyler alzò lo sguardo, per incontrare quello del padre; ma lui lo teneva basso, mentre fissava il pavimento.
«Ci ho provato, sai?» le disse il dio del fuoco. «Ho sempre vegliato su di te. Quando a dieci anni il tuo scuolabus ha avuto quell’incidente stradale. Quando a tredici stavi per essere investita da quella macchina. Io c’ero sempre, e ho provato a proteggerti.»
Per un motivo che neanche a lei era chiaro, la ragazza sorrise. «Lo so» sussurrò.
Ed era vero. Skyler aveva sempre avuto il sentore di avere un angelo custode.
Aveva sempre pensato che si trattasse della madre; e invece ora scopriva che per tutto quel tempo era stato il padre a difenderla dalle avversità.

Il dio la guardò. «Tua madre aveva ragione» disse. «Non hai idea di ciò di cui sei capace. Ma ti conviene scoprirlo presto.»
La mora corrucciò le sopracciglia. «E come?»
Efesto ghignò. «Sai, mi rendo conto di non aver ancora risposto alla prima domanda» rammentò. «Perché Prometeo ce l’ha tanto con te?»
Lei fece spallucce, al ché lui si riassestò sulla sedia, con fare solenne. «Prometeo è il titano dell’umanità, della preveggenza. Sa sempre ciò che accadrà un minuto prima che questo realmente accada. Lui pensa di sapere tutto. Ma non è così. È accecato dal proprio ego, dalla propria sete di progresso. Tanto da non rendersi conto dei propri errori. L’ho incatenato io stesso, quando rubò il fuoco di Pandora.» Grugnì. «Quel fuoco… Che cosa non avrebbe fatto per quel fuoco. Ha sopportato anni di torture e dolore. Si è fatto infliggere ferite mortali, notte dopo notte. Credevamo tutti che fosse amico dell’umanità, ma la sai una cosa? Gli uomini non hanno mai visto neanche una scintilla di quella fiammella. E gli dei non l’hanno più trovato.»
Skyler aggrottò la fronte, pensierosa. «E che fine ha fatto?»
Il volto di Efesto si incupì. «Ce l’ha lui, ovvio.»
«Cosa? L’ha nascosto?»
«E ha rubato anche il suo potere.»
Skyler si strinse le ginocchia al petto. «Ma se sapete la verità, perché non l’avete mai ripreso?»
«Non potevamo. Prometeo aveva occultato il fuoco dentro di sé, per questo è in grado di generarlo. Non avremmo modo di liberarlo dal suo corpo, e poi non ha mai rappresentato un problema per cui gli dei dovevano scomodarsi.»
La ragazza scosse la testa, incredula. «Beh, adesso invece è un bel problema, non credi?»
Efesto fece spallucce. «Non per noi. Questa guerra non ci riguarda, te l’ho detto.»
Skyler sentì un moto di rabbia corroderle la bocca dello stomaco. Era infuriata — con gli dei, ma soprattutto con suo padre. «E che cosa dovremmo fare, secondo te? Se è immortale, come lo battiamo?»
«Come lo batti, vorrai dire» la corresse lui. E quando lei aggrottò la fronte. Il dio sospirò. «Questa guerra dipende solo da te, Skyler.»
«In… in che senso?» balbettò la ragazza.
Efesto si alzò dalla sedia e le andò incontro, con passi misurati. «Vuoi sapere perché Prometeo ce l’ha con te?» le chiese per l'ultima volta. Skyler annuì. «Lui ti vuole, Skyler. Lui vuole il tuo fuoco. Lo vuole, perché è diverso da quello degli altri.»
La guardò negli occhi, con un velo di tristezza.
«Il tuo fuoco non viene dalle tue vene, o dal tuo corpo. Il tuo fuoco viene direttamente dal tuo cuore. Per questo è tanto potente. E per questo, se vuole diventare invincibile, Prometeo ha bisogno di averlo.» Si inginocchiò di fronte a lei. «Il tuo fuoco è speciale, Skyler, e anche pericoloso. Forse troppo. Ti mantiene in vita, è vero, ma è anche in grado di ucciderti.»
Skyler trattenne il fiato. «Per questo quando lui stava per portarmelo via, ero in fin di vita. Mi stava uccidendo?»
Efesto abbassò lo sguardo. «Senza di lui, saresti morta. Ma lo saresti anche se lo sfrutti per troppo tempo. Sai, a volte dobbiamo compiere delle scelte, nella vita, che non ci piacciono, ma che sono necessarie.» Si mise in piedi, pulendosi i pantaloni, con il solo risultato di sporcarli di più. «Farle spetta a te. Ma sta attenta. Deve essere quella giusta, perché avrai solo una possibilità.»
La semidea gli squadrò il vlto con le sue iridi scure, e lui le sorrise. Poi, parve ricordarsi di una cosa.
«Ah! Quasi dimenticavo» esclamò, schioccando le dita. Andò verso uno dei tavoli ed iniziò a frugare fra le varie carte e i bulloni. «Oh, ma dove l’ho messo?» imprecò, facendo ancora più disordine, mentre Skyler lo osservava con un sopracciglio inarcato.
«Eccola!» esultò infine, entusiasta. Si voltò verso di lei, con un'espressione raggiante. «Ecco, tieni» le disse, facendole cadere qualcosa nel palmo della mano.
«È un Peridot.» spiegò. «La pietra della vita. Si dice che aiuti a rinforzarla, alleviando la paura.» Le sorrise. «Non so, potrebbe essere un buon portafortuna.»
Skyler osservò la pietra che aveva fra le mani. Era piccola, di uno strano verde limone, e sembrava essere stata appena lavorata con cura. Se la portò davanti al viso per studiarla.
Un portafortuna, aveva detto il padre? Proprio come gli spiriti indiani dello zio Ben. Sogghignò. «Sì, conosco il genere» mormorò. Poi sollevò lo sguardo, incontrando quello allo stesso tempo burbero e dolce del padre.
«Grazie, papà» disse, con un sorriso appena accennato.
Gesto che Efesto non tardò a ricambiare.
«Ora devi andare» le intimò, a malincuore. «E ricordati ciò che ti ho detto. La scelta dipende solo da te, ed hai una sola possibilità.»
Skyler si alzò di scatto la testa, colta alla sprovvista. «Come andare? Aspetta! Dimmi che cosa posso fare per fermarlo!»
«Le somigli così tanto» mormorò invece il dio, ammirandola. «Tua madre sarebbe stata fiera di te.»
La sua immagine cominciò a sfocare. Ma la ragazza non era ancora pronta a svegliarsi nella sua stanza. «Aspetta!» esclamò, balzando in piedi. «Dimmi almeno che scelta!»
Ma Efesto non le rispose. I suoi contorni diventarono sempre più indistinti, mentre i suoi colori si fondevano con quelli degli oggetti nella stanza.
Skyler stava per riformulare di nuovo quel quesito, pronta ad urlarlo a gran voce.
Ma prima che potesse riuscirci, fu inghiottita da una profonda oscurità.

Angolo Scrittrice.
Okay, gente. Eccomi di nuovo qui, dopo un mese esatto. 
Speravate di non vedermi più? Beh, mi dispiace per voi, ma so essere davvero fastidiosa, quando voglio.
Dunque, che dire di questo capitolo?
Innanzi tutto, parliamo di
Michael e Skyler, e di come il loro rapporto maturi ogni giorno di più — anche se continuano ad esserci alcune cose non dette, tra loro.
Finalmente il figlio di Poseidone viene a sapere degli attacchi di panico di lei, e vi anticipo già che questo sarà un elemento fondamentale nella crescita del loro rapporto.
Le giura poi una cosa molto romantica, e cioè che farà tutto ciò che è in suo potere, pur di proteggerla. 
Ma la parte più importante di tutte è sicuramente quella del sogno, che... beh, si spiega un po' da solo, non trovate? Finalmente ecco le risposte a tutte quelle domande che fino ad ora erano state lasciate in sospeso.
Ma non voglio essere io a commentarlo, stavolta. Sono curiosa di sentire le vostre opinioni.
Mi sono resa conto che lo scorso capitolo non vi ha entusiasmato molto, e da un lato lo capisco. Ma spero vivamente che questo qui abbia stimolato la vostra curiosità, e che abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate — o se approvate la piega che sta prendendo questa storia. 
Ringrazio col cuore
Amy_demigod per aver lasciato un commento l'ultima volta. 
In attesa di vostri pareri, vi auguro una buona lettura e vi ringrazio con tutta l'anima per essere arrivati fino a qui.
Sempre vostra,

ValeryJackson

 
  
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