SWIMMING TALE
CAPITOLO TRE
“Romeo e il box doccia
#3”
Partiamo dal fatto che la
Nyst ha un nome e noi manco quello.
New York City Swimming
Team: un nome imponente, capace di farti vedere i brividi al suo
solo sussurro. Quando senti una bestia di nome del genere non puoi
che pensare a quanto siano forti i suoi membri e a che livelli sia
quella squadra delle meraviglie, sia come individui che come insieme.
Gli occhi diventano lucidi dall'armonia di queste cinque parole
accostate, una sinfonia si diffonde nell'aria e tutto sembra più
rosa e bello.
Poi ci siamo noi.
In genere siamo “quelli che
nuotano dell'Andrew College”, “gli inutili alla società”, “i
tipi che puzzano di cloro” o “ah si! Sono quelli che vanno in
giro in mutande!”
Questo non rende di certo tutto più bello e
rosa, né tanto meno diffonde una sinfonia nell'aria. L'unico suono
che si sente sono le risate di chi ascolta e i commenti che non fanno
altro che denigrare noi e quello che facciamo, ma ormai devo
ammettere che ci sono abituato: sono quasi cinque anni che si viaggia
a questo ritmo anche se grazie a noi la vetrina dei trofei può
vantare un argento e un oro alle nazionali scolastiche - ottenuti il
primo e il secondo anno con Kyle in squadra. Sulla questione dei nomi
abbiamo provato a discuterne tante volte, ma ormai ci siamo
rassegnati. Noi un nome non l'avevamo nemmeno agli inizi, nemmeno
quando Kyle era ancora a Detroit e nemmeno quando in giro c'erano i
gruppi che si davano nomi strafighi del tipo “gli squartatori”,
“gli uragani fiammanti” e “i demolitori di record”. Noi
restavamo semplicemente quelli inutili alla società anche se
tentavamo nomi pazzeschi, quindi dopo un po' abbiamo gettato la
spugna. Perfino il nostro gruppo su Whatsapp non ha nome, se cerco la
nostra chat devo ricordami di digitare “senza nome” nel motore di
ricerca.
Ma questa è solo una delle infinite differenze tra la
Nyst e... be', noi. I Senza nome.
Perché vi sto dicendo questo?,
vi chiederete.
Il fatto è che la squadra titolare della Nyst è
esattamente di fronte a noi, uno stile corrispondente all'altro in
parallelo. Questa è stata un'idea di Babbo Natale: non di Muller,
non mia, non nostra, non di qualcuno con un po' di sale in zucca.
Semplicemente di quella mente bacata di Harper che, alle nove di
mattina, se n'è uscito con: “Organizziamo un torneo per
conoscerci!”
L'unica uguaglianza tra queste due squadre è il
numero di titolari - che in merito a staffette è standard, quindi mi
sento un reietto in ogni caso. Di fronte a me, con solo la felpa
aperta e il costume sponsorizzato dalla NYC Swimming Team, Kyle Adair
si appresta a difendere lo stile dorso contro di me. Di fronte a lui,
con il costume di Spongebob e diciotto anni buttati nel cesso, ci
sono io.
Alla mia destra, per lo stile libero, abbiamo la
riccissima e già in ansia Percy che, con sguardo di sfida, tiene
fissato il suo rivale. Quest'ultimo è uno spilungone di non so
quanti chilometri dal forte accento norvegese, i capelli platinati
non più lunghi di un centimetro e gli occhi chiari, una massa
muscolare che supera di netto la mia e quella di Aydin messe insieme
e un sorriso da “cosa-vuoi-fare-contro-di-me-microbo”. Durante le
presentazioni avvenute poco fa, con un vocione talmente basso da aver
risuonato nel mio timpano, ha detto di chiamarsi Dominik Hansen e di
avere diciannove anni. E fidatevi, ad un mostro di quelle dimensioni
minimo minimo gliene avreste dati ventisei.
Passando avanti
abbiamo il settore dello stile farfalla, detto anche delfino: per i
Senza nome c'è l'agguerrita Iris, per la Nyst un ragazzo che a
vederlo non gli si darebbe nemmeno un centesimo. Vorrei dire che è
addirittura più basso di me, muscolatura delle spalle e delle gambe
su cui c'è ancora molto da lavorare, postura da idiota, capelli e
occhi scuri e un che di ebete. Ha detto di avere diciassette anni -
il che lo rende il più piccolo tra di noi, provenienza italiana e il
suo posto nella squadra di New York grazie alle sue posizioni sempre
nei primi tre posti nei tempi di tutta Italia. Non so quanto potrò
andare d'accordo con questo Nico Casadei, prevedo già una forte
antipatia nei suoi confronti e la tendenza a volerlo accidentalmente
colpire con dei tubi di spugna nello stile di Xavier.
Per lo
stile rana infine per la Nyst abbiamo Quentin Reynolds, canadese di
origini come me e un quasi ridicolo accento francese reso americano
nelle peggiore delle maniere. Non sembra tanto pericoloso, ha una
zazzera di capelli castani che non finisce più e gli occhi
tremendamente verdi - quel verde che non definirei molto “smeraldo”
ma più che altro “melma”. A quanto ho capito è il più grande
della squadra con il primato della doppia decina, vanta di diverse
medaglie d'oro nel suo stile e purtroppo anche nel mio.
Così la
Nyst è messa a confronto con noi, loro con tutti i costumi e borse
varie sponsorizzate e noi con i costumi di Spongebob e lo zaino con
cui andavamo ad educazione fisica fino all'anno scorso - e qui
possiamo deliziarci con Spiderman, Minnie e via dicendo. Non c'è
storia, diciamocelo. Loro concorrono nei gironi nazionali e ambiscono
alle Olimpiadi, è giusto che abbiano forse una marcia in più
rispetto a noi che semplicemente alleniamo la squadra del college, ma
magari qui sarebbe gradito avere almeno le docce regolabili (nel caso
veniste a farci visita: la doccia 3 e la 6 fanno solo acqua fredda,
la 1 e la 2 calda da ustione, la 4 e la 5 sono inutilizzabili). Per
non parlare degli allenatori e dei preparatori tecnici: in breve, da
noi non esistono. Per i miei quattro anni di superiori sono stato
allenato dalla figlia di Muller accompagnata dal padre, entrambi
tabula rasa se si tratta di nuoto. Più che altro ci sorvegliavano e
noi ci allenavamo secondo chi aveva più esperienza e poteva aiutare
gli altri, di fatto quelli che potevano essere considerati allenatori
eravamo io e una ragazza che ha mollato dopo due anni.
– Siamo
tutti pronti? – Babbo Natale batte le mani facendo risuonare lo
schianto per tutta la piscina vuota, sorridendoci poi in modo
inquietante uno ad uno. – Partono i due capitani?
Io e Kyle ci
lanciamo un'occhiata veloce, non aggiungiamo niente e raggiungiamo i
blocchi di partenza. In effetti sono un po' agitato: in due anni lui
non è mai riuscito a battere i miei tempi, ma probabilmente le cose
sono cambiate parecchio; del resto avendo un'altra squadra da
allenare non ho più potuto preoccuparmi molto dei miei allenamenti
mentre Kyle si allena tutti i giorni per un tot di ore che non mi
immagino nemmeno. Così entro in acqua con un leggero tuffo per poi
attaccarmi ai blocchi per la partenza subacquea, è da un bel po' che
non ne provo una come nemmeno una virata fatta bene. Sebbene siano
quattordici anni che pratico questo sport ho ancora paura di poter
morire annegato in una piscina di un metro e novanta al massimo.
Abbasso gli occhialini sul naso, sistemo la cuffia e respiro: è
come un rito, il respiro riesce a calmarmi e per un secondo riesco a
sentire l'acqua. Sento il rumore, il suo tatto e la sua presenza. C'è
chi pensa di doverla combattere, come Kyle, e c'è chi pensa di
doversela fare amica, come me; questo è sempre stato un invalicabile
muro tra di noi. Gli lancio un veloce sguardo, nella corsia a fianco
alla mia lui sta finendo di riscaldare le spalle e si prepara alla
partenza. Si immerge, mi sorride velocemente e poi ritorna
concentrato.
Nel caso dovessi fallire miseramente, ricordate che
ho quattro ore di sonno in corpo e lui ne ha sette.
26.7
secondi contro 30.9
Guardammo entrambi i tabelloni nello stesso
momento. Kyle si innervosì, per me era tutto nella norma: era il gennaio di quattro anni fa.
Per
quanto duramente ci provasse non riusciva mai a diminuire lo scarto
di quattro secondi dal mio tempo, vedevo la sua espressione farsi
sempre più cattiva quando si trattava di una competizione contro di
me e nonostante avessi tentato di spiegargli circa un centinaio di
volte che per me non era altro che un passatempo, lui non capiva a mi
dichiarava guerra ogni volta. Anche quel giorno, finiti gli
allenamenti, sapevo che la mia vittoria avrebbe significato ancora
più cattiveria e più nervosismo nei miei confronti. Mi ero già
rassegnato all'idea, quindi lo seguii fuori dalla vasca verso gli
spogliatoi con la testa bassa, la coda tra le gambe e pronto a subire
quella che era diventata una triste routine.
Una volta giunti
alle docce ed essere entrati in due box affiancati cercai di
sbrigarmela in fretta per evitare una parte del trattamento che mi
riservava di solito, ma appena spensi l'acqua lui scostò la sua
tendina e rivelò il solo il suo volto, chiamandomi fermamente per
nome: – Himeragi.
Mi bloccai preso dalle mie solite crisi di
parolacce che parolacce non erano ma fui comunque costretto a girarmi
verso di lui: – Sì?
– L'asciugamano.
Annuii, mi legai
l'accappatoio in vita e trenta secondi dopo fui di nuovo da lui con
l'asciugamano in mano e una paura assurda impressa in volto.
–
Un'altra cosa. – borbottò severo, coprendosi il minimo
indispensabile e uscendo pericolosamente dalla doccia. – Tu...
Lì
vidi la mia vita passarmi davanti agli occhi. La mia infanzia, il
momento in cui dissi ai miei che volevo nuotare, il momento in cui
pensai che a diciotto anni avrei voluto andarmene di casa e il
momento in cui, quattro mesi prima, era iniziato il mio inferno.
In
quell'istante però, sorprendentemente, il mio inferno cominciò ad
essere un po' meno infernale.
– Voglio che mi insegni a
nuotare.
Scoppiai giustamente a ridere.
E di gusto,
anche.
Trovavo estremamente esilarante che uno come lui avesse
avuto il coraggio di chiedere a me, dopo quattro mesi di schiavitù
forzata, ripetizioni di nuoto. Ne andava di mezzo il suo orgoglio e
la mia sanità mentale già fortemente provata, sono convinto che
anche voi vi sareste messi a ridere come se non ci fosse un domani.
Come se fosse stata la barzelletta più divertente del mondo. Come se
i vostri amici stessero discutendo sul fatto che la risposta alla
tale domanda era America o Inghilterra e tu invece andassi fiero del
tuo Guatemala.
– Cazzo ridi? – mi rimproverò immediatamente
Kyle, diventando leggermente rosso sulle guance bagnate. – Sono
serio.
– Vuoi veramente una mano? – gli chiesi, sperando di
arrivare alla fine di quel tremendo scherzo.
Kyle sbuffò, posò
la mano aperta sulla mia testa e mi spettinò i capelli bagnati,
lasciandomi indietro e raggiungendo gli spogliatoi senza dire nulla.
Capite perché era impossibile non trovare affascinante uno
stronzo del genere?
Faceva cose praticamente a caso, o forse erano
a caso solo per me, ma di certo se ne usciva in modi inconcepibili e
apparentemente messi in atto a sproposito. A volte era estremamente
prevedibile, altre una sorpresa continua. Non capivo come agire, non
capivo nemmeno quale fosse il sentimento prevalente e la giusta
maniera di approcciarmi a lui per evitare la sua ancora maggiore ira
infondata verso questo piccolo o povero freshman che apparentemente
non aveva fatto nulla di male.
– Kyle? – lo chiamai, timoroso
come un piccolo agnellino che si avvicina al lupo che si finge suo
amico. Erano poche le volte in cui ero riuscito a chiamarlo per nome,
la maggior parte delle volte lo chiamavo “ahia”, “lasciami in
pace” e “non aizzare il compasso contro di me, assassino”.
–
Sono serio. – ripeté lui a bassa voce, facendomi segno di girarmi
per potersi mettere i boxer. Così mi trovai di fronte agli
attaccapanni e a quel punto fu più facile trovare il coraggio per
parlare.
– Ad una condizione.
– Tu che imponi condizioni a
me? – rise tranquillamente, bussandomi sulla spalla per farmi
girare nuovamente. Così me lo ritrovai a due centimetri di distanza,
con i capelli gocciolanti e solo i boxer addosso. Penso che lì
stessi cominciando a rivalutare il mio già-in-dubbio orientamento
sessuale.
– Proprio così. – deglutii, mi sembrava di
commettere un peccato parlando così proprio a lui, ma sapevo che
quella era la mia unica occasione per cambiare le carte in tavola e
girare tutto a mio favore. – Devi smetterla di importunarmi.
–
“Importunarmi”. – ripeté, quasi stranito. – E cosa mai farei
per importunarti?
– Kyle! – sbottai, perdendo ogni speranza.
Non sapevo nemmeno se lo stesse facendo apposta o se si stesse
impegnando per farmi saltare i nervi. – Non puoi dirmi che non lo
fai intenzionalmente.
A quel punto sorrise di nuovo, un sorriso
che però non avevo ancora visto, quasi dispiaciuto: – Hai ragione,
hai ragione. Stavo solo scherzando.
– Evita di farlo. E' strano
se lo fai tu.
Lui alzò le mani all'aria, guardandomi male: –
Be', scusami se sono umano.
A quel punto ero indeciso se
chiedergli se ne fosse sicuro o se stesse scherzando nuovamente,
perché più che un umano lo vedevo come il mio Babau personale. Era
ovunque io speravo che lui non fosse, mi perseguitava tipo ombra e mi
faceva fare di quegli incubi che nemmeno i clown malvagi erano
riusciti a farmi avere. Volete dirmi che avrei avuto torto a chiedere
conferma sulla sua umanità?
– Lascia perdere. – borbottai,
andando verso la mia borsa. L'idea di non avere più il mio aguzzino
appresso non mi dispiaceva così tanto, ma l'idea di dovergli
insegnare a nuotare era quasi peggio.
– Avanti, Anguilla.
Dovete credermi se dico che quella era la prima volta che quel
soprannome non veniva detto con cattiveria e tra l'altro era anche la
prima volta in cui venivo pregato dal quella sottospecie di Babau dei
poveri. Sembrava un evento da calendario.
– Mi hai perseguitato
per quattro mesi. – sbottai duramente, pescando coraggio dal pozzo
che avevo sempre tenuto sigillato per paura di sbagliare ad aprire. –
Ora no. Non posso.
– Nemmeno se accetto la tua condizione?
–
Chi mi assicura che poi la rispetterai? – mi infilai in fretta i
boxer e poi levai l'accappatoio, sentendo i brividi farmi venire la
pelle d'oca per l'aria fredda che circolava in quel gennaio di
quattro anni fa. – E perché devo scendere a condizioni per farti
stare distante da me? Non ho chiesto io di avere il mio bullo
personale e credo di avere gli stessi diritti tuoi di essere libero.
Kyle assottigliò gli occhi, il mio cuore prese a battere come un
tamburo mentre lui mi arrivò vicino nel giro di qualche istante e mi
circondò il collo con la mano senza però stringere: – Stai
alzando i toni. – mi minacciò accantonando l'espressione
tranquilla che era straordinariamente riuscito a tenere fino a quel
momento.
– E continuerò a farlo. – ribattei, determinato a
vincere la mia causa. – Lasciami in pace. Adesso basta, Kyle.
La
sua presa si fece un po' più insistente, il mio cuore un po' più
agitato e la tensione un po' più pressante. Ci fissavamo come se
nessuno dei due avesse idee sul da farsi, come se fissarsi come dei
cretini per istanti interminabili fosse stata la soluzione al mio
problema.
– Per favore. – scandì allora, mantenendo la sua
facciata impassibile ma parlando in modo totalmente contrario. – Ne
ho bisogno.
– Mi stai pregando con la tua mano sulla mia
giugulare. – gli feci notare, al che lui ritirò subito il braccio
e abbassò per un attimo gli occhi in segno di scuse. – Fatti
aiutare da un allenatore vero, se ci tieni a migliorare. Io non sono
di certo più bravo di un istruttore qualificato.
– Ne ho
bisogno. – ripeté, lasciandomi perplesso.
Mi chiedevo se
pensasse che fossi sordo - come attualmente Percy fa - o se stesse
tentanto di dirmi qualcosa a cui evidentemente non arrivavo. Quel
momento era un paradosso in tutto e per tutto: io che prendevo
coraggio, lui che mi pregava, tutto intorno sembrava chiudersi e
restavamo solo noi persi in una bolla tutta nostra.
– Non sarò
io ad aiutarti. Non ho nemmeno la qualifica. – Abbassai gli occhi,
piano piano stavo perdendo tutta la foga che ero riuscito ad avere
fino a quel momento e se avessi esaurito le mie risorse sapevo che
avrei ceduto.
Così scoppiai io la nostra bolla prima che quella
potesse far scoppiare me: diedi le spalle a Kyle e ripresi a
sistemare le mie cose. Ricordo il cuore che mi batteva all'impazzata
mentre sapevo che la questione non era ancora stata archiviata e che
c'era qualcosa che Kyle non mi stava dicendo. Mi teneva fissato con
le labbra sigillate ma non accennava ad un singolo movimento,
semplicemente forse aspettava che fossi io a rendermi conto di star
sbagliando qualche calcolo nei suoi confronti. Dopo due minuti interi
di quell'andamento, però, mi girai nuovamente verso di lui per
dargli il colpo di grazia e intimargli di piantarla. Potete ben
capire che io, insulsa sirenetta anglo-giapponese dalle fragili
volontà e dal fragile equilibrio, nel cambiare direzione mi
ingarbugliai con i miei stessi piedi e finii per cadere in avanti,
investendo Kyle esattamente come in un incidente frontale.
Lui
subì il colpo alla schiena, alla nuca e al resto del retro del
corpo, mentre io trovai un morbido cuscino ad attenuare il mio
atterraggio. Peccato che quel cuscino fosse proprio il mio peggior
nemico.
– Oh Gesù. Oh Buddha. – Sgranai gli occhi, puntai le
mani a terra ma non so per quale ragione non mi alzai. Il mio corpo
aderiva perfettamente a quello di Kyle, potevo sentire ogni
scanalatura del suo fisico e con esse anche parti che, a quel tempo,
avrei volentieri evitato di sentire. – Oh Maria.
– Vuoi dire
il rosario? – mi rimproverò lui con la voce sofferente, portandosi
la mano alla fronte per massaggiarsi le tempie. – Che cazzo di
male.
– Mi dispiace. Giuro che mi dispiace. – Non sapevo
nemmeno cosa fare. Di sicuro avrei dovuto togliermi da lì, ma in
quel momento era per chissà quale strano motivo l'ultimo dei miei
pensieri. – Santo Dio.
– Se dici solo il nome di un altro
santo giuro che rubo un attrezzo da falegname di mio padre e ti
faccio a pezzi. – borbottò il ragazzo sotto di me, mugolando come
un povero cagnolino ferito.
Lo guardai per un po' negli occhi, li
trovai liquidi come al solito ma non mi fecero paura. Così presi un
respiro: – Confucio come lo consideri?
– Preferisci motosega o
seghetto a mano?
– Motosega. Più rapida. E comunque Charles
non ne sarebbe felice. – confessai, credendo per un momento di
sentirmi male per la paura che entrasse qualcuno e che Kyle potesse
veramente ammazzarmi da un momento all'altro.
– Lascia stare
mio padre. – si lamentò trattenendo visibilmente una risata. –
Sei proprio un imbecille, Himeragi.
– Lo so. – Per la prima
volta da quando mi trovavo in quella posizione pensai veramente di
dovermi alzare, così puntai le mani a terra e provai a farmi forza
per alzarmi senza fare troppo male a Kyle. Nel momento in cui ci
provai, però, lui portò le mani sui miei polsi e mi tenne saldo a
terra, fissandomi negli occhi senza mostrare alcun segno di emozione.
Lì iniziai a pensare di quale morte potevo morire per mano sua
dato che, di certo, non mi aveva tenuto sopra di lui a caso. Mi
guardavo nervosamente intorno, non aveva coltelli né altri oggetti
di quel genere nel raggio di due o tre metri, avrebbe sempre potuto
strozzarmi ma le sue mani erano impegnate. Una testata? No, poi si
sarebbe fatto male pure lui e l'impresa si sarebbe rivelata
controproducente.
Mentre pensavo alla mia probabile morte, lui si
decise finalmente a parlare: – Hai paura?
– Che tu mi uccida?
Sì.
– Addirittura? – Mi guardò quasi divertito, inarcando
entrambe le sopracciglia. – Non mi macchierei di omicidio per un
imbecille come te, probabilmente.
– Quel “probabilmente” mi
preoccupa. Posso alzarmi, ora?
– No. – Kyle riprese il suo
sguardo serio. – Dammi lezioni di nuoto.
Ormai la posizione in
cui eravamo era passata in secondo piano, era la sua insistenza a
darmi veramente fastidio in quel momento: – Ti ho già detto che
non si può fare. Questa storia è durata fin troppo, ora basta. Se
proprio ci tieni chiedilo a Persephone della classe B oppure a
quell'altro ragazzo che nuota con noi.
– Aydin Hickey? Mi
prendi in giro? – sospirò pesantemente, secondo la sua attitudine,
se avesse potuto, si sarebbe passato la mano tra i capelli
disordinati. – Voglio che mi insegni tu.
– Ma non ha senso! –
sbottai, appoggiando la fronte sul suo petto a causa del collo che
cominciava a dare fastidio per la posizione forzata. – Mi stai
usando come zerbino da quattro mesi ormai, perché vorresti avere
ancora a che fare con me? – mi morsi il labbro, indeciso se finire
o no la frase. Alla fine mi feci coraggio, comunque non lo stavo
guardando negli occhi e davanti a me avevo solo il suo petto nudo. –
Io sono stanco di te.
Se devo dire la verità, quella cosa non la
pensavo del tutto. Be', certo ero stanco dei suoi soprusi su di me,
ma se quella condizione non fosse esistita non credo mi avrebbe mai
potuto stancare lui come persona. Purtroppo però le carte in tavola
erano diverse ed io, per la prima volta, ero deciso a cambiarle.
Quando rialzai la fronte e lo guardai negli occhi, tutto
improvvisamente cambiò. La nostra bolla tornò ad avvolgerci e per
quel momento niente aveva più importanza intorno a noi.
– Di
cosa ti sei stancato? – mi chiese quasi innocentemente. – Di
pregare tutti i santi ogni volta che mi vedi? Incluso Confucio,
ovviamente.
– Anche quello. Ma credo sia chiaro di cosa io mi
sia stancato.
– Io non mi sono stancato.
– E ti credo. –
sbottai, a metà tra l'ironico disperato e il disperato ironico. Fa
molta differenza, fidatevi. – Hai la parte migliore, tu.
–
Per questo ho detto che posso accettare la tua condizione. Così
nessuno avrà da lamentarsi.
Sospirai affranto, in quella
posizione tutto risultava difficile e ancora più stremante era
guardarlo negli occhi: – Mi spieghi perché diavolo dovrei
essere...
E lì venni interrotto.
Kyle allungò il collo,
portò le mani dai miei polsi alle mie guance e mi baciò.
Potete
ben capire che farfalle e robette del genere erano nulla in confronto
a quello che potevo provare io, infimo ragazzino dai non chiari
istinti sessuali, adagiato completamente sul corpo del mio aguzzino e
specialmente con le sue labbra sulle mie. E ci sapeva fare, anche se
mi costa ammetterlo. Fino a quel momento i miei baci erano stati alle
bambine in classe con me a San Valentino che poi scappavano a
piangere dalla mamma, lasciando il mio povero cuoricino spezzato in
due. Ma almeno avevo i cioccolatini, quindi non me la passavo proprio
male.
Ma quello, oh be', quello era fuori dagli schemi.
Kyle
era fuori dagli schemi, anche io lo ero. Lo eravamo insieme, per lo
meno.
Non so nemmeno secondo quale impulso io portai le mani
sulle sue scapole e lo aiutai a mettersi seduto, ritrovandomi in
braccio a lui in una sensazione di familiarità che non ero mai
riuscito a provare con nessun altro. Sembrava tutto pieno di rose,
farfalline e di brillantini rosa: i nostri occhi socchiusi comunque
coscienti della gran cazzata che stavamo facendo, le nostre labbra
unite tra di loro e le mani che non accennavano a mollare la presa.
Sembrava tutto assurdamente perfetto quando ad un tratto un grido di
battaglia si levò dalla porta d'ingresso facendo tremare le panchine
degli spogliatoi.
– Adair! Fenwick! Quelle cose fatele in
privato, questo è un luogo pubblico e peraltro scolastico, per
Dio!
Il rettore Muller mi odia fin da allora.
Io e Kyle ci
allontanammo immediatamente, rossi fino alle punte delle orecchie.
Quando ci girammo, Muller ci fissava sconvolto e se ne andò
scuotendo la testa e borbottando qualcosa sulla gioventù confusa e
soprattutto bruciata, lasciandoci in preda ai “bene, ora che si
fa?”
In silenzio ci alzammo, mi ricordo che tremavo come una
foglia e non vedevo l'ora di rivestirmi anche se ovviamente i brividi
non erano dovuti al freddo. Nemmeno Kyle parlò ma sembrava per lo
meno più calmo di me, infatti si rivestì e se ne andò dallo
spogliatoio senza aggiungere altro. Io fissai la porta, quel bastardo
aveva veramente avuto il coraggio di andarsene dopo avermi fatto
diventare una specie di freezer umano? Imperdonabile.
Mi rivestii
in fretta, non mi asciugai nemmeno i capelli e uscii finalmente dalla
piscina. Arrivato alla mia mitica bicicletta con tre raggi in tutto
tra la ruota davanti e quella dietro mi sembrava di poter svenire da
un momento all'altro per quello che era appena successo, ma sfiorai
sul serio l'infarto quando sentii di nuovo la sua voce dietro
di me. Provai a convincermi che stavo solo impazzendo, che un
manicomio sarebbe andato bene e che quella voce non esisteva.
–
Non ignorarmi così però, Anguilla.
Ovviamente la mia
auto-ipnosi non funzionò.
– Ancora qui? – gli chiesi evitando
il suo sguardo, dovendo impegnarmi per centrare la toppa della chiave
della catena.
– Certo. Ti ho aspettato. Non mi hai sentito
quando ti chiamavo, un secondo fa?
Presi un respiro, mi girai
verso di lui e lo fronteggiai con un coraggio che non avrei mai
sperato di avere: – Cosa significava, prima? Perché l'hai
fatto?
Lui mi guardò male: – Perché volevo alzarmi ma sono
inciampato accidentalmente.
– Cosa...?
– Ma perché non lo
capisci? – Si portò la mano alla fronte, esasperato come mai
l'avevo visto essere. – Non voglio nessun altro che mi dia lezioni
di nuoto che non sia tu, nemmeno se fosse il più bravo nuotatore al
mondo. Voglio stare con te.
E fu da quel giorno che l'inferno
iniziò ad essere un po' più luminoso. Un po' più bianco, un po'
più allegro, un po' più bello. Ma ehi, sempre inferno era.
Kyle
Adair non sarebbe mai stato il ragazzo perfetto. Sarebbe sempre stato
quello che mi faceva arrabbiare per ogni cosa, quello che mi dava
appuntamento ma poi se ne dimenticava, quello che si ostinava a
minacciarmi se battevo i suoi tempi e quello che non faceva mai
quello che gli dicevo. Allo stesso tempo era l'unica persona di cui
non avrei mai potuto fare a meno. Mi fece innamorare di lui poco a
poco, passo dopo passo. Non fu tutto immediato, devo ammetterlo. E di
questo, credetemi, c'è ancora tempo per parlare.
Appena
la mia mano tocca nuovamente la parete sento i miei compagni
scoppiare in un fragoroso applauso e il mio cuore battere talmente
forte per lo sforzo da risuonare anche nelle orecchie. Sento anche il
cronometro smettere di contare e le onde che mi sbalzano di qua e di
là, appoggiare i piedi finalmente sul pavimento della vasca mi
sembra come aver raggiunto la Terra Promessa. Sono davvero messo così
male?
Non nuotavo seriamente da quasi un mese ma speravo che i
miei polmoni mi dessero il loro aiuto come se la pausa non fosse mai
stata fatta, ora come ora mi sembra che la boccata d'aria che prendo
freneticamente sia sempre l'ultima. Do un'occhiata a Kyle, lui non
sembra per niente affaticato e guarda il tabellone con un'espressione
indecifrabile. Anche se i miei occhi sono infastiditi dalle gocce che
cadono su di essi riesco comunque a focalizzare il mio sguardo sui
tempi appena conclusi e non so dire se ora vorrei ridere o
piangere.
28.8 contro 32.2
Ecco, ora mi uccide sul serio.
Sono
sicuro che non me la fa passare liscia: dopo tre anni ancora io
detengo il tempo migliore.
Questa è la mia croce.
– Hime! –
la voce di Hick mi riporta alla realtà, alzando gli occhi mi ritrovo
la sua mano tesa verso di me per darmi un aiuto ad uscire. – Ce
l'hai fatta!
Annuisco, sono ancora un po' stordito ma riesco
comunque ad afferrare la sua mano ed issarmi quindi sul bordo,
tornando all'asciutto. Il ragazzo italiano della Nyst, Nico, aiuta
Kyle ad uscire e gli fa i complimenti che vengono però accettati con
gran poco entusiasmo e un chiaro sguardo inceneritore verso il
tabellone. Bene, sono morto. Io so già che quando arriveremo a casa
lui si macchierà le mani di omicidio, al giudice dirà “era il mio
ex ragazzo e mi aveva stracciato di nuovo in una gara di dorso” e
la parte più brutta è che verrebbe assolto già alla prima udienza
perché, diciamocelo, a Kyle Adair è matematicamente impossibile
resistere.
– Ti conviene farti la doccia. – mi suggerisce
Iris, posizionandosi sul blocco iniziale. – Qui ci pensiamo noi,
capitano.
Annuisco, ringraziandola con un cenno della testa e
andando verso le docce. Entro così nel box tre per la mia doccia a
cubetti di ghiaccio, ancora la tachicardia si fa sentire e spero di
togliermi questo senso da questi-sono-i-miei-ultimi-minuti che sembra
essersi intriso nella mia pelle da quando il tabellone ha fissato i
due tempi.
Appendo così il mio costume a cavallo del palo che
sorregge la tenda, levo cuffia e occhialini e mi fiondo sotto il
geyser congelato. Se non mi ucciderà Kyle lo farà di sicuro l'acqua
a cinque gradi dei box tre e sei. Non so nemmeno se il suicidio sia
nuotare dopo un mese di fermo o farsi la doccia in questa piscina
dopo un mese di fermo, entrambi le soluzioni sono comunque atroci.
C'è da dire però che niente è più atroce della tenda che
viene aperta di scatto e Kyle che compare al suo posto.
Addio
mondo.
– Cazzo fai?! – sbraito indecentemente, costatando che
anche lui, come me, è in condizioni di come-mamma-mi-ha-fatto, ossia
nudo come un bebè. Non ha nemmeno l'asciugamano addosso, zero.
Noncuranza a livelli astrali mai toccati dal genere umano. –
Vattene!
Mi giro di spalle per coprire il lato A, anche se devo
ammettere che non mi va nemmeno a genio il fatto che stia guardando
il mio lato B. Perché diavolo Kyle Adair è nudo dentro il mio box
doccia? Sono troppo vecchio per queste cose, accidenti a lui! Tre
anni fa l'avrei considerato normale, ora è solo tremendamente
imbarazzante.
– Ho una domanda. – confessa a bassa voce,
chiudendo la tendina dietro di lui. – Poi ti lascio da solo.
–
Ma lasciami adesso! Puoi parlare quanto vuoi basta che tu sia fuori
da qui!
– Ah no. – Appoggia la mano sulla mia spalla,
iniziando a fare pressione perché io mi giri. Figuriamoci! –
Voglio vederti in faccia mentre rispondi.
Ci mancava questa.
–
Mi metto ad urlare. – lo minaccio, ma la risata che sento da parte
sua non mi rassicura per niente.
– Non sarebbe una novità in
questo box, no?
– Sei il peggior essere
vivente sulla faccia della Terra! – Cerco di dargli un calcio ma
non vedendo una mazza ovviamente finisco per colpire il muro con
conseguente rosario di imprecazioni. – Non dire più una cosa del
genere. Le regole valgono anche al di fuori della casa.
– Questo
non era delle condizioni. – Due passi avanti suoi, sento il suo
petto sfiorare la mia schiena. – Avresti dovuto pensarci prima,
Anguilla. E poi di cosa hai paura? Non è di certo la prima volta che
siamo qui in queste condizioni.
– Levati da me. – mugolo in
preda al panico, pensando che forse la spugna non sarebbe un'arma poi
così efficace. – Ne riparliamo dopo, d'accordo?
– No. – La
pressione della sua mano si fa più pesante fino a diventare dolorosa
e costringermi quindi a girarmi verso di lui. – Solo una
domanda.
Devo impegnarmi con tutto me stesso per non lasciare
cadere i miei occhi sul suo amichetto di Cittàlaggiù e
tenerli invece puntati sui suoi, una volta stabilito il contatto però
risulta alquanto difficile mantenere i nervi saldi ed evitare di
sentire il viso andare a fuoco.
– Che diavolo vuoi? –
borbotto praticamente contro le sue labbra, dovendo tenere a bada
pure tutti quegli indesiderati istinti che renderebbero questo
momento ancora più imbarazzante.
– Dimmi gli errori che pensi
di aver fatto. Avanti.
Deglutisco, averlo a questa distanza non
aiuta il mio cervello ad elaborare la domanda ma se perdo la testa
per così poco allora posso considerarmi proprio un deficiente con
tanto di nome cretino. Giusto per ricordarlo.
– La partenza
subacquea. – inizio, impaurito come un bambino con il suo Babau. –
La gambata era debole e ho esaurito il fiato prima dei quindici
metri. Il rollio era poco lavorato e durante la virata mi sono
intrigato non poco, ho perso qualche secondo solo per ristabilire
l'equilibrio.
– Eppure mi hai battuto, accidenti a te. – Mi
fissa come se mi volesse uccidere solo con gli occhi, ma quando penso
che stia veramente per succedere il peggio (sì, sono melodrammatico)
succede qualcosa di un po' inaspettato ma allo stesso tempo un po'
prevedibile.
Nell'esatto istante in cui serro gli occhi, lui,
quell'abominio di uomo, spregiudicato come poche volte nella sua vita
da criminale, si permette di mordermi sulla mia povera
già-martoriata-in-passato clavicola sinistra.
Ora, tre opzioni:
cosa potrebbe mai fare quell'insulsa sirenetta da manga che
corrisponde a me medesimo?
A- Lascia Kyle fare quello che vuole
B-
Dà uno schiaffo a Kyle ed esce dalla doccia
C- Si mette ad urlare
come una donna
Ebbene, se avete scelto una delle tre opzioni lì
sopra devo dire che non mi conoscete ancora bene perché io,
dall'alto della mia estrema furbizia, in uno scatto di panico alzo
troppo velocemente il ginocchio finendo per colpire Kyle proprio sul
punto più doloroso del suo corpo.
Esatto.
L'amichetto di
Cittàlaggiù.
Kyle si inginocchia a terra dolorante e mugolante,
imprecando contro di me qualsiasi cosa gli passi per la testa (credo
di aver sentito un “che ti strozzassi col tuo accidenti di costume
di quella cazzo di spugna gialla”, ma spero di aver sentito male).
– Oh Gesù bambino. – E' l'unica cosa che riesco a dire,
paralizzato davanti a lui.
Okay, ammetto che volevo fargli male
ma di certo non volevo colpirlo lì. Nella mia vita mi è capitato
ben poche volte di ricevere una ginocchiata nelle parti basse ma
ricordo che, in prima media, dopo un calcio ben assestato da un
ragazzino che mi odiava io persi i sensi e mi ritrovai in ospedale il
giorno dopo.
– Maria!
– Himeragi. – mugola lui piano, la
sua voce risulta più alta di qualche ottava per il dolore. – Di'
ancora il nome di un santo e giuro che stavolta ti ammazzo per
davvero.
Mi inginocchio di fronte a lui per vedere se almeno
riesce a respirare, spengo l'acqua per rendergli più facile far
entrare l'aria nei polmoni ma la situazione non sembra migliorare
molto. Appena alza il viso verso di me noto purtroppo che è bianco
come un fantasma e che la sua espressione esprime niente di meno che
il dolore più acuto per un maschio. Forse sono anch'io un po' un
abominio di uomo in questo momento.
– Ti porto del ghiaccio? –
gli chiedo a bassa voce, lui non dà segni di vita se non uno
spostamento dello sguardo dal pavimento a me. – Ti porto del
ghiaccio. – concludo, andando per uscire fiero dal box doccia.
La
mano di Kyle mi afferra però la caviglia facendomi ovviamente
perdere l'equilibrio, ma riesco ad attaccarmi al muro ed evito quindi
la caduta: – Cosa c'è?
– Sei nudo, imbecille.
Mi do una
veloce occhiata, tornando poi su di lui:– Oh già. Sono nudo.
–
Tu da qui vivo non ci esci. Stanne certo.
– Be', per lo meno
stai parlando!
– Di certo non posso mimarti che sei un
imbecille, che dici?
Annuisco, sconfitto, inginocchiandomi di
nuovo vicino a lui. Non so nemmeno cosa fare per farmi perdonare,
l'unica cosa che potrei fare senza fargli ulteriore male è cercare
di rendere la situazione un po' meno disastrosa di come già io
l'abbia fatta diventare. Alzo così il braccio fino ad afferrare il
mio asciugamano posto a cavallo del palo della tendina, facendolo
scivolare fino ad averlo tra le mani e poterlo quindi usare per
coprire Kyle.
Lui mi fissa stranito ma non credo disdegni dal
momento che per lo meno oltre ad essere dolorante non è più bagnato
fradicio, perciò semplicemente si sforza di respirare regolarmente e
inizia a far tornare la sua espressione alla normalità.
Io giuro
che mi dispiace, non avrei voluto essere così brutale. Insomma, lui
mi stava facendo diventare matto ed è vero, ha fatto irruzione nel
mio box doccia, mi ha obbligato a parlare, mi ha morso la
clavicola...
Sapete una cosa?
Mi sa che se l'è proprio
meritato. Ora mi dispiace un po' meno.
– Riesci ad alzarti? –
gli chiedo passando il braccio attorno alla sua vita coperta dal mio
asciugamano, dandogli una mano a mettersi in piedi.
Una volta
sorretto dalle sue stesse gambe sembra iniziare a riprendersi sul
serio, scrolla le spalle e sospira profondamente: – Tieni le
ginocchia a posto la prossima volta.
– E tu i denti. –
ribatto, uscendo velocemente dal box per afferrare il suo accappatoio
e mettermelo addosso. – A casa abbiamo il ghiaccio, comunque.
–
Mi fa piacere. – borbotta lui sottovoce, notando con disappunto che
indosso il suo prezioso accappatoio. – Peccato che tu vada a casa
alle sei di stasera e io devo muovermi con te, genio.
– Se tu
avessi evitato di entrare abusivamente nella mia doccia saremmo tutti
e due meno doloranti. – ribatto, portando le mani ai fianchi
determinato a vincere la mia causa. – Ti servirà da lezione.
–
A te servirebbe una lezione per tenere a bada i tuoi spasmi da
impanicato cronico. – Finalmente esce dalla doccia, si lega bene
l'asciugamano in vita e ostenta i primi passi. – E comunque devi
smetterla di dire il rosario ogni volta che...
Si interrompe,
fissando lo spogliatoio con uno sguardo di disappunto.
Ecco, è
stato illuminato dal Nirvana.
Provo a dare un'occhiata anch'io,
forse la mia chiamata da Buddha è arrivata adesso dopo quattro anni,
ma non trovo effettivamente nulla di spiritualmente utile. L'unica
cosa che vedo e che capisco stia urtando Kyle è la
capitata-in-un-brutto-momento presenza di Xavier.
Il ragazzino mi
fissa con gli occhi spalancati, probabilmente si sta chiedendo che
razza di buon esempio gli starei dando uscendo dalla doccia con
un'altra persona in condizioni post-shock. Insomma, non l'ho mica
chiesto io che Kyle venisse a fare tutto quel casino mentre io dovevo
farmi semplicemente la doccia, questa situazione non la reputo
minimamente una mia responsabilità!
– Xavier. – mi schiarisco
la voce prima di risultare un cretino in tutto e per tutto, lascio
indietro a Kyle e mi avvicino al rosso. – Come mai qui?
– La
preside. – borbotta lui lanciando uno sguardo disgustato a Kyle. –
Mi ha mandato a farvi firmare i documenti per l'iscrizione alle
provinciali.
– Provinciali. Certo. – Afferro la penna dalla
sua mano e firmo dove vedo le altre firme dei miei compagni, cerco di
non gocciolare sul foglio e fortunatamente l'impresa riesce nel
migliore dei modi. – Mi raccomando, gli allenamenti sono alle
quattro, oggi.
– Rimango in mensa con Sapphire. – mi spiega,
tenendo sempre controllato Kyle alle mie spalle. Cos'è questa brutta
sensazione che ho in merito a questi due? – Arriveremo insieme.
–
Perfetto. Allora ci vediamo dopo.
Xavier mi squadra dall'alto al
basso, posiziona i suoi occhi prima sull'accappatoio che riconosce
non essere mio e poi sulla mia clavicola che io, furbo come pochi, ho
lasciato scoperta tenendo basso il nodo della cintura. Bravo
Himeragi, sempre molto discreto e attento.
– Posso capire
quello che è successo o...?
– No! – Agito immediatamente le
mani davanti al suo viso sembrando probabilmente un tricheco artico
rincoglionito, sperando che legga il gesto in “cancella tutto” e
non in “sono scemo e me ne vanto”. – Non è come pensi. E'
tutto un equivoco.
– Mh. – Il ragazzino sorride forzatamente,
lascia per qualche altro istante il suo sguardo sul morso fin troppo
evidente che quell'altro depravato mi ha lasciato e poi mi dà le
spalle, andando verso l'uscita. – Farò finta di crederci. –
conclude con una risatina che non so dire se sia più infastidita o
più ironica, agitando la mano in segno di saluto.
Ora credo di
temere di vedere Kyle.
Ho un momento di impanicamento cronico.
–
Non mi piace il moccioso. – Kyle si esprime in tutto il suo tatto
da ragazzo maturo, lanciandomi addosso il mio asciugamano. Grazie a
Dio, quando mi giro, ha già i boxer addosso.
– E' difficile. –
lo difendo, vestendomi altrettanto velocemente. – Non è facile
averci a che fare.
– Ho capito, Himeragi, ma hai visto come mi
guardava?
Sorrido sornione, passandogli il suo accappatoio: –
Esattamente come tu guardavi me. Oggi siamo in vena di lezioni, eh?
–
Ne vuoi una tu, piuttosto?
Scuoto la testa, infilandomi la
maglietta prima che il momento di buio causato dal colletto possa
costarmi un colpo basso: – No, grazie. Ne ho avute abbastanza
anch'io.
– Non è mai tardi per imparare.
Lo guardo male,
facendogli una smorfia degna del mio periodo d'oro di transizione da
“cavolaccio” a “cazzo”: – C'è sempre la cuccia del gatto
della signora Stanley se hai ancora tanto da insegnarmi.
Kyle
alza il dito medio nella mia direzione con un sorrisetto irritato, ma
per lo meno se ne sta zitto e mi lascia vincere questo match.
Purtroppo so che con lui è solo una battaglia vinta, ma la guerra è
ancora in corso e lui ha ancora molte armi in serbo per me.
–
Facciamo il punto della situazione. – Mi lascio cadere sul primo
gradone delle tribune tra Aydin, Iris e Percy; sopra di noi Tammie,
Sapphire, Marley e Xavier sono in ascolto e ancora più in su i
quattro titolari della Nyst osservano con attenzione il modo in cui
ci approcciamo a queste nuove promesse del nuoto scolastico. – I
provinciali sono tra due settimane. Tredici scuole partecipanti, una
giuria di sette giurati.
– In più, – Iris prende il foglio
dalle mie mani, guardando negli occhi i nostri allievi. – Le altre
scuole gareggiano con squadre dell'ultimo anno, voi avete sedici,
quindici e quattordici anni. I giudici conoscono pressapoco tutti
quanti tranne voi: dovete sfruttarlo a vostro vantaggio. Dobbiamo
impegnarci, allenarci il più possibile sulle vostre abilità
individuali e all'ultimo affinare l'abilità di squadra con la
staffetta.
– Ho una domanda, Anguilla. – Tammie, la più
piccola nel gruppo e la probabilmente la più sincera, con i suoi
capelli scuri a caschetto e gli occhi da cerbiatto, alza la mano e
guarda me. – Perché ci sono questi qua dietro?
Lancio uno
sguardo divertito a Kyle e al resto della sua squadra, tornando poi
su Tammie: – Perché non sanno dove andare finché il capitano non
se ne va e dato che lui viene via con me stanno tecnicamente
aspettando la fine di questa riunione, che sarà tra... Dieci minuti,
circa.
– Vi studiamo. – interviene Quentin, il mio caro
connazionale, sorridendo scherzosamente alla ragazzina. – Per una
sfida in futuro.
– Sul serio? Gareggerete con...
–
Lasciali perdere, Tammie. – la interrompe Xavier, guardandola
severo. – Concentriamoci sulle gare intanto, okay? Dobbiamo passare
tutti insieme, nessuno deve restare indietro. No, Anguilla?
– Esatto. – Indico
Xavier con un cenno, sorridendogli. – Xavier ha ragione, ragazze.
Dobbiamo impegnarci per farvi arrivare tutti insieme alle finali:
ognuno di voi ha una specialità, il che è un requisito necessario
per una squadra completa come individui e come insieme.
–
Vedrete che ce la farete! – Hick se ne esce con questa perla di
saggezza degna di Platone così a caso, sprizzando entusiasmo anche
dopo aver nuotato per due ore insieme ai ragazzi della Nyst. – Noi
siamo arrivati tutti gli anni alle regionali, nel primo e nel secondo
anno anche alle nazionali perché c'era...
– Kyle. – conclude
Percy, lanciandomi un'occhiata divertita leggendomi in viso il
disappunto per questo argomento. – Hime gareggiava nei cento e
duecento metri, Kyle gareggiava nella staffetta. Io, Iris e Hick
facevamo solo i cento metri nella nostra specialità e non ci
stancavamo troppo, mentre per Hime sarebbe stato difficile affrontare
tre gare impegnative tutte di fila. Otteneva dei buoni piazzamenti,
il vostro allenatore.
I miei allievi mi fissano ammaliati,
mettendomi visibilmente a disagio. Me la cavavo, ecco tutto: non ero
chissà quale stella del nuoto agonistico a livello scolastico,
semplicemente mi divertivo a sentire un po' di sana competizione
scorrere nelle mie vene.
Marley alza il dito indice per chiedere
la parola, guardandomi poi sorridendo: – Come ti sei piazzato?
–
Io, be'... – Se devo essere sincero non mi ricordo nemmeno le
posizioni precise. E' valido dire “tra l'ultima e la prima”
secondo voi? – Forse tra la...
– Cento metri argento e
duecento undicesimo, primo anno. – Kyle prende parola al posto mio,
attirando l'attenzione della piccola squadra tranne Xavier che si
rifiuta categoricamente di voltare la testa. – Secondo anno, bronzo
per i cento metri e bronzo per i duecento. Terzo anno, primo per i
cento metri e quarto per i duecento. Ultimo anno, argento cento metri
e oro per i duecento.
Guardo Kyle negli occhi, sono decisamente
spiazzato: – Come puoi saperli tu...?
– M'informavo. – si
giustifica lui tranquillamente, alzando le spalle ma distogliendo in
fretta lo sguardo, chiaro segno del suo momentaneo imbarazzo.
Okay,
questa suona molto come una missione di stalking nei miei confronti.
Non so dire se la cosa mi faccia piacere o se mi inquieti davvero
molto.
– Ad ogni modo, – Percy ruba il foglio ad Iris,
schiarendosi la voce. – Per Tammie avevamo pensato solo la
staffetta con lo stile a farfalla, giusto perché è la tua prima
competizione e sarebbe meglio che prima prendessi confidenza con
l'ambiente. Per Sapphire e Marley i cento metri rispettivamente con
dorso e stile libero e la staffetta, infine per Xavier si era pensato
che, volendo, si potrebbero provare i duecento e i cento metri a rana
e per la staffetta chiameremmo qualcuno dalle riserve.
– Non ci
sto. – protesta il rosso, alzando gli occhi verso di noi. –
Voglio fare anche la staffetta con le mie compagne.
– Devi
pensare anche al tuo fisico. – lo rimprovera Iris. – Sono gare
stancanti.
– Non mi interessa. – Lo sguardo del rosso si
concentra poi sul mio, costringendomi a cedere senza nemmeno tentare
di porre resistenza. So anche io che non va bene sforzare il fisico
alla sua età, io non l'ho mai fatto e so che già due gare non sono
poche da sopportare, ma conosco anche il valore che il nuoto ha per
Xavier. Avendo un certo genere di problemi con i suoi genitori sono
arrivato a capire che per lui il nuoto è l'unico modo per misurarsi
con gli altri e con se stesso senza sentirsi prigioniero in un
ambiente in cui si sentirebbe solamente in gabbia. Xavier, come me,
nel suo stile non ha mai cercato di combattere l'acqua, è sempre
stato un suo alleato ma allo stesso tempo non le ha mai permesso di
prendere il sopravvento.
– Lasciatelo fare. – acconsento alla
fine, facendo un cenno con la testa. – Andrà tutto bene.
I
miei compagni mi guardano male ma alla fine convengono che, se si
tratta di Xavier, sono io quello da ascoltare. Così tutti sembrano
contenti dei loro incarichi, i ragazzi della Nyst ci fissano
interessati e Kyle, in particolare, sembra interessato alla nuova
piccola squadra dal momento che, appena chiudiamo la riunione, si
mette a parlare con le ragazze riempiendole di domande.
Devo
ammettere che è un bel quadretto ma l'armonia viene spezzata dal
vibro omicida del mio telefono che oltre a far ballare la mia gamba
mi fa anche prendere uno spauracchio non da poco, costringendomi ad
allontanarmi per poter rispondere.
– Pronto? – sono costretto
a tenere la voce bassa per evitare il rimbombo tipico della piscina,
sperando di non risultare in una missione della CIA.
– Himeragi!
Da quanto tempo!
Ditemi che è uno scherzo.
– Mamma...! –
fingo di essere felice di sentirla ma più che altro viene fuori un
lamento da lemure sofferente.
– Ho una sorpresa per te.
Indovina chi sta tornando da Tokyo...?
– Fammi indovinare. –
biascico con l'entusiasmo pari a quello dello stesso lemure
sofferente di prima. – Tu e papà?
– Esatto! Veniamo a
trovarti domani sera, ci fermiamo a cena da te e poi andiamo a
casa.
Ripeto: ditemi che è un bruttissimo scherzo. I miei
genitori non sanno nemmeno di Kyle, della Nyst: nulla! Solo un
inutilissimo nulla!
– In realtà, mamma... C'è qualche
problema, io...
– Oh, suvvia! Non fare il pignolo. Ci vediamo
domani sera, un bacio!
– Un... – scuoto la testa, pensando per
un momento di lanciare il cellulare tenuto insieme con lo scotch
nella piscina. – … bacio. – concludo chiudendo la chiamata e
riponendo l'oggetto del delitto in tasca.
Thelma Figgins e Jim
Fenwick, siete le due persone più inopportune del mondo e so già
che la vostra visita mi costerà anni dall'analista.
Lancio uno
sguardo a Kyle, lui nota la mia espressione disperata e mi viene
vicino con una smorfia divertita: – Hai appena visto un
fantasma?
Lo guardo negli occhi scuri, indeciso se scoppiare a
piangere o picchiare ripetutamente la testa sul muro: – I miei
genitori vengono a casa nostra domani sera.
Anche gli occhi di
Kyle si sgranano mentre la sua bocca si esibisce in un educato: –
Cazzo.
Annuisco, raggiungendo di nuovo il gruppo pensando già
che, domani sera, oltre al fatto che vedranno Kyle dopo tre anni,
dovrò dire loro che sono diventato istruttore e che io e Iris non
stiamo più insieme da un anno e mezzo. E loro adoravano Iris. Le
avevano comprato le ciabatte per stare a casa nostra e per il
compleanno mi regalarono un ciondolo con una I. Capite? Non una H, ma
una I.
Buddha deve pregare per me.
We're done!
Okay, eccomi qui col terzo capitolo. Che dire? La storia va via via approfondendosi (?), i personaggi esprimono sempre più ciò che passa loro per la testa e Himeragi non sembra amare tutta questa gran confusione. Povera la nostra sirenetta, cosa ci volete fare? Non assicuro nemmeno che la temuta cena con i genitori sia un successo, perciò almeno voi dovete sperare per lui.
Vi lascio con un piccolo spoiler dal capitolo 4!
Porto la mano alla nuca, mi sa che stavolta la colpa è leggermente mia.
A mia discolpa dico solo che ero un ragazzino di quindici anni che era appena stato piantato senza preavviso dal ragazzo di cui era innamorato da due anni, ero arrabbiato col mondo e avevo forti manie melodrammatiche. Mi avvicino così all'orecchio di Kyle, deglutendo: – Diciamo che potrei aver detto loro che sei morto.
Ale xx