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Autore: Heyale    07/12/2016    1 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Swimming tale cap.3

SWIMMING TALE
CAPITOLO TRE
“Romeo e il box doccia #3”


Partiamo dal fatto che la Nyst ha un nome e noi manco quello.
New York City Swimming Team: un nome imponente, capace di farti vedere i brividi al suo solo sussurro. Quando senti una bestia di nome del genere non puoi che pensare a quanto siano forti i suoi membri e a che livelli sia quella squadra delle meraviglie, sia come individui che come insieme. Gli occhi diventano lucidi dall'armonia di queste cinque parole accostate, una sinfonia si diffonde nell'aria e tutto sembra più rosa e bello.
Poi ci siamo noi.
In genere siamo “quelli che nuotano dell'Andrew College”, “gli inutili alla società”, “i tipi che puzzano di cloro” o “ah si! Sono quelli che vanno in giro in mutande!”
Questo non rende di certo tutto più bello e rosa, né tanto meno diffonde una sinfonia nell'aria. L'unico suono che si sente sono le risate di chi ascolta e i commenti che non fanno altro che denigrare noi e quello che facciamo, ma ormai devo ammettere che ci sono abituato: sono quasi cinque anni che si viaggia a questo ritmo anche se grazie a noi la vetrina dei trofei può vantare un argento e un oro alle nazionali scolastiche - ottenuti il primo e il secondo anno con Kyle in squadra. Sulla questione dei nomi abbiamo provato a discuterne tante volte, ma ormai ci siamo rassegnati. Noi un nome non l'avevamo nemmeno agli inizi, nemmeno quando Kyle era ancora a Detroit e nemmeno quando in giro c'erano i gruppi che si davano nomi strafighi del tipo “gli squartatori”, “gli uragani fiammanti” e “i demolitori di record”. Noi restavamo semplicemente quelli inutili alla società anche se tentavamo nomi pazzeschi, quindi dopo un po' abbiamo gettato la spugna. Perfino il nostro gruppo su Whatsapp non ha nome, se cerco la nostra chat devo ricordami di digitare “senza nome” nel motore di ricerca.
Ma questa è solo una delle infinite differenze tra la Nyst e... be', noi. I Senza nome.
Perché vi sto dicendo questo?, vi chiederete.
Il fatto è che la squadra titolare della Nyst è esattamente di fronte a noi, uno stile corrispondente all'altro in parallelo. Questa è stata un'idea di Babbo Natale: non di Muller, non mia, non nostra, non di qualcuno con un po' di sale in zucca. Semplicemente di quella mente bacata di Harper che, alle nove di mattina, se n'è uscito con: “Organizziamo un torneo per conoscerci!”
L'unica uguaglianza tra queste due squadre è il numero di titolari - che in merito a staffette è standard, quindi mi sento un reietto in ogni caso. Di fronte a me, con solo la felpa aperta e il costume sponsorizzato dalla NYC Swimming Team, Kyle Adair si appresta a difendere lo stile dorso contro di me. Di fronte a lui, con il costume di Spongebob e diciotto anni buttati nel cesso, ci sono io.
Alla mia destra, per lo stile libero, abbiamo la riccissima e già in ansia Percy che, con sguardo di sfida, tiene fissato il suo rivale. Quest'ultimo è uno spilungone di non so quanti chilometri dal forte accento norvegese, i capelli platinati non più lunghi di un centimetro e gli occhi chiari, una massa muscolare che supera di netto la mia e quella di Aydin messe insieme e un sorriso da “cosa-vuoi-fare-contro-di-me-microbo”. Durante le presentazioni avvenute poco fa, con un vocione talmente basso da aver risuonato nel mio timpano, ha detto di chiamarsi Dominik Hansen e di avere diciannove anni. E fidatevi, ad un mostro di quelle dimensioni minimo minimo gliene avreste dati ventisei.
Passando avanti abbiamo il settore dello stile farfalla, detto anche delfino: per i Senza nome c'è l'agguerrita Iris, per la Nyst un ragazzo che a vederlo non gli si darebbe nemmeno un centesimo. Vorrei dire che è addirittura più basso di me, muscolatura delle spalle e delle gambe su cui c'è ancora molto da lavorare, postura da idiota, capelli e occhi scuri e un che di ebete. Ha detto di avere diciassette anni - il che lo rende il più piccolo tra di noi, provenienza italiana e il suo posto nella squadra di New York grazie alle sue posizioni sempre nei primi tre posti nei tempi di tutta Italia. Non so quanto potrò andare d'accordo con questo Nico Casadei, prevedo già una forte antipatia nei suoi confronti e la tendenza a volerlo accidentalmente colpire con dei tubi di spugna nello stile di Xavier.
Per lo stile rana infine per la Nyst abbiamo Quentin Reynolds, canadese di origini come me e un quasi ridicolo accento francese reso americano nelle peggiore delle maniere. Non sembra tanto pericoloso, ha una zazzera di capelli castani che non finisce più e gli occhi tremendamente verdi - quel verde che non definirei molto “smeraldo” ma più che altro “melma”. A quanto ho capito è il più grande della squadra con il primato della doppia decina, vanta di diverse medaglie d'oro nel suo stile e purtroppo anche nel mio.
Così la Nyst è messa a confronto con noi, loro con tutti i costumi e borse varie sponsorizzate e noi con i costumi di Spongebob e lo zaino con cui andavamo ad educazione fisica fino all'anno scorso - e qui possiamo deliziarci con Spiderman, Minnie e via dicendo. Non c'è storia, diciamocelo. Loro concorrono nei gironi nazionali e ambiscono alle Olimpiadi, è giusto che abbiano forse una marcia in più rispetto a noi che semplicemente alleniamo la squadra del college, ma magari qui sarebbe gradito avere almeno le docce regolabili (nel caso veniste a farci visita: la doccia 3 e la 6 fanno solo acqua fredda, la 1 e la 2 calda da ustione, la 4 e la 5 sono inutilizzabili). Per non parlare degli allenatori e dei preparatori tecnici: in breve, da noi non esistono. Per i miei quattro anni di superiori sono stato allenato dalla figlia di Muller accompagnata dal padre, entrambi tabula rasa se si tratta di nuoto. Più che altro ci sorvegliavano e noi ci allenavamo secondo chi aveva più esperienza e poteva aiutare gli altri, di fatto quelli che potevano essere considerati allenatori eravamo io e una ragazza che ha mollato dopo due anni.
– Siamo tutti pronti? – Babbo Natale batte le mani facendo risuonare lo schianto per tutta la piscina vuota, sorridendoci poi in modo inquietante uno ad uno. – Partono i due capitani?
Io e Kyle ci lanciamo un'occhiata veloce, non aggiungiamo niente e raggiungiamo i blocchi di partenza. In effetti sono un po' agitato: in due anni lui non è mai riuscito a battere i miei tempi, ma probabilmente le cose sono cambiate parecchio; del resto avendo un'altra squadra da allenare non ho più potuto preoccuparmi molto dei miei allenamenti mentre Kyle si allena tutti i giorni per un tot di ore che non mi immagino nemmeno. Così entro in acqua con un leggero tuffo per poi attaccarmi ai blocchi per la partenza subacquea, è da un bel po' che non ne provo una come nemmeno una virata fatta bene. Sebbene siano quattordici anni che pratico questo sport ho ancora paura di poter morire annegato in una piscina di un metro e novanta al massimo.
Abbasso gli occhialini sul naso, sistemo la cuffia e respiro: è come un rito, il respiro riesce a calmarmi e per un secondo riesco a sentire l'acqua. Sento il rumore, il suo tatto e la sua presenza. C'è chi pensa di doverla combattere, come Kyle, e c'è chi pensa di doversela fare amica, come me; questo è sempre stato un invalicabile muro tra di noi. Gli lancio un veloce sguardo, nella corsia a fianco alla mia lui sta finendo di riscaldare le spalle e si prepara alla partenza. Si immerge, mi sorride velocemente e poi ritorna concentrato.
Nel caso dovessi fallire miseramente, ricordate che ho quattro ore di sonno in corpo e lui ne ha sette.


26.7 secondi contro 30.9
Guardammo entrambi i tabelloni nello stesso momento. Kyle si innervosì, per me era tutto nella norma: era il gennaio di quattro anni fa.
Per quanto duramente ci provasse non riusciva mai a diminuire lo scarto di quattro secondi dal mio tempo, vedevo la sua espressione farsi sempre più cattiva quando si trattava di una competizione contro di me e nonostante avessi tentato di spiegargli circa un centinaio di volte che per me non era altro che un passatempo, lui non capiva a mi dichiarava guerra ogni volta. Anche quel giorno, finiti gli allenamenti, sapevo che la mia vittoria avrebbe significato ancora più cattiveria e più nervosismo nei miei confronti. Mi ero già rassegnato all'idea, quindi lo seguii fuori dalla vasca verso gli spogliatoi con la testa bassa, la coda tra le gambe e pronto a subire quella che era diventata una triste routine.
Una volta giunti alle docce ed essere entrati in due box affiancati cercai di sbrigarmela in fretta per evitare una parte del trattamento che mi riservava di solito, ma appena spensi l'acqua lui scostò la sua tendina e rivelò il solo il suo volto, chiamandomi fermamente per nome: – Himeragi.
Mi bloccai preso dalle mie solite crisi di parolacce che parolacce non erano ma fui comunque costretto a girarmi verso di lui: – Sì?
– L'asciugamano.
Annuii, mi legai l'accappatoio in vita e trenta secondi dopo fui di nuovo da lui con l'asciugamano in mano e una paura assurda impressa in volto.
– Un'altra cosa. – borbottò severo, coprendosi il minimo indispensabile e uscendo pericolosamente dalla doccia. – Tu...
Lì vidi la mia vita passarmi davanti agli occhi. La mia infanzia, il momento in cui dissi ai miei che volevo nuotare, il momento in cui pensai che a diciotto anni avrei voluto andarmene di casa e il momento in cui, quattro mesi prima, era iniziato il mio inferno.
In quell'istante però, sorprendentemente, il mio inferno cominciò ad essere un po' meno infernale.
– Voglio che mi insegni a nuotare.
Scoppiai giustamente a ridere.
E di gusto, anche.
Trovavo estremamente esilarante che uno come lui avesse avuto il coraggio di chiedere a me, dopo quattro mesi di schiavitù forzata, ripetizioni di nuoto. Ne andava di mezzo il suo orgoglio e la mia sanità mentale già fortemente provata, sono convinto che anche voi vi sareste messi a ridere come se non ci fosse un domani. Come se fosse stata la barzelletta più divertente del mondo. Come se i vostri amici stessero discutendo sul fatto che la risposta alla tale domanda era America o Inghilterra e tu invece andassi fiero del tuo Guatemala.
– Cazzo ridi? – mi rimproverò immediatamente Kyle, diventando leggermente rosso sulle guance bagnate. – Sono serio.
– Vuoi veramente una mano? – gli chiesi, sperando di arrivare alla fine di quel tremendo scherzo.
Kyle sbuffò, posò la mano aperta sulla mia testa e mi spettinò i capelli bagnati, lasciandomi indietro e raggiungendo gli spogliatoi senza dire nulla.
Capite perché era impossibile non trovare affascinante uno stronzo del genere?
Faceva cose praticamente a caso, o forse erano a caso solo per me, ma di certo se ne usciva in modi inconcepibili e apparentemente messi in atto a sproposito. A volte era estremamente prevedibile, altre una sorpresa continua. Non capivo come agire, non capivo nemmeno quale fosse il sentimento prevalente e la giusta maniera di approcciarmi a lui per evitare la sua ancora maggiore ira infondata verso questo piccolo o povero freshman che apparentemente non aveva fatto nulla di male.
– Kyle? – lo chiamai, timoroso come un piccolo agnellino che si avvicina al lupo che si finge suo amico. Erano poche le volte in cui ero riuscito a chiamarlo per nome, la maggior parte delle volte lo chiamavo “ahia”, “lasciami in pace” e “non aizzare il compasso contro di me, assassino”.
– Sono serio. – ripeté lui a bassa voce, facendomi segno di girarmi per potersi mettere i boxer. Così mi trovai di fronte agli attaccapanni e a quel punto fu più facile trovare il coraggio per parlare.
– Ad una condizione.
– Tu che imponi condizioni a me? – rise tranquillamente, bussandomi sulla spalla per farmi girare nuovamente. Così me lo ritrovai a due centimetri di distanza, con i capelli gocciolanti e solo i boxer addosso. Penso che lì stessi cominciando a rivalutare il mio già-in-dubbio orientamento sessuale.
– Proprio così. – deglutii, mi sembrava di commettere un peccato parlando così proprio a lui, ma sapevo che quella era la mia unica occasione per cambiare le carte in tavola e girare tutto a mio favore. – Devi smetterla di importunarmi.
– “Importunarmi”. – ripeté, quasi stranito. – E cosa mai farei per importunarti?
– Kyle! – sbottai, perdendo ogni speranza. Non sapevo nemmeno se lo stesse facendo apposta o se si stesse impegnando per farmi saltare i nervi. – Non puoi dirmi che non lo fai intenzionalmente.
A quel punto sorrise di nuovo, un sorriso che però non avevo ancora visto, quasi dispiaciuto: – Hai ragione, hai ragione. Stavo solo scherzando.
– Evita di farlo. E' strano se lo fai tu.
Lui alzò le mani all'aria, guardandomi male: – Be', scusami se sono umano.
A quel punto ero indeciso se chiedergli se ne fosse sicuro o se stesse scherzando nuovamente, perché più che un umano lo vedevo come il mio Babau personale. Era ovunque io speravo che lui non fosse, mi perseguitava tipo ombra e mi faceva fare di quegli incubi che nemmeno i clown malvagi erano riusciti a farmi avere. Volete dirmi che avrei avuto torto a chiedere conferma sulla sua umanità?
– Lascia perdere. – borbottai, andando verso la mia borsa. L'idea di non avere più il mio aguzzino appresso non mi dispiaceva così tanto, ma l'idea di dovergli insegnare a nuotare era quasi peggio.
– Avanti, Anguilla.
Dovete credermi se dico che quella era la prima volta che quel soprannome non veniva detto con cattiveria e tra l'altro era anche la prima volta in cui venivo pregato dal quella sottospecie di Babau dei poveri. Sembrava un evento da calendario.
– Mi hai perseguitato per quattro mesi. – sbottai duramente, pescando coraggio dal pozzo che avevo sempre tenuto sigillato per paura di sbagliare ad aprire. – Ora no. Non posso.
– Nemmeno se accetto la tua condizione?
– Chi mi assicura che poi la rispetterai? – mi infilai in fretta i boxer e poi levai l'accappatoio, sentendo i brividi farmi venire la pelle d'oca per l'aria fredda che circolava in quel gennaio di quattro anni fa. – E perché devo scendere a condizioni per farti stare distante da me? Non ho chiesto io di avere il mio bullo personale e credo di avere gli stessi diritti tuoi di essere libero.
Kyle assottigliò gli occhi, il mio cuore prese a battere come un tamburo mentre lui mi arrivò vicino nel giro di qualche istante e mi circondò il collo con la mano senza però stringere: – Stai alzando i toni. – mi minacciò accantonando l'espressione tranquilla che era straordinariamente riuscito a tenere fino a quel momento.
– E continuerò a farlo. – ribattei, determinato a vincere la mia causa. – Lasciami in pace. Adesso basta, Kyle.
La sua presa si fece un po' più insistente, il mio cuore un po' più agitato e la tensione un po' più pressante. Ci fissavamo come se nessuno dei due avesse idee sul da farsi, come se fissarsi come dei cretini per istanti interminabili fosse stata la soluzione al mio problema.
– Per favore. – scandì allora, mantenendo la sua facciata impassibile ma parlando in modo totalmente contrario. – Ne ho bisogno.
– Mi stai pregando con la tua mano sulla mia giugulare. – gli feci notare, al che lui ritirò subito il braccio e abbassò per un attimo gli occhi in segno di scuse. – Fatti aiutare da un allenatore vero, se ci tieni a migliorare. Io non sono di certo più bravo di un istruttore qualificato.
– Ne ho bisogno. – ripeté, lasciandomi perplesso.
Mi chiedevo se pensasse che fossi sordo - come attualmente Percy fa - o se stesse tentanto di dirmi qualcosa a cui evidentemente non arrivavo. Quel momento era un paradosso in tutto e per tutto: io che prendevo coraggio, lui che mi pregava, tutto intorno sembrava chiudersi e restavamo solo noi persi in una bolla tutta nostra.
– Non sarò io ad aiutarti. Non ho nemmeno la qualifica. – Abbassai gli occhi, piano piano stavo perdendo tutta la foga che ero riuscito ad avere fino a quel momento e se avessi esaurito le mie risorse sapevo che avrei ceduto.
Così scoppiai io la nostra bolla prima che quella potesse far scoppiare me: diedi le spalle a Kyle e ripresi a sistemare le mie cose. Ricordo il cuore che mi batteva all'impazzata mentre sapevo che la questione non era ancora stata archiviata e che c'era qualcosa che Kyle non mi stava dicendo. Mi teneva fissato con le labbra sigillate ma non accennava ad un singolo movimento, semplicemente forse aspettava che fossi io a rendermi conto di star sbagliando qualche calcolo nei suoi confronti. Dopo due minuti interi di quell'andamento, però, mi girai nuovamente verso di lui per dargli il colpo di grazia e intimargli di piantarla. Potete ben capire che io, insulsa sirenetta anglo-giapponese dalle fragili volontà e dal fragile equilibrio, nel cambiare direzione mi ingarbugliai con i miei stessi piedi e finii per cadere in avanti, investendo Kyle esattamente come in un incidente frontale.
Lui subì il colpo alla schiena, alla nuca e al resto del retro del corpo, mentre io trovai un morbido cuscino ad attenuare il mio atterraggio. Peccato che quel cuscino fosse proprio il mio peggior nemico.
– Oh Gesù. Oh Buddha. – Sgranai gli occhi, puntai le mani a terra ma non so per quale ragione non mi alzai. Il mio corpo aderiva perfettamente a quello di Kyle, potevo sentire ogni scanalatura del suo fisico e con esse anche parti che, a quel tempo, avrei volentieri evitato di sentire. – Oh Maria.
– Vuoi dire il rosario? – mi rimproverò lui con la voce sofferente, portandosi la mano alla fronte per massaggiarsi le tempie. – Che cazzo di male.
– Mi dispiace. Giuro che mi dispiace. – Non sapevo nemmeno cosa fare. Di sicuro avrei dovuto togliermi da lì, ma in quel momento era per chissà quale strano motivo l'ultimo dei miei pensieri. – Santo Dio.
– Se dici solo il nome di un altro santo giuro che rubo un attrezzo da falegname di mio padre e ti faccio a pezzi. – borbottò il ragazzo sotto di me, mugolando come un povero cagnolino ferito.
Lo guardai per un po' negli occhi, li trovai liquidi come al solito ma non mi fecero paura. Così presi un respiro: – Confucio come lo consideri?
– Preferisci motosega o seghetto a mano?
– Motosega. Più rapida. E comunque Charles non ne sarebbe felice. – confessai, credendo per un momento di sentirmi male per la paura che entrasse qualcuno e che Kyle potesse veramente ammazzarmi da un momento all'altro.
– Lascia stare mio padre. – si lamentò trattenendo visibilmente una risata. – Sei proprio un imbecille, Himeragi.
– Lo so. – Per la prima volta da quando mi trovavo in quella posizione pensai veramente di dovermi alzare, così puntai le mani a terra e provai a farmi forza per alzarmi senza fare troppo male a Kyle. Nel momento in cui ci provai, però, lui portò le mani sui miei polsi e mi tenne saldo a terra, fissandomi negli occhi senza mostrare alcun segno di emozione.
Lì iniziai a pensare di quale morte potevo morire per mano sua dato che, di certo, non mi aveva tenuto sopra di lui a caso. Mi guardavo nervosamente intorno, non aveva coltelli né altri oggetti di quel genere nel raggio di due o tre metri, avrebbe sempre potuto strozzarmi ma le sue mani erano impegnate. Una testata? No, poi si sarebbe fatto male pure lui e l'impresa si sarebbe rivelata controproducente.
Mentre pensavo alla mia probabile morte, lui si decise finalmente a parlare: – Hai paura?
– Che tu mi uccida? Sì.
– Addirittura? – Mi guardò quasi divertito, inarcando entrambe le sopracciglia. – Non mi macchierei di omicidio per un imbecille come te, probabilmente.
– Quel “probabilmente” mi preoccupa. Posso alzarmi, ora?
– No. – Kyle riprese il suo sguardo serio. – Dammi lezioni di nuoto.
Ormai la posizione in cui eravamo era passata in secondo piano, era la sua insistenza a darmi veramente fastidio in quel momento: – Ti ho già detto che non si può fare. Questa storia è durata fin troppo, ora basta. Se proprio ci tieni chiedilo a Persephone della classe B oppure a quell'altro ragazzo che nuota con noi.
– Aydin Hickey? Mi prendi in giro? – sospirò pesantemente, secondo la sua attitudine, se avesse potuto, si sarebbe passato la mano tra i capelli disordinati. – Voglio che mi insegni tu.
– Ma non ha senso! – sbottai, appoggiando la fronte sul suo petto a causa del collo che cominciava a dare fastidio per la posizione forzata. – Mi stai usando come zerbino da quattro mesi ormai, perché vorresti avere ancora a che fare con me? – mi morsi il labbro, indeciso se finire o no la frase. Alla fine mi feci coraggio, comunque non lo stavo guardando negli occhi e davanti a me avevo solo il suo petto nudo. – Io sono stanco di te.
Se devo dire la verità, quella cosa non la pensavo del tutto. Be', certo ero stanco dei suoi soprusi su di me, ma se quella condizione non fosse esistita non credo mi avrebbe mai potuto stancare lui come persona. Purtroppo però le carte in tavola erano diverse ed io, per la prima volta, ero deciso a cambiarle.
Quando rialzai la fronte e lo guardai negli occhi, tutto improvvisamente cambiò. La nostra bolla tornò ad avvolgerci e per quel momento niente aveva più importanza intorno a noi.
– Di cosa ti sei stancato? – mi chiese quasi innocentemente. – Di pregare tutti i santi ogni volta che mi vedi? Incluso Confucio, ovviamente.
– Anche quello. Ma credo sia chiaro di cosa io mi sia stancato.
– Io non mi sono stancato.
– E ti credo. – sbottai, a metà tra l'ironico disperato e il disperato ironico. Fa molta differenza, fidatevi. – Hai la parte migliore, tu.
– Per questo ho detto che posso accettare la tua condizione. Così nessuno avrà da lamentarsi.
Sospirai affranto, in quella posizione tutto risultava difficile e ancora più stremante era guardarlo negli occhi: – Mi spieghi perché diavolo dovrei essere...
E lì venni interrotto.
Kyle allungò il collo, portò le mani dai miei polsi alle mie guance e mi baciò.
Potete ben capire che farfalle e robette del genere erano nulla in confronto a quello che potevo provare io, infimo ragazzino dai non chiari istinti sessuali, adagiato completamente sul corpo del mio aguzzino e specialmente con le sue labbra sulle mie. E ci sapeva fare, anche se mi costa ammetterlo. Fino a quel momento i miei baci erano stati alle bambine in classe con me a San Valentino che poi scappavano a piangere dalla mamma, lasciando il mio povero cuoricino spezzato in due. Ma almeno avevo i cioccolatini, quindi non me la passavo proprio male.
Ma quello, oh be', quello era fuori dagli schemi.
Kyle era fuori dagli schemi, anche io lo ero. Lo eravamo insieme, per lo meno.
Non so nemmeno secondo quale impulso io portai le mani sulle sue scapole e lo aiutai a mettersi seduto, ritrovandomi in braccio a lui in una sensazione di familiarità che non ero mai riuscito a provare con nessun altro. Sembrava tutto pieno di rose, farfalline e di brillantini rosa: i nostri occhi socchiusi comunque coscienti della gran cazzata che stavamo facendo, le nostre labbra unite tra di loro e le mani che non accennavano a mollare la presa. Sembrava tutto assurdamente perfetto quando ad un tratto un grido di battaglia si levò dalla porta d'ingresso facendo tremare le panchine degli spogliatoi.
– Adair! Fenwick! Quelle cose fatele in privato, questo è un luogo pubblico e peraltro scolastico, per Dio!
Il rettore Muller mi odia fin da allora.
Io e Kyle ci allontanammo immediatamente, rossi fino alle punte delle orecchie. Quando ci girammo, Muller ci fissava sconvolto e se ne andò scuotendo la testa e borbottando qualcosa sulla gioventù confusa e soprattutto bruciata, lasciandoci in preda ai “bene, ora che si fa?”
In silenzio ci alzammo, mi ricordo che tremavo come una foglia e non vedevo l'ora di rivestirmi anche se ovviamente i brividi non erano dovuti al freddo. Nemmeno Kyle parlò ma sembrava per lo meno più calmo di me, infatti si rivestì e se ne andò dallo spogliatoio senza aggiungere altro. Io fissai la porta, quel bastardo aveva veramente avuto il coraggio di andarsene dopo avermi fatto diventare una specie di freezer umano? Imperdonabile.
Mi rivestii in fretta, non mi asciugai nemmeno i capelli e uscii finalmente dalla piscina. Arrivato alla mia mitica bicicletta con tre raggi in tutto tra la ruota davanti e quella dietro mi sembrava di poter svenire da un momento all'altro per quello che era appena successo, ma sfiorai sul serio l'infarto quando sentii di nuovo la sua voce dietro di me. Provai a convincermi che stavo solo impazzendo, che un manicomio sarebbe andato bene e che quella voce non esisteva.
– Non ignorarmi così però, Anguilla.
Ovviamente la mia auto-ipnosi non funzionò.
– Ancora qui? – gli chiesi evitando il suo sguardo, dovendo impegnarmi per centrare la toppa della chiave della catena.
– Certo. Ti ho aspettato. Non mi hai sentito quando ti chiamavo, un secondo fa?
Presi un respiro, mi girai verso di lui e lo fronteggiai con un coraggio che non avrei mai sperato di avere: – Cosa significava, prima? Perché l'hai fatto?
Lui mi guardò male: – Perché volevo alzarmi ma sono inciampato accidentalmente.
– Cosa...?
– Ma perché non lo capisci? – Si portò la mano alla fronte, esasperato come mai l'avevo visto essere. – Non voglio nessun altro che mi dia lezioni di nuoto che non sia tu, nemmeno se fosse il più bravo nuotatore al mondo. Voglio stare con te.
E fu da quel giorno che l'inferno iniziò ad essere un po' più luminoso. Un po' più bianco, un po' più allegro, un po' più bello. Ma ehi, sempre inferno era.
Kyle Adair non sarebbe mai stato il ragazzo perfetto. Sarebbe sempre stato quello che mi faceva arrabbiare per ogni cosa, quello che mi dava appuntamento ma poi se ne dimenticava, quello che si ostinava a minacciarmi se battevo i suoi tempi e quello che non faceva mai quello che gli dicevo. Allo stesso tempo era l'unica persona di cui non avrei mai potuto fare a meno. Mi fece innamorare di lui poco a poco, passo dopo passo. Non fu tutto immediato, devo ammetterlo. E di questo, credetemi, c'è ancora tempo per parlare.


Appena la mia mano tocca nuovamente la parete sento i miei compagni scoppiare in un fragoroso applauso e il mio cuore battere talmente forte per lo sforzo da risuonare anche nelle orecchie. Sento anche il cronometro smettere di contare e le onde che mi sbalzano di qua e di là, appoggiare i piedi finalmente sul pavimento della vasca mi sembra come aver raggiunto la Terra Promessa. Sono davvero messo così male?
Non nuotavo seriamente da quasi un mese ma speravo che i miei polmoni mi dessero il loro aiuto come se la pausa non fosse mai stata fatta, ora come ora mi sembra che la boccata d'aria che prendo freneticamente sia sempre l'ultima. Do un'occhiata a Kyle, lui non sembra per niente affaticato e guarda il tabellone con un'espressione indecifrabile. Anche se i miei occhi sono infastiditi dalle gocce che cadono su di essi riesco comunque a focalizzare il mio sguardo sui tempi appena conclusi e non so dire se ora vorrei ridere o piangere.
28.8 contro 32.2
Ecco, ora mi uccide sul serio.
Sono sicuro che non me la fa passare liscia: dopo tre anni ancora io detengo il tempo migliore.
Questa è la mia croce.
– Hime! – la voce di Hick mi riporta alla realtà, alzando gli occhi mi ritrovo la sua mano tesa verso di me per darmi un aiuto ad uscire. – Ce l'hai fatta!
Annuisco, sono ancora un po' stordito ma riesco comunque ad afferrare la sua mano ed issarmi quindi sul bordo, tornando all'asciutto. Il ragazzo italiano della Nyst, Nico, aiuta Kyle ad uscire e gli fa i complimenti che vengono però accettati con gran poco entusiasmo e un chiaro sguardo inceneritore verso il tabellone. Bene, sono morto. Io so già che quando arriveremo a casa lui si macchierà le mani di omicidio, al giudice dirà “era il mio ex ragazzo e mi aveva stracciato di nuovo in una gara di dorso” e la parte più brutta è che verrebbe assolto già alla prima udienza perché, diciamocelo, a Kyle Adair è matematicamente impossibile resistere.
– Ti conviene farti la doccia. – mi suggerisce Iris, posizionandosi sul blocco iniziale. – Qui ci pensiamo noi, capitano.
Annuisco, ringraziandola con un cenno della testa e andando verso le docce. Entro così nel box tre per la mia doccia a cubetti di ghiaccio, ancora la tachicardia si fa sentire e spero di togliermi questo senso da questi-sono-i-miei-ultimi-minuti che sembra essersi intriso nella mia pelle da quando il tabellone ha fissato i due tempi.
Appendo così il mio costume a cavallo del palo che sorregge la tenda, levo cuffia e occhialini e mi fiondo sotto il geyser congelato. Se non mi ucciderà Kyle lo farà di sicuro l'acqua a cinque gradi dei box tre e sei. Non so nemmeno se il suicidio sia nuotare dopo un mese di fermo o farsi la doccia in questa piscina dopo un mese di fermo, entrambi le soluzioni sono comunque atroci.
C'è da dire però che niente è più atroce della tenda che viene aperta di scatto e Kyle che compare al suo posto.
Addio mondo.
– Cazzo fai?! – sbraito indecentemente, costatando che anche lui, come me, è in condizioni di come-mamma-mi-ha-fatto, ossia nudo come un bebè. Non ha nemmeno l'asciugamano addosso, zero. Noncuranza a livelli astrali mai toccati dal genere umano. – Vattene!
Mi giro di spalle per coprire il lato A, anche se devo ammettere che non mi va nemmeno a genio il fatto che stia guardando il mio lato B. Perché diavolo Kyle Adair è nudo dentro il mio box doccia? Sono troppo vecchio per queste cose, accidenti a lui! Tre anni fa l'avrei considerato normale, ora è solo tremendamente imbarazzante.
– Ho una domanda. – confessa a bassa voce, chiudendo la tendina dietro di lui. – Poi ti lascio da solo.
– Ma lasciami adesso! Puoi parlare quanto vuoi basta che tu sia fuori da qui!
– Ah no. – Appoggia la mano sulla mia spalla, iniziando a fare pressione perché io mi giri. Figuriamoci! – Voglio vederti in faccia mentre rispondi.
Ci mancava questa.
– Mi metto ad urlare. – lo minaccio, ma la risata che sento da parte sua non mi rassicura per niente.
– Non sarebbe una novità in questo box, no?
– Sei il peggior essere vivente sulla faccia della Terra! – Cerco di dargli un calcio ma non vedendo una mazza ovviamente finisco per colpire il muro con conseguente rosario di imprecazioni. – Non dire più una cosa del genere. Le regole valgono anche al di fuori della casa.
– Questo non era delle condizioni. – Due passi avanti suoi, sento il suo petto sfiorare la mia schiena. – Avresti dovuto pensarci prima, Anguilla. E poi di cosa hai paura? Non è di certo la prima volta che siamo qui in queste condizioni.
– Levati da me. – mugolo in preda al panico, pensando che forse la spugna non sarebbe un'arma poi così efficace. – Ne riparliamo dopo, d'accordo?
– No. – La pressione della sua mano si fa più pesante fino a diventare dolorosa e costringermi quindi a girarmi verso di lui. – Solo una domanda.
Devo impegnarmi con tutto me stesso per non lasciare cadere i miei occhi sul suo amichetto di Cittàlaggiù e tenerli invece puntati sui suoi, una volta stabilito il contatto però risulta alquanto difficile mantenere i nervi saldi ed evitare di sentire il viso andare a fuoco.
– Che diavolo vuoi? – borbotto praticamente contro le sue labbra, dovendo tenere a bada pure tutti quegli indesiderati istinti che renderebbero questo momento ancora più imbarazzante.
– Dimmi gli errori che pensi di aver fatto. Avanti.
Deglutisco, averlo a questa distanza non aiuta il mio cervello ad elaborare la domanda ma se perdo la testa per così poco allora posso considerarmi proprio un deficiente con tanto di nome cretino. Giusto per ricordarlo.
– La partenza subacquea. – inizio, impaurito come un bambino con il suo Babau. – La gambata era debole e ho esaurito il fiato prima dei quindici metri. Il rollio era poco lavorato e durante la virata mi sono intrigato non poco, ho perso qualche secondo solo per ristabilire l'equilibrio.
– Eppure mi hai battuto, accidenti a te. – Mi fissa come se mi volesse uccidere solo con gli occhi, ma quando penso che stia veramente per succedere il peggio (sì, sono melodrammatico) succede qualcosa di un po' inaspettato ma allo stesso tempo un po' prevedibile.
Nell'esatto istante in cui serro gli occhi, lui, quell'abominio di uomo, spregiudicato come poche volte nella sua vita da criminale, si permette di mordermi sulla mia povera già-martoriata-in-passato clavicola sinistra.
Ora, tre opzioni: cosa potrebbe mai fare quell'insulsa sirenetta da manga che corrisponde a me medesimo?
A- Lascia Kyle fare quello che vuole
B- Dà uno schiaffo a Kyle ed esce dalla doccia
C- Si mette ad urlare come una donna
Ebbene, se avete scelto una delle tre opzioni lì sopra devo dire che non mi conoscete ancora bene perché io, dall'alto della mia estrema furbizia, in uno scatto di panico alzo troppo velocemente il ginocchio finendo per colpire Kyle proprio sul punto più doloroso del suo corpo.
Esatto.
L'amichetto di Cittàlaggiù.
Kyle si inginocchia a terra dolorante e mugolante, imprecando contro di me qualsiasi cosa gli passi per la testa (credo di aver sentito un “che ti strozzassi col tuo accidenti di costume di quella cazzo di spugna gialla”, ma spero di aver sentito male).
– Oh Gesù bambino. – E' l'unica cosa che riesco a dire, paralizzato davanti a lui.
Okay, ammetto che volevo fargli male ma di certo non volevo colpirlo lì. Nella mia vita mi è capitato ben poche volte di ricevere una ginocchiata nelle parti basse ma ricordo che, in prima media, dopo un calcio ben assestato da un ragazzino che mi odiava io persi i sensi e mi ritrovai in ospedale il giorno dopo.
– Maria!
– Himeragi. – mugola lui piano, la sua voce risulta più alta di qualche ottava per il dolore. – Di' ancora il nome di un santo e giuro che stavolta ti ammazzo per davvero.
Mi inginocchio di fronte a lui per vedere se almeno riesce a respirare, spengo l'acqua per rendergli più facile far entrare l'aria nei polmoni ma la situazione non sembra migliorare molto. Appena alza il viso verso di me noto purtroppo che è bianco come un fantasma e che la sua espressione esprime niente di meno che il dolore più acuto per un maschio. Forse sono anch'io un po' un abominio di uomo in questo momento.
– Ti porto del ghiaccio? – gli chiedo a bassa voce, lui non dà segni di vita se non uno spostamento dello sguardo dal pavimento a me. – Ti porto del ghiaccio. – concludo, andando per uscire fiero dal box doccia.
La mano di Kyle mi afferra però la caviglia facendomi ovviamente perdere l'equilibrio, ma riesco ad attaccarmi al muro ed evito quindi la caduta: – Cosa c'è?
– Sei nudo, imbecille.
Mi do una veloce occhiata, tornando poi su di lui:– Oh già. Sono nudo.
– Tu da qui vivo non ci esci. Stanne certo.
– Be', per lo meno stai parlando!
– Di certo non posso mimarti che sei un imbecille, che dici?
Annuisco, sconfitto, inginocchiandomi di nuovo vicino a lui. Non so nemmeno cosa fare per farmi perdonare, l'unica cosa che potrei fare senza fargli ulteriore male è cercare di rendere la situazione un po' meno disastrosa di come già io l'abbia fatta diventare. Alzo così il braccio fino ad afferrare il mio asciugamano posto a cavallo del palo della tendina, facendolo scivolare fino ad averlo tra le mani e poterlo quindi usare per coprire Kyle.
Lui mi fissa stranito ma non credo disdegni dal momento che per lo meno oltre ad essere dolorante non è più bagnato fradicio, perciò semplicemente si sforza di respirare regolarmente e inizia a far tornare la sua espressione alla normalità.
Io giuro che mi dispiace, non avrei voluto essere così brutale. Insomma, lui mi stava facendo diventare matto ed è vero, ha fatto irruzione nel mio box doccia, mi ha obbligato a parlare, mi ha morso la clavicola...
Sapete una cosa?
Mi sa che se l'è proprio meritato. Ora mi dispiace un po' meno.
– Riesci ad alzarti? – gli chiedo passando il braccio attorno alla sua vita coperta dal mio asciugamano, dandogli una mano a mettersi in piedi.
Una volta sorretto dalle sue stesse gambe sembra iniziare a riprendersi sul serio, scrolla le spalle e sospira profondamente: – Tieni le ginocchia a posto la prossima volta.
– E tu i denti. – ribatto, uscendo velocemente dal box per afferrare il suo accappatoio e mettermelo addosso. – A casa abbiamo il ghiaccio, comunque.
– Mi fa piacere. – borbotta lui sottovoce, notando con disappunto che indosso il suo prezioso accappatoio. – Peccato che tu vada a casa alle sei di stasera e io devo muovermi con te, genio.
– Se tu avessi evitato di entrare abusivamente nella mia doccia saremmo tutti e due meno doloranti. – ribatto, portando le mani ai fianchi determinato a vincere la mia causa. – Ti servirà da lezione.
– A te servirebbe una lezione per tenere a bada i tuoi spasmi da impanicato cronico. – Finalmente esce dalla doccia, si lega bene l'asciugamano in vita e ostenta i primi passi. – E comunque devi smetterla di dire il rosario ogni volta che...
Si interrompe, fissando lo spogliatoio con uno sguardo di disappunto.
Ecco, è stato illuminato dal Nirvana.
Provo a dare un'occhiata anch'io, forse la mia chiamata da Buddha è arrivata adesso dopo quattro anni, ma non trovo effettivamente nulla di spiritualmente utile. L'unica cosa che vedo e che capisco stia urtando Kyle è la capitata-in-un-brutto-momento presenza di Xavier.
Il ragazzino mi fissa con gli occhi spalancati, probabilmente si sta chiedendo che razza di buon esempio gli starei dando uscendo dalla doccia con un'altra persona in condizioni post-shock. Insomma, non l'ho mica chiesto io che Kyle venisse a fare tutto quel casino mentre io dovevo farmi semplicemente la doccia, questa situazione non la reputo minimamente una mia responsabilità!
– Xavier. – mi schiarisco la voce prima di risultare un cretino in tutto e per tutto, lascio indietro a Kyle e mi avvicino al rosso. – Come mai qui?
– La preside. – borbotta lui lanciando uno sguardo disgustato a Kyle. – Mi ha mandato a farvi firmare i documenti per l'iscrizione alle provinciali.
– Provinciali. Certo. – Afferro la penna dalla sua mano e firmo dove vedo le altre firme dei miei compagni, cerco di non gocciolare sul foglio e fortunatamente l'impresa riesce nel migliore dei modi. – Mi raccomando, gli allenamenti sono alle quattro, oggi.
– Rimango in mensa con Sapphire. – mi spiega, tenendo sempre controllato Kyle alle mie spalle. Cos'è questa brutta sensazione che ho in merito a questi due? – Arriveremo insieme.
– Perfetto. Allora ci vediamo dopo.
Xavier mi squadra dall'alto al basso, posiziona i suoi occhi prima sull'accappatoio che riconosce non essere mio e poi sulla mia clavicola che io, furbo come pochi, ho lasciato scoperta tenendo basso il nodo della cintura. Bravo Himeragi, sempre molto discreto e attento.
– Posso capire quello che è successo o...?
– No! – Agito immediatamente le mani davanti al suo viso sembrando probabilmente un tricheco artico rincoglionito, sperando che legga il gesto in “cancella tutto” e non in “sono scemo e me ne vanto”. – Non è come pensi. E' tutto un equivoco.
– Mh. – Il ragazzino sorride forzatamente, lascia per qualche altro istante il suo sguardo sul morso fin troppo evidente che quell'altro depravato mi ha lasciato e poi mi dà le spalle, andando verso l'uscita. – Farò finta di crederci. – conclude con una risatina che non so dire se sia più infastidita o più ironica, agitando la mano in segno di saluto.
Ora credo di temere di vedere Kyle.
Ho un momento di impanicamento cronico.
– Non mi piace il moccioso. – Kyle si esprime in tutto il suo tatto da ragazzo maturo, lanciandomi addosso il mio asciugamano. Grazie a Dio, quando mi giro, ha già i boxer addosso.
– E' difficile. – lo difendo, vestendomi altrettanto velocemente. – Non è facile averci a che fare.
– Ho capito, Himeragi, ma hai visto come mi guardava?
Sorrido sornione, passandogli il suo accappatoio: – Esattamente come tu guardavi me. Oggi siamo in vena di lezioni, eh?
– Ne vuoi una tu, piuttosto?
Scuoto la testa, infilandomi la maglietta prima che il momento di buio causato dal colletto possa costarmi un colpo basso: – No, grazie. Ne ho avute abbastanza anch'io.
– Non è mai tardi per imparare.
Lo guardo male, facendogli una smorfia degna del mio periodo d'oro di transizione da “cavolaccio” a “cazzo”: – C'è sempre la cuccia del gatto della signora Stanley se hai ancora tanto da insegnarmi.
Kyle alza il dito medio nella mia direzione con un sorrisetto irritato, ma per lo meno se ne sta zitto e mi lascia vincere questo match. Purtroppo so che con lui è solo una battaglia vinta, ma la guerra è ancora in corso e lui ha ancora molte armi in serbo per me.


– Facciamo il punto della situazione. – Mi lascio cadere sul primo gradone delle tribune tra Aydin, Iris e Percy; sopra di noi Tammie, Sapphire, Marley e Xavier sono in ascolto e ancora più in su i quattro titolari della Nyst osservano con attenzione il modo in cui ci approcciamo a queste nuove promesse del nuoto scolastico. – I provinciali sono tra due settimane. Tredici scuole partecipanti, una giuria di sette giurati.
– In più, – Iris prende il foglio dalle mie mani, guardando negli occhi i nostri allievi. – Le altre scuole gareggiano con squadre dell'ultimo anno, voi avete sedici, quindici e quattordici anni. I giudici conoscono pressapoco tutti quanti tranne voi: dovete sfruttarlo a vostro vantaggio. Dobbiamo impegnarci, allenarci il più possibile sulle vostre abilità individuali e all'ultimo affinare l'abilità di squadra con la staffetta.
– Ho una domanda, Anguilla. – Tammie, la più piccola nel gruppo e la probabilmente la più sincera, con i suoi capelli scuri a caschetto e gli occhi da cerbiatto, alza la mano e guarda me. – Perché ci sono questi qua dietro?
Lancio uno sguardo divertito a Kyle e al resto della sua squadra, tornando poi su Tammie: – Perché non sanno dove andare finché il capitano non se ne va e dato che lui viene via con me stanno tecnicamente aspettando la fine di questa riunione, che sarà tra... Dieci minuti, circa.
– Vi studiamo. – interviene Quentin, il mio caro connazionale, sorridendo scherzosamente alla ragazzina. – Per una sfida in futuro.
– Sul serio? Gareggerete con...
– Lasciali perdere, Tammie. – la interrompe Xavier, guardandola severo. – Concentriamoci sulle gare intanto, okay? Dobbiamo passare tutti insieme, nessuno deve restare indietro. No, Anguilla?
– Esatto. – Indico Xavier con un cenno, sorridendogli. – Xavier ha ragione, ragazze. Dobbiamo impegnarci per farvi arrivare tutti insieme alle finali: ognuno di voi ha una specialità, il che è un requisito necessario per una squadra completa come individui e come insieme.
– Vedrete che ce la farete! – Hick se ne esce con questa perla di saggezza degna di Platone così a caso, sprizzando entusiasmo anche dopo aver nuotato per due ore insieme ai ragazzi della Nyst. – Noi siamo arrivati tutti gli anni alle regionali, nel primo e nel secondo anno anche alle nazionali perché c'era...
– Kyle. – conclude Percy, lanciandomi un'occhiata divertita leggendomi in viso il disappunto per questo argomento. – Hime gareggiava nei cento e duecento metri, Kyle gareggiava nella staffetta. Io, Iris e Hick facevamo solo i cento metri nella nostra specialità e non ci stancavamo troppo, mentre per Hime sarebbe stato difficile affrontare tre gare impegnative tutte di fila. Otteneva dei buoni piazzamenti, il vostro allenatore.
I miei allievi mi fissano ammaliati, mettendomi visibilmente a disagio. Me la cavavo, ecco tutto: non ero chissà quale stella del nuoto agonistico a livello scolastico, semplicemente mi divertivo a sentire un po' di sana competizione scorrere nelle mie vene.
Marley alza il dito indice per chiedere la parola, guardandomi poi sorridendo: – Come ti sei piazzato?
– Io, be'... – Se devo essere sincero non mi ricordo nemmeno le posizioni precise. E' valido dire “tra l'ultima e la prima” secondo voi? – Forse tra la...
– Cento metri argento e duecento undicesimo, primo anno. – Kyle prende parola al posto mio, attirando l'attenzione della piccola squadra tranne Xavier che si rifiuta categoricamente di voltare la testa. – Secondo anno, bronzo per i cento metri e bronzo per i duecento. Terzo anno, primo per i cento metri e quarto per i duecento. Ultimo anno, argento cento metri e oro per i duecento.
Guardo Kyle negli occhi, sono decisamente spiazzato: – Come puoi saperli tu...?
– M'informavo. – si giustifica lui tranquillamente, alzando le spalle ma distogliendo in fretta lo sguardo, chiaro segno del suo momentaneo imbarazzo.
Okay, questa suona molto come una missione di stalking nei miei confronti. Non so dire se la cosa mi faccia piacere o se mi inquieti davvero molto.
– Ad ogni modo, – Percy ruba il foglio ad Iris, schiarendosi la voce. – Per Tammie avevamo pensato solo la staffetta con lo stile a farfalla, giusto perché è la tua prima competizione e sarebbe meglio che prima prendessi confidenza con l'ambiente. Per Sapphire e Marley i cento metri rispettivamente con dorso e stile libero e la staffetta, infine per Xavier si era pensato che, volendo, si potrebbero provare i duecento e i cento metri a rana e per la staffetta chiameremmo qualcuno dalle riserve.
– Non ci sto. – protesta il rosso, alzando gli occhi verso di noi. – Voglio fare anche la staffetta con le mie compagne.
– Devi pensare anche al tuo fisico. – lo rimprovera Iris. – Sono gare stancanti.
– Non mi interessa. – Lo sguardo del rosso si concentra poi sul mio, costringendomi a cedere senza nemmeno tentare di porre resistenza. So anche io che non va bene sforzare il fisico alla sua età, io non l'ho mai fatto e so che già due gare non sono poche da sopportare, ma conosco anche il valore che il nuoto ha per Xavier. Avendo un certo genere di problemi con i suoi genitori sono arrivato a capire che per lui il nuoto è l'unico modo per misurarsi con gli altri e con se stesso senza sentirsi prigioniero in un ambiente in cui si sentirebbe solamente in gabbia. Xavier, come me, nel suo stile non ha mai cercato di combattere l'acqua, è sempre stato un suo alleato ma allo stesso tempo non le ha mai permesso di prendere il sopravvento.
– Lasciatelo fare. – acconsento alla fine, facendo un cenno con la testa. – Andrà tutto bene.
I miei compagni mi guardano male ma alla fine convengono che, se si tratta di Xavier, sono io quello da ascoltare. Così tutti sembrano contenti dei loro incarichi, i ragazzi della Nyst ci fissano interessati e Kyle, in particolare, sembra interessato alla nuova piccola squadra dal momento che, appena chiudiamo la riunione, si mette a parlare con le ragazze riempiendole di domande.
Devo ammettere che è un bel quadretto ma l'armonia viene spezzata dal vibro omicida del mio telefono che oltre a far ballare la mia gamba mi fa anche prendere uno spauracchio non da poco, costringendomi ad allontanarmi per poter rispondere.
– Pronto? – sono costretto a tenere la voce bassa per evitare il rimbombo tipico della piscina, sperando di non risultare in una missione della CIA.
– Himeragi! Da quanto tempo!
Ditemi che è uno scherzo.
– Mamma...! – fingo di essere felice di sentirla ma più che altro viene fuori un lamento da lemure sofferente.
– Ho una sorpresa per te. Indovina chi sta tornando da Tokyo...?
– Fammi indovinare. – biascico con l'entusiasmo pari a quello dello stesso lemure sofferente di prima. – Tu e papà?
– Esatto! Veniamo a trovarti domani sera, ci fermiamo a cena da te e poi andiamo a casa.
Ripeto: ditemi che è un bruttissimo scherzo. I miei genitori non sanno nemmeno di Kyle, della Nyst: nulla! Solo un inutilissimo nulla!
– In realtà, mamma... C'è qualche problema, io...
– Oh, suvvia! Non fare il pignolo. Ci vediamo domani sera, un bacio!
– Un... – scuoto la testa, pensando per un momento di lanciare il cellulare tenuto insieme con lo scotch nella piscina. – … bacio. – concludo chiudendo la chiamata e riponendo l'oggetto del delitto in tasca.
Thelma Figgins e Jim Fenwick, siete le due persone più inopportune del mondo e so già che la vostra visita mi costerà anni dall'analista.
Lancio uno sguardo a Kyle, lui nota la mia espressione disperata e mi viene vicino con una smorfia divertita: – Hai appena visto un fantasma?
Lo guardo negli occhi scuri, indeciso se scoppiare a piangere o picchiare ripetutamente la testa sul muro: – I miei genitori vengono a casa nostra domani sera.
Anche gli occhi di Kyle si sgranano mentre la sua bocca si esibisce in un educato: – Cazzo.
Annuisco, raggiungendo di nuovo il gruppo pensando già che, domani sera, oltre al fatto che vedranno Kyle dopo tre anni, dovrò dire loro che sono diventato istruttore e che io e Iris non stiamo più insieme da un anno e mezzo. E loro adoravano Iris. Le avevano comprato le ciabatte per stare a casa nostra e per il compleanno mi regalarono un ciondolo con una I. Capite? Non una H, ma una I.
Buddha deve pregare per me.




We're done!
Okay, eccomi qui col terzo capitolo. Che dire? La storia va via via approfondendosi (?), i personaggi esprimono sempre più ciò che passa loro per la testa e Himeragi non sembra amare tutta questa gran confusione. Povera la nostra sirenetta, cosa ci volete fare? Non assicuro nemmeno che la temuta cena con i genitori sia un successo, perciò almeno voi dovete sperare per lui.
Vi lascio con un piccolo spoiler dal capitolo 4!


– Uhm... – Kyle si schiarisce la voce, fissandomi esterrefatto mentre si avvicina a me. – Mi spieghi che sta succedendo? – sussurra poi al mio orecchio mentre mio padre invoca tutti i santi del calendario e mia madre cerca i crocifissi sparsi per casa.
Porto la mano alla nuca, mi sa che stavolta la colpa è leggermente mia.
A mia discolpa dico solo che ero un ragazzino di quindici anni che era appena stato piantato senza preavviso dal ragazzo di cui era innamorato da due anni, ero arrabbiato col mondo e avevo forti manie melodrammatiche. Mi avvicino così all'orecchio di Kyle, deglutendo: – Diciamo che potrei aver detto loro che sei morto.


Alla prossima pesciolini!
Ale xx


  
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