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Autore: JanineRyan    08/12/2016    1 recensioni
Non sono tanto brava nelle intro, ma proverò comunque...
E se il viaggio verso il Monte Fato fosse stato differente? E se la compagnia fosse stata di undici membri e non nove?
Insieme agli originari membri della Compagnia dell'Anello ne faranno parte anche due guerriere elfiche: Estryd e Alhena, figlie di Elrond di Gran Burrone.
Genere: Avventura, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ascoltatemi bene, amici miei. Dovete proseguire verso il Monte Fato… seguite vie secondarie e non mostratevi a nessuno. Fate molta, molta attenzione; la nostra presenza in questa terra non è passata inosservata e Sverker avrà già lanciato l’allarme a ogni luogotenente che divide questa fortezza al Monte Fato. Camuffatevi come meglio potete, anche con vesti e armature di orchi e proseguite senza mai fermarvi. Non fermatevi finchè non raggiungete il Monte Fato… la via sarà ardua, ma dovete proseguire. Non fermatevi. Non aspettate né me né Estryd. La vostra missione è troppo importante… proseguite.”
“Proseguire? Da soli? E voi? Ed Estryd?” domandò Frodo preoccupato, guardando l’elfo negli occhi.
“Non siate in pena per lei o per me. Ho un piano per liberarla e non ho intenzione di abbandonarla qui.”
I due Hobbit guardarono Elrhoir con occhi colmi di interrogativi: quale piano aveva ideato? Sam, come Frodo, voleva essere di maggior aiuto. Ma il giardiniere comprendeva l’urgenza della missione; non potevano perdere altro tempo, non ora che erano così vicini al baratro infuocato.
“Piccoli amici miei, so benissimo che bramate dal desiderio di aiutare mia sorella… ma il vostro compito è molto più importante. Dovete distruggere l’Anello e io terrò impegnato Sverker… voglio darvi una possibilità. Meritate la migliore possibilità che io posso darvi.”
“Ma…” iniziò a dire Sam.
“Samvise… Frodo… “ interruppe gli Hobbit. “Il mio, non so se è un buon piano. Ma resta pur sempre la miglior opportunità che abbiamo.” Fece una pausa e, posando le mani sulle spalle degli Hobbit, concluse abbozzando un timido sorriso nella speranza di rincuorare i due: “Che voi avete.”

Ormai sfinita, con la testa piegata sul petto, Estryd respirava con affanno.
Non riusciva a deglutire; in bocca aveva l’amaro sapore del proprio sangue. Inoltre, il sudore che le cadeva lento lungo la fronte, raggiungendo il collo, le solleticava in modo fastidioso. Gli occhi erano quasi chiusi; non riusciva a tenerli aperti, era stanca. Troppo stanca. Ogni muscolo del suo corpo le doleva, avrebbe urlato se avesse avuto ancora forza.
Sverker camminava lento per la sala, ripercorrendo i propri passi di continuo; avanti e indietro, cinque passi per direzione. Nelle mani stringeva un pugnale sporco di sangue che luccicava alla luce del camino, brillando di un inquietante rosso vermiglio.
Mentre lo fissava, senza quasi battere ciglio, Sverker lo rigirava maniacalmente tra le dita. Non riusciva a capire perché l’elfa non parlasse… cosa le costava dargli le informazioni che chiedeva? Era certo che, presto o tardi, avrebbe ottenuto la risposta che tanto agoniava ottenere. Ma stava perdendo troppo tempo, troppo. Voleva delle risposte e le esigeva subito.
Di scatto si fermò e, irritato, si voltò verso Estryd guardandola con odio.
“Adesso basta!” disse, rimarcando la seconda parola e alzando il tono della voce.
Con forza conficcò il pugnale nel tavolo e, con uno scatto, si avventò contro la bruna, avvicinandosi tanto che riusciva a distinguere le varie sfumature verdi delle iridi della principessa.
“Ora…” iniziò a dire a denti stretti, cercando di controllare il tono della voce. “Mi dirai ciò che voglio sapere o, quello che hai subito finora, sarà stato solo un piacevole passatempo per entrambi.”
Colta dal panico, Estryd ricambiò lo sguardo del traditore. Il cuore le pulsava frenetico nel petto. Da un lato avrebbe voluto dirgli ciò che voleva sapere, per salvare la vita del suo bambino e anche la propria, ma, allo stesso tempo, si rifiutava di dimostrarsi debole. Chiuse gli occhi, aveva una forte nausea.
“Io…” sussurrò lei, quella parola le costava un’enorme fatica. Aveva la bocca secca. “Io…” ritentò, ma ancora nulla; tossì.
“Tu?” la incoraggiò Sverker, ormai certo di aver raggiunto il suo scopo. “Dimmi quello che voglio sapere e, mia dolce principessina, hai la mia parola che ti lascerò libera.”
Estryd boccheggiava; sfinita, stanca, spaventata. Ogni cosa attorno a lei si muoveva a rallentatore, anche le parole di Sverker erano confuse.
Ogni respiro le costava fatica. Le braccia le formicolavano, non le sentiva; era debole, sempre più debole.
“Elrhoir…” sussurrò infine Estryd prima di perdere conoscenza.
Con un tonfo, la porta si spalancò, schiantandosi contro il muro con violenza. Il rumore rimbombò nella stanza e i fini vetri delle finestre tremarono.
Sverker si voltò con occhi colmi d’ira per l’ennesima distrazione ma, quando incrociò lo sguardo di Elrhoir, ogni risentimento svanì.
Un sorriso beffardo si aprì sul volto spigoloso del signore di Cirith Ungol; erano secoli che non vedeva Elrhoir e, anche allora, non erano mai stati grandi amici. 
“Mi chiedevo quando uno di voi sarebbe spuntato per salvarla.” esclamò sorridendo, mostrando una perfetta dentatura.
Il principe di Gran Burrone non mutò espressione e continuò a guardare Sverker serio. Conosceva la forza del traditore e non avrebbe preso sottogamba la sfida che stava per compiere.
“Da Estryd non otterrai nulla, perché lei non sa nulla.” sussurrò Elrhoir, dando così il via al suo piano.
“E dovrei credere alla sua storiellina che si trova lontano da Gran Burrone per motivi di piacere?” domandò ilare. “Non credere che sia uno sciocco, Elrhoir.”
“Ma ti comporti e pensi come tale.” convenne, sperando che il tono della voce non tradisse l’ansia. “Credi davvero che una missione importante come questa venga affidata a due Hobbit e da una Princessa elfica? Sottovaluti così la nostra intelligenza e il buonsenso di mio padre?”
Silenzio. Sverker guardò il principe; il sorriso spavaldo che aveva sulle labbra, lo abbandonò all’istante. Si stava sbagliando?
“Cerchi solo di instaurare il dubbio nella mia mente.” sussurrò, con voce tremante.
Elrhoir impugnava con mano ferma la lunga lama forgiata dal suo popolo.
“Lascia libera mia sorella, non trasformarla nell’ennesima vittima innocente in questo conflitto.”

Fermandosi, Legolas si guardo attorno. Lo sguardo terrorizzato che vagava scrutando il buio.
Qualcosa che non vedeva chiaramente li stava seguendo ormai da alcuni minuti; guardò Elladan che camminava al suo fianco. Anche l’amico era spaventato da qualcosa, Legolas avvertiva la sua paura e la vedeva nei suoi occhi che vagavano osservando le ombre attorno a loro.
Voltandosi, Legolas guardò Aragorn che camminava tranquillo, brandendo una fiaccola, dietro il ramingo vide Alhena parlare con Boromir; nessun altro eccetto loro si era accorto di qualcosa.
Alzando un braccio, fermò il cammino di Aragorn e, guardandolo negli occhi, sussurrò: “Vedo sagome di Uomini. E di cavalli.”
Elladan annuì: “Sono qui. Tutt’attorno a noi!”
Il ramingo guardò l’amico con aria preoccupata; conosceva molto bene le storie dei Morti che dimoravano sotto la montagna e mai aveva sottovalutato una diceria così spaventosa.
Boromir e Alhena si avvicinarono ai compagni.
“Ci sono dei problemi?” chiese sussurrando Boromir, spostando lo sguardo da Elladan a Legolas.
L’aria era diventata improvvisamente più gelida, facendo rabbrividire l’uomo nonostante le pesanti vesti che lo coprivano.
“Sono loro?” chiese Alhena, guardando il fratello e posando entrambe le mani al suo braccio.
“Vessilli pallidi come brandelli di nuvole… lance si innalzano come boschetti d’inverno attraverso una coltre di nebbia… i Morti le seguono. Sono stati convocati.”
“Convocati?” gli fece eco Boromir, avvicinandosi a lui in solo due falcate. “Convocati da chi esattamente?”
“Probabilmente da me.” rispose Aragorn, chinando il capo. “Per questa…” continuò sfiorando con la punta delle dita l’elsa della spada che Sire Elrond gli aveva consegnato solo il giorno prima.
Alhena fissò l’elsa, era inconfondibile. Per anni aveva visto i frammenti di Narsil nel palazzo di Gran Burrone, posata sul vassoio tenuto in grembo da una statua antica.
“La spada che vostro padre mi ha donato è stata riforgiata da Narsil. Questa è la lama del Re, Andúril , e, questa lama, ha il potere di richiamare una forza che ci permetterà di vincere contro Sauron.”
“E’ di questo che si tratta, dunque?” chiese Alhena. “Hai intenzione di richiamare l’esercito dei morti per aiutarci nella guerra contro Mordor? E in cambio di cosa? Cosa concederai loro per l’aiuto che ci daranno?”
Un pensiero attraversò la mente di Alhena, come un lampo: ”Vuoi donar loro la libertà? La pace?”
Nessuno le rispose, Elladan si avvicinò alla sorella: “Questo è stato il piano di nostro padre fin dall’inizio.”
“Credete davvero che funzionerà?” chiese Boromir, dubbioso. “Che accadrà se… che accadrà se…” ma non riusciva a terminare la frase, troppo intimorito dal pensiero.
“Se i Morti non riconosceranno Aragorn come Re…?” s’intromise Alhena, guardando dapprima Boromir e poi Aragorn. Respirò a fondo e, deglutendo, scosse il capo. “Saremo arrivati fin qui per niente.”
Elladan stava per rimproverare la sorella, ma ella continuò: “Avremmo potuto essere di maggior aiuto ai Rohirrim! Loro sono partiti per la guerra e…”
“Noi li aiuteremo… potremmo vincere! È questo il nostro obiettivo, il mio obiettivo.” concluse Aragorn. “E sono felice di non essere giunto fin qui da solo.”
“Non ti avremmo mai permesso di proseguire solo. Siamo amici: siamo partiti insieme e giungeremo a Gondor insieme.” convenne Legolas, posando una mano sulla spalla del ramingo. “Puoi contare su di noi.” Poi, guardando Alhena e sorridendole con complicità, aggiunse: “Su tutti noi.”
Sorridendo, l’elfa annuì; per secoli aveva diffidato delle scelte di suo padre, considerandole sconsiderate e prive di senso e, appena aveva scoperto le sue reali intenzioni, aveva deciso di contravvenire al suo piano. 
“Non sono partita con voi, ma raggiungerò Gondor al vostro fianco.” convenne. “Aragorn sei il Re legittimo di Gondor e il Trono di Minas Tirith è tuo per diritto di sangue. Avrai il mio completo appoggio. Fino alla fine.”
Ricambiando il sorriso della bionda, Aragorn si avvicinò alla ragazza abbracciandola con sincero affetto.
“Grazie.” le sussurrò con dolcezza, la stessa che si riserva ad una sorella.

Elrhoir non aveva intenzione si cedere; da quando aveva saputo della fuga di Estryd, aveva promesso al padre di trovare la sorella e riportarla a casa, sana e salvo. Avrebbe prestato fede alla parola data. Avrebbe salvato Estryd e poi, insieme, avrebbero raggiunto gli Hobbit che già procedevano verso il Monte Fato. Sentiva il proprio cuore battere frenetico nel petto; era nervoso, molte cose dipendevano da lui e dal risultato di questo duello.
“Sverker ragiona: quali vantaggi avrai uccidendola?”
“L’ira e il dolore di tuo padre sono un buon movente per tagliarle quel collo così fine e delicato.” sussurrò divertito l’elfo, facendo roteare tra le mani una lama affilata.
“Ma al tuo Signore non sarebbe di alcun giovamento. Gran Burrone sta combattendo insieme alle armate di sire Thranduil… pensi davvero che ti lasceranno impunito se la ucciderai? Lei è una Principessa… tutti gli elfi, non solo di Gran Burrone, ma anche di Lothlorien e Bosco Atro, sposteranno le loro forze qui. Contro di te. Sarà semplice per loro aprire una breccia nella tua fortezza e, se cade Cirith Ungol nessuno fermerà le armate elfiche… raggiungeranno il palazzo del tuo Signore… Sauron non sarebbe lieto di questa eventualità… in tutti questi anni non sei cambiato. Sei sempre il solito: crei danni, non sei affidabile. Non pensi con razionalità. Agisci comportandoti da sciocco.”
Ribollente di rabbia, Sverker s’irrigidì guardando con odio Elrhoir.
“Ora basta!” sbraitò, accompagnando l’affermazione con un gesto secco delle braccia. “Le tue parole sono inutili! Non creerai il dubbio nella mia mente! Io sono il suo più fido servitore e Lui ha piena fiducia in me e nelle mie decisioni! So che Estryd è qui per uno scopo e anche quei due inutili esseri!”
Elrhoir sorrise, divertito dalla reazione che aveva avuto il traditore: “Se davvero pensi che mia sorella o gli Hobbit celano l’Anello, se davvero pensi che siano loro a custodirlo, allora dimmi: perché non li hai perquisiti? Perché non hai controllato se lo nascondono?”
“Sono miei prigionieri… che importanza ha se cerco l’Unico Anello ora o dopo? Non vanno da nessuna parte! Più importanti sono le informazioni che voglio avere da lei…” concluse accennando alla giovane.
“Prigionieri? Sicuro che siano ancora nelle tue segrete gli Hobbit?” chiese Elrhoir, con tono di sfida.
Subito il sorriso spavaldo di Sverker scomparve dal suo volto affilato; guardò il principe di Gran Burrone. Una vena gli pulsava sulla fronte e la pelle gli bruciava. Non ci credeva. Non poteva essere vero!
“Menti…” sussurrò a denti stretti, esaminando Elrhoir nella speranza di trovare un segno di menzogna nelle sue parole.
Elrhoir scosse leggermente il capo in segno di diniego.
“Tu menti!” si ripeté con tono anor più irritato Sverker, scaraventando a terra il pugnale che stringeva e, avvicinandosi al camino, dove teneva il fodero, brandì la sua fida spada. Poi, stendendo il braccio verso il principe, ogni muscolo teso, lo sfidò.
“Non mi sei mai stato simpatico… inoltre non mi interessa se quei due esserini sono scappati dalla mia fortezza. Pensi davvero che riusciranno a lasciare Mordor incolumi? Tutti li stanno cercando… sappiamo che l’Anello è custodito da un mezzuomo. Dei quattro che sono partiti da Gran Burrone, sappiamo che due erano qui e ora gironzolano per la terra di Sauron, uno è a Gondor e l’altro è in movimento con i Rohirrim verso Minas Tirith.” notando l’espressione sconvolta apparsa sul volto di Elrhoir, aggiunse. “Pensavi davvero che non sapessimo nulla? Vi stiamo osservando fin dalla vostra partenza. Il Grande Occhio vede ogni cosa… non avete segreti per Lui.”
Terminata la frase, senza perdere tempo, con violenza, Sverker si scagliò contro l’elfo. Con abilità Elrhoir fermava ogni attacco di Sverker, i suoi attacchi erano prevedibili; per nulla mutati da quando era una guardia di Gran Burrone. I tocchi violenti delle due spade rimbombavano nella sala, metallo contro metallo… quel suono fece rabbrividire il principe; era legato a un ricordo orribile del suo passato.


Il cielo era grigio ed il tempo minacciava tempesta. Dei violenti lampi illuminavano il cielo ormai imbrunito e riflettevano tetri sulla superficie blu dell’acqua. Il vento soffiava violento facendo piegare i fini rami degli alberi. Le foglie si staccavano stanche e, in balia della brezza, volavano mezz’aria fino a cadere sul pavimento di roccia. Alcune piccole gocce d’acqua cadevano dal cielo, sfiorando i volti caldi della corte di Gran Burrone che, nonostante il tempo avverso, si era riunita per dare l’addio alla regina.
Elrhoir, accanto ai fratelli, osservava i Porti Grigi. Gli occhi gli bruciavano, ma cercava di tenere duro. Accanto a lui Alhena singhiozzava, erano tre giorni che piangeva incessantemente, da quando aveva appreso la notizia della partenza di Celebrìan.
In silenzio, il principe, osservava le grandi onde che s’infrangevano contro la roccia e che facevano vibrare le grandi catene di ferro che tenevano le barche ancorate al molo; quel picchiare violento creava un forte rumore metallico che lo faceva rabbrividire. Spostò nuovamente lo sguardo sulla sorella minore; Elrhoir era preoccupato per lei. Non aveva più parlato. Temeva che s’incolpasse di ogni cosa, riusciva a leggerlo nei suoi occhi di ghiaccio; Alhena si dava la colpa di quanto accaduto. La vide singhiozzare sommessamente. Ogni cosa era così deprimente.
L’elfo alzando il capo, fissò il cielo e non poté evitare di pensare che le fini gocce che bagnavano il suo viso e la pesante veste che portava, parevano lacrime. Anche il cielo era triste per la perdita dell’amata regina di Gran Burrone.

Elrond, stringendo con forza entrambe le mani della moglie, la guardava negli occhi. Era bellissima ed era stato estremamente fortunato ad averla conosciuta, ad aver condiviso con lei tanti secoli felici. Sarebbe stato così difficile per lui dirle addio, lasciarla andare; lei era la sua vita. Ogni giorno sarebbe stata una tortura per Elrond svegliarsi e non poter ammirare in silenzio il suo dolce viso mentre ancora dormiva. Carezzò il suo volto.
“Devo andare. Il mare minaccia tempesta…” sussurrò con voce calda Celebrìan, senza distogliere lo sguardo dagli occhi grigi dell’amato.
“Ripensaci…” le sussurrò lui, avvicinandosi di poco al volto di lei. “Non abbandonarmi… resta con me. Insieme ce la possiamo fare.”
La regina scosse il capo, lentamente… ormai si era completamente arresa. Non aveva più la forza di continuare. Era stanca di fingere, voleva scappare da quella terra di dolore.
“Elrond…” disse lei, posando la fronte sul petto dello sposo. “Cuore mio… anima mia…”
“Non abbandonarmi.” la pregò lui.
“Ne abbiamo già parlato e non posso… non riesco… mi sento soffocare ogni volta che respiro. Ogni istante vivo con la paura, il dolore e la rabbia che quel momento mi ha lasciato.”

Alhena distolse lo sguardo dai genitori; la scena era troppo penosa, si sentiva responsabile della loro sofferenza.
Voltando il capo osservò con cura i suoi fratelli. Elladan e Elrhoir erano alla sua destra e, con occhi fissi, scrutavano l’orizzonte. Era chiaro che soffrivano molto, anche se cercavano di resistere, di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni. La bionda chiuse gli occhi e guardando l’orlo della veste che portava chiuse gli occhi; cercando di non essere vista, si asciugò le lacrime.
Un gemito improvviso attirò l’attenzione di Alhena e, volgendo il capo a sinistra, vide Estryd piegata tra le braccia di Arwen. Con dolcezza materna la sorella maggiore, carezzava il capo della bruna, sussurrandole parole affettuose e consolatorie.
“Resta con noi… non ti chiedo di farlo per me… fallo anche per loro, i nostri figli! Hanno bisogno di una madre…” implorò Elrond.
Quelle parole ferirono ancora di più il cuore già straziato di Alhena.
“Ti aspetterò.” rispose Celebrìan. “Hai ancora molto da vivere, molte cose ti legano a questo magnifico mondo… Gran Burrone è casa tua, il tuo regno, la tua terra.” fece una pausa e, accarezzando il volto del marito, abbozzò un timido sorriso. “Ogni giorno che mi sveglio qui, ogni respiro per me è diventato faticoso… ho l’anima straziata…”
Con dolcezza, baciò le labbra del marito.
“Questo non è un addio, è solo un arrivederci a presto. Ci rivedremo, amor mio… i nostri cuori sono legati. Ci siamo promessi amore eterno e non voglio infrangere questa promessa. Sei nel mio cuore. Lo sei stato ogni giorno, sempre.”
“Ti amo e ti amerò per sempre, fino alla fine. Finchè ci sarà vita in noi.”
“Fino alla fine.” concluse Celebrìan, annuendo e baciando Elrond.

Mentre la barca abbandonava i Porti Grigi, Elrond rimase fermo ad osservarla. Si allontanò velocemente, aiutata anche dal forte vento che soffiava con prepotenza nelle vele spiegate. Il Re guardava la costruzione in legno chiaro, senza battere ciglio; presto non poté più distinguere il volto e la figura della sua amata poi, anche la barca stessa, fu solo un piccolo puntino chiaro all’orizzonte ed, infine, sparì tra le nuvole colme di pioggia e i lampi.
Elrond non riusciva a muoversi; anche respirare, gli costava molta fatica. I muscoli del suo corpo parevano essersi addormentati. Il frastuono del vento e delle onde si erano fatti sordi alle sue orecchie… altro non esisteva se non l’orizzonte, oltre il quale c’era la sua amata Celebrìan.
“Padre, si è fatto tardi.” disse Elrhoir, avvicinandosi con passo tremante al genitore. “Dobbiamo rientrare a palazzo.”
Elrond non si mosse, non diede nemmeno segno di aver sentito le parole pronunciate dal figlio. Rigido, come una statua, scrutava il mare; il vento muoveva con eleganza il lungo manto nero che portava e scompigliava i suoi capelli scuri, inumiditi da una fine pioggia fredda.
“Padre!”
Ancora nessuna risposta.
“Credo sia meglio avviarci verso casa. L’ora si è fatta tarda e le vie non sono sicure.”
Haldir raggiunse i principi con passo deciso. Indossava l’uniforme dorata dei Galadhrim ma, invece del consueto manto vermiglio, ne portava uno scuro, in segno di lutto. Raggiunse i giovani elfi con un sorriso triste sul volto: “Ho promesso a vostra madre di vegliare su di voi.” convenne, facendo loro segno di seguirli.
“E nostro padre? Non possiamo lasciarlo qui.” s’intromise Arwen, osservando le spalle del genitore.
“Concediamogli ancora qualche minuto… concedi a noi ancora qualche minuto.” sussurrò Estryd, raggiugendolo e fissando il suo sguardo blu.
“Ci raggiungerà presto.” rispose con dolcezza. “Quando sarà pronto. Ha busigno di un po’ di spazio. Sta affrontando un momento difficile, molto difficile… sta dicendo addio all’amore della sua vita.”

“Amico mio… ho fatto prima che potevo.” esclamò Gandalf, avvicinandosi ad Elrond. “Sono già partiti?” domandò infine.
Il Signore di Gran Burrone non rispose.
“Mi dispiace molto, Elrond. Ma devi promettermi di reagire. Celebrìan ti ha fatto dono dei beni più preziosi che tu possa desiderare: ti ha concesso il suo cuore e ti ha dato cinque figli bellissimi.”
Posando una mano sulla spalla di Elrond, aggiunse: “Soffri ed è normale, ma vedrai che presto andrà meglio. Celebrìan ha preso la decisione migliore… conosceva i suoi limiti e non poteva restare qui…”
“Silenzio.” sibilò, stringendo le mani a pugno.
Gandalf guardò l’amico sorpreso dall’ira nella sua voce. Non l’aveva mai visto così.
“Elrond…” iniziò a dire.
“Non fingere che tutto vada bene. Perché nulla va bene! Nulla andrà più bene, da oggi in avanti!” concluse urlando, guardando lo stregone negli occhi. “Lei era tutto per me! Tutto!”
“Non permettere alla rabbia di prendere il sopravvento!” lo implorò Gandalf.
“No! Troppo a lungo ho taciuto… mi sono controllato perché lei me lo ha chiesto! Ma ora basta! Ora basta!” continuò fuori di sé.
Gandalf, senza parole, guardò l’amico.
“E’ stata colpa sua… ogni disgrazia che è accaduta, è stata per causa sua!”
“Elrond… non comprendo… sei uscito di senno…” sussurrò, smarrito lo stregone.
“Lei… se solo non si fosse allontanata, comportandosi da immatura… se avesse obbedito alla madre… è stata colpa sua! Sua!”
“Di chi parli? Di che colpa parli?” chiese Gandalf, non sicuro di voler conoscere la risposta.
“Di lei… di Alhena!” rispose con odio e disgusto.


“Non perdiamo altro tempo!” esclamò Elrhoir, guardando con occhi colmi d’ira il suo avversario. “Mi sento buono e ti concedo un’ultima possibilità. Libera mia sorella e lasciaci andare… ti risparmierò la vita. Puoi fidarti di me. Hai la mia parola!”
Ridendo di gusto, Sverker guardò il principe: “Mi risparmierai la vita? Ho la tua parola?” rise divertito. “Oh, Elrhoir… non renderti ridicolo. Le tue parole sono una barzelletta, davvero infelice!”
Stringendo con maggior forza la spada, Elrhoir guardò Sverker; almeno aveva tentato di trovare un’altra strada.
Non aveva altra scelta; con passo sicuro si avvicinò al traditore. Lo sguardo impassibile, senza battere ciglio. Il primo attacco fu violento; i due elfi combattevano, muovendosi con eleganza. Le due lame si scontravano con una forza tale da creare fini scintille ad ogni impatto.
Parevano danzare, mentre giravano in tondo, studiandosi l’un l’altro per carpire il punto debole dell’avversario e, allo stesso tempo, parevano due felini, mentre attaccavano con il chiaro obiettivo di ferire per uccidere.
Erano stati addestrati dallo stesso maestro ed entrambi possedevano la medesima tecnica. Con il tempo, però, Elrhoir si era distinto da Sverker, grazie soprattutto alle numerose battaglie combattute e vinte e, questa superiorità, era evidente nello scontro.
Il combattimento si stava consumando da alcuni minuti quando, sorprendendo Elrhoir, Sverker sferrò un attacco improvviso, squarciò l’aria con la lama della spada e, per un soffio, non ferì il principe al petto. Solo grazie alla prontezza di riflessi, Elrhoir evitò la lama e, flettendosi all’indietro, schivò il colpo del signore di Cirith Ungol. Senza concedergli tempo, con un movimento improvviso, Elrhoir sferrò un calcio, colpendo l’avversario al petto e facendogli perdere l’equilibrio. Sverker cadde per terra con un tonfo sordo.
“Maledetto!” sussurrò Sverker, arrossato in volto per l’imbarazzo di essere in difficoltà contro Elrhoir.
Con le braccia stese lungo il corpo e la spada salda in pugno, raggiunse Sverker e, sovrastandolo, lo osservò attentamente: “Sei in netta difficoltà… e, dal tuo sguardo, mi è chiaro che l’hai capito anche te.”
Alzandosi, l’alleato di Sauron ricambiò lo sguardo del principe con tutto l’odio che provava e, ormai accecato dall’ira, si scagliò con violenza contro l’elfo. Sverker attaccava, ma i suoi movimenti si erano fatti lenti ed imprecisi; mancava l’avversario e, i pochi colpi che andavano a segno, venivano parati con fin troppa facilità da Elrhoir.
“Ammetti la sconfitta.”
“Mai!” rispose l’elfo urlando. “Non mi hai sconfitto!”
“Come desideri.” concluse il principe, ormai arreso davanti all’ostinazione di Sverker. Nonostante i crimini da lui commessi, nonostante le malvagità ed il tradimento, non era nello spirito di un elfo uccidere. Privare un essere vivente della propria fiamma vitale, della propria luce, era impensabile. Qualunque vita per un elfo era sacra e, ancor di più, se ad essere strappata da un crpo era un’anima immortale.
“Non vincerai mai… non hai il coraggio! Non hai la forza per andare fino in fondo.” sibilò Sverker. “Guardati adesso!” continuò, accennando al principe. “La vita di tua sorella è appesa ad un filo… mi basta così poco, quasi un nulla, per ucciderla. Se tu sarai sconfitto, tale sorte spetterà anche alla tua adorata Estryd.”
Il sangue ribollì nelle vene del principe; non avrebbe mai permesso a Sverker di completare i suoi piani. Con rinnovata risolutezza, Elrhoir strinse la spada e, allungando le braccia verso il suo avversario, si scagliò contro di lui. Aveva ragione; se voleva vincere, avrebbe dovuto combattere con rabbia, con convinzione. Ogni cosa per salvare sua sorella. Si sarebbe giocato il tutto per tutto.
Questa violenza sorprese Sverker che, impreparato, indietreggiò nel vano tentativo di fermare i micidiali colpi dell’avversario. Teneva a malapena testa al principe.
Arretrò ancora, fermato infine dalla fredda roccia contro la quale picchiò violentemente le spalle; Sverker era stato colto alla sprovvista. Corrugò la fronte; sopreso. Per un soffio, bloccò l’ennesimo colpo.
Alzò la propria arma in tempo; le lame si scontrarono a pochi centimetri dal suo volto… erano vicine, così vicine… guardò oltre e si spaventò vedendo il fuoco che brillava nelle iridi di Elrhoir. Un istante, un battito di ciglia, ed Elrhoir attaccò nuovamente, mosse la spada, impugnandola con entrambe le mani e poi, con forza, trafisse il torace del traditore.
La violenza fu tale che la lama trapassò Sverker e, urtando la roccia, si spezzò con un suono secco.
Un rivolo di sague colò dalla ferita, dove l’arma aveva colpito il signore di Cirith Ungol. Il sorriso sul suo volto svanì e, per la prima volta dopo secoli, Sverker provò paura. Il dolore era forte, pungente, un bruciore costante che provocava forti spasi al suo corpo. La vista annebbiata gli impediva di vedere chiaramente.
Faticava a respirare; aveva qualcosa in gola che gli impediva di deglutire, tossì. Uno spruzzo di sangue colpì Elrhoir in volto. Il principe non si mosse, restò vicino a Sverker, le mani ancora ben saldo sull’elsa della spada, non sarebbe arretrato. Riusciva a sentire i respiri di Sverker, erano lenti e gli costavano un’enorme fatica.
“Mi dispiace.” sussurrò infine Elrhoir, indietreggiando solo quando l’elfo esalò l’ultimo respiro.

  
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