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Autore: luxaar    08/12/2016    1 recensioni
Beatrice Macrì è una specializzanda di uno dei più importanti ospedali del Paese. Eppure, nonostante il risultato fino ad ora raggiunto, non è affatto sicura di se stessa, vittima della competizione sprezzante tra colleghi, che la rimproverano di essere troppo debole o comunque troppo poco fredda per quel lavoro così difficile. La passione è ciò che la guida in ogni sua decisione.
Edoardo Della Scala rappresenta, invece, esattamente il contrario di lei, almeno apparentemente.
Cinico, lucido e brillante sul lavoro, è amato da tutti i suoi colleghi e non soltanto perché è il figlio del primario, anche se questo sicuramente non guasta affatto.
Inutile dire che le loro strade si incontreranno e che il tempo dimostrerà loro quanto in realtà, al di là di ogni convinzione e aspettativa, siano inesorabilmente simili.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Stava piovendo ininterrottamente ormai da qualche ora mentre versavo il tè fumante nella tazza.
Mi trovavo da sola in cucina e non facevo altro che pensare alla notte appena passata.
I miei pensieri sembravano seguire il fumo che risaliva dalla tazza.
Quando quella notte aprii la porta a mezzanotte spaccata trovai Rosa, l'infermiera che mi sorrideva ogni giorno e che dalla sera precedente era stata al centro dei miei pensieri.
Però ben poco rimasi a guardare la sua figura, perché immediatamente un'altra rivendicò la mia attenzione: Edoardo.
E subito i miei occhi si sgranarono.
Il mio irriverente supervisore si poggiava all'infermiera, con un braccio che teneva lo stomaco.
Indossava una felpa nera che però non nascondeva il sangue che la impregnava.
Piegato su se stesso e sostenuto solo dalla figura di Rosa, rivolgeva la testa verso il basso, con il viso nascosto dal cappuccio della felpa.
Ma comunque dal mento continuava a colare sangue senza sosta.
Così le gocce rosse si fondevano con quelle incolori dell'acqua, per poi abbattersi indomite a terra.
 "Mi ha detto di portarlo qui" sussurrò Rosa, come a non voler recar fastidio al ragazzo, cercando al tempo stesso di sorridermi rassicurante.
Non ebbi il tempo di pensare: mi attivai come una macchina e mi feci aiutare a trasportare Edoardo sul divano.
Disteso e sotto la luce aveva un aspetto ancora peggiore.
Un occhio non era più visibile a causa delle ingenti ferite e oltre le labbra spaccate, anche il naso sembrava completamente distrutto.
Però ciò che più destava la mia attenzione era ciò che avrei trovato sotto la felpa.
Presi delle forbici e tagliai gli indumenti.
Nel frattempo Edoardo continuava a lamentarsi e muoversi, mentre sudava freddo.
“Non posso” cercava di biascicare in uno stato di evidente non coscienza.
Mentre tastavo le costole alla ricerca di qualcosa di incrinato o rotto, chiesi: "Non sarebbe meglio portarlo in ospedale?"
Ciò che vidi fu il diniego con la testa di Rosa.
 "Assolutamente no. Non vuole. Io però avevo deciso qualche tempo fa di tirarmene fuori" e dicendo ciò, Rosa alzò le spalle. 
 "Però quando mi ha chiamato ho dovuto cedere a quest'ultima richiesta e quindi l'ho portato qui. Sa come tenere in pugno le persone, eh? Io però adesso non voglio sapere più niente. Abbi cura di lui" disse l'infermiera con un tono che appariva amareggiato e se ne andò.
Non ebbi tempo di pensare alle sue parole, anche se mi avevano portato nuovi dubbi e incredulità.
Non capivo cosa diavolo facessero l'infermiera e lo specializzando assieme, anche se non mi sembrava niente di innocuo, ma solo qualcosa di profondamente losco.
Peraltro non capivo perché Edoardo avesse detto a Rosa di portarlo da me, cosa voleva?
Sicuramente, come aveva dimostrato negli ultimi giorni, non aveva scelto di bussare alla mia porta perché mi riteneva un bravo medico, né appariva che gli stessi simpatica.
Ma allora perché?
Comunque,  come mi ero ripromessa precedentemente, decisi che io non avrei avuto niente a che fare con i suoi non troppi puliti affari, del resto anche l'infermiera si era tirata indietro.
Non avrei alzato il piede per immettermi in un cerchio chiuso da cui poi sarebbe stato impossibile uscire.
Mi trovavo al limite di quella linea e non avevo alcuna intenzione di superarla, mi sentivo come se una volta passata dall'altra parte, una grande cupola di vetro sarebbe stata apposta sopra di me, impedendomi di uscire per sempre.
Per questo decisi che l'avrei portato in ospedale.
Presi il cellulare, pronta a chiamare un'ambulanza, ma Edoardo, che riprese momentaneamente e straordinariamente conoscenza, mi bloccò: "Non farlo. Aiutami per lo schiaffo". sussurrò, intervallando ogni parola da lunghi sospiri e lamenti causati dallo sforzo. Il grigio dei suoi occhi era lucido e tremava senza sosta, così come faceva il resto del suo corpo. Eppure l'intensità che impresse nello sguardo fu devastante.
Demolì tutte le mie certezze, spazzandole via senza ritegno.
Del resto, nonostante la frase non appariva avere a primo acchito senso compiuto, avevo capito.
Il prezzo da pagare per lui era quello: aiutarlo senza portarlo in ospedale.
Era il prezzo del suo silenzio per quello stupido gesto che avevo compito due giorni prima.
Così presi antidolorifici, garze, cotone e disinfettante e incominciai a medicarlo.
Lo osservai.
Soffriva e il suo dolore era tangibile.
Aveva perso ogni punta di arroganza e tracotanza, ma avrei preferito millemila volte essere umiliata e insultata da lui che vederlo così tremante, impaurito, debole.
Sembrava un bambino, si stava affidando a me come facevano i nostri pazienti: senza alcuna esitazione.
Continuava però, nel suo stato di incoscienza a balbettare tra i lamenti: "Non ce la faccio".
Nonostante tali parole le avessi sentite infinite volte da coloro che doloranti si trovavano in ospedale, pronunciate da Edoardo avevano un suono diverso.
Non si riferivano al dolore che stava patendo al momento, procurato dalle ferite: sembrava amareggiato, quasi si sentisse impotente e profondamente in colpa.
Finite le medicazioni avevo coperto Edoardo con una coperta di lana e  mi ero recata in cucina, dove adesso stava continuando a fumare il tè ancora caldo.
Mi passai le mani sul viso, stanca da quella nottata, e andai nuovamente in salotto a vegliare su Edoardo e sulle sue condizioni.
Ero ancora sconvolta e mi chiedevo se non sarebbe stato meglio portarlo in ospedale.
Il biondo si mosse sul divano.
 "Grazie" mugugnò flebile e, girandosi dall'altro lato,si addormentò.
Sorrisi e poco dopo anch'io cedetti alla stanchezza e alle braccia di Morfeo sulla poltrona di fronte a lui.
Avevo preso la mia decisone, ma dove mi avrebbe portata?
Insomma, in che tipo di guai mi stavo cacciando accettando il suo ricatto implicito così?
Il giorno dopo mi svegliai presto per recarmi in ospedale.
Lasciai il mio supervisore sul divano e presi il barattolo del caffè al ginseng che rendeva meno spiacevole ogni mattina.
Su di esso trovai attaccato un post -it.

 
Che stai combinando?
Chi è quel ragazzo sul divano?
Appena torno, non pensare di dimenticarti di aggiornarmi.
Un bacio e buona giornata, 
Ila

Già, la mia coinquilina, nonché una delle mie migliori amiche, ieri, probabilmente sconvolta, come era giusto che fosse, non mi aveva chiesto nulla se non un “Tutto a posto?” che derivava dal voler capire se davvero non fossi impazzita o vittima di qualche malintenzionato con pistola alla mano. Guardavamo effettivamente assieme troppe serie Tv poliziesche americane, che naturalmente avevano influito su di noi e la nostra percezione della realtà.
L'idea del post-it era piaciuta anche a me, così ne lasciai anche io uno ad Edoardo, accanto agli antidolorifici che avrebbe dovuto prendere.

 
Prendi tre di queste al giorno:una non basta, non sei un bambino.

Mi chiesi se avessi dovuto chiedere attraverso il bigliettino qualche spiegazione, ma pensai che sarebbe  stato meglio parlare di persona.
Arrivata all'ospedale mi recai immediatamente da Rosa, che non mi accolse con il suo solito sorriso.
 "Come sta? Senti, ho detto io che per qualche giorno non si recherà al lavoro, ma dalla prossima volta dovrai essere tu, va bene?" mi disse, assumendo nuovamente un'aria bonaria, come se cercasse di rassicurarmi.
 "Io non ho int..." cominciai a proferire, prima di essere bloccata dalle sue parole.
 "Eppure non hai chiamato l'ambulanza, vero? Nonostante ciò, sembra che tu non sappia, sono confusa" parlò a bassa voce, scuotendo la testa, come se stesse in realtà interloquendo da sola.
Ogni volta che andavo da qualcuno a cercare di capire qualcosa, soltanto nuovi dubbi si insediavano nella mia testa.
 "Che vuol dire?" chiesi, speranzosa di trovare finalmente risposte.
 "Non posso dirtelo io, sarà lui a spiegartelo, ok?" mi rispose con voce calma, come se stesse parlando con una bambina che faceva i capricci.
Ok, un cavolo però.
Ero sempre più confusa, ma non avevo tempo per insistere: stava incominciando il mio turno. Sospirai e mi preparai sia fisicamente che mentalmente, accantonando, almeno momentaneamente, tutta quella storia di Edoardo, che sembrava un vortice nero che girava continuamente all'interno della mia testa e reclamava attenzione.
Lavorai al fianco del Dott. Costa, strutturato a partire da quest'anno.
Era molto gentile e disponibile e si dimostrò essere anche un bravo insegnante.
 "Sei davvero più brava di ogni altro specializzando, almeno del tuo anno e del quarto, lo sai, vero?" Costa soffiò queste parole al mio orecchio e, nonostante il mio ego si fosse gonfiato  "e non di poco", sentii l'esigenza di fare un passo indietro, mi sentivo troppo vicina.
 "Grazie, ma credo tu stia esagerando!" dissi, sorridendo nervosa.
Non so perché ma quella vicinanza aveva  scatenato in me una strana reazione, così, cercai una scusa e lo salutai velocemente, dato che il mio turno era finalmente finito.
Ritornai presto a casa e dove mi aspettavo di vedere Della Scala, naturalmente, come nei più banali dei film, non vi era nessuno.
Sparito come un sogno dopo mezz'ora dall'esserti svegliato.
Mi chiesi se  non l'avessi davvero sognato, ma quello era troppo perfino per la mia terribile immaginazione.
 "Bea! come ti ho detto esigo una spiegazione. Chi era quel ragazzo? Io non capisco, perché non l'hai portato in ospedale? Mi sono davvero spaventata a vedere tanto sangue" Ilaria, con quelle parole, mi aveva terrorizzata per ben due motivi.
Il primo era che non l'avevo affatto vista e la sua voce era spuntata dal nulla.
Il secondo motivo invece riguardava cosa avrei dovuto dirle. Non so perché ma non mi sentivo di raccontarle l'intera storia, forse perché neanch'io l'avevo capita fino in fondo.
Del resto era raro che io raccontassi qualcosa di così intimo a qualcuno che non fosse Stefano.
E so che Ilaria è la mia migliore amica, ma proprio non ce la facevo a raccontarle tutto, avevo bisogno di metabolizzarlo prima io.
 "Edoardo è un mio compagno di specializzazione e si è fatto male giocando a calcetto e mi ha chiesto, viste le lunghe code al pronto soccorso e dato che non era grave, se potessi bendarlo io.
Le sue ferite erano solo superficiali quindi gli avrebbero dato un codice molto basso e sarebbe dovuto rimanere tutta la notte lì" mentii spudoratamente e, nonostante la cattiva bugia, Ilaria annuii, sorridendomi. Del resto il medico tra le due ero io.
 "Ah, Bea, ti volevo dire che avevo intenzione tra qualche giorno di scendere dalla mia famiglia a Bari: mi hanno dato finalmente le ferie!" incominciò ad urlare entusiasta e io mi unii a lei, felice perché finalmente in quello studio la stavano trattando come meritava.
Ilaria era una bella ragazza un po' bassina, ma dallo sguardo felino, che dimostrava tutta la sua intelligenza.
I capelli scuri e a caschetto rendevano ben visibile la sua anima sbarazzina.
Infine, il suo fisico magrissimo era sempre impreziosito da abiti eleganti.
Era un po' fissata con la moda e gli outfit, ma effettivamente io non ero da meno: era una grande passione che condividevamo oltre a quella delle serie Tv.
Ilaria, laureata in Economia con quasi il massimo dei voti, lavorava da qualche anno in uno studio, dove sembrava che la trattassero più da assistente che da pari collega.
Ciò naturalmente destava in lei malumori un giorno sì e l'altro pure, ma fortunatamente da qualche mese a quella parte sembrava che la situazione al lavoro stesse migliorando.
Sperai solo che non fosse a causa della relazione che stava intrattenendo con uno dei suoi colleghi più grandi.
E mentre stavo abbracciando la mia amica, sentii squillare il telefono di casa.
 "Vai, è dalle tre del pomeriggio che squilla: è tuo fratello." mi sussurrò Ila, svincolandosi dalle mie braccia.
Alzai le spalle confusa e mi ricordai che il mio cellulare era completamente scarico e che, quindi, molto probabilmente per questo Stefano aveva deciso di chiamarmi a casa.
Chissà cosa voleva: non era una persona insistente, anzi di solito era già tanto se faceva più di uno squillo al cellulare.
Mi aveva sempre ripetuto che non era necessario chiamare più di due volte perché una volta viste le chiamate perse, avrebbe richiamato.
E si aspettava lo stesso comportamento dalle altre persone.
“Bea, tutto bene?” mi chiese Stefano e nella sua voce percepii angoscia e preoccupazione.
 "Sì, perché?" risposi falsamente, cercando di nascondere la stanchezza, i dubbi e l'ansia perenne determinati da quei giorni così pesanti.
 "Non mentirmi" mormorò con una punta di amarezza e incredulità.
“Ti prego, non cacciarti nei guai. E' l'unica cosa che ti chiedo. Stefano è una mina vagante, non lo capisci? Si sta autodistruggendo e non ho intenzione di vedere anche te coinvolta nello scoppio, ok?” disse mio fratello lentamente, come se ogni parola necessitasse troppa energia. Sembrava che la condizione del biondo gli stesse più a cuore di quanto desse a vedere.
Mi chiesi il perché. Del resto fino ad ora non mi era sembrato che vi fosse un rapporto tra i due che andasse oltre quello lavorativo.
Ma evidentemente mi sbagliavo. I due dovevano conoscersi e anche piuttosto bene. Mio fratello si affezionava raramente alle persone e quelle per cui si preoccupava erano meno di quanto ci si aspettasse.
E io sarei andata fino in fondo a quella storia: ero stanca di non sapere.
Esausta per tutte quelle domande che non davano vita a nient'altro se non altri quesiti. Volevo che per una volta mio fratello parlasse con me apertamente, senza che io dovessi interpretare parole o gesti.
In quel periodo mi stava nascondendo più cose di quanto fosse ammissibile.
Cosa lo preoccupava riguardo il bambino che presto avrebbe avuto da Lucrezia? Perché la sua fidanzata sembrava così angosciata? Qual era il rapporto che aveva con Edoardo? E poi, che diavolo voleva dire quella telefonata?
Sicuramente una cosa era chiara nella mia testa: Stefano non poteva aspettarsi che accettassi così le sue richieste.
Volevo delle spiegazioni e le avrei avute.
Così mi recai a casa sua, incurante del temporale, che ben rappresentava il mio stato d'animo.
E nuovamente mi trovai sul pianerottolo, questa volta però di mio fratello,  interdetta e sconvolta.
Evidentemente i Macrì avevano una forte propensione a offrire il proprio divano ad un Edoardo Della Scala malridotto.

*****
Ciao a tutti, 
questo capitolo è più intenso dei precedenti e nonostante ciò non ho fatto altro che riempirvi la testa di domande proprio come la nostra sfortunata protagonista.
Non ammazzatemi!
Piano piano, ogni nodo verrà al pettine e verrà disciolto.
Vi prego fatemi sapere!
Grazie a tutti coloro che hanno lasciato un commento, grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le ricordate o addirittura tra le preferite, grazie a chi l'ha letta!
Un ringraziamento speciale va a Trix94, che si chiama proprio come la protagonista e mi sta dando una grossa mano con la grafica.
Un bacio, 
Laura

 
ANGOLO PUBBLICITA': 
 
Autore: luxaar     20/04/2015     1 recensioni
Beatrice ed Edoardo saranno protagonisti di una storia posata e scomposta.
Gli amici di Beatrice amano descriverla come un'idealista, una sognatrice disillusa.
Dicono che le piace parlare, ma che di sè non dice mai nulla.
Confonde con le sue chiacchiere e tutti la considerano una persona con cui poter conversare piacevolmente.
Edoardo, invece, evita le ciarle quasi fossero la peste, preferirebbe stare un po' solo, ma più si allontana, più gli altri si avvicinano.
E' bello, affascinante, misterioso e sicuramente ricco.
Gli "sciacalli", come ama chiamarli lui, non abbandonano mai la loro preda.
Eppure Edoardo non si arrabbia, non si scompone, al massimo sorride amaro, e si lascia scivolare addosso ogni moina, lusinga, cattiveria o invidia senza alcuna differenza:
Alza le spalle.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het 
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
 
Autore: luxaar     03/10/2012     3 recensioni
Sì, lo so, lo so, il titolo di questa storia è davvero banale, ma purtroppo la mia mente offuscata dall' emozione di pubblicare questa storia è andato in tilt. Per cui mi scuso, davvero.
Non voglio anticiparvi molto ma ho il dovere di scrivere un' introduzione per bene (come se mi riuscisse).
La protagonista di questa storia, Kairi, è una ragazza molto fragile che sembra spezzarsi al minimo tocco, ma per sua (s)fortuna si ritrova a intraprendere un lungo viaggio con i suoi primi e veri amici. Imparerà ad amare la vita, a combattere e a rispettare anche le persone che si definiscono ''malvagie'' poichè non esiste solo il nero e il bianco, il male e il bene, l'odio e l' amore...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna 
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
  
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