Caen
attraversò il corridoio a lunghi passi, senza degnare di uno
sguardo il suo
interlocutore.
-Allora?Cosa
è successo?- lo chiese senza guardarlo, senza voltarsi
Eilis,
l’uomo di fianco a lui, sussultò -Ah,
ehm…io non lo so, la Signora mi ha solo
ordinato di cercarti.
Il rosso
scrutò il vuoto avanti a se, rapito da oscuri pensieri,
presentimenti
evanescenti, effimeri, ma che ad ogni passo verso di Lei si facevano
più forti.
Si
scrollò
le gocce d’acqua piovana dal mantello e dai capelli con un
gesto risoluto della
mano.
-Nient’altro?
L’uomo
annuii, era ancora agitato da ciò che aveva visto,
l’aspetto della Madre era….
Scosse la
testa per cancellare quei pensieri, però come poteva
dimenticare?
Faris, la
sua unica parente era nelle mani di quella donna, se solo avesse fatto
un passo
falso lei sarebbe morta…
-Temo che
sappia già tutto- mormorò Caen stringendo i
pugni, cosa gli avrebbe ordinato?
Cosa avrebbe dovuto fare?
Aprì
la
porta ed entrò a grandi passi nella sala.
-Madre?
-Caen, sono
contenta che tu sia venuto, Eilis puoi andartene
L’uomo
si
voltò velocemente e si chiuse il portone dietro di se, il
cuore gli pulsava
ancora in testa ogni volta che udiva quella voce.
-Deve dirmi
qualcosa?- chiese Caen, temendo la risposta
La donna
sembrò pensarci, il silenzio rimase tale a lungo
–No- disse quella voce
metallica –Non ancora, voglio prima vedere come si evolve la
situazione.
Il fulvo
deglutì, quindi perché l’aveva
chiamato?Per un suo capriccio?
Sembrava
che La Signora avesse capito tutto, ma non lo volesse ammettere, o non
volesse
far scoprire i suoi piani, era un’impresa impossibile cercare
di comprenderla.
Non
riuscì
a trattenersi –Ma allora perché mi avete
chiamato?- deglutì cercando di
rimangiarsi quelle parole che mostravano tutta la sua inquietudine.
–Perché?Non
c’è un perché volevo solo vedere se
saresti venuto.
Caen
sgranò
gli occhi, allora sapeva tutto?
Si
stritolò
le mani in una morsa e pregò perché non
succedesse nulla.
Josh si
rigirò, era ormai notte inoltrata, ma non sarebbe mai
riuscito a chiudere
occhio.
Rimise a
posto il cuscino, si stiracchiò, tirò su le
coperte, si rigirò, inutile.
La
preoccupazione lo rodeva, la sua mente continuava a rivedere le stesse
scene
come un giradischi rotto che ripete sempre la stessa parola.
Quella voce
che gli era così familiare, ma ugualmente irriconoscibile,
quello sguardo che
sembrava di qualcun altro, quella risata fredda, quel sorriso, rivedeva
tutto
ciò che non apparteneva ad Amy, ma a quella Katia.
Perché,
perché aveva combinato un disastro così grande?
Seppellì
la
testa nel cuscino sperando di essere inghiottito dal letto e divorato
da
qualche mostro dell’inferno.
Per di
più…Caen, Caen che cosa stava combinando?
Perché
l’aveva chiamato di nuovo?Gli avrebbe fatto ammettere tutto?E
poi perché
continuare a chiamare il fratello?
Si
passò
una mano sulla spalla destra, il tatuaggio sembrava non volerlo
chiamare in
alcun modo, e tutto il dolore provato in quei giorni pareva scomparso.
Si
sfregò
gli occhi con insistenza e scrutò
l’oscurità cercando invano la quiete.
Un’immagine,
sempre la stessa, gli tornava continuamente alla mente ogni volta che
si
ricordava del fratello.
Caen, il
giorno prima l’aveva avvicinato al suo volto e lui aveva
visto che il suo
occhio nero si avvicinava all’azzurro vicino alla pupilla.
Non gli
sembrava normale, anzi non era per niente normale.
Ma
allora…
Si
alzò dal
letto, scostando le coperte, impossibile, che anche Caen fosse come
lui? Che
anche lui fosse un impuro?
E allora
perché non si somigliavano per niente?Perché il
fratello era uguale a tutti gli
altri Dominatori e lui era così diverso?
Basta non
riusciva a pensare, non a quell’ora di notte, non dopo tutto
quello che era
successo.
Si ristese
sperando di riposare almeno un paio di ore…
Eppure…ma
allora cosa stava succedendo al fratello?
Nella
camera a fianco, quella di Caen, si trovava Harry.
Neanche lui
sarebbe mai riuscito a dormire in una situazione simile.
Si
scostò
un ciuffo castano dagli occhi e se lo rigirò tra le dita
annodandolo.
Solo
allora, in quel buio privo di suoni, gli tornò alla mente
ciò che aveva visto,
tutte le sue visioni.
Soprattutto
l’ultima, la più terribile, la più
spaventosa…
Quel
bambino era lui? Ma allora era umano?Cosa gli aveva fatto?
Tutto
ciò
che diceva Josh era vero, quindi quel vicolo buio, stretto e
inaccessibile era
la sua strada.
La
verità
che si nascondeva dietro a quegli strani ricordi era alla fine di una
via che
gli pareva inaccessibile, lontanissima.
Il filo dei
suoi ragionamenti si era sbrogliato ormai del tutto, e ora sapeva chi
era, ma
molti misteri erano ancora nascosti e sconosciuti.
Di chi era
quella voce che gridava “Ti amo” con quella
malinconia infinita?Chi era quella
ragazza che aveva incontrato la Madre?
E
soprattutto qual’ era veramente il suo legame con quella
terribile donna?
Un pugnale,
nella sua visione quella donna prendeva un pugnale e probabilmente
feriva il
bambino, ma perché?
Perché
lo
avrebbe fatto?
Si
strofinò
le tempie e cancellò quelle immagini, doveva dormire, doveva
solo chiudere gli
occhi e dormire dimenticando tutto e rifugiandosi nel mondo dei sogni.
Ma sapeva
che era solo una mera illusione e che i sogni sarebbero stati solo
incubi,
nient’altro che terribili incubi.
Amy si
strinse in quello straccio logoro che usava come coperta.
Si era
ritirata nel piccolo scantinato in cui solo poche ore prima si era
ritrovata,
sperduta e sola.
Il vento
notturno si faceva breccia tra gli spiragli della vecchia porta di
legno.
Rimase
immobile e ferma per un tempo che le parve infinito.
Non voleva
addormentarsi per nessun motivo, altrimenti l’altra,
quell’altra anima, avrebbe
di nuovo preso pieno possesso di lei.
Stava
lottando, combatteva una battaglia probabilmente già persa
in partenza, quella
Katia era molto più forte e decisa di lei.
Doveva solo
resistere, fino alla fine, fino all’ultimo respiro,
all’ultima goccia di
sudore.
Strinse i
pugni e rievocò tutti i suoi ricordi come per contrastare in
qualche modo quelli
sconosciuti che la colpivano.
Ricordò
la
sua infanzia, i suoi giochi infiniti, la sua spensieratezza, i suoi
amici, le
disavventure, tutto….
E Josh, lui
che voleva ricordare, lui che voleva dimenticare, lui che
l’amava, lui che la
odiava, lui che voleva ucciderla, lui che voleva salvarla.
Lo
conosceva da sempre eppure non sapeva nulla di lui, aveva sempre voluto
bene a
uno sconosciuto o odiava il suo migliore amico?
Chiuse gli
occhi impedendosi di pensare, quello che conosceva era il vero Josh o
era solo
la sua pallida immagine riflessa?
Sì
perché
tutto era iniziato da uno specchio, uno stupido riflesso dentro uno
specchio
aveva distrutto tutta la sua vita, uno stupido riflesso aveva
annientato ogni
sua sicurezza.
Tutta colpa
di quel suo specchietto rosa.
Tutta colpa
sua.
Strinse
forte il cencio, lo strinse fino a farsi male alle mani, lo strinse
fino a
sentire il rumore di uno strappo, perché era successo tutto
questo?Perché?
Chiuse gli
occhi e ricordò, smembrò la sua memoria di tutti
i suoi pensieri più liberi, di
tutti i suoi momenti più felici.
Solo per
contrastare quell’infinita tristezza che l’altra
ragazza voleva trasmetterle,
solo per combattere contro quella vita costellata di delusioni, di
sconfitte…
Una lacrima
le punse gli occhi, ma cercò di ignorarla, la
lasciò scendere lungo la guancia
bruciandole la pelle al suo passaggio.
Le lacerava
la pelle come una fiamma bruciava le pagine di un libro e lasciava che
le
parole, milioni di parole, si dibattessero fino a ritirarsi in laceri
neri e
illeggibili.
Ma lei non
sarebbe bruciata.
Nessun
pensiero triste l’avrebbe mai scalfita, mai; quella ragazza
non l’avrebbe mai
avuta vinta…
Chiuse gli
occhi per quello che le parve un attimo.
Oscurità,
quell’oscurità impalpabile, fitta, fittissima,
impossibile da attraversare con
gli occhi.
Harry era
in piedi lì che la fissava con quegli occhi rossi carichi di
rancore e di odio,
la squadrava con rabbia e stava immobile, lei voleva avvicinarsi
voleva...
Poi fu come
se il terreno l’aspirasse al suo interno.
E lei
cadeva, cadeva nel buio più totale, in un baratro
infinito…
E allungava
il braccio in cerca di aiuto in cerca di salvezza e chiamava, chiamava
senza
voce, senza suono, ma chiamava.
Una mano
apparse dall’oscurità e la afferrò con
forza, lo sconosciuto che la sosteneva
era poco più di un’ombra.
Fu Josh che
emerse da quelle tenebre e la tenne ancora più forte, la sua
bocca si muoveva e
gridava qualcosa, ma non emise nessun suono.
Lei cercava
di avvicinarsi, di fare qualcosa, ma rimase immobile guardando il volto
dell’amico trasformarsi e mutare il proprio aspetto in
qualcosa di mostruoso,
indefinito e terribile…
E la mano
che la sosteneva la lasciò.
La ragazza
cadde, cadde in un crollo senza fine, ingoiata dal buio.
Gridò
e
gridò, trovandosi immobile su quel pavimento freddo del
giorno prima la lasciò
immobile per troppo tempo.
Sospirò
e
si premette una mano sul petto per impedire al cuore di fuggire, era
stato davvero
solo un incubo?
Eppure era
così reale.
Così
spaventosamente reale.
Intanto
qualcun altro dormiva e chissà magari faceva lo stesso
terribile incubo.
Josh si
rigirava mentre le gambe erano sempre più soffocate dalla
coperta e uno strato
di sudore lo ricopriva.
Si
rigirò
ancora mentre una smorfia di dolore appariva sul suo viso.
Era come
intrappolato e voleva liberarsi, doveva liberarsi, si girò
di nuovo.
No, doveva
fuggire, doveva…
Un rumore
sordo e un dolore alla testa lo svegliò, era caduto dal
letto.
Le gambe
ancora arrotolate nella coperta che era ormai completamente staccata
dal
materasso e il resto del corpo appoggiato a terra, sul freddo pavimento
nero.
Si
massaggio la testa, gli sarebbe venuto di sicuro un bernoccolo.
Si
liberò dall’ingombrante
coperta e si stiracchiò alzando le braccia verso il soffitto.
Era
fradicio di sudore, aprì una porta piuttosto bassa che si
trovava in una parete
della sua camera ed entrò in un piccolo bagno.
Era
l’unica
stanza che il fratello non aveva visto e perciò era di
un’accecante bianca
ceramica e un piccolo specchio lo illuminava ancora di più
da sopra il
lavandino.
Si
sciacquò
il viso svegliandosi completamente e guardò il suo riflesso
con tristezza,
strano gli occhi erano particolarmente rossi, doveva aver avuto un
terribile
incubo.
Scrutò
ancora quel suo aspetto, si sentiva così fuori luogo, come
inadatto ad una vita
normale.
Si tolse la
camicia del pigiama e si asciugò con l’asciugamano
la pelle sudata e si
specchiò di nuovo, la sua attenzione fu presto stratta verso
il tatuaggio.
Cosa?
Sgranò gli occhi studiando la
spalla nel riflesso impossibile…
Girò
lo
sguardo verso la sua spalla vera, il tatuaggio non era visibile, ma
quell’immenso taglio che lacerava i segni della fiamma
sì.
Era
un’immensa
ferita trasversale che aveva rotto il legame che c’era tra le
trame del
tatuaggio un’immensa macchia di china aveva distrutto il
disegno.
Lo sparo lo
aveva colpito nell’altra spalla come era possibile che fosse
ferito sulla
destra?
L’ultima
volta che lo aveva chiamato era stato come se il suo corpo si
incendiasse e
ogni membra perdesse vita, tanto era forte quel dolore.
Si era
ferito così gravemente?
Sfiorò
lentamente quel taglio, era rappreso, ma non se ne era mai accorto in
quei
giorni?
Era come se
si fosse aperta poche ora prima, ma sapeva che era impossibile, ma che
fosse
per quello che la Madre non lo chiamava più?
Si era
rotto il legame.
Ma allora
era forse libero?
Eppure
quella voce terribile era inestinguibile, come una fiamma eterna e che
nemmeno
l’acqua poteva estinguere…
Non
riusciva a capire,
e si scrutava nello
specchio con aria assorta, come se non avesse mai visto il suo riflesso.
Poi
sentì una
voce alle sue spalle e il rumore di una porta che si apriva.
-Josh sei
qui?Dove cavolo sei?
Harry si
era svegliato.
Josh stava
rimettendosi la maglia del pigiama quando la porta del bagno si
spalancò ed
entrò il castano.
Il ragazzo
sospirò e guardò Josh che si rimetteva
frettolosamente la camicia.
-Cosa
succede?
-Niente,
Harry, proprio niente.
Harry
guardò con aria assente il riflesso nello specchio, un
riflesso che mostrava
solo la verità e rimase un attimo immobile a guardare
quel’aspetto terribile.
-Non vuoi
ancora dirmi tutta la verità?
Josh
fuggì
al suo sguardo e si tolse la maglia del pigiama -Guarda- e porse la
spalla
destra al ragazzo.
II castano
sgranò gli occhi -Quando te la sei fatta?-
avvicinò le mani alla ferita e la
studiò con attenzione.
-Non
c’è
l’ho da quando sono stato chiamato?
-Vuoi dire
da quando sei svenuto?No, era molto più lieve e sfiorava a
malapena i segni del
tatuaggio.
Era come se
quella ferita si allargasse ogni giorno di più, come se
lentamente lo
uccidesse.
Amy si
rialzò in piedi e uscì fuori, il sole splendeva
accecante.
Per un
attimo lei credette che fosse quello il sogno e che l’altra
fosse la realtà.
Scacciò
i
pensieri e si stiracchiò, ora che era giorno, avrebbe di
sicuro incontrato
qualcuno, non poteva essere andata lontano, avrebbe ritrovato la strada
di
casa.
-Nonno
vieni, ti dico che devi venire ho sentito delle grida…
Era una
voce infantile a parlare, un bambino o una bambina sui sette anni stava
parlando velocemente e i passi provenivano da dietro di lei, dietro
quella
parete vecchie e malridotta.
Allora non
era un luogo in disuso, ma chi poteva abitare in un posto del genere?
-Aspetta
caro, non tirarmi così, saranno stati due gatti che si
azzuffavano
-No, lo so
come fanno i gatti, era un urlo di donna.
Amy non
sapeva cosa fare, come doveva comportarsi?
*Milli
Lin*
Kami: come al
solito sei la prima a
recensire, grazie davvero!!!! le crisi mentali dei miei personaggi
peggiorano
ma spero capirai tutto.
Olglish: wow
O_O che super
commentone!!!!! Sono contenta che ti piace l’idea di Amy
posseduta, mi piace
anche a me….
Credo sia la migliore idea che mi
sia mai venuta…
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