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Autore: tanya_94    10/12/2016    0 recensioni
Song-fic su Draco Malfoy, ispirata alla canzone di Ligabue "Non ho che te".
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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L’inferno è solamente una questione temporale a un certo punto arriva, punto e basta.

 

Draco e Narcissa entrarono mano nella mano nella stanza. Un piccolo gruppo di Mangiamorte vi era già radunato e con loro c’era anche il Signore Oscuro. Draco riconobbe solo sua zia Bellatrix che appena si accorse della loro presenza andò ad accoglierli.
“Benvenuto Draco! Oggi è un giorno speciale per te! Vieni, seguimi. Ti porterò a conoscere gli altri.” aveva detto la donna con un tono di insolita premura nei confronti del nipote. Lo aveva preso per un braccio e lo aveva condotto al cospetto degli altri Mangiamorte, iniziando a presentarlo con orgoglio a tutti. Narcissa aveva seguito la sorella e il figlio in silenzio, come del resto in silenzio era rimasta per tutto il viaggio. Bellatrix stava esponendo Draco come se fosse un trofeo di sua proprietà e Narcissa si sentì profondamente ferita. Quello era suo figlio, non era nemmeno maggiorenne e stava già pagando le conseguenze degli errori di suo padre e della sete di potere di Bellatrix. Fosse stato per Narcissa non si sarebbero mai trovati lì, ma da tempo ormai lei aveva perso qualsiasi potere decisionale sul futuro del figlio.
Eppure Draco era lei che cercava, sempre. Anche in quel momento, quando la voce del Signore Oscuro fece il suo nome, il ragazzo cercò disperatamente la mano della madre e quando la trovò la strinse con forza.
“Alza la manica sinistra!” disse con voce fredda Voldemort.
Draco fece quello che gli aveva detto e scoprì il braccio.
La bacchetta di Voldemort indugiò solo un attimo, scivolando sulla pelle chiara.
Poi quello che Draco visse fu solo dolore, come mille spilli bollenti che penetravano la sua carne, obbligandolo a tenere lo sguardo basso per non fare capire a nessuno quanto stesse soffrendo. La mano di Narcissa era stretta nella sua e le sue labbra sfioravano le tempie del ragazzo.
Lui sapeva di essere un predestinato. era solo questione di tempo. Non era stato lui a scegliere di essere marchiato. Lui non aveva scelta. 

 

I giorni sono lunghi non vogliono finire, le luci sono quasi tutte spente.

 

Ancora una volta aveva fallito. Weasley era finito in infermeria e quella bottiglia non era mai nemmeno finita nelle mani di Silente.  Ancora una volta avrebbe dovuto cominciare da campo, su un’altra strada, sempre brancolando nel buio che ormai lo avvolgeva.
Draco si guardò allo specchio e vide un ragazzo che non era più lui. Aveva il volto scavato ed era più pallido del solito.
Pensò che in quel momento per descriverlo sarebbe bastata una parola: paura.
Tutte le volte che sua madre tardava a rispondere ai suoi gufi i suoi pensieri viaggiavano sempre verso il peggio.
Si sentiva solo, più di quanto si fosse mai sentito in vita sua. La cosa peggiore era che in quel contesto era stato lui a scegliere di rimanere solo, allontanando chiunque volesse dargli in qualche modo un aiuto.
Draco si mise a letto e aspettò che il sonno lo accogliesse. Probabilmente anche quella notte avrebbe sognato i suoi genitori morti. Probabilmente la mattina dopo si sarebbe svegliato realizzando che, fortunatamente, era stato solo un incubo. Probabilmente avrebbe pianto di nascosto pensando che avrebbe dovuto sbrigarsi a trovare un modo per uccidere Silente, altrimenti una mattina avrebbe potuto svegliarsi sapendo che quell’incubo era diventato realtà.

 

 

L’inferno è solamente una questione di calore, com’è che sento il gelo nelle ossa?

 

Il Signore Oscuro si era stabilito da qualche settimana a casa sua. Era diventato lui il padrone della villa, come lo era di tutte le loro vite. Non serviva più a nulla chiudersi in camera e fare finta di lasciare tutto fuori, perché nemmeno lì Draco poteva più essere se stesso.
Settimanalmente venivano organizzate riunioni di Mangiamorte nella grande sala da pranzo.
Quando era piccolo, Draco amava quella sala, perché la associava alle cene che periodicamente venivano organizzate dai suoi genitori, per le quali gli elfi preparavano tutti quei dolci che lui era libero di mangiare solo in quelle occasioni. Durante quelle cene, poi, avveniva una cosa insolita per lui: la casa si riempiva di altri bambini e lui finalmente poteva avere qualche compagno di gioco, anche se la sua prepotenza e la sua incapacità di giocare con altri faceva spesso allontanare da lui questi bambini; così Draco rimaneva ancora una volta da solo a giocare con i suoi modellini di draghi.
Ripensando a quelle cene un timido sorriso affiorò alla labbra di Malfoy, anche ora che attorno a quel tavolo c’erano solo Mangiamorte e lui non era più un bambino.
Sopra le loro teste era sospesa la professoressa di babbanologia. Lui, ovviamente, non  aveva mai seguito il suo corso, ma la conosceva, avendola incontrata spesso nei corridoi. Era una donna solare e sempre ben curata, ma a vederla ora nessuno l’avrebbe mai detto. Singhiozzava e chiedeva pietà, i vestiti logori e i capelli incrostati di sangue.
Un lampo di luce verde la investì e lei ricadde sul tavolo. Draco sentì improvvisamente freddo.
Quante morti ancora avrebbe dovuto vedere? 

 

Vedessi quanto buio sotto questo sole, ma è molto meglio se non vedi niente.

 

Era seduto tra i suoi genitori che lo abbracciavano, tutto intorno a loro c’erano famiglie riunite e sorrisi. Il sole era tornato a splendere e la guerra era finita, ma non per lui.
Draco era certo che la vera guerra per i Malfoy, quella forse più dura, sarebbe iniziata in quel momento.
Sua madre lo stava accarezzando, Draco si voltò verso di lei e sorrise. Era bellissima, nonostante la guerra e tutto il dolore di quegli ultimi anni. “Ancora non mi sembra vero che sia tutto finito. -disse- Che tutto sia andato per il meglio.”
Draco non capiva se lo pensava davvero, ma lui proprio non riusciva a pensare che tutto fosse andato per il meglio. Avrebbe voluto dirlo a sua madre, ma guardandola ci ripensò. aveva un viso sereno, mentre stringeva a sé lui e suo padre.
Draco si voltò verso Lucius e lo vide rilassato, ma con gli occhi ancora pieni di spavento. Forse lui sapeva. Lui aveva capito che erano tutti vivi, ma il prezzo sarebbe stato altro. Attorno c’era solo felicità, nel cuore di Draco un insieme di sentimenti che nemmeno lui capiva bene.
Non tutto era andato per il meglio. Draco si ritrovò a pensare a quella sera sulla torre di astronomia e a cosa sarebbe successo se lui avesse accettato da subito la proposta di Silente.

 

Vedessi dove arrivano i pensieri di qualcuno, vedessi, amore, come fan spavento.

 

La Gazzetta del Profeta era aperta sul tavolo, proprio sulla pagina che il giornale aveva dedicato al loro processo. Mancava qualche ora e Draco stava aspettando che anche sua madre si preparasse. Lui era già pronto da qualche minuto, nel suo vestito più elegante perché, si era detto, se proprio devo finire ad Azkaban, almeno lo farò da Malfoy.
Draco era certo che il processo si sarebbe concluso con  una condanna, perché né lui, né tantomeno i suoi genitori erano riusciti a trovare qualcuno disposto a testimoniare a loro favore.
Il grosso articolo che occupava la parte centrale della pagina sembrava essere d’accordo con lui.
Il titolo, di per sé, era già piuttosto eloquente: “Malfoy: la rovina di una famiglia”. Poco sotto c’era la sua foto. Era questo che lui rappresentava per la nobile famiglia Malfoy: la rovina. Istintivamente la sua mano destra, poggiata sul tavolo si chiuse a pugno. Un tocco leggero, proprio sul dorso di quella mano, gli fece alzare lo sguardo.
Astoria era lì, al suo fianco. Aveva deciso di accompagnarlo al processo.
Era bellissima e a Draco si strinse il cuore pensando che presto non avrebbe più potuto vederla, forse per qualche anno, forse per sempre.
Si avvicinò e le diede un bacio leggero, poi la strinse a sé.
“Non abbandonarmi, stai con me, ti prego.” le disse.
Astoria lo strinse più forte.
 

Non ho che te, ti chiedo scusa se ti offro così poco.

 

“Cosa pensi possa offrirti, Astoria? Sei impazzita, per caso? Pensavi davvero fossimo felici di unire la nostra famiglia ai Malfoy? Sono Mangiamorte, Merlino! Mangiamorte!” la signora Greengrass era furente.
Draco era rimasto nel salotto dei Greengrass con Daphne. Astoria e i suoi genitori si erano chiusi in una sala adiacente a discutere, e, nonostante le pressioni della ragazza, non era stato concesso a Draco di prendere parte alla discussione. Le urla, però, erano perfettamente udibili anche da lì.
“Sono certa che mia sorella riuscirà a convincerli, Draco. -aveva detto Daphne- Tutto sommato voi ne siete usciti puliti.” Più passava il tempo, però, più Draco si convinceva che ogni tentativo di Astoria sarebbe stato inutile.
La porta della stanza si spalanco all’improvviso e ne uscì Astoria, seguita dai suoi genitori.
“Credo che Draco possa offrirmi una vita migliore di quella che voi due siete stati costretti a vivere. Senza amore, vittime di un matrimonio combinato.” disse mentre si dirigeva al fianco di Draco.
Daphne si portò le mani alla bocca, stupita, o forse spaventata, dalla schiettezza sfrontata della sorella.
“Astoria, ragiona! È un Mangiamorte!”  disse il signor Greengrass indicando Draco.
“Smettetela! Sia lui che la sua famiglia sono stati scagionati, nemmeno un giorno ad Azkaban. Pensate davvero che il Ministero sia così clemente con i criminali?” urlò Astoria.
“Questo non toglie che è stato marchiato!” ribatté sua madre con fermezza.
Draco guardò Astoria, aveva gli occhi gonfi di lacrime.
Quella ragazze era tutto ciò che aveva.
“A me non interessa il suo passato. Mi interessa solo il suo presente. E il nostro futuro. Ci sposeremo lo stesso. Con o contro il vostro volere.”
Astoria sembrava sempre più determinata, Daphne sempre più scandalizzata, Draco sempre più triste.
Le parole dei Greengrass lo ferirono, il suo passato era un demone  che non era ancora riuscito a scacciare.
“Prova a farlo e, giuro sulla mia vita stessa, dimenticheremo che sei nostra figlia.” disse il padre di Astoria
“Dimenticatelo pure!” rispose lei e, prendendo per mano Draco, uscì con lui dalla casa dei suoi genitori, mentre alle loro spalle Daphne in lacrime chiamava i loro nomi. 

 

Ti chiedo scusa se ti chiederò pazienza. 

 

Aveva provato a ignorarli, ma più ci provava più li notava.
Gli sguardi della gente avevano iniziato a fare più male delle parole.
Sguardi di disprezzo in alcuni casi, di compassione in altri.
Eppure lui voleva essere solo un ragazzo di vent’anni.
Quel pomeriggio Diagon Alley era piena di streghe e maghi, lui sarebbe rimasto volentieri a casa, ma sua moglie aveva insistito perché l’accompagnasse.
Mentre camminavano tra i negozi, Draco riusciva a captare piccoli frammenti di discorso.
“…Malfoy…”
“…Hai visto chi c’è?…”
“…Mangiamorte…”
“…Povera moglie…”
Ogni volta una stretta al cuore.Era vergogna? Rimorso? Delusione?Non lo sapeva. Sapeva solo che ancora non riusciva a ignorarli, anche se Astoria gli ripeteva che erano solo stupidi pettegolezzi.
“Astoria andiamo a casa, ti prego!” sussurrò all’orecchio della ragazza.
“Cosa? Siamo appena arrivati?”
Possibile non capisse davvero?
“Ti prego, andiamocene!”
“Ma non ti senti bene?” chiese Astoria preoccupata.
“Più o meno.” rispose lui.
Astoria annuì e i due si smaterializzarono nella loro casa, tra le verdi colline scozzesi.
Draco si sedette sul divano, massaggiandosi le tempie.
“Guarda che lo so perché hai voluto andare via. Proprio non ci riesci a ignorarli? Non puoi sfuggire da tutto per sempre!” disse Astoria sedendosi al suo fianco.
“Lo so, e credimi se ti dico che sono il primo che vorrebbe riuscirci. Ma forse ho ancora bisogno di tempo. Solo un po’. Sii paziente.”
Astoria si avvicinò e gli rispose con un bacio. 

   
 
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