I personaggi di questa storia
non sono miei ma del genio di Oda, io ne usufruisco per i miei vaneggiamenti.
Questa può essere intesa come seguito dell’altra mia storia ‘Per non
dimenticare’ ma anche no :)
Breathless
-Senza fiato-
“Bentornata a casa.” Sanji saluta la sua ombra sorridendo.
Sono tutti lì. Ancora una volta si sono ritrovati uniti sul ponte della loro
nave -nonostante la signora dalla falce oscura vegli su di loro-.
Un nuovo sorriso spunta sul viso dei pirati di Cappello di Paglia. Un sorriso
che sa del sapore dolce della vittoria ma con un leggero retrogusto amaro.
Hanno rischiato -una costante nelle loro vite-, ancora una volta il pericolo
che anche solo uno di loro potesse non farcela, che qualcuno di loro non
potesse fare ritorno li aveva sfiorati. Qualcuno poteva non tornare,
dividendosi per sempre da quella strana ed alquanto bizzarra famiglia -una
nakama unica-.
Rufy sorride, gli occhi scuri adombrati dalla tesa del suo inseparabile
cappello di paglia -la sua forza, la sua promessa-. “Sanji, ho fame.” Sbraita
come un bambino nonostante tra le braccia vi sia già del cibo.
“Sgranocchiati del formaggio…” Sanji lo bada appena.
Lui quel retrogusto amaro lo può sentire chiaramente, gli invade la bocca
avvelenandolo, chiudendo lo stomaco in una morsa d’acciaio, dolorosa ed
indissolubile -il respiro si spezza-.
Sposta lo sguardo sul ponte, incrocia le figure rilassate ed un po’ ammaccate
dei suoi compagni. Persone forti, caparbie, a volte semplicemente troppo
testarde. Sono lì, tutti impegnati in varie cose, tutti con quel sorriso
luminoso a dipingergli il volto, tutti meno due di loro. Brook, quello strano
scheletro che li ha aiutati è anche lui sul ponte erboso della loro nave.
Mancano solo loro, il piccolo Chopper, il piccolo medico di bordo non ha voluto
seguirli troppo impegnato -preoccupato- per quel testone, Zoro.
Sospira rilasciando una cospicua boccata di fumo mista ad un pizzico di
irritazione.
Non era stato abbastanza forte.
No, non lo era per niente.
“Io andrei, pensate che basti?” Franky urla, sulle spalle un enorme sacco, urla
per farsi sentire tra gli schiamazzi di Usop e Rufy impegnati, sembra, in una
delle loro solite trovate.
Sanji lo osserva incamminarsi verso l’interno di quella strana isola ed un
nuovo morso gli attanaglia lo stomaco.
* * *
“È la prima volta che vedo Zoro con delle ferite così…” Una breve pausa, il
tono leggermente sommesso. “Vi assicuro che era davvero ad un passo dalla
morte…”
Nami, seduta a fianco del giaciglio improvvisato per lo spadaccino, sposta lo
sguardo da Chopper, intento a mangiare qualcosa, a Zoro, ancora addormentato.
Le parole pronunciate dal piccolo medico di bordo solo qualche ora prima le
rimbombano nelle orecchie arrivando fino allo stomaco, comprimendolo, dandole
un senso di nausea.
Eppure, a guardarlo bene sembra quasi che stia solo dormendo -cosa che gli
riesce facile-. Nemmeno il frastuono gioioso che si diffonde nell’aria ha il
potere di svegliarlo, nemmeno le urla, nemmeno le sue urla contro il capitano
hanno sortito alcun effetto.
Un sospiro le sfugge. Appoggia il mento sul palmo della mano sinistra e torna a
spostare lo sguardo nocciola sul piccolo medico ora immerso in uno dei balletti
assieme a Franky, entrambi immersi in quella festa improvvisata. Sorride
continuando a far vagare lo sguardo lungo la sala colma di persone entusiaste,
ubriache di felicità. Un ricordo lontano -veloce e lieve come le ali di una
farfalla- le si insinua nella testa facendolo nascere un sorriso più rilassato
e facendolo chiudere gli occhi.
La stessa aria di festa, persone ubriache di una gioia desiderata a lungo, di
una libertà negata per troppo tempo.
Riapre gli occhi ed incrocia il viso serio e tirato di Sanji. Il sorriso
scompare -spazzato via da un soffio di vento-.
Non capisce, non sa.
Qualcosa, nell’espressione seria e corrucciata del biondo cuoco, le stringe lo
stomaco in una morsa ferrea e gelida, una morsa talmente forte da farle mancare
il fiato. Alla mente le torna lo strano siparietto improvvisato, Sanji che di
peso trascina all’esterno i due che sostenevano di sapere e poi Robin,
la sua esclamazione, “Ora è tutto chiaro…”
Non capisce, non sa, eppure ha l’impressione che qualcosa sia accaduto mentre
tutti loro erano svenuti, qualcosa era successo e doveva riguardare Zoro.
“Namizo!” Laura la chiama sopra il frastuono.
Rivolge lo sguardo ancora una volta allo spadaccino addormentato mentre si
alza, pronta a dirigersi tra la folla festante.
Non è sicura di voler sapere cosa sia accaduto -troppo il timore-.
* * *
Barcolla appena Zoro, d’istinto si appoggia allo stipite della porta afferrando
con presa salda la maniglia. Rimasugli di una battaglia non sua lo scuotono,
rilascia un sospiro pesante nel silenzio della notte.
Nonostante tutto si è rinchiuso nel suo mondo -un mondo fatto di sudore e
fatica-, nonostante le mille proteste da parte del piccolo Chopper ha iniziato
massacranti allenamenti. Ma lo sa, non è in forma e per questo non può di certo
stare tranquillo seduto a riposare. Se solo fosse stato più forte ora non
avrebbe strascichi, né un piccolo badante a rincorrerlo lungo tutta la nave.
Lentamente apre la porta che porta sul ponte all’aperto, una leggera brezza
entra sottocoperta rinfrescando appena l’aria. Esce a passo leggermente
tremante, respira grosse boccate d’aria, riempie i polmoni di aria di mare, di
salsedine.
Silenzioso, il passo lento, si dirige fino alla cucina. Sente il bisogno
-impellente- di bere qualcosa di fresco.
Richiude la porta alle spalle attento a non produrre nessun cigolio. Brook,
l’ultimo di loro ad essere entrato a far parte della ciurma, è appostato di
vedetta. Non vuole attirare la sua attenzione ma è sicuro che si sia accorto
del suo passaggio. Raggiunge il tavolo, su di esso vi è un piccolo lume e lui
ha bisogno di un po’ di luce in questa notte scura.
Non l’accende, un lieve movimento alla sua destra lo fa bloccare e si dimentica
della luce. Poggia delicatamente le tre lame ed infine, a tentoni, si dirige
alla ricerca di un po’ d’acqua. Non conosce ancora bene quella cucina, è
diversa da quella piccola e semplice della Merry ma la fortuna è dalla sua.
Proprio sul ripiano levigato, in bella mostra di se nonostante la diffusa
oscurità, vi è la tanto agoniata acqua. L’agguanta dal collo e bevendo si
dirige verso il piccolo divano accostato alla parete di fronte. Il luogo dove
ha avuto origine quel lieve rumore che lo ha bloccato all’inizio.
Siede a terra, la schiena poggiata sul bordo dello scomodo divano, la testa
voltata di lato a fissare quella piccola figurina appoggiata -in una posizione
sicuramente scomoda- su di un fianco, distesa, quasi rannicchiata, sul divano.
La copre con quella che al tatto può sembrare una coperta leggera.
Veglia in silenzio, sorseggia l’acqua e si maledice per non poter bere del buon
rhum -uno dei piaceri della vita, oltre al dormire-. Non è forse stata lei a
vegliarlo solo pochi giorni prima? Ricorda d’avere sentito un forte odore di
agrumi vicino al suo giaciglio.
Fissa il vuoto dinanzi a se -una voragine oscura-, non sa quantificare il
tempo. Un fruscio alle sue spalle.
“Zoro?” La voce impastata, il corpo indolenzito per la lunga e scomoda
immobilità. Passa il dorso di una mano varie volte su di un occhio per
svegliarsi del tutto mentre si alza a sedere. La coperta scivola sulle sue
gambe nude.
Nessuna risposta, il silenzio li circonda –insondabile, interrotto solo dal
loro respiro-, l’oscurità li avvolge ma riconosce la figura che risulta
sfuocata nel sonno. Lo riconosce ancora prima di captare il lieve tintinnio dei
suoi tre orecchini, il suo odore lo conosce a memoria.
Si guarda attorno nel buio della stanza. Non sa che ore siano, non sa quanto
sia passato ma è ancora in cucina. A giudicare dalla coperta che si ritrova
addosso e che non ricorda di aver avuto quando si era stesa, lo spadaccino
doveva essere lì da un po’ di tempo. Lo osserva ancora, nota il posto, la
posizione in cui si trova e la bottiglia d’acqua poggiata al suo fianco.
Non le ci vuole molto per capire. Gli abiti sono diversi, segno che doveva
essersi cambiato dopo uno dei suoi soliti estenuanti e contorti allenamenti. Si
chiede perché sia lì invece di trovarsi nella sua stanza a riposarsi.
Pazzo e pure incosciente.
Sorride mentre lesta afferra la bottiglia, la sottrae dalle mani di Zoro il
quale la osserva, un sopracciglio inarcato, l’espressione contrariata. Beve un
piccolo sorso.
“Ladra.”
Un sussurro.
“Sei tu che ti fai fregare troppo facilmente.” Nami lo fissa, un sorriso
biricchino sul volto. Una lite?
Sbuffa sonoramente Zoro, chiude gli occhi e getta la testa all’indietro. La
posa sulle gambe di Nami, fisicamente stanco, emotivamente…non sa nemmeno lui
cosa.
“Dovresti andare a riposare.” Bonariamente lo riprende. Posa la bottiglia a
terra, lo sguardo fisso sul suo profilo.
Si stringe nelle spalle Zoro. “Dovresti riposare anche tu.” Apre un occhio e la
osserva. “Magari su di un letto comodo, non su questo divano spaccaossa.”
Sorridono entrambi, la lite rimane sospesa nel nulla -in un limbo-, vacilla tra
di loro.
Sposta di scatto le gambe Nami, Zoro mugugna appena. Ridacchia divertita
vedendo il suo viso imbronciarsi appena, le braccia incrociate sul petto. Non
ancora sazia lo copre con la coperta rendendolo cieco.
“Si può sapere che ti prende?” Zoro borbotta, si libera dall’impiccio. La fissa
e riceve in risposta una linguaccia -complicità-. “Tu sei pazza. L’ho sempre
detto io.” Sottolinea quell’io con enfasi, ghigna appena.
“Sei tu che non sai stare agli scherzi.” Lo spinge piano, scherzosamente.
“Io non so stare agli scherzi?” Inarca un sopracciglio, un dito puntato sul
petto ad autoindicarsi.
“Sì, tu sottospecie di bifolco.”
“Ma se sei tu quella che se l’è presa.”
“Ma sei scemo?”
Sorride Zoro.
Qualunque cosa avesse detto o fatto sarebbe sempre stata lei ad uscirne
vincitrice, sempre a lei l’ultima parola -ma a lui in fondo andava bene così-.
“Ok…hai vinto contenta?”
“Molto.” Lo canzona appena facendolo sbuffare. “Senti…” Si blocca alla ricerca
di parole che non trova. “Davvero Zoro, dovresti riposare.”
“È ciò che sto facendo.” Le fa notare l’assenza delle sue spade, riposte in
ordine sul tavolo.
Scuote il capo Nami, una ciocca rossa come il fuoco le ricade sul viso.
“Intendo che dovresti dormire.” Borbotta, scosta con un gesto veloce quella
ciocca biricchina. Punta il suo sguardo nocciola in quello scuro di lui. “Non
dici sempre che ti basta una buona dormita per riprenderti?”
Vero.
Basta una dormita per riprendersi completamente, eppure quella volta sembra non
bastare. Aveva passato più di una giornata sprofondato nel sonno, inutilmente,
ancora non è tornato al suo massimo, ancora sente gli strascichi di una
battaglia troppo dura.
Sbuffa. Allunga un braccio, agguanta la bottiglia e la porta alle labbra
dissetandosi, rinfresca la gola secca. Non ha voglia di andare in camera, sa
cosa lo aspetta. Di certo non è quello di cui ora ha bisogno. Ha pur sempre il
sonno leggero lui.
“Rufy russa troppo.”
Istintivamente Nami ridacchia divertita.
“Cosa ridi strega. Non sei di certo tu quella che deve sorbirsi il suo russare,
oppure i vaneggiamenti del cuoco o le storie strampalate di Usop.” Elenca i
vari rumori che è costretto a sorbirsi ogni sacrosanta notte. Un nuovo attacco
di risa scuote Nami -una risata che scalda il cuore-.
“Ti credo, ti credo…” Lentamente si riprende, si quieta asciugando una piccola
lacrima di ilarità. Ma il problema, almeno per lei, persiste. “Ma non puoi di
certo dormire sul pavimento.” Pensa ad una soluzione senza mettere troppo in
pericolo i timpani della ciurma il mattino dopo, nel caso in cui Sanji
-benedetto ragazzo- si fosse accorto di qualcosa. A priori scarta la sua prima
idea. “Allora ti lascio il divano. Certo, non è comodo come un letto ma è pur
sempre meglio del pavimento.”
“E tu?”
“Andrò a finire le cartine. In camera mia c’è troppo disordine per potersi
stendere.” Alla mente le torna l’immagine del disastroso campo di battaglia che
è la sua camera. Tutti i tesori raccolti Thriller Bark sono stati raccolti al
suo interno non essendoci un altro posto sicuro dove metterli. Franky, oberato
di lavoro, ancora deve finire di costruire la cassaforte che li ospiterà.
Si alza in piedi pronta a lasciare il suo posto al burbero spadaccino. Una mano
-grande e calda- le afferra il polso arrestandola. Sposta lo sguardo verso il
basso, incrocia lo sguardo con Zoro. “Che c’è?”
“Dovresti riposare anche tu.” Allude alle occhiaie appena visibili. È attento
ad ogni dettaglio -niente gli sfugge- sempre pronto a sostenerli.
“E allora che si fa?” Si siede a terra a fianco di Zoro. Una carezza le sfiora
il braccio mentre il suo polso viene liberato dalla stretta.
“Ti cedo il posto.” Scuote il capo Zoro, per lui è così ovvio. “Andrò a
riposare su, nella palestra.” Non lo attira l’idea di doversi arrampicare lungo
la scaletta di corde, in quei momenti invidia l’abilità del capitano ed il suo
corpo gommoso. Non lo attira nemmeno l’idea di dover abbandonare quella stanza
-un piccolo rifugio sicuro ed accogliente-.
“Che si possa starci in due?” una domanda posta a tutti e a nessuno in
particolare. Guarda il divano alle loro spalle, a mente calcola la sua
larghezza.
“Eh?” Per l’ennesima volta Zoro inarca un sopracciglio, non capisce di cosa
stia parlando. Si è perso -come si perde ad ogni incrocio-, cerca di capire a
cosa allude.
Nami si alza per risedersi subito sul divano. L’unica soluzione è provare.
“Potremmo dormire entrambi sul divano. Credo che in qualche maniera dovremmo
starci in due.”
Un ghigno beffardo delinea i lineamenti di Zoro. “Credo che esistano poche
posizioni. Al cuoco domani prenderà un colpo.”
“Scemo.” Ringrazia il fato per essere quasi completamente immersi
nell’oscurità. Il viso in fiamme. Un pugno si abbatte poco gentilmente sulla
spalla dello spadaccino. Tira uno degli orecchini dorati, un mugugno si libera
nell’aria. “Allora ti muovi?” Spazientita lo esorta a muoversi.
Zoro si massaggia l’orecchio dolorante, la guarda ad occhi spalancati. “Ma
allora eri seria.”
“Ti sembra che stia scherzando?” Lo spintona malamente -un malcelato segno
d’imbarazzo-.
Lo ha capito, non scherza, non su cose come quelle almeno. Sospira una volta
alzandosi in piedi, la coperta finisce addosso a Nami. Prende posto sul divano,
gli stivali neri abbandonati lì accanto. Si muove, si gira, mugugna
infastidito. Non sa proprio quale posizione debba adottare.
“Ti ci vuole ancora molto?” Lo fissa divertita, la coperta stretta al petto. Si
appresta ad imitarlo non appena lo vede pronto, sistemato su di un fianco, la
schiena premuta contro lo schienale. Abbandona i sandali sul pavimento, vicini
alle calzature del compagno. Premurosa copre entrambi, si sistema lentamente
-vagamente imbarazzata-.
“Comoda?” Zoro soffia irritato -un irritazione dovuta a ben altro-. La osserva
muoversi nel vano tentativo di trovare una posizione consona. “No, aspetta.” La
volta delicatamente. I loro occhi per qualche secondo s’incrociano. “È meglio
se ti giri. La spalla sai…”
Spalanca gli occhi Nami per quella premura. “Grazie…” Sa che dovrebbe essere
lui quello bisognoso di una posizione comoda, eppure ancora una volta dimostra
di essere vigile. Con lei almeno.
Istintivamente le loro gambe s’incrociano. Nessuno di loro due ha mai avuto
l’occasione di condividere un divano con qualcun altro. Non hanno mai avuto
nemmeno l’occasione di dormire con qualcuno, non almeno in maniera così vicina,
un contatto ravvicinato -brividi che scuotono il cuore-, prolungato e così
intimo.
Appoggia il capo sul suo petto, i capelli gli solleticano il naso. Un braccio
-forte e solido come la roccia- le cinge la vita avvicinandoli ancora di più -un
contatto cercato-.
“Vi assicuro che era davvero a un passo dalla morte…”
Le parole di Chopper le tornano alla mente -un lampo improvviso-.
Posa le mani sul petto solido di Zoro. Cerca, trova il punto in cui il suo
cuore pulsa pompando sangue. Preme leggermente per sentire meglio sotto il suo
palmo quel suono cadenzato.
Si è accorta, nei giorni scorsi, come i movimenti, le azioni, addirittura gli
allenamenti folli ed instancabili dello spadaccino siano cambiati, come se ci
fosse qualcosa, un impedimento alle sue regolari azioni. Sembra stancarsi
facilmente, molto più velocemente di prima. È sicura che tutto sia collegato
con quanto accaduto a Thriller Bark, con la guarigione improvvisa e alquanto
miracolosa di Rufy. Tutti tasselli dello stesso puzzle, puzzle a cui non riesce
a dare una forma concreta. Ma forte è il sentore che Sanji, Robin, anche Brook,
siano a conoscenza di ciò.
Sanji.
Spesso si è ritrovata ad osservarlo in quei giorni, osservare il suo
comportamento.
Lo ha visto mordersi la lingua più volte per non inveire, a parole o
fisicamente, contro lo spadaccino. Lo ha visto pensieroso, distratto, l’aria
tormentata ogni qual volta che Roronoa entrava nel suo campo visivo.
Stringe tra le mani la maglia di Zoro -una stretta tremante-.
Una carezza leggera sulla schiena.
“Sono vivo. Sono qui.” Zoro mormora poche parole a quella stretta. Poggia il
mento sul capo fulvo di Nami. Può sentire il corpo di lei tremare nella sua
stretta. “Non ti libererai di me molto facilmente.”
Rafforza la stretta tra le mani, spasmodicamente. “Promesso?”
“Promesso.” La presa si allenta, il corpo minuto -in confronto al suo- che
stringe si rilassa. Approfitta di quell’attimo per cambiare posizione. Scivola
supino sul divano, porta quasi completamente su di se il corpo di Nami. Le
gambe sciolgono la stretta e le sue braccia circondano quella vita sottile.
“Ecco, così va meglio.”
Attento sistema la coperta su di entrambi, Nami posa la fronte sul suo collo.
Le gambe nude di lei scivolano sui suoi pantaloni scuri. Le cinge la vita, il
suo respiro fresco ad accarezzargli la pelle.
“Sanji domani mi ucciderà.”
“Probabile.” Nami ridacchia. Il capo scivola nel comodo incavo del collo dello
spadaccino, il naso sfiora la sua pelle, respira a fondo il suo profumo
intenso, forte -un misto di salsedine e sole-. “Notte Zoro.”
Rimane in assoluto silenzio Zoro. Si culla dei suoi respiri freschi contro il
collo, osserva l’alzarsi e l’abbassarsi ritmico delle spalle di Nami a ritmo
coi suoi respiri. Posa un bacio velato tra quei capelli rossi, respira a pieni
polmoni il suo profumo. “Notte Nami.” Mormora a mezza bocca, gli occhi già
chiusi, si lascia cullare dalla sua presenza.
Una mano, qualche minuto dopo, si posa sul petto di Zoro. Il palmo aperto
rivolto verso il suo cuore, la voglia di sentire i battiti del suo cuore -una
ninna nanna-.
È diversa, quella situazione è diversa, completamente, rispetto a quella
avvenuta solo un mese prima. Nessun bacio, nessun sfioramento di labbra, anche
se il dormire assieme può essere un fattore scatenante. Va bene così. Non ha
poi così importanza, non ora per lo meno. L’unica cosa che conta è poterlo
avere vicino, sapere e sentire che è vivo e che niente, nessuno, avrebbe potuto
portarlo via -nemmeno la morte in persona-. Le basta sentire il suo calore, il
suo odore, la sua pelle contro la sua, le basta sentire sotto al palmo della
sua mano quel muscolo pompare. E poi, glielo ha appena promesso, sarebbe
rimasto lì -assieme a lei- e sa che ogni promessa, per lui, è debito.
Il resto è superfluo.