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Autore: Urban BlackWolf    12/12/2016    6 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Quando altri tracciano il tuo destino


La donna entrò nell'abitazione senza neanche chiedersi perché la porta dell'ingresso fosse stata lasciata semi aperta. Varcata la soglia una strana musia gotico dark le formicolò nelle orecchie mentre un odore d'incenso pervadeva tutto l'ambiente. Il chiarore dell'unico punto luce, un'abat jour dal paralume a tinte fosche, rendeva il monolocale ancora più tetro. Qualche altro passo e la donna si trasformò nell'ennesima vittima del serial killer che da mesi stava terrorizzando l'upper west side newyorchese. Il primo fendente e schizzi di sangue andarono a macchiare le pareti fino a quel momento immacolate, mentre un profondo squarcio sulla carotide le mozzava parzialmente la testa decretando la fine della vita della donna. Da li a breve il suo corpo sarebbe stato fatto a pezzi.

Mattias infilò l'intera testa sotto l'ascella destra di Haruka. Perché quel piccoletto si ostinasse a voler guardare film che lo avrebbero tenuto sveglio per gran parte della notte, la bionda non riusciva proprio a capirlo. Lo guardò raggomitolarsi sotto le lenzuola trasformandosi in un fagotto di cotone. E pensare che era stata indecisa fino all'ultimo su quello che quella sera avrebbero guardato insieme, stando bene attenta e puntando su un thriller che dal titolo sembrava apparentemente innocuo. Da una ventina di minuti però, ovvero da quando era partita la prima musichetta inquietante, si era convinta che sarebbe stato più idoneo un cartone o una partita di calcio.

“La prossima volta andiamo sul soft, Matty. O alla ricerca di Dorys o il libro della giungla. Non mi farò fregare ancora. Domani mattina tua madre ci metterà un nano secondo a capire che hai visto l'ennesimo film da bollino rosso e se la prenderà con me.”

Così dicendo scansò il braccio ed il viso spaventato del ragazzino riemerse. “Non mi piaccio i film animati.”

“Come non ti piacciono! Piacciono a tutti, andiamo!”

“A me no!” Piccatissimo ritornò a rintanarsi nel calduccio del corpo di lei.

“Ma sei ben strano, lo sai!?”

“Haru... ti offendi se ti dico una cosa?” E nel sentire un dipende riemerse sorridendo.

“Credo che sia il caso che tu ti faccia una doccia.”

“Ma... e tu esci da li sotto allora.”

Alle risa di Mattias, Haruka mise su un finto broncio prima che le braccia le si chiudessero in un forte abbraccio. Lui sotto le coperte, con il pigiama del Barcellona, lei sopra, in uno più “adulto” a scacchettoni rossi e bianchi terminante con due calzini neri che le tenevano ben caldi i piedi. Entrambi con l'inesorabile ed ormai consueta linea di febbre e la spossatezza tipica della loro condizione.

“Il tuo Barcellona dovrebbe fare lo sforzo di giocare tutti i giorni. Tu saresti contento ed io non farei più da balia tanto spesso.”

“Haru?”

“Mmmm....”

“Lo sai che domani è il mio compleanno?” Annunciò quasi stentoreo tornando a guardare il film.

E si che Haruka aveva sempre creduto e detto con una certa punta d'orgoglio, che al momento del concepimento i suoi genitori avessero tralasciato di dotarla del gene materno. Quanto poteva sbagliarsi. Scansando la testa di Mattias dal petto scese dal letto e dopo essersi infilata le pantofole ed avergli detto che sarebbe tornata subito, mise in pausa il film ed uscì dalla stanza per andare nella sua.

Una manciata di minuti dopo Mattias si sentì un cappellino calzato in testa.

“Auguri bonzo. Così sarai meno... bonzo e molto più figo.” Si gettò letteralmente sul letto tornando a distendersi al suo fianco.

Il bambino se lo tolse rigirandoselo fra le mani a bocca aperta.

“E trattalo con cura. Mi è stato regalato personalmente da Ricciardo nel 2014.”

Daniel Ricciardo conosceva molto bene Haruka il fuego del viento. La stima lavorativa che li legava era forte come la loro amicizia, nata sulle piste dei gran premi d'Europa, ed anche se lui gareggiava in ambienti automobilistici e lei lavorava in quelli motociclistici, quando riuscivano ad incontrarsi si facevano volentieri una bevuta assieme. Quando era entrato come pilota stabile nella Toro Rosso, non aveva perso l'occasione di regalarle quel cappello come porta fortuna per la sua carriera alla Ducati e lo aveva impreziosito con una dedica speciale: to my dear friend Haruka... the strong wind fiery of the Alps. Daniel R.

“Lo so che la dedica non è per te, ma almeno quando tornerai a casa ogni tanto ti ricorderai di me.

Lui lesse la scritta in inglese riuscendo a tradurla quasi subito, poi guardandola le saltò al collo ringraziandola con un sonoro bacio.

 

 

Finito di apparecchiare il tavolo, Michiru tornò a guardare la foto di Haruka posta sopra la libreria. Aveva lo stomaco sottosopra ed i battiti accelerati sin da prima che la carne fosse stata messa sul fuoco, ed ora che le venti erano dietro l'angolo del tempo, aveva preso a guardare quell'immagine come a volerne fare la propria forza. Non poteva tornare indietro, ma senza quell'incontro non sarebbe potuta andare avanti.

Andò a prendere la cornice sullo scaffale sfiorandola poi con le dita. La prima volta che era riuscita a scattarle una foto facendo finta di guardare distrattamente il cellulare. Una foto rubata in una caffetteria di un museo di Berna. Bella. Bellissima la sua Haruka. Un angelo biondo che in quel giorno dalla temperatura sottozero aveva deciso d'indossare un cappotto color canna di fucile dal taglio militare che le donava da impazzire, una sciarpa verde scuro che le accarezzava il collo, un maglione bianco di kashmir, pantaloni neri benedettamente di flanella e due scarponcini imbottiti. Bella. Bellissima, con il portafogli nelle mani pronta a saldare il conto al bancone della cassa. Una delle foto preferite da Michiru. Una di quelle dove non c'è la staticità di una posa, ma la naturalezza del momento. Il loro momento. Il giorno nel quale si erano conosciute. Il giorno dove le loro mani si erano strette per la prima di un'infinità di volte.

Piacere, Haruka Tenou.

Piacere mio, Michiru Kaiou.

Il citofono suonò e per istinto la donna si portò la cornice al petto. Dammi la forza tu anima mia, si disse prima di rimettere la rappresentazione del suo amore sullo scaffale ed andare a rispondere. Aprì la porta blindata ed attese l'arrivo al piano dell'ascensore. Pochi secondi e Giovanna uscì sfoderando un sorriso contagioso che riuscì a rilassarla un po.

“Buonasera dottoressa. Vista la zona ero abbastanza sicura che avrei dovuto fare le scale a piedi con un enorme rischio per le mie coronarie.”

“Niente palestra, Architetto? - L'accolse gentilmente mentre richiudeva la porta. - Buona serata a te. Prego, accomodati pure nella mia magione.”

Giunta nella sala da pranzo l'altra si voltò porgendole un presente. “Lo so che avrei dovuto scegliere un vino di zona, ma sono ignorante in materia e con questo vado sul sicuro.”

Michiru prese la bottiglia di Muller-Thurgau affermando con estrema sincerità che fosse un gesto graditissimo.

Intanto che Giovanna prendeva confidenza con la casa, Michiru controllò la pasta fredda che avrebbe servito.

“Hai trovato parcheggio facilmente?” Chiese dalla cucina iniziando ad aprire la bottiglia.

“Si... Diciamo in un punto non bene identificato del lungo Tevere. La tua casa è proprio bella, lo sai? L'hai arredata tu?”

“Qualcosina. Non sono a Roma da tanto e finito il restauro della pala tornerò a casa.” E vedendo che l'altra stava guardando un suo quadro non poté non chiederle cosa ne pensasse.

“Notevole. Rappresenta una costa greca, vero? Quei colori e quel mare sono inconfondibili.”

“Già... - Le si avvicinò guardando anch'essa quello che per lei era l'ennesimo ricordo - L'ho dipinto io. E' una delle coste di Santorini. Un viaggio che ho fatto con il mio amore qualche tempo fa.”

“Complimenti! Hai talento.”

Molti avrebbero immediatamente chiesto del suo amore o avrebbero esordito con un sei fidanzata!Ma nulla di tutto questo aveva deviato l'altra dalla contemplazione dei dettagli del suo dipinto. Michiru capì che Giovanna non era quel tipo di persona che s'intromette nella vita altrui e questo le piaque molto.

Si misero a tavola qualche minuto dopo. La padrona di casa rispose alle domande generiche dell'ospite mascherando calma ed un'estrema rilassatezza. Michiru le raccontò di come la sua carriera di pittrice si fosse trasformata in amore verso il restauro, di come era arrivata a tagliare un traguardo tanto prestigioso come quello di lavorare nella sede Apostolica, di come quel monolocale fosse e non fosse proprio casa e di cento altre cose.

Dal canto suo Giovanna le spiegò come la posizione di capo cantiere in una delle imprese che lavoravano per la Fabbrica di San Pietro fosse temporaneo, come la precarietà di un Architetto italiano fosse una cosa all'ordine del giorno, come però, avendo una casa lasciatale in eredità dalla madre deceduta sette anni prima, fosse almeno sicura di un tetto sulla testa e cento altre cose ancora.

Finito il dolce e parte della bottiglia di vino, si resero così conto che tra una chiacchera e l'altra si erano fatte le ventidue passate.

“Accidenti Kaiou, tra tutte e due abbiamo una bella parlantina.” Ammise Giovanna appoggiando i piatti sporchi accanto al vaso del lavabo.

“Giovanna sei mia ospite. Ti prego.”

“Non se ne parla Michiru e grazie, era tutto buonissimo. Come fai a lavorare e tornare a casa pronta per i fornelli? Io vado avanti a cibi precotti. Che tristezza.”

“Cucinare mi rilassa e mi aiuta a non pensare e poi, ricordi? Io vivo qui, vicino... vicino. Non devo farmi ore di traffico per tornare a casa.” Sorrise fissando tristemente il piatto che aveva tra le mani.

Era da una vita che Michiru non cucinava per qualcuno. E non mangiava con qualcuno. E non sparecchiava con qualcuno. Strinse la mascella cercando di non crollare. La compostezza era da sempre la sua miglior arma di attacco e di difesa. Era il momento di provarlo.

“Tutto bene?” Chiese Giovanna tendendole la mano per prendere il piatto ed inserirlo nella griglia della lavapiatti e Michiru asserì con convinzione.

"Assolutamente. Vuoi che prepari il caffè?”

“Magari, grazie. Ho bevuto troppo e devo guidare. Piuttosto..., credo sia ora di parlare delle istallazioni luminose.”

Ma non ebbe risposta, anzi, l'altra sembrò perfino non aver ascoltato concentrata com'era sulla macchinetta del caffè. A Giovanna non sfuggì la cosa.

Poggiando la schiena al pianale di uno dei mobili ed incrociando le braccia sul petto, chiese a che gioco stesse partecipando a sua insaputa. Ancora nessuna risposta.

“Non c'è nessuna istallazione luminosa della quale parlare, dico bene dottoressa?” Vide le spalle irrigidirsi e capì d'aver colto nel segno.

Sempre girata, Michiru finì di mettere la macchinetta sul fuoco, ma prima che le parole riuscissero ad uscirle dalla bocca il suo cellulare cinguettò.

“Mio non è.... Ricordi quella brutta cosa chiamata tecnologia?!” Ed uscendo dalla cucina Giovanna attese che rispondesse risedendosi al tavolo.

Buona notte amore mio.... Sognami. La quotidiana buona notte della sua Ruka.

Buona notte a te, anima mia.... Sognami. Rispose poggiando poi il cellulare accanto ai fornelli per dirigersi in sala da pranzo.

Michiru sospiro' pesantemente dando cosi' il via alla sua dolorosa confessione. Si sedette così di fronte a Giovanna, come avevano cenato, arpionandosi poi le mani assumendo una posa estremamente composta. Di rimpetto la sua interlocutrice si slacciò le maniche della camicia arrotolandosele sugli avambracci puntando poi i gomiti sul tavolo ed appoggiando le nocche di entrambe le mani al mento.

“ Ti ascolto Michiru.”

 

 

Erano passati secondi e la Dottoressa Kaiou aveva ancora gli occhi fissi sulla cornice della libreria. Nella testa mille pensieri e nella gola zero parole. Ad un certo punto notò che anche l'altra l'aveva seguita con lo sguardo e facendo apparire ai lati delle labbra un leggerissimo sorriso, spiegò chi fosse la persona della foto.

“E' il mio amore. Mi manca....”

“Era lui che ti twittava prima?” Osò.

Lui. Michiru non si meravigliò affatto che Giovanna non avesse riconosciuto in quei tratti gentilmente androgini una lei. Solo con il giusto spirito d'osservazione si poteva capire a primo impatto che in quel bel viso nordico vi fossero tratti distintivi di una femminilità segnata da linee morbide.

Un leggero movimento di assenso con il capo e finalmente si guardarono. Michiru iniziò così a raccontarle di loro. Illuminandosi alla storia del loro primo incontro e di quel freddo micidiale che improvvisamente non era stato più tale. Della paura che provava nel sapere che la sua anima gemella si guadagnasse da vivere rischiando la vita in pista un giorno si ed uno no, ma di come grazie anche a quel lavoro, avessero potuto finalmente acquistare un'appartamento insieme. Ma dovette per forza di cose rabbuiarsi nel dirle delle prime febbriciattole, della stanchezza sempre più marcata, dei malesseri che avevano portato alla diagnosi di una leucemia cronica, delle illusorie terapie con gli inibitori della crescita dalle molecole intelligenti. Della chemio non gestibile.

“Per i primi sei mesi la malattia non era sembrata neanche troppo aggressiva, anzi. Vivevamo come sempre e cercavamo di non pensarci troppo. Poi tutto è cambiato ed i medici hanno dovuto optare per la chemio ed il successivo trapianto di midollo. Per poco non ci moriva sotto quelle flebo e così abbiamo anche scoperto che il mio amore ha il cuore un po’ capriccioso. La conseguenza dell’impossibilita’ di concludere il ciclo di chemioterapia è stata quella di non vedere il midollo sano attecchire.”

Michiru inghiottì a vuoto un paio di volte.

L'altra l'ascoltava senza fiatare. Pur non essendo un medico sapeva più o meno che gli interventi midollari venivano eseguiti dal donatore al ricevente solo dopo che quest'ultimo aveva affrontato un bombardamento chemioterapico per l'abbattimento totale delle difese immunitarie. Ma se il paziente non riusciva a sopportare la terapia, era quasi inesorabile che il corpo attaccasse le cellule sane trapiantate.

Michiru avvertì l'odore del caffè che stava uscendo ed andando in cucina vi tornò un paio di minuti dopo con una tazzina fumante. Giovanna accolse entrambe con un sorriso di gratitudine.

“Mi sono permessa di zuccherartelo. Ho visto che in caffetteria non lo prendi amaro.”

La caffetteria; già, quel posto a Michiru sconosciuto fino a poche settimane prima e che aveva iniziato con malavoglia a frequentare solo perché c'era lei.

Giovanna bevve velocemente e poi chiese se il donatore fosse stato un parente o uno sconosciuto, il che faceva tutta la differenza del mondo.

“Un donatore estraneo.” Rispose tornando a sedersi.

“Non un genitore o un fratello? Un cugino....”

“No. La madre avrebbe tanto voluto, ci metterei la mano sul fuoco, ma è morta cinque anni fa. Il padre...., be non si sa neanche dove sia ora. A quel che sappiamo potrebbe essere a Timbuktu come al ....” La frase lasciata incompiuta perchè troppo signora per dire all'inferno.

“Conosco il tipo purtroppo.”

“Già, lo so....” E Michiru strappò finalmente la spoletta.

“In che senso?....”

“Fidati, lo so perfettamente. Tuo padre si chiama Sebastiano Aulis. - E notando quanto la fronte dell'altra si stesse aggrottando, continuò - Emigrò in Svizzera all'incirca trentacinque anni fa abbandonando la sua prima moglie e... te.”

“Tu conosci mio padre?”

“Non di persona. Non so dove sia ora, ma so che una volta lasciata l'Italia, si e' rifatto una vita con una nuova compagna.

A quelle parole Giovanna iniziò ad innervosirsi. “ Ma tu come...”

Quella situazione non le piaceva per niente. Chi diavolo era quella donna e perchè conosceva così bene suo padre?

“Non so come tu lo conosca e non me ne frega niente se si è rifatto una nuova famiglia o sta in un fosso, ma so che non ho intenzione di parlare di lui e francamente... guarda Michiru... - i palmi delle mani sul tavolo pronta ad alzarsi - ... non riesco neanche a capire dove tu voglia arrivare.”

“Aspetta.” Disse Michiru bloccandola con un gesto della mano.

Suo malgrado aveva provocato una reazione negativa e decise che doveva compiere quel gesto che tanto stava procrastinando, se voleva fare in modo che l'altra si fidasse di lei.

“Ti risponderò, ma prima vorrei che sapessi una cosa su di me. Ti ricordi quando questa mattina ti ho chiesto se il nome Tenou ti diceva qualcosa? Ebbene Tenou è il cognome della mia anima gemella. Haruka Tenou,... la mia compagna.”

Giovanna si allontanò lentamente dal bordo del tavolo poggiando la schiena alla scocca della sedia. Ci mise qualche secondo prima di elaborare il senso di una confessione tanto personale e poi comprese in quale posizione si era messa Michiru Kaiou. Ora era esposta, vulnerabile. Dicendole apertamente della sua omosessualità le stava facendo il dono della fiducia. Dire una cosa tanto intima ad una persona che era poco più che una buona conoscenza, poteva portarla allo sgretolamento della carriera, perchè anche se la Chiesa e nella fattispecie le alte schiere vaticane si erano molto ammorbidite sull'argomento, un'aperta dichiarazione non sarebbe stata vista bene da una larga fetta della Curia.

Cosa portava quella donna a giocare in maniera tanto pericolosa? La disperazione forse? La stupidità? Cosa?!

Tenendo sempre gli occhi in quelli di Michiru decise che l'azzardo di lei valesse un'ascolto.

“Io non ho nessun tipo di problema in merito, ma sai lavorativamente parlando cosa potrebbe significare l'avermelo confessato?”

“Perfettamente. Se riferito all'orecchio sbagliato potrebbe polverizzarmi la carriera. Non troverei più uno straccio di lavoro in nessuna Curia, ne in Italia, ne altrove. Lo so. Lo so bene, ed è per questo che te l'ho detto, perchè vorrei che tu ti fidassi di me Giovanna... Come io mi sto fidando di te.”

L'altra sembrò rifletterci sopra e poi chiese “ Allora, come conosci mio padre?! Hai fatto forse delle ricerche su di me?”

“Non proprio.” - Ammise. - “Mi è bastato sapere il tuo cognome e visto che di Aulis non ce ne sono molti, sono riuscita ad intrecciare tutto abbastanza rapidamente. Qualche tempo fa hai perso il tesserino di servizio, vero?”

“Si, mi era caduto chissà dove.”

“Ti era caduto negli spogliatoi e lo so perché sono stata io a trovarlo sotto una delle panche e a portarlo in guardiania. Durante la strada mi è caduto l'occhio sul tuo cognome ed è da li che ho saputo che uno degli Architetti che stavano lavorando ai restauri esterni si chiamava Aulis.”

In effetti a Giovanna la cosa apparve abbastanza lineare. A pensarci bene non aveva avuto modo di frequentare Michiru fino a quando lei per prima non le si era presentata allacciando discorso. Fino al momento del ritrovamento del suo tesserino, nessuna delle due conosceva il nome dell'altra ed i rispettivi ruoli all'interno della struttura vaticana. Si erano salutate educatamente qualche volta, ma nulla più. Ci rifletté ancora meglio. Kaiou aveva preso a spuntarle intorno ad ogni dove, attaccando bottone per qualunque cosa. Poi la scusa dell'aiuto per l'illuminazione della pala, ed ora quella cena strana, quella confessione. E se...

“Non mi sono invaghita di te, sia ben chiaro.” L'anticipò Kaiou più che convinta, sorridendo poi al sospiro di sollievo dell'altra.

“Non offenderti Michiru... Sei uno schianto di donna, ma... non saprei bene cosa farmene di un corpo femminile.”

“Quello s'impara e da anche parecchie soddisfazioni. Credimi.”

“Kaiou! - L'ammonì leggermente imbarazzata. - Comunque continua. Perchè hai preso a gironzolarmi intorno? E come conosci quella brava personcina che mi ha generatà?”

“Perchè.... - Michiru inondò esageratamente d'aria i polmoni sganciando la seconda spoletta – Perché conosco il nome della donna con la quale ha convissuto per alcuni anni e con la quale ha avuto un'altra figlia; Ilde Antonia Tenou... La madre della mia Haruka.”

 

 

La deflagrazione fu devastante. Michiru se ne rese conto non appena l'ultima frase fu recepita dal cervello di Giovanna. Tornata alla postura che aveva assunto appena quella conversazione era iniziata, l'altra inizio' a torturarsi le dita con lo sguardo perso in un punto imprecisato della stanza.

“Giovanna. .."

Michiru avrebbe voluto chiederle un'infinita di cose, ma le stava mancando la forza. Lo sapeva che le avrebbe stravolto la vita. Lo sapeva. Ecco perché s'era sentita male per giorni dopo che aveva deciso come comportarsi. Cercò allora un contatto fisico allungando una mano, ma l'altra scattò in piedi uscendo dal torpore.

“No, no, aspetta... Fammi capire bene Kaiou. Stai insinuando che avrei una sorella più piccola e che quest'ultima sarebbe la tua ragazza?!”

“Ho le prove della prima cosa e ti garantisco che la seconda non è mai stata tanto sentita.” Si alzò a sua volta. Lentamente.

"Allora perché mio padre non me lo avrebbe mai detto?!" Soffiò imbufalita iniziando a fate su e giu' per la stanza.

"Non lo so." Dio quanto le ricordava Haruka. Lo stesso modo di affrontare i discorsi tirandosi su le maniche. La stessa necessità di movimento dopo aver ricevuto una qualche notizia bomba. Lo stesso vizio di battere il lato interno di un pugno contro il palmo della mano opposta. Proprio come stava facendo l'altra in quel momento.

“Come le somigli.” Ammise teneramente e si morse la lingua, perché l'altra la fulminò con lo sguardo. Uno sguardo grigio verde spaventato e confuso.

“Che fai Kaiou? Prendi per il culo adesso!?” Ringhiò con voce incrinata.

“Forse non ti rendi conto di quello che hai fatto! Di quello che hai detto! E te ne stai così! Calma. Tranquilla. Come se non te ne fregasse un cazzo....”

Michiru rimase immobile. “ Non sono calma,... ne tanto meno tranquilla, Giovanna.”

“A si?! A me sembra il contrario. - Le urlò contro. - Adesso capisco perché cercavi di essermi amica. Grazie, ben gentile. Vuoi da me un pezzo d'osso che salvi la vita alla tua ragazza!”

“A tua sorella.” Disse Michiru contenendo la voce e le lacrime che sentiva negli occhi.

Giovanna si bloccò di colpo spostando lo sguardo da Michiru alla foto sulla scaffalatura. I pugni tanto stretti da lasciare bianche le nocche. Il cuore che le martellava nelle orecchie. L'ossigeno che non le era mai sembrato tanto essenziale.

Tua sorella, le riecheggiò nelle orecchie. Stava andando tutto troppo in fretta. Si riteneva un tipo di persona abbastanza statica, non amante dei cambiamenti. Ora quella serie di notizie datele di getto. una appresso all'altra, le stavano togliendo la terra da sotto i piedi.

“Perdonami...”

La voce di Michiru le arrivò leggermente ovattata. Scosse la testa cercando di scuotersi.

“Questa cosa non sta né in cielo, ne in terra...”

“Posso solo lontanamente immaginare quello che ho scatenato dentro di te, ma ti assicuro Giovanna..., ti sto divertendo la verità. Non era mia intenzione e non mi sarei mai permessa di fare ciò che sto facendo se non avessi le spalle al muro. Te lo assicuro. Ti prego di credermi.” La guardò andare verso la libreria ed afferrare la cornice.

“Lei lo sa?” Il tono di voce era tornato calmo, anche se solo in apparenza.

Michiru prendendo coraggio le si avvicinò dicendole che non aveva voluto mettere la compagnia a conoscenza di nulla. Aveva scelto così per sollevarla da ogni tipo di pensiero o scelta che si sarebbe presentata.

“E' solo mia la responsabilità di tutto questo. Lei non c'entra niente.”

“E' veramente molto bella.” Convenne fissando l'immagine.

Giovanna aveva sempre desiderato una sorella, grande o piccola che fosse. Un'altra se stessa con la quale dividere la vita, litigare per il bagno, l'affetto dei genitori, le cose, i ragazzi. No, magari in questo caso i ragazzi no, ma sarebbe stato bello se Haruka avesse fatto parte della sua vita. Ed invece il destino che suo padre aveva tracciato per loro era stato ben diverso. Le aveva tenute separate e se non fosse stato per una serie di circostanze assurde non avrebbe neanche saputo della sua esistenza.

Toccando con il pollice il vetro della foto, Giovanna si ritrovò a pensare a tutto quello che Michiru le aveva detto su Haruka e sulla malattia che l'aveva colpita. Al senso di rabbia che stava provando per il genitore se ne aggiunse di colpo un altro; la paura. Aveva perso già troppe persone nella sua vita per sopportare anche quello.

“Scusami. Non avrei dovuto urlarti contro Michiru.” E lasciandole la cornice nelle mani si diresse verso la porta d'ingresso.

“Giovanna!” La chiamò bloccandola con la mano già sul pomello.

“Non ce la faccio...”

“Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.

“Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.

Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta che le avrebbero tolto ogni speranza.

Giovanna riusì a staccarsi dall'acciaio con una fatica immensa e lentamente voltò la testa verso Michiru sempre immobile al centro della stanza. Si sentiva ferita, tradita, offesa, confusa. Forse anche lei avrebbe agito allo stesso modo se ne avesse avuto la necessità. O forse no. Non lo sapeva e forse arrivate a quel punto non importava neanche. Nel guardare quella donna magra resa ancor più minuta da un dolore che sembrava stare sul punto di divorarla, provò un'immensa tenerezza. Dovevano amarsi tanto quelle due e dovevano aver sofferto tanto.

Michiru avvertì la mano dell'altra serrarle la spalla sinistra e la destra sulla cornice che ancora continuava a tenersi al petto.

“Quanto tempo ha?”

“Poco...” Riuscì a dire con un filo di voce.

“Allora sarà il caso che domani mattina vada a fare il test di compatibilità.” E a Michiru sembro di tornare a respirare.

"Dici sul serio?!"

"Sì, Kaiou."

Giovanna guardò nuovamente la foto mentre un sorriso sempre più evidente le marcava le labbra. “Però! Mia sorella è una top model spacca culi alla Lady Oscar.” E due lacrime sottilissime eludero le ciglia scivolando indisponenti giù per le guance.

Michiru non sentì di fare altro che abbracciarla finendo di piangere tutta la disperazione accumulata in quei mesi di battaglie solitarie. 

   
 
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