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Autore: Lost In Donbass    12/12/2016    2 recensioni
Tom non ne vuole sapere di studiare, vuole vivere la vita sulla pelle, vuole suonare agli angoli delle strade, vuole rivoluzionare qualcosa che è solo nella sua testa. Ma forse è ancora troppo giovane.
Bill è semplicemente un genio, si sente un dio, vuole che lo osannino, passa tutto il suo tempo a studiare cose che non gli interessano per sentirsi uguale agli altri. Ma nasconde qualcosa di troppo doloroso per poter essere tenuto nascosto troppo a lungo.
Ed entrambi sono troppo e sono troppo poco, sono padroni e schiavi di loro stessi, e soprattutto sono nemici giurati da anni. E se quest'anno qualcosa cambiasse? In un saliscendi di amore, odio, passione, lacrime, incomprensioni, e segreti inconfessabili, riusciranno i due ragazzi a trovare l'accordo di pace tra loro stessi?
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO DICIASSETTE: BY YOUR SIDE
Turn around, I’m here
If you want it’s me you’ll see
Doesn’t count far or near
I can hold you when you reach for me
I am by your side
Just for a little while …
 
-Bill, seriamente: perché hai delle mutandine di pizzo rosa da donna in valigia?
Tom era seduto per terra, sul pavimento di marmo della camera da letto di Bill, e agitava con aria infantilmente interrogativa delle mutandine di pizzo rosa fucsia.
-Secondo te?- Bill lo guardò scuotendo la testa, un sorriso dolce stampato sulle labbra, la vestaglia rosa avvolta attorno al corpo anoressico. – Per te, no?
Tom fischiò, beccandosi quella che avrebbe voluto essere un’occhiataccia
-Quindi stanotte potrò vederti in diretta con addosso queste e un paio di stivali di lacca coi tacchi a spillo?
Si aspettava già lo schiaffetto che Bill gli diede sulla testa, seguito a ruota dal
-Sei un pervertito, Tom!- ridacchiò il ragazzo, strappandogli le mutandine di mano – Avrebbe dovuto essere una sorpresa …
-E allora, sorprendimi, genio.- Tom si alzò, afferrandolo per la vita, stringendolo a sé come se le sue braccia fossero la famosa gabbia d’oro che avrebbe dovuto salvarlo da qualunque altra bruttura. Gli posò le labbra sul collo da cigno, sentendo le narici riempirsi del profumo meraviglioso che solo Bill poteva avere, quello che sapeva di trucchi, di fumo, di caramelle gommose, che sapeva di libertà, di tenerezza, di amore soffocato, di musica punk. Inspirò a pieni polmoni il suo profumo, accarezzando con le labbra la pelle pallida, stringendo il corpo debole di Bill tra le braccia, come la bambola bellissima che lui avrebbe protetto fino alla fine dei tempi.
Bill sospirò, appoggiando la schiena al petto di Tom, stringendo le sue mani grandi che gli circondavano la vita sottile, chiudendo gli occhi. C’era Tom, adesso. C’era il suo adorabile rasta che era venuto a salvarlo, come nei suoi sogni. Avrebbero potuto cominciare a costruire tutti i sogni che avevano popolato le sue cupe notti, rifarsi la vita che meritavano sostenendosi uno con l’altro, dimenticandosi dei loro passati e proiettandosi solo verso un futuro, che sì poteva essere illusorio come il fumo di una sigaretta, ma che si sarebbe fondato su di loro e sulla loro tenacia. Il mondo sembrava essersi meravigliosamente illuminato quando aveva visto il sorriso di Tom, quando aveva sentito la sua musica, le sue braccia che lo circondavano, il suo profumo che era di menta, ribellione e rock’n’roll. Tom colorava la sua vita con una violenza inaudita, come un mare di lava che si rovesciava selvaggiamente nel mare, una botta di vita bollente e innovativa che non faceva che fargli apprezzare sempre di più l’esistenza che non riusciva più a sopportare. Tom rompeva i suoi specchi, lo scuoteva, ribaltava la sua aristocrazia con la sua popolana libertà e la sua gioia di vivere che ogni momento gli faceva dire “posso tenere duro ancora un po’”. Sì, Bill avrebbe tenuto duro, avrebbe combattuto, avrebbe lottato, se non per se stesso almeno per Tom, per lui, per farsi ricordare come un ragazzo che si era impegnato a sopravvivere. Voleva tanto che fosse fiero di lui, anche quando sarebbe stato nella tomba voleva che potesse dire “Ha lottato per me”.
-Allora, credi di essere convinto?
Tom si staccò da Bill, sedendosi sul letto, accarezzandogli le gambe lunghe e snelle, poggiandogli la fronte sulla pancia fredda e piatta, dandogli un bacio leggero sotto l’ombelico.
-Vuoi che non sia convinto dopo tutto quello che hai fatto per me?- Bill sorrise dolcemente, accarezzandogli i dread, tremando appena quando le labbra di Tom si stamparono sulla sua pancia. – Su, pasticcino alla vaniglia, lo sai che ormai ti seguirei anche in capo al mondo.
-Anche se verrai diseredato?- Tom se lo fece sedere a cavalcioni sulle gambe, accarezzandogli i lunghi capelli corvini, lasciandosi circondare dalle braccia di Bill.
-Anche se mi condannassero alla sedia elettrica.- sospirò Bill, prendendogli le mani tra le proprie – Dove andremo, adesso?
-Andremo a vivere Berlino, visto che non potremmo farlo a Capodanno.- il rasta si alzò, facendo volteggiare il moro tra le sue braccia – Se sei convinto di scappare di casa, allora andiamocene adesso. Lasciati indietro il tuo passato.
Bill sospirò rumorosamente, cominciando a vestirsi, a truccarsi e a pettinarsi, lanciando ogni tanto qualche occhiata al suo eroe coi tubi in testa che guardava fuori dalla finestra, strimpellando qualcosa con la chitarra.
-Pasticcino, posso chiederti una cosa?- si voltò verso Tom, stringendo il mascara tra le dita, gli occhioni improvvisamente lucidi, quello vivo fisso sul viso del ragazzo e quello morto perso in un suo Inferno fuori dalla finestra – Perché me? Perché tra tutti proprio il tuo peggior nemico?
-E tu perché me, allora?- Tom lo guardò gravemente, rigirandogli la domanda. Non sapeva perché proprio in quel momento sentiva delle mani che cominciavano ad arpionargli l’anima. Un momento di gelo così potente da essere pari allo zero assoluto che era improvvisamente calato su di loro.
-Perché te?- Bill si era girato verso di lui – Beh, perché sei un ragazzo speciale. Te perché sei coraggioso, anche se forse non lo dai a vedere, perché sei altruista, perché sei un eroe del proletariato che ti sta tanto a cuore. Perché sin dalla prima volta che ti ho visto, ho capito che non sei come tutti gli altri, che sei l’unico capace di poter competere col mio genio. Sei ignorante come una capra, sei pure un gran cafone, però hai l’onore che solo i perduti possono avere, hai un orgoglio bastardo che mi ha fatto così tanto male da avermi quasi ucciso, ma lo ammiro, questo tuo orgoglio, questa tua cieca fede rocker che ti fa essere quello che sei. Suoni la chitarra per il popolo, e credo che tu suoni benissimo perché anche se non hai tecnica ci metti un cuore che nessuno sarebbe capace di metterci. Sei anche un bastardo della peggior specie, mi hai usato, mi hai tradito e mi hai trattato come nessuno mai, ma sei stato anche in grado di chiedere scusa veramente, di metterti a nudo di fronte a me per avere il mio perdono. Perché in fondo so che tieni a me, che sei abbastanza pazzo e abbastanza eroico da salvarmi, perché ti ho odiato così tanto. Ti ho sempre invidiato da corrodermi, per la tua voglia di vivere, per la rivolta che ti brucia dentro, per il tuo animo punk, così tanto da pensare di odiarti mentre in realtà ti ho sempre amato alla follia. Ti amo perché sei tu, perché sei bellissimo, perché sei un idiota, perché sei uno skater che pensa solo a divertirsi, perché sei così schifosamente ribelle. Ti amo perché sei tu, Tom, perché mi hai salvato la vita. Ti amo e basta, ok?- Bill guardò il ragazzo che lo fissava incredulo, e tirò su col naso, - Beh? Non guardarmi così, pasticcino alla vaniglia, ho solo risposto alla tua domanda.
-Bill …
-Sì, Tom?- guardò il rasta con gli occhi umidi, cercando di darsi un contegno, per non mettersi a piangere di fronte allo sguardo inebetito dell’altro.
-Io non so cosa ci trovo in te.- Tom si grattò la guancia, investito dal fiume di parole del moro, incredulo di poter essere così tante cose per lui, morte e redenzione continua. – So solo che sei perfetto così come sei, che sono stato un bastardo a farti del male e che ora voglio solo vivere con te per sempre. Basta. So solo che ti amo, Bill, non c’è un perché.
-Mi basta.- Bill sorrise dolcemente, e si lanciò a peso morto su Tom, facendolo barcollare, affondando il viso nella sua felpa calda che avrebbe sempre chiamato “casa” – D’altronde non saresti tu se sapessi fare un discorso di senso poetico.
Per una volta, Tom non si sentì offeso, ma si limitò a stringerlo più forte tra le sue braccia e a baciargli i capelli, notando per la prima volta come i loro corpi aderissero perfettamente uno all’altro, come un puzzle divino che nessuno avrebbe mai potuto completare come stavano facendo loro due.
 
Bill amava i parchi. Forse perché da bambino non ce l’avevano mai portato, tutti terrorizzati all’idea che qualcuno vedesse il suo viso sfigurato dalla malattia o che lui avesse la malaugurata idea di dire chi fosse e di smantellare la mitizzazione della famiglia più ricca della nazione. Comunque, trovava così piacevole il parco di Magdeburgo, sia andarci con le sue amiche a studiare e a passeggiare spettegolando sia andarci con Tom a mangiare il gelato alla pesca e a sbaciucchiarsi sotto alla Grande Quercia. Ma il parco di Berlino, quello sì che per Bill era un paradiso terrestre, dove potersi nascondere ogni volta che era nella capitale, lontano da tutto e da tutti, pronto a rifugiarsi in quell’angolo lontano dai cancelli, sotto i salici piangenti, sull’altalena quasi a mollo nello stagno. Però c’era Tom, quella volta. Tom, che si meritava di irrompere anche lui nel suo giardino segreto nascosto agli occhi degli stessi berlinesi. Scesero in silenzio verso lo stagno, scivolando con aria quasi colpevole in mezzo alle fronde dei salici piangenti, senza tenersi per mano, perché quella sembrava una prerogativa dei due Kaulitz, girare a braccetto come una vecchia e solida coppia, oppure con Bill sulle spalle di Tom, sempre fianco a fianco, ma mai per mano. Non sapevano nemmeno loro perché, ma lo trovavano così innaturalmente stucchevole. E loro non avrebbero mai dovuto avere una storia d’amore pop, perché esistevano anche ballate romantiche metal e hard rock e a quello non avrebbero mai potuto rinunciare. Sgusciarono in silenzio oltre le ultime fronde, raggiungendo una vecchia altalena risalente forse a quando ancora c’era il Muro, che ciondolava silenziosa come un fantasma in mezzo ai salici, scricchiolando al freddo venticello dicembrino. Bill sorrise tra sé e sé, afferrando Tom per il polso e trascinandolo, inciampando sui tacchi vertiginosi, verso l’altalena dondolante, rivivendo per un attimo milioni di attimi del suo passato. Di quando l’aveva scovata per la prima volta, all’epoca tredicenne, e di come aveva deciso che quella sarebbe stata la sua isola felice berlinese, dopo il soppalco della Schiller, che si era ritrovato a dividere con Tom. Ora, esattamente come quando aveva scoperto che frequentavano lo stesso rifugio segreto, voleva condividerlo con lui, aprirgli del tutto le porte del suo cuore e dei suoi misteri.
-Ma che figata assurda … - disse Tom, guardandosi attorno con aria persa, scrutando attentamente il laghetto pieno di meravigliose ninfee rosa e i rami che stormivano nel vento, l’acqua immobile e stangante nera come l’inchiostro, il silenzio inquietante e sacro di quel tempietto di vita.
-Ti piace, amore?
Bill sorrise dolcemente, sedendosi sull’altalena, cominciando a dondolarsi piano, le mani ornate da imponenti anelli a decorargli le dita lunghe e magre, le unghie lunghe e spennellate di nero con il french bianco. Guardava Tom, la sua espressione da bamboccio stupita e un po’ ebete mentre si guardava in giro, guardava la sua vita che si stava miracolosamente aggiustando.
-E’ … è sensazionale, Bill, che posto assurdamente fuori dagli schemi!- il rasta posò lo sguardo sul ragazzo, sfarfallando i grandi occhi scuri – Sa molto di quei giardini segreti sulle isolette private della ville vittoriane.
-Vedi che anche l’aristocrazia può avere dei lati positivi?- Bill ridacchiò, allungando il viso per ricevere un bacio sulle labbra.
-Questa non è una cosa aristocratica.- Tom aggrottò la fronte – E’ un parco pubblico, per la gente comune e il proletariato!
I due ragazzi risero, mentre i rami stormivano con più decisione e accompagnavano Tom nel ritmo lento e cadenzato di cominciare a spingere l’altalena e di far dondolare Bill, prima lentamente, poi sempre con più decisione. Dondolava, spinto dal suo rasta, e Bill si sentiva completo, per una volta in vita sua. Non sentiva la malattia che gli appesantiva l’animo, non percepiva la sua semicecità, non si accompagnava della Morte che gravava notte e giorno sulla sua testa con la falce pronta a mietere la sua giovane vita. Sentiva solamente Tom che lo spingeva sempre più forte verso l’alto, sentiva il vento sulla pelle come una ventata di sopravvivenza, sentiva il loro amore e la loro musica che rimbombava tra quei salici morti e quelle ninfee galleggianti, sentiva la vita tornare a scorrere nelle sue vene al posto del sangue malato. Strinse le corde di ferro dell’altalena, strillando di gioia quando cominciò a volare davvero in alto, così in alto che pensò per un attimo che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito, se l’avesse teso. Gli sembrava di essere una colomba, una bellissima colomba che prendeva il volo per la prima volta, dopo che Tom gli aveva curato le ali. Dondolava, Bill, e rideva, rideva forte, quel riso forte e scrosciante, con la testa gettata all’indietro, che fece fare una capriola nel cuore del rasta. Gli ricordava il suo sogno sul treno, quella risata così bella, la risata che poteva voler dire, coraggio, speranza, o morte. In quel momento, Tom era sicuro che volesse dire speranza. Speranza di aver finalmente vinto la guerra, di poter rimanere insieme, di poter combattere fianco a fianco con i loro angeli e i loro demoni. Speranza di potersi consumare insieme e poter dire “Ci siamo amati e abbiamo resistito fino all’ultimo”, perché se il suo Bill era destinato ad abbandonarlo, Tom voleva poter dire a tutti che se ne era andato lottando, come la tigre che era. A loro modo, lottavano così. Lotte di strada, di piazza, lotte punk con sesso, droga e rock’n’roll, rivolte armate, bombe molotov, la rivolta di un proletario che salvava il suo piccolo borghese sperduto. Erano fatti così, ancorati a un’epoca gloriosa ma morta e sepolta, ancora sfrenati rivoltosi di degli anni ’70 che solo loro probabilmente sognavano ancora, appesi spasmodicamente ai vessilli di libertà e di musica libera per le strade. Quelli erano Bill e Tom, vessilli perduti di una società antitetica e fallace. Quello era il loro amore, la prima molotov lanciata contro il regime.
Tom aveva smesso di dondolare Bill, che lentamente si era fermato, e gli si era seduto ai piedi, poggiandogli la testa in grembo, lasciandosi accarezzare i dread dalle belle mani del moro, sentendole avvolgersi ai suoi tubi e stringergli le guancie. Erano così vicini uno all’altro in quel momento, così amorevolmente riuniti nel loro matrimonio dell’anima da apparire invincibili. Sì, invincibili. Gli eroi di una generazione.
-Pasticcino, sei felice?- sussurrò Bill, accarezzando il berretto di Tom.
-Come potrei non esserselo? Seduto in un posto fottutamente umido con te che mi stai strapazzando la faccia.- grugnì ironicamente Tom, beccandosi il solito schiaffetto d’ordinanza, e una risatina.
-Ero serio, cretino.- Bill si chinò, facendo combaciare le loro labbra in un fantasma di un bacio dato tra le gocce di pioggia. – Sei felice?
-Ma certo che sono felice, piccolo mio.- Tom lo guardò, stringendogli la mano e portandosela alle labbra, baciandogli ogni singolo dito – Sono con te, quindi sono meccanicamente felice.
-Siamo legati a un sogno che è troppo sciocco per morire, lo sai, vero?- Bill sospirò rumorosamente, alzando gli occhi al cielo che si era rannuvolato e stava cominciando a piovere.
-Sarà anche troppo sciocco, ma l’importante è che non muoia, come non moriremo noi. Gli eroi non muoiono, Bill. Vincono.- Tom si alzò ingabbiando Bill tra l’altalena e le sue braccia, lo sguardo fiero e battagliero, lo sguardo che il moro amava più di tutti -E come loro, noi corriamo nella luce della luna e ce ne freghiamo, e lo sai perché? Perché siamo dei fottuti fuorilegge. Abbiamo distrutto la periferia, lo saremo per sempre dei fuorilegge, siamo la nostra stessa redenzione, ok? Lo sai anche tu: io e te siamo fatti per distruggere il 21 secolo, perché nessuno, nessuno cambierà il nostro spirito. Va bene, Bill? Quindi nessuno dei nostri sogni è stupido.
Bill rise, appoggiandosi al petto di Tom, cercando la sua mano.
-Siamo dei fuorilegge … allora ci scuseranno se andiamo in un motel schifosamente lurido a darci da fare, vero?
-I fuorilegge possono fare tutto quello che vogliono, bellezza.
Tom guardò Bill negli occhi, prima di tirarlo in piedi e cominciare ad avviarsi di corsa verso la loro pensioncina, correndo, fregandosene se la gente li guardava storto, così, a ridere sotto la pioggia battente, senza tenersi per mano ma sorridendosi con sorrisi così belli e luminosi che sprigionavano amore solo a guardarli. Correvano, Bill e Tom, ignorando il mondo attorno a loro, ignorando il fatto che in quel momento i familiari del moro avrebbero trovato la lunga lettera che Bill aveva scritto loro, dove raccontava tutto, la storia che sua madre gli aveva strappato quando era bambino ma che ora non avrebbe più potuto nemmeno toccare, condannandoli tutti e imponendosi per la prima volta come un ragazzo capace di agire da solo e sfruttare la debolezza della ricchezza per convertirsi al mondo reale, facendo vedere che lui poteva reagire, che era maggiorenne e che quel poco che gli rimaneva se la sarebbe costruita da solo, con l’unico ragazzo che l’aveva mai davvero capito. Se ne fregavano, mentre correvano sotto l’acqua che lavava via i peccati.
 
-Dio, Bill, mi eri mancato così tanto.
Tom si stiracchiò, la pioggia che batteva incessante sul vetro lurido della cameretta, i dread scompigliati sul cuscino, la pelle che bruciava per i graffi, i morsi, i succhiotti che Bill gli aveva disseminato dappertutto, ancora nudo in mezzo alle coperte sporche e umide di loro.
-Ti ero mancato io o il mio posteriore, maniaco?
Bill scoppiò a ridere, sedendosi di nuovo accanto a Tom, accarezzandogli dolcemente il petto pallido, giocherellando con la collana che indossava, i baci appassionati che il rasta gli aveva lasciato a sporcare la pelle lattea.
-Uhm … tutti e due.- Tom sorrise, facendo spazio nel letto troppo piccolo affinché Bill gli si accoccolasse stretto stretto affianco, rannicchiandosi contro di lui, le sue belle labbra sulla sua pelle, i loro calori corporei a scaldarli in quella serata gelida.
-Ho notato, sai?- Bill sfregò il nasino nel collo del rasta, fingendosi indignato. – Non ho quasi più voce per colpa tua!
-Infatti vedo come ti dispiace.- commentò sornione Tom, stringendo il moro tra le sue braccia e baciandogli la fronte, guardando le gocce di pioggia grigia che si infrangevano sul vetro sudicio del piccolo motel, che, come aveva predetto, era stato il loro rifugio della loro prima notte di passione libera, vissuta come fossero due amanti della Berlino della Cortina di Ferro che finalmente possono riunirsi dopo la caduta del Muro che li ha tenuti separati per anni, come due soldati persi nelle sabbie dell’Afghanistan sotto le stelle, dati per morti dal loro commando, come due eroinomani che si rincontrano dopo la disintossicazione, convinti di aver perso l’altro per sempre, come due carcerati che consumano il loro amore dentro le invalicabili mura di un carcere di massima sicurezza. Era stata la loro caduta del Muro da celebrare, il loro personale Afghanistan dal quale erano gloriosamente scampati, la loro reciproca intossicazione che non sarebbe mai finita davvero, la loro pena che veniva scontata e che li rendeva di nuovo liberi di riappropriarsi delle proprie vite. Cercavano la vita, uno dentro l’altro, cercavano la fuga e la salvezza, completandosi come niente mai prima.
-Sarei anche disposto a un altro giro, Mr. Kaulitz.- mugolò Bill, sedendoglisi sensualmente a cavalcioni, accarezzandogli il viso con le lunghe unghie smaltate, chinandosi quel tanto per far cozzare le loro labbra in un morbido bacio, sottolineato dall’imperversare del temporale invernale che infuriava fuori. E per una volta la bufera era fuori dai loro cuori.
-E vedremo di darglielo, Mrs. Principessa Sul Pisello.- Tom rise, affondando le mani nella folta capigliatura di Bill, sfregando i rispettivi bacini uno contro l’altro a creare una deliziosa frizione, Bill che cominciava a gemere e a mordersi il labbro, dondolandosi sul bacino dell’altro, tanto che forse Tom realizzò che il paradiso poteva anche non essere così lontano dopotutto, con il suo adorabile fidanzato che gettava il collo all’indietro e lui che lo afferrava per i fianchi ossuti e se lo metteva sopra, soffocando i gemiti nella bocca di Bill, cercando di non farlo strillare già subito, cominciando a muoversi ondeggiando sopra di lui, come fosse un’altalena, la sua bellissima altalena nascosta nella mistica atmosfera del Ehrolungspark. Per Tom, essere anche lì in quel letto freddo e umido, a rovesciare Bill sul materasso e darsi da fare a spingere sempre di più dentro di lui, a sentire le sue grida che rimbombavano tra un tuono e l’altro, a sentire le sue unghie che gli graffiavano la schiena, a sentire che lo incitava sempre di più e a sentire se stesso gemere quel maledetto nome in un crescendo che avrebbe potuto essere una splendida sinfonia che non avrebbe vietato a Chopin, se li avesse visti, di trarne forse un’opera più grandiosa dei suoi Notturni, poteva anche essere il suo paradiso. Lo dicevano anche i Sex Pistols, che non c’è futuro, e loro due ci credevano, ci avevano sempre creduto a Johnny Rotten, come fosse una Bibbia, perché se per Bill il futuro forse non c’era veramente, per Tom nemmeno, senza Bill. E se il futuro mancava e il passato non poteva ritornare, perché non godersi il presente così tanto da farsi male?
Erano entrambi in boxer, sporchi di loro stessi come il vecchio letto scricchiolante, accaldati dall’orgasmo travolgente che li aveva travolti tra strilli, ansiti e unghiate dolorosissime, sudati nonostante il freddo pungente che filtrava dalle fessure delle pareti, in piedi di fronte alla finestra e di fronte al temporale. Stavano così, Tom che stringeva un braccio attorno alle spalle di Bill, raggomitolato contro il suo petto, entrambi chiusi in un mutismo mistico a fissare la città, la bella, possente, eclettica Berlino divorata dalla tempesta violenta e inusitata, gli occhi di Bill pieni di lacrime di pura gioia, quelli di Tom fieri e battaglieri, gli occhi di uno schiavo scappato dall’aristocrazia e di un militante del proletariato urbano. Se ne stavano lì, ritti in piedi, stretti uno all’altro come gli eroi senza morale e senza lieto fine che in fondo erano, perché lo dicevano tutti che il lieto fine è andato quando sono finiti gli anni ’70 e che la morale è morta quando è morto il rock’n’roll. Se ne stavano lì, fieri come due soldati scampati a una guerra selvaggia, gloriosi di poter dire che loro, la loro guerra se l’erano vinta da soli e che nessuno li aveva aiutati. Erano lì, Tom, Bill, e il loro amore, a fissare i lampi che si infrangevano sulla capitale tedesca, a guardarsi sorridendo quando un fulmine si infranse a illuminare a giorno quel che restava del Muro, lo stesso Muro che a modo loro avevano distrutto, anche se erano nati con la sua caduta, e forse, forse il lampo aveva illuminato una frase, ma forse no, un vecchio graffito, uno dei vecchi graffiti dei ragazzi dell’89, forse quello di due ragazzi separati e poi riuniti quel giorno tanto particolare. Forse, e Bill si stava già illudendo, aveva illuminato il vecchio graffito dell’89 che gli era rimasto nel cuore tutte le volte che lo aveva letto “Es gibt keine Zukunft und Vergangenheit, starb am punk, aber wir mir und dir. Ich liebe dich. T+B1. Non sapeva nulla, di chi l’avesse scritto. Ma sapeva, sapeva, che in fondo, anche quella buffa coincidenza delle iniziali, era un messaggio per loro. Che voleva dire resistenza. Che voleva dire amore. Che voleva dire speranza.
 
1Dovrebbe voler dire “Non c’è futuro e nemmeno passato, il punk è morto, ma ci siamo io e te. Ti amo.” Ho detto dovrebbe, scusate se è maccheronico ma non conosco il tedesco sfortunatamente :D
  
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