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Autore: Giuu13    14/12/2016    0 recensioni
Harry Potter è diventato famoso in tutto il mondo, la saga è letta in varie lingue.
Harry Potter è l’infanzia dei ragazzi degli anni 90, è i loro ricordi e fantasie; quanti bambini hanno sognato, desiderato, sperato di ricevere la lettera di ammissione? Quanti hanno sperato di andare in quel meraviglioso castello a studiare magia?
Ma se questo mondo non fosse soltanto un libro? Se esistessero davvero maghi e streghe e la magia?
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NB: La storia è ambientata nel mondo di Harry Potter, quindi ci si muove a Hogwarts e quello che c'è nella storia è stato preso dai libri; solo i personaggi sono originali, questi non appartengono al mondo di Harry Potter di J.K.Rowling. Nella descrizione ho dovuto inserire "Un po' tutti", perché dovevo scegliere un'opzione.
Spero che la storia piaccia comunque e grazie a chiunque passi e lasci un commento!
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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La mattina si sveglia di buona ora per poter parlare con Banedi senza la compagnia dei genitori, non vuole che siano presenti quando racconterà ciò che i White le hanno riferito sul loro conto, sul fatto che li credono Mangiamorte e tutto il resto. Non che lei ci creda, ma non è comunque un pensiero carino, insomma.
Trova un Banedi molto impegnato a divorare una brioche alla marmellata e bere il caffè in contemporanea. Una prova con tanto di cappello poiché non sembra strozzarsi; ha indosso un pigiama prestatogli dal signor Wood che gli va di due taglie più largo.
Emma prende dal bancone della cucina una brioche, ci sono un sacco di dolci caldi pronti per essere mangiati, tanti da poter sfamare un intero esercito.
«Buongiorno Emma!» il tono di voce è fastidiosamente alto.
Lei risponde con un cenno della testa, turbata dal suo buon umore mattutino, umore del tutto  sconosciuto in quella casa.
«Come hai trascorso la notte?»
Alza le spalle. Banedi capisce che la mattina non è il momento della giornata che preferisce.
«Non sei una persona mattiniera, eh?» la sua risata scuote la cucina vuota.
Emma non sa se deve essere lei a cominciare il discorso o aspettare lui, che sembra voler iniziare un’altra brioche più che altro.
Sente i passi dei genitori avvicinarsi, dovranno parlare tutti insieme. Che bello.
«Non credevamo ti saresti svegliata così presto.»
«Non sono riuscita a dormire, faceva troppo caldo.»
In realtà è stata la curiosità a logorarla, la voglia di sapere se è tutto vero oppure uno scherzo ben architettato.
«Facciamo in fretta così la lasciamo andare.»
«Cecil. » la moglie lo ammonisce . «Trattalo come si deve, è nostro ospite.»
«Sì, va bene, ma ora cominciamo.» guarda il signor Banedi che si ripulisce la barbetta dalle briciole.
Si va ad appoggiare allo stipite della porta con la terza brioche in mano, pronto a mangiarla; con sguardo serio guarda i presenti, «Adesso, cara Emma, ti racconterò cose a cui farai fatica a credere, quindi ascoltami bene e non interrompermi fino a che…»
«Eh no!» si alza facendo cadere a terra la sedia «No, mi lasci indovinare. Per prima cosa mi dirà che la magia, i draghi, le streghe eccetera esistono, che Hogwarts esiste e che “Harry Potter” è basato su una storia vera anche se molto romanzata; mi dirà che c’è stata seriamente una guerra contro il Signore Oscuro e il suo esercito di Mangiamorte e che Pottermore è un sito per la ricerca dei maghi.»
Non appena il suo sfogo finisce cala il silenzio. Banedi ha mezza brioche in bocca e la guarda allibito, il signor Wood, invece è arrabbiato. Anche Kassandra ha abbandonato la sua solita espressione neutra per una furiosa.
«E voi due avete da dirmi qualcosa? Che ne so? Magari che siete dei Mangiamorte esiliati?» li guarda divertita, è una situazione assurda senza un filo di logica.
Cecil è il primo a riprendersi, si lancia urlando addosso alla figlia che presa alla sprovvista non riesce a evitarlo.
«Come osi? Siamo i tuoi genitori! Chi ti ha detto tutte queste cose?»
Emma è schiacciata dal peso di suo padre, che cavalcioni su di lei continua a urlare «Sono stati i White, vero? Sei andata da loro ieri notte, quando sei scappata? Come hanno potuto permettersi?»
Un lampo di luce scaraventa Cecil lontano, permettendo a Emma di tornare a respirare; non è tanto sconvolta dalla reazione del padre, quella se l’aspettava, quanto quella della madre: lei incarnava la figura di totale imparzialità che divideva padre e figlia nei litigi, era il giudice che faceva abbassare controvoglia la testa a chi era nel torto. Quel suo non intervenire, restare a guardare la scena era un tacito schieramento dalla parte del marito.
Banedi corre in soccorso della ragazza, «Per fortuna che mi porto la bacchetta sempre dietro, se no avrei dovuto affrontarlo a mani nude» non ce l’avrebbe mai fatta a mani nude, piccolo ed esile com’è, contro Cecil Wood, alto, imponente e muscoloso.
Emma si tappa le orecchie per non sentire niente riguardo bacchette e magia.
«E lei» Banedi punta la bacchetta contro il signor Wood, «come ha potuto assalire sua figlia?»
«L’hai sentita, Dione? I White, i WHITE!» Cecil lo ignora completamente; la moglie lo raggiunge per lisciargli la camicia e affranta gli sussurra «Lo so, lo so» e poi aggiunge «Mi dispiace»
Non è rivolta a Emma per scusarsi del comportamento del padre e nemmeno a Banedi per averlo fatto assistere alla scena, sta parlando con il marito.
«Come si sono permessi di intromettersi nei nostri affari di famiglia? L’avevano promesso. Credevo che per loro l’onore fosse tutto, che le promesse fossero come patti di sangue, ma a quanto pare mi sbagliavo»
Dopo una pausa sputa acidamente, «Io li uccido. Li ammazzo uno a uno, insieme ai camerieri e a tutto il loro seguito babbano» La moglie finisce di sistemare i bottoni, «No, tu non ucciderai nessuno, non puoi permetterti di mandare all’aria tutti gli anni di buona condotta che abbiamo passato per riavere le bacchette in questo modo»
Sembrano dimentichi del mondo intorno a loro, di Emma senza espressione che ha ripreso a fare colazione o di Banedi che ancora li guarda sconcertato.
«Va bene, d’accordo» si alza e raggiunge Emma, «Tu vieni via con me, ti porto ad Hogwarts»
L’incantesimo che teneva prigionieri i coniugi Wood sembra sciogliersi, Cecil comincia a sbraitare e inseguire Banedi che si dirige con passo calmo verso la sua stanza.
Emma e la madre sono sole in cucina. Kassandra prende le tazze e inizia a strofinarle per renderle perfettamente lucide come piacciono a lei, ripensando ai bei momenti in cui era circondata da una miriade di camerieri.
Molti di più di quanti ne abbiano ora i White, pensa gongolante.
«Davvero mi lascerete partire per chissà dove con uno sconosciuto?»
«Non è uno sconosciuto, è il signor Banedi, vicepreside della tua nuova scuola»
«Quindi mi lasciate andare»
«Esatto. Vai a fare le valigie»
«Ma per dove?! Davvero credete di prendermi in giro dicendo che sto per partire per Hogwarts? Hogwarts! È più probabile che mi vendiate a lui per poi mettere i miei organi sul mercato nero»
Non vede nemmeno arrivare lo schiaffo; si sente un rumore secco e la guancia si arrossa subito. La ferita al labbro si riapre.
Lo sguardo di Kassandra si fa meno impenetrabile, si vede un’ombra di pentimento che scompare, però lasciando spazio a un’aria arrabbiata. Prende la figlia per il collo della maglia, come lei aveva fatto il giorno prima con Banedi, « Tutto ciò che quegli scarti dei White ti hanno detto, purtroppo è vero.  Noi siamo Mangiamorte, due dei più forti Mangiamorte che abbiano mai servito il Signore Oscuro, siamo rimasti con lui fino alla fine. Pur di non lasciarti nelle mani di quegli stolti e ignoranti di Hogwarts, abbiamo deciso di tenerti lontana dalla magia. Qualsiasi tipo di magia. E ci saremmo anche riusciti se non fosse stato che, due giorni fa, quegli esseri inutili dei CIM hanno eliso le nostre barriere: hanno inviato Banedi sapendo bene che avremmo bruciato ogni loro lettera. Adesso, devi metterti in testa tutto questo: la magia esiste e anche Hogwarts, noi siamo Mangiamorte e tu sei nostra figlia. Quest’ultimo punto ti darà qualche problema. »
Lascia andare la figlia per arrotolarsi fin sopra il gomito una manica del vestito. Scopre un tatuaggio formato da un teschio e un serpente: lo stesso tatuaggio che hanno i Mangiamorte nei film, con l’unica differenza che questo è più inquietante e spaventoso. Emma sfiora appena il marchio avendo paura che possa cominciare a muoversi, Kassandra sussulta impercettibilmente al contatto, ma non si ritira.
La ragazza si volta ed esce velocemente dalla stanza.
« Dove vai? »
« A fare le valigie. »
 
Cecil sta gesticolando in modo animato e quando entra la figlia si zittisce subito.
« Ti ha dato il permesso, vero? » sussurra.
Emma annuisce e il padre con un lungo passo esce dalla stanza.
« Tua madre è una persona ragionevole, non è come tuo padre! » Banedi indossa lo stesso completo con cui è arrivato, ha lo stesso effetto della prima volta a guardarlo.
« Senta, non è che c’è un modo magico per inviare messaggi? Non so se l’ha notato, ma in questa casa scarseggiano le apparecchiature elettroniche. »
L’uomo annuisce, l’ha notato: molti Mangiamorte si rifiutano di procurarsi oggetti babbani per le loro nuove case, alcuni nemmeno lavorano per non dover entrare a contatto con quella gente, prelevando i soldi dai loro ricchissimi conti alla Gringott.
« Ho già avvisato Irma, se è questo che volevi fare. Sarebbe dovuta partire anche lei oggi, passiamo a prenderla noi. »
« Ah. » Emma si guarda intorno, esce, « Ok. »
Non ha idea di che riempire la valigia: caccia dentro vestiti estivi e invernali alla rinfusa, senza pensarci, non sa nemmeno se c’è la divisa come nei libri. Prende i suoi inseparabili anfibi, divisa o no, quelli sarebbero stati le sue scarpe.
Guarda i libri di scuola ordinatamente posti sulle mensole, quelli non li userà mai più.
Rimane sdraiata a letto per mezz’ora, sente i suoi genitori discutere, ma sa già chi la spunterà. Sua madre ha sempre vinto, sia con Cecil sia con Emma.
Bussano alla porta, Banedi è arrivato a prenderla. Raccoglie la vecchia valigia rossa di suo padre e il suo borsone ed è pronta per salutare i suoi genitori che hanno entrambi un dono per lei.
Cecil le consegna un sacchetto, nel porgerglielo si sente un rumore metallico, « Sono cinquecento galeoni, tutto quello che ti serve per andare . » la saluta con una pacca sulla spalla. Kassandra le mette al collo una catenina d’argento nascondendola sotto la maglia, « Portala sempre con te. Sempre. E non mostrarla. »
Alla catenina è appeso un ciondolo che Emma non ha mai visto; una pietra di un verde brillante le pende sul petto, sembra emanare luce propria.
« Buon viaggio. »
« Ci vediamo a Natale. »
I signori Wood si scambiano un’occhiata, « Siamo da degli amici a Natale, dovrai passare le vacanze a scuola. »
Non è ancora partita che loro hanno già trovato come passare il loro tempo futuro.
« Allora ci vediamo e basta. »
In macchina, Banedi cerca di far dimenticare il poco piacevole commiato, ma Emma non sembra pensarci, « Passiamo da Irma e poi dritti a Hogwarts, giusto? »
« Voi andate a Hogwarts. Voglio dire: voi prendete l’espresso, ci vediamo lì. Irma mi ha detto che voleva farti vivere quest’esperienza, che ci tenevi. »
Ne avrebbe fatto anche a meno, ma se non si fa quello che vuole, Irma diventa insopportabile e quindi, « Vada per il treno. »
Per il viaggio verso la stazione, Irma si agita tutta sul sedile posteriore, vomita parole senza sosta, inondando tutto l’interno dell’auto.
« Era così anche l’anno scorso, il primo giorno di scuola. »
Emma comincia a sentire pulsare le tempie, un principio di mal di testa e non sono ancora partite.
Appena l’auto si ferma davanti all’entrata della stazione, Irma si fionda giù e butta fuori dal bagagliaio tutte le valigie, saluta calorosamente il professore e corre via.
« Dio santo, ma ha il pepe nel culo? »
« Be’, lei è a posto, un po’ esaltata forse. Tu, invece dovresti essere un po’ più… »
« No. » la secca risposta fa ridere il professore che le tira una pacca sulla spalla mentre scende facendola inciampare, per poco non cade. Si volta, ma la macchina è già partita.
Raccoglie i suoi bagagli e s’incammina per raggiungere l’amica scomparsa dietro le grandi porte della stazione. Vede Irma che scorrazza da una parte all’altra, fa zig zag tra i passanti; Emma fa fatica a starle dietro, l’ha quasi raggiunta quando la perde di nuovo.
È ferma con le sue valigie alla mano guardandosi intorno, Irma è diventata invisibile. Qualcuno le si ferma vicino e le chiede se si è persa, « Ti sembro una bambina di cinque anni? Ce la faccio anche da sola, cazzo! »
Quell’anima gentile che voleva aiutarla, ora le risponde a tono e si allontana inquietata da quegli occhi intensi. Alla fine scorge un ciuffo marroncino e un pezzo di stoffa familiare, così si lancia all’inseguimento. Un ragazzo sta correndo nella sua direzione, non lo vede e si scontrano cadendo a terra; la vecchia valigia di Emma vola sopra la testa dei babbani che non si accorgono di nulla, troppo impegnati a correre di qua e di là e a guardare i loro smartphone. Scivola qualche metro più in là, mezz’aperta. Alcuni indumenti sono sparsi per il sudicio pavimento, per lo più sono mutande e reggiseni. Oltre che per la rabbia di un simile disastro, la sua faccia s’infiamma per via dell’imbarazzo: alcuni sfigati si sono fermati a raccogliere i suoi indumenti intimi e a indossarli come cappelli. Non appena sentono la voce della proprietaria che li chiama scappano come topi, dimenticandosi di rimettere a posto quello che hanno tra le mani.
Furente, si volta verso il mal capitato che è ancora a terra, in fronte a lei.
« Hai visto che cazzo è successo? »
Lo strattona per la maglietta guardandolo con uno sguardo che ha sempre fatto paura, ma lui non la guarda nemmeno, continua a girare la testa indietro, i suoi occhi azzurri vagano per la stazione.
« Mi stai ascoltando? »
« Scusami, ma devo andare. » si stacca le mani della ragazza di dosso e si alza, pronto per correre via.
Emma, che non ha la minima intenzione di chiudere tutto lì, lo ferma trattenendolo per un braccio.
« Non hai capito proprio niente, se pensi che ti lasci andare. »
Il ragazzo continua a muoversi cercando di sciogliersi da quella presa, ma non c’è niente da fare. La ragazza è molto più forte di quello che sembra; non essendo molto alta e avendo un fisico snello e atletico che nasconde sotto i suoi vestiti larghi, non incute mai timore a primo impatto.
« Io devo… io devo proprio andare, non posso… » deve aver visto qualcosa di spaventoso dietro di lei perché smette di parlare e spalanca la bocca e gli occhi. Emette un piccolo gemito e s’immobilizza, non combatte più per essere liberato. Emma si volta e vede due ragazzi venire dalla loro parte. Possibile che questo qui abbia paura di loro? Eppure è alto e muscoloso, o meglio: un po’ muscoloso, si vede che fa moto e si mantiene in forma, ma non ha i muscoli di quei due; anche se avesse i muscoli non avrebbe la forza di picchiarli, si vede dagli occhi troppo buoni e dolci, dagli occhi di un azzurro puro da far star male. Si sente quasi in colpa per averlo trattenuto e non avergli permesso di scappare. Quasi. Gli avvicina il viso al suo, « Hai davvero paura di quelli? Stai scherzando? »
Il ragazzo non crede possibile che con un’occhiata lei abbia capito tutto quello che lo muove dentro. Scuote incerto il capo, guardandole gli occhi pensando di non averne mai visti di così.
« Ehi, hai rimorchiato? »
Uno dei due ragazzi, lentigginato, con i capelli rossicci e con due occhi di un comune marrone, parla trascinando le ultime lettere delle parole. A Emma, che non è esattamente di buon umore, questo dettaglio e la domanda la fanno imbestialire.
« E tu che cazzo vuoi? »
« Acida la ragazza, eh? » l’altro ha i capelli neri che gli arrivano alle spalle e due occhi chiari che, però, non hanno niente a che fare con l’azzurro di quelli del ragazzo.
« Anche tu? Avete per caso bisogno di qualcosa? »
« Sì. » indicano il morettino che è immobile, trattenuto ancora dalla ragazza.
« Cosa volete farne? » sa già che le loro intenzioni non sono buone, vuole solo esserne sicura.
« Cosa vogliamo farne? Hai sentito, Al? » il tipo con i capelli lunghi scoppia a ridere e l’amico lentigginato con lui.
« Vogliamo solo dargli una lezione, vero Ace? » Al batte un pugno contro il palmo dell’altra mano.
« Vero, Al. »
Ora ha le prove che quei due non faranno niente di buono.
« Perché? Che ha fatto? »
« Oh, nulla. È solo nato! » scoppiano a ridere, come se avessero sentito la cosa più divertente del mondo. Emma lascia andare il ragazzo, che non scappa, anzi, si avvicina ai due consapevole della sua fine.
Al lo prende sottobraccio, Ace va dall’altro lato, « Adesso andiamo in un posticino appartato e ci divertiamo, eh? »
« Al! Detto così può creare fraintendimenti. » scoppiano di nuovo a ridere.
Quel ragazzo le ricorda in qualche modo Irma, sente di doverlo proteggere, in fondo è colpa sua se non è riuscito a scappare.
Un corno colpa mia! Se non mi fosse venuto addosso a quest’ora lui sarebbe sano e salvo e io avrei trovato Irma!
Sta pensando di andare a riprendere la sua valigia, quando senza accorgersene ha già colpito con un pugno Al, che cade a terra.
« Non mi piacete. Preferisco stare dalla parte del morettino. »
Ace, ripreso dalla sorpresa di vedere il suo amico per terra, le tira un pugno nello stomaco. Emma si piega boccheggiando, quel pugno l’ha passata da parte a parte.
Pensa di aver probabilmente sottovalutato quei due, Al è già in piedi e le tira i capelli per vederla in faccia.
« Stronza. »
Ha il pugno alzato per colpirla, ma lei è più veloce e gli assesta un calcio negli stinchi, si libera dalla sua presa e si allontana di qualche passo. La gente comincia a fermarsi e a formare dei gruppetti, c’è chi incita alla lotta e chi dice di finirla, senza fare niente per far si che smetta. Vede il morettino fermo lì vicino, « Mettiti in mezzo e spacco la faccia anche a te. » sarebbe solo d’intralcio, troppo buono per picchiare qualcuno. Sembra aver capito i pensieri della ragazza perché si allontana di qualche metro.
Sente un urlo dietro di lei, fa in tempo ad evitare un altro pugno di Ace; presa dallo slancio gli tira un calcio dritto sulla schiena che lo sbilancia in avanti, facendolo cadere. Al corre verso di lei, Emma gli va incontro. Quando sono a tiro, entrambi tirano un pugno ed entrambi sono colpiti dal pugno dell’altro.
La ragazza è più veloce a riprendersi e gli tira un altro pugno, facendolo cadere a terra. Non sembra più intenzionato ad alzarsi; il ragazzo infila una mano sotto la giacca, Emma è pronta a vedere uscire una pistola, ma non fa in tempo perché Ace la solleva per aria stringendola tra le sue braccia che sembrano colonne di marmo. Scalcia nell’aria senza nessun risultato, se non quello di apparire come un animale in trappola.
« Voi tre! »
Un uomo della sicurezza corre loro incontro fischiando come un pazzo, « Fermatevi subito! »
Il ragazzo molla la presa su di lei e corre via con l’amico.
Emma sente una mano prenderla per un braccio e trascinarla via a forza. Si ritrova la sua valigia rossa chiusa tra le mani, un laccio di un reggiseno pende ancora fuori. Sta fuggendo a fianco del ragazzo dagli occhi azzurri che ha il suo borsone a tracolla; corrono per un po’, fino a quando non c’è più nessuno dietro di loro e si fermano a riprendere fiato contro un muro.
« Perché l’hai fatto? » tra un respiro e l’altro il ragazzo riesce a formulare una frase di senso compiuto.
« Non mi piaceva il modo di parlare di quello, Al. »
« Non piace nemmeno a me. » sorridono.
Poco più in là, vicino a un distributore automatico, Emma vede i capelli di Irma, vede la sua maglietta rossa risplendere in mezzo al grigiore dei completi della gente.
« Scusa, ma devo andare. Ciao. » si alza e, con un unico movimento, raccoglie i suoi bagagli.
Non sente nemmeno il ragazzo che la chiama, è troppo impegnata a mantenere lo sguardo fisso sull’amica, per non perderla di nuovo.
« Dove diavolo eri finita? » dice Irma arrabbiata, non appena la vede arrivare, « E che ti è successo? Per la miseria! Hai fatto a botte? Anche qui? »
« Perdono, ma ho dovuto difendere la vita di una nobile fanciulla. Stava per essere attaccata da due giganti della terra dell’ovest. »
« Non puoi scherzare su queste cose, Emma! » sembra davvero furiosa con lei.
« Va bene, va bene, ma ho davvero fatto a botte per una nobile causa. »
« Taci! Siamo in ritardo. E sappi che non ho alcuna intenzione di curarti. »
A passo di marcia, Irma si dirige verso il loro binario ed Emma la segue massaggiandosi le guance.
Ad un certo punto Irma si ferma e lei si scontra con la sua schiena, ma l’amica sembra accorgersene appena, sta fissando un punto su un muro davanti a sé con occhi sognanti. Devono essere arrivate.
Si gira a guardarla, « Pronta? »
Emma scuote la testa, « Una parte di me pensa bene di essere vittima di uno di quegli scherzi televisivi. »
« Vuoi che vada prima io? »
« No! Cioè, se questo è tutto vero - se e dico se - voglio che tu mi guidi e che, quindi… »
« Va bene, ho capito. Anche io ero agitata la prima volta. »
« Non sono agitata. »
« Puoi farlo credere al resto del mondo, ma io ti conosco. Ora vai. »
Emma si sistema il borsone, non crede ancora a quello che sta per fare.
« Ti muovi? Siamo in ritardo. »
« Va bene, va bene, ora vado, cazzo… »
Cammina dritto avanti a sé, aumenta la velocità a ogni passo. Vede la parete avvicinarsi, vede le scritte sul muro farsi più chiare, vede i graffi e infine vede le stelle; ha sbattuto violentemente contro la dura parete di mattoni, « Ma cazzo! Lo sapevo. »
I passanti si girano incuriositi dalle urla della ragazza.
« Porca puttana! Come ho fatto a credervi? Sono un’idiota, un’idiota. »
L’amica cerca di calmarla, ma lei continua a strepitare infuriata insultando tutti e non è un bello spettacolo, a meno di essere dei babbani annoiati in una stazione di Londra. In questo caso deve essere piuttosto divertente.
Un passante urla « Dove credevi di andare? Ad Hogwarts? »
Irma deve trattenere l’amica dall’andare a picchiare il pover’uomo che scappava via divertito.
« Stai calma, cazzo! » la situazione degenera, Irma non è il tipo da dire parolacce facilmente, « Hai fatto tutto bene? »
« Il mio naso si sta gonfiando! Cosa vuol dire “hai fatto tutto bene”? Adesso c’è anche un modo per andare addosso a un muro? » continua a tastarsi il naso preoccupata che inizi a sanguinare.
« Devi tenere tra le mani la Moneta del Passaggio e dire l’incantesimo giusto. L’hai fatto bene? »
Le urla cessano ed Emma la fissa stranamente calma, « Quale moneta? Quale incantesimo? Nessuno mi ha detto niente. »
« Devi dire “Alohomora”. Per passare devi avere in mano anche la Moneta di passaggio. Serve per nascondere la tua presenza ai babbani quando sei vicino al muro, sarebbe sospetto vedere gente sparire all’improvviso, no? Non te l’hanno data i tuoi? »
Scuote la testa sicura, prendendo il sacchetto datole dal padre, « Mi hanno dato una collana e questi cinquecento galeoni per… »
Nel mucchio scintillante risplende una moneta rossa. Piuttosto sospetto.
« È per caso una moneta rossa della grandezza di un galeone? »
« Idiota. »
Le arriva un pugno su un braccio, « Ora sai come fare, vai. »
« Te lo scordi. Prima tu. »
Irma, sfinita, prende dalla tasca la sua moneta e pronunciando l’incantesimo sparisce attraverso il muro.
« Porca vacca. »
Emma si rigira la moneta tra le mani indecisa.
Può funzionare, può essere tutto vero. Ma se per caso è uno stupido scherzo, li ammazzo tutti.
Si lancia contro il muro e pronuncia l’incantesimo prima di cambiare idea.
« Alohomora. »
Una sensazione di calore le invade tutto il corpo; un momento prima era a Londra circondata da uomini comuni, vestiti in modo triste e scuro, ora si trova faccia a faccia con uomo che avrà millecinquecento anni e che indossa vestiti colorati e sgargianti, con uno sguardo vivo negli occhi.
Si avvicina a Irma che è davanti a un treno che sbuffa e fischia annunciando la sua imminente partenza.
« Sali, veloce! Non abbiamo un secondo da perdere. »
Viene trascinata su per gli scalini, senza avere nemmeno il tempo di guardarsi intorno. Una parte non vuole ancora credere di essere sull’espresso per Hogwarts. Troppo assurdo.
Entrano in uno scompartimento vuoto verso il fondo del vagone. Sistemano le valigie e si siedono sui morbidi sedili imbottiti. Irma si prende cura delle ferite che Emma si è procurata in quella piccola rissa con Al e Ace.
« Non avevi detto che non ti saresti occupata di me? »
Irma preme sul naso gonfio facendo vedere le stelle all’amica.
« Se non mi occupassi io di te chi lo farebbe? Tu no di certo. »
Rimesse a posto le sue cose, Irma chiede con curiosità all’amica come ha trovato la stazione, « Magica, vero? »
Emma sta per dire di non essere riuscita a vedere niente perché è stata portata con forza sul treno, ma Irma non sembra aspettare una risposta, ha lo sguardo perso fuori dal finestrino.
Si aspettava di sentire un mucchio di storie, di sentirla parlare senza sosta per l’intera durata del viaggio, così si sdraia sul lungo sedile, approfittando della tranquillità dell’amica.
Irma non si accorge che Emma si è addormentata, è troppo impegnata a pensare a quando rivedrà Piuk, il solo pensiero la mette in agitazione. Pensa a come salutarlo e cosa dirgli come prima cosa, come presentarlo all’amica, se si piaceranno oppure no. Emma fa fatica a trovare qualcuno piacevole, è davvero una persona difficile.
Irma compra dal carrello dei dolci diverse cioccorane e un sacchetto di gelatine Tuttigusti +1, non vede l’ora di farli assaggiare all’amica. Dopo dieci minuti, Emma si sveglia sentendo odore di cioccolato: Irma sta divorando le cioccorane, ne è rimasta solo una.
« Quelle sono gelatine Tuttigusti +1? »
« Ho preso quella al cioccolato e cocco. » le tende il sacchetto ancora pieno.
« Speriamo di non prendere quelle al gusto di vomito. »
La gelatina non sa di vomito, ma di calzino sporco. Sputa la caramella ai suoi piedi, « Che razza di giornata di merda! Quando da piccola desideravo venire qui, non me lo aspettavo così. »
Si rifiuta categoricamente di assaggiarne un’altra, convinta che la sfortuna quel giorno non la lascerà andare facilmente; prende l’ultima cioccorana, la figurina contiene la foto di un mago famoso di cui lei non ha sentito parlare nemmeno nelle favole.
« È uno scrittore di libri d’incantesimi, è uno dei migliori. » le spiega l’amica.
Lascia cadere la figurina a terra non appena il mago sparisce.
« Senti, ma quand’è che si comincia ad andare a Hogwarts? A undici anni? »
« Sì, cioè no. Prima era così. Prima della guerra contro il Signore Oscuro, si veniva ammessi a undici anni. Dopo la guerra, con la grande emigrazione di maghi nel mondo babbano, si è deciso di lasciar frequentare ai bambini le scuole babbane, per integrarsi, credo. Per non provare l’odio che provano i Mangiamorte e i purosangue nei loro confronti. Adesso si viene ammessi a sedici anni. »
« Non mi sono persa niente, allora. Solo un anno. »
« Che recupererai quest’anno: ti faranno fare due anni in uno. Saremo in classe insieme! » sembra molto esaltata dal pensiero di frequentare le stesse lezioni.
Irma prende a parlare delle varie attività della scuola, delle materie e dei professori, soffermandosi molto sul Quidditch, l’unico sport che le piaccia: racconta di come sia bello vedere i giocatori della propria casa volare sopra il pubblico e l’emozione di vedere il boccino sfrecciare davanti ai loro nasi.
« Hai mai volato? »
« Sì, una volta sola, i miei non vogliono comprarmi un manico di scopa perché pensano sia pericoloso. Sai, la nostra scopa equivale al motorino babbano. »
« Devo imparare a volare. Devo diventare un Cercatore. »
« Non hai mai toccato un manico di scopa e vuoi diventare Cercatore? »
Emma annuisce, lo voleva fin da quando era bambina. Irma cerca di spiegarle che bisognerebbe andare per gradi, ma l’amica non l’ascolta neanche, pensa a quando volerà sulla sua scopa cercando di catturare il boccino. Pensa a quando chiuderà la partita facendo guadagnare centocinquanta punti alla sua casa. A proposito di casa: « Che cosa sei? »
Irma la guarda stranita, le stava spiegando alcune regole del Quidditch.
« In che casa sei? »
« Ah, Grifondoro. »
In corridoio c’è un gran via vai di gente che si saluta dopo mesi di vacanza; due ragazze ricce si fermano davanti al vetro della porta del loro scompartimento salutando con la mano.
Irma si affretta ad aprire alle due e le invita a sedersi con loro. Parlano quasi senza respirare, raccontandosi chissà quali novità, ma a Emma non interessano i loro pettegolezzi, infatti sta guardando fuori dal finestrino.
Ogni tanto lancia un occhiata alle ragazze, si assomigliano ed entrambe hanno una foresta di ricci in testa con un ciuffo rosso, solo che una è bionda e l’altra mora: la bionda, che è anche la più alta ha gli occhi azzurri, mentre l’altra, che deve essere sua sorella minore, ha gli occhi verdi.
Emma sospetta che quei ciuffi stiano ad indicare la loro casa.
« Piacere, io sono Magnolia Harvey e sono di Grifondoro. »
« E io sono Bee Harvey, anche io Grifondoro. »
Sospetto che si rivela esatto.
« Siamo sorelle, Magnolia è al secondo anno, mentre io sono al primo. Sono emozionatissima, tu? »
Le prende una mano e la stringe tra le sue.
« Così mi fai male. » la lascia andare scusandosi imbarazzata; Irma le lancia un occhiataccia di fuoco.
« Io sono Emma Wood e ho l’età di Irma, ma sono stata “trovata” solo quest’anno. »
Le sorelle diventano serie, si scambiano un occhiata con Irma che sorride, « Tranquille. »
« Quella Wood? Figlia di quei Wood? »
Irma si sente in dovere di difendere l’amica, « Sì, è lei, ma come vi ho detto, dovete stare tranquille. I suoi non le hanno insegnato nulla, l’hanno tenuta lontana dalla magia, lei è a posto. »
« Ecco perché non l’avevano ancora trovata, la tenevano nascosta. » Magnolia tira una gomitata alla sorella per farla zittire.
« Sei stata trovata con Pottermore, quindi. Hai sbloccato il capitolo sette: lo smistamento? »
« Sì, ho finito tutto il primo libro, sto aspettando il secondo. »
« Sì, ok. In che casa sei? »
« Serpeverde. »
Si volta verso Irma che ha mal trattenuto un sospiro di rassegnazione; le due sorelle se ne vanno dicendo di dover andare a salutare altri amici.
Emma riceve una rivista magica in testa.
« Ahi! Che ho fatto ‘sta volta? »
« Perché hai detto di essere stata smistata in Serpeverde? »
« Me lo hanno chiesto loro. »
« Sai mentire così bene, perché non lo hai fatto? »
« Ma che c’è di sbagliato? »
Irma la guarda sconcertata, « “Che c’è di sbagliato?” mi chiedi? Cosa? Tutto! Per prima cosa sei figlia dei tuoi genitori, due Mangiamorte di cui avevo solo sentito parlare e che non volevo associare in nessun modo a quei Wood; secondo, hai una faccia che fa spavento, si capisce lontano un miglio che hai fatto a botte e poi dici di essere in quella casa. »
Emma scuote la testa poco convinta, « Ancora non vedo il problema. »
« Santo cielo, Emma! » Irma cammina per il piccolo spazio tra i sedili dello scompartimento.
« Con tutte queste cose, vedendoti in questo stato e in Serpeverde, penseranno che sei destinata a diventare un Mangiamorte della nuova generazione. Ti temeranno, ti eviteranno. »
« Ma è stato Pottermore a mettermi in questa casa, non è detto che sia giusto. Si fanno ancora gli smistamenti a scuola? Esiste il Cappello Parlante, no? »
« Certo, certo che si fanno e che il cappello esiste, ma chi si iscrive a Pottermore ed è magico viene smistato in una determinata casa per via della magia che trasmette al Raccoglitore Centrale, è questo che ha il compito di smistare i giovani maghi, oggi. C’è sempre una percentuale d’errore, è per questo che si continua con la tradizione del cappello. È difficile, però, che le serpi vengano smistate in modo sbagliato, speriamo solo in uno dei rarissimi errori del sistema centrale. » Irma si siede vicino a lei sconsolata.
Il silenzio viene interrotto da un sussurro, « Faccio davvero paura con questa faccia? Si nota tanto la botta? »
« Se si nota? Sembra tu abbia fatto un frontale con un camion! »
Emma si copre il naso, « Le sorelle Harvey non hanno detto niente, però. Magari non l’hanno notato. »
« Oh, se l’hanno notato. Non l’hanno detto per educazione, non possono mica andare in giro a dire alla gente che ha una faccia simile a un incrocio tra un troll e un carlino. »
Emma picchia l’amica con tutte le riviste e giornali magici e non che si trova vicino, per poi chiudersi in un mutismo testardo; non servono a niente le preghiere di Irma. Emma sa essere estremamente testarda e orgogliosa, tratti ereditati da entrambi i genitori.
   
 
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