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Autore: TheGreedyFox    15/12/2016    4 recensioni
Un ragazzo coraggioso e solo, dal cuore come addormentato, che sogna di trovare un amico. Un vecchio misterioso in lotta contro il destino. Una promessa fatta e mantenuta, un segreto a lungo custodito, un libro di cui nessuno ha mai sentito parlare, un viaggio che è quasi un atto di fede, un amore delicato come un fiocco di neve ed un incontro sognato ed atteso che finirà per cambiare più di una storia... Perché ciò che accade in un racconto resta in un racconto... oppure no?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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The Guy From The Book

Una Favola di Natale


 

 

02 . Occhi d’Oro e Frusciare d’Ali

Magia.

Il segreto del bambino nel libro era la magia.

Merlin, perché questo era il suo nome, riusciva a far volare gli oggetti ed accendeva fuochi con la sola forza del pensiero, e nel farlo i suoi occhi cambiavano colore, diventando di un bel giallo dorato, proprio come il sole al tramonto.

Il ragazzo all’inizio non aveva capito perché Merlin dovesse nascondere un talento così. A suo avviso, chiunque dotato di un po’ di cervello avrebbe dovuto essere felice di saper fare quelle cose, chiunque avrebbe desiderato essere come lui, essere forte ed essere speciale, soprattutto se nella realtà non si era che un ragazzino intimorito, lasciato per troppo tempo da solo in una grande casa.

Eppure la mamma di Merlin era spaventata e non voleva che Merlin parlasse dei suoi poteri.

Mai.

Con nessuno.

E ancor meno voleva che li usasse.

Perché la magia era malvista e la gente ne aveva paura. Perché in un paese piccolo come il loro le voci viaggiavano in fretta. E perché, in un regno non troppo lontano, un re guerriero aveva deciso che fosse giusto muoverle guerra finché non fosse riuscito ad estirparla dal mondo, fino all’ultimo uomo, fino all’ultimo bambino.

E quindi Merlin prometteva, prometteva ogni volta, che sarebbe stato attento, che non avrebbe confidato il suo segreto a nessuno, che avrebbe finto di essere nomale, così che la sua mamma non dovesse più preoccuparsi per lui.

Però poi qualcosa succedeva sempre.

Come quando la scala del vecchio Craig si era rotta e l’uomo era precipitato mentre stava aggiustando loro il tetto e Merlin non aveva perso tempo a rifletterci due volte prima di cercare di rallentarne la caduta. Nessuno a parte la sua mamma aveva assistito alla scena ma in seguito il vecchio Craig aveva raccontato agli amici di essersi sentito come sollevare, come se una folata di vento lo trattenesse per un secondo fermo a mezz’aria. Ed anche se era stato felice di non essersi rotto l’osso del collo, non aveva più salutato Merlin nello stesso modo.

O come quando Bale, il figlio del fabbro, aveva preso in giro Merlin e Will perché entrambi non avevano un padre e Merlin per sbaglio, accecato dalla rabbia, aveva fatto volare un grosso rospo che saltellava lì vicino dritto dritto sulla sua brutta faccia.

Non si era trattato di chissà quale incidente, del resto non era del tutto inverosimile che ad un rospo riuscisse un salto migliore degli altri... il problema era che tutti quei curiosi avvenimenti che accadevano in paese riguardavano sempre Merlin, solo e sempre Merlin, e la gente aveva così iniziato a mormorare.

A mormorare e a temerlo.

A mormorare e a tenerlo a distanza.

Il ragazzo odiava leggere di come Merlin a volte tornasse a casa tirando su col naso perché la moglie del loro vicino aveva richiamato i suoi bambini, vietando loro di giocare con lui, o di come, a sera, le vecchie del paese chiudessero con un colpo secco gli scuri ogni volta che lo vedevano passare davanti casa loro.

Perché quando accadeva Merlin si sentiva diverso e solo, e si addormentava infelice, stringendosi al petto le coperte chiedendosi perché.

Erano quelli i momenti in cui il ragazzo si sentiva più vicino a lui.

I momenti in cui avrebbe voluto essergli accanto, per dirgli che non era solo, che lui conosceva il suo segreto e non ne aveva paura, che lui conosceva il suo segreto e pensava che fosse eccezionale.

Perché, se lui non avesse avuto la magia, il vecchio Craig sarebbe morto per quella caduta e nessuno avrebbe impartito una lezione al figlio del fabbro, e non era giusto che lui dovesse sentirsi non accettato per quello.

Il ragazzo conosceva quella sensazione.

Era la stessa che lui provava quando suo padre rientrava tardi la sera dal lavoro e passava davanti la sua stanza senza neanche dargli la buonanotte, quando lui gli portava la pagella e l’uomo la firmava come se fosse un altro dei suoi contratti d’affari, quando arrivava Natale e lui fingeva, persino con suo figlio, che fosse un giorno come tutti gli altri.

Quelli erano anche i giorni in cui il ragazzo, invece di sentirsi scoraggiato e solo, tornava col pensiero alle parole che il vecchio aveva pronunciato quel primo giorno, quelle con cui aveva definito Merlin “lo scavezzacollo più coraggioso che si sarebbe mai potuto incontrare”.

Il vecchio aveva maledettamente ragione.

Perché Merlin era una forza della natura , non si arrendeva mai e non smetteva mai di sorridere.

Anche nei momenti bui, anche quando Eldor sembrava davvero troppo piccola per contenere le sue speranze, il suo dolore e la sua magia, Merlin sapeva sempre come restare forte e divertente, e dopo aver avuto una brutta giornata riusciva a scrollare le spalle e a tornare di buonumore, pronto ad aiutare senza lamentarsi la sua mamma o a condividere uno scherzo ed un’avventura con Will.

E quel suo coraggio, inevitabilmente, finiva sempre per dare forza anche a lui, gli insegnava come essere migliore.

Negli anni, Merlin era diventato la voce nella sua testa che gli diceva cosa fosse giusto fare.

Il suo personale grillo parlante.

Un amico. Un buon amico.

Anche se fatto solo di carta e inchiostro.


 

Il ragazzo arrivò all’indirizzo stabilito a cinque minuti a mezzogiorno del giorno di Natale. Non era stato nei suoi piani arrivare all’appuntamento quasi allo scadere del tempo pattuito, ma quando si era svegliato quella mattina aveva scoperto che durante la notte si era scatenata forse la peggiore bufera di neve degli ultimi tempi e quindi raggiungere la città dalla loro villa isolata non era stato affatto uno scherzo.

Alla fine però era riuscito nell’impresa ed ora si trovava davanti a quella silenziosa vetrina, i capelli biondi spruzzati di neve ed il naso gelato volto all’insù, a guardare la strana insegna appesa sopra la porta del negozio che oscillava cigolando al minimo refolo di vento.

"Kilgharrah’s Antiques" recitava l’insegna. Un negozio d’antiquariato.

Il ragazzo si sarebbe tutto aspettato tranne che quello.

Cercò di sbirciare con poco successo attraverso la vetrina del negozio accostando il volto al vetro opaco e ricoperto di brina... non un suono proveniva dall’interno, tutto ciò che sentiva era solo lo stridio incessante di quell’insegna che stava iniziando a farlo sentire nervoso.

Deciso a non indietreggiare proprio quando era ad un passo dalla verità e consapevole dello scorrere dei minuti come mai in vita sua, il ragazzo estrasse dalla cartella che gli pendeva al fianco il tredicesimo volume della sua amata serie e con il libro stretto tra le mani si apprestò ad entrare nel negozio, il battito agitato ed il respiro corto e freddo, quasi come se un po’ della tempesta che aveva imperversato quella notte avesse infine trovato rifugio dentro di lui.

Il suo ingresso fu accompagnato da un argenteo scampanellio che risuonò per tutto il negozio come un saluto inatteso e squillante.

Dentro il negozio faceva caldo. Molto più caldo di quanto il ragazzo si sarebbe aspettato.

Il locale era lungo e stretto e alle pareti erano appoggiate alte vetrine color mogano con dentro stipati gli oggetti più disparati: da preziosi pugnali tempestati di gemme a regali babbucce in velluto rosso scuro. Strani modellini in legno pendevano dal soffitto e tre spade antiche dall’aria estremamente affilata erano esposte su altrettanti tondi tavolini, posizionati lungo la strada che portava al bancone.

Il negozio sembrava deserto, nessuno aveva risposto al tintinnare della campanella. Il ragazzo si strinse il libro al petto e mosse pochi passi circospetti mentre con occhi vigili si guardava intorno.

Dov’era capitato?

- C’è nessuno? – chiese con voce decisa, resa più dura dal nervosismo.

- Mr. Kilgharrah? –

Il rumore di una sedia scostata lo raggiunse da una porta a sinistra del bancone, una porta che all’inizio non aveva notato, e dopo poco, su quella soglia, il ragazzo vide comparire la figura di un vecchio, un vecchio dalle larghe spalle, incredibilmente alto e imponente, dai lunghi capelli bianchi legati ordinatamente dietro la nuca e dai brillanti occhi gialli, sovrastati da prominenti sopracciglia cespugliose.

Appena lo vide il ragazzo fece per parlare ma il vecchio alzò una mano rugosa e lo zittì con fare brusco. Poi gli si avvicinò con passi leggeri, oscillanti, incredibilmente aggraziati per un uomo della sua stazza, fino ad arrivare ad un palmo dal suo viso, e rimase fermo ad osservarlo in silenzio, gli occhi stretti come due fessure, quasi che non riuscisse a vedere bene o più semplicemente non riconoscesse nel giovane uomo davanti a sé il bambino che aveva conosciuto tanti anni prima.

Poi, dopo quelli che furono pochi secondi ma sembrarono molti di più, il suo viso si distese in un sorriso compiaciuto e fece un passo indietro battendo una volta le mani insieme.

- Ah... sei tu ragazzo... avevo il presentimento che saresti stato tu... –

- Mr. Kilgharrah, io volevo... – Iniziò a dirgli lui porgendogli il libro.

- Ah, ah, ah ragazzo! – Gli disse il vecchio zittendolo di nuovo – Tutto a tempo debito... –

E così dicendo guardò per un secondo fuori dalla vetrina, poi estrasse dal taschino un orologio e controllò l’ora con fare pensoso.

- Ormai penso che possiamo chiudere. Credo proprio che non verrà più nessuno... – borbottò tra sé, e si diresse alla porta del negozio per chiuderla a chiave con un gesto fluido del polso.

Poi tornò da lui rivolgendogli la parola mentre gli passava accanto.

- Seguimi ragazzo. –

Il vecchio continuò a muoversi senza degnarlo di un secondo sguardo, come se la sola idea che lui rifiutasse di accontentarlo non lo avesse nemmeno sfiorato. Il ragazzo rimase per un attimo fermo al suo posto, chiedendosi se fosse davvero il caso di assecondare un uomo tanto strano, poi però si ritrovò a seguirlo con passi veloci, quasi timoroso di venir lasciato indietro.

Il vecchio si diresse nella stanza da cui era venuto, una stanza dove vecchi scaffali di un legno rossiccio, alti fino al soffitto, traboccavano di libri ovunque cadesse lo sguardo, con le loro copertine ora rosse ora blu. Per un attimo il ragazzo si sentì a casa, davanti alla sua piccola pila ordinata sulla scrivania. Fece per toccare la costa del libro più vicino solo per sentirne la sensazione contro la pelle, ma il vecchio gli scansò via la mano con un buffetto neanche troppo leggero, un’espressione contrariata in volto.

- Come ti ho detto ragazzo, tutto a tempo debito. –

E gli fece cenno di accomodarsi in una delle due sedie di legno vicino la finestra.

Il ragazzo si sedette di malavoglia. Il vecchietto dei suoi ricordi era un uomo strambo e gentile che gli aveva fatto un regalo meraviglioso in un momento difficile della sua vita mentre quello davanti a lui, pur essendo indubbiamente lo stesso uomo di allora (lo stesso uomo davvero... non sembrava invecchiato di un giorno...) era uno spocchioso vecchiaccio che credeva di poterlo trattare come se avesse ancora sette anni.

Il vecchio si sedette, accavallando le lunghe gambe di fronte a sé. Le sue labbra si strinsero in una piega indecisa mentre lo guardava, come se stesse valutando cosa farne di lui.

- Allora ragazzo, sentiamo, perché sei qui? –

Il ragazzo si sentì disorientato da quella domanda. Gli stava sfuggendo qualcosa?

Non era stato il vecchio ad invitarlo?

Aprì piano il suo libro, che al momento teneva poggiato in grembo, e sfilò dalle pagine il biglietto che il vecchio gli aveva inviato, mostrandoglielo con fare indeciso.

- Beh... veramente... – Iniziò, ma il vecchio gli scostò di nuovo la mano con uno sbuffo irritato, come se non fosse quella la risposta che aspettava ed il ragazzo gli stesse solo facendo perdere del tempo prezioso.

- Non è questo che intendo. Metti via quel biglietto! So anch’io di avertelo inviato, altrimenti neanche in mille anni saresti mai arrivato qui, non saresti mai riuscito a trovarmi! – Si lasciò scappare una risatina secca e aspra, come quella di qualcuno che non avesse più riso da molto, moltissimo tempo.

- No. Quello che io voglio sapere è perché sei venuto qui. Perché, con un tempo come questo, e nel giorno di Natale per di più, tu non abbia avuto di meglio da fare che scegliere di seguire le istruzioni di un vecchio che hai visto solo una volta in vita tua, moltissimo tempo fa, e che per qualche anno ti ha mandato dei libri. Non ti facevo così sentimentale... –

Lo scherno nella sua voce era così condiscendente e così irritante che il ragazzo strinse forte un pugno per cercare di mantenere la calma.

- Non sono qui per lei. –

Lo disse in un tono molto più aspro di quanto avrebbe voluto ma il vecchio sembrò non prendersela a male, anzi, il ragazzo avrebbe giurato di aver visto accendersi una piccola scintilla di interesse in quei suoi occhi sottili e lucenti.

Quell’affermazione era vera solo in parte naturalmente.

Il ragazzo aveva sempre desiderato rincontrare il vecchio signore, almeno per dirgli grazie, perché mistero o no, il suo era stato davvero il più bel regalo che avesse mai ricevuto, ma visto che ora sembrava intenzionato a dargli sui nervi, il ragazzo decise di soprassedere su quel punto e dirgli la vera motivazione che l’aveva spinto a trovarsi lì quel giorno.

- Sono qui per Merlin. –

Lo disse come se si trattasse di una persona vera e non di un personaggio inventato ma non se ne vergognò. Per lui Merlin era reale molto più di tante persone che in vita sua aveva incontrato davvero.

Che quel vecchio pensasse di lui quel che voleva, non gliene sarebbe potuto importare di meno.

- Perché, come lei ha scritto nel biglietto, non mi sento ancora pronto a lasciarlo andare. –

La sua voce quasi si affievolì a quell’ammissione ed in qualche modo il ragazzo si accorse di non riuscire a guardare l’uomo negli occhi. Si sentiva scoperto dopo quelle parole, indifeso, e a lui non era mai piaciuto mostrarsi debole di fronte a nessuno, neanche alla propria immagine riflessa in uno specchio, se appena appena gli era possibile.

- E quindi ora cosa vorresti esattamente da me? –

Il vecchio sembrava un gatto che avesse adocchiato la preda, si mostrava calmo e rilassato ma il ragazzo avrebbe giurato che quei suoi occhi non lo lasciassero un istante, mentre calcolatori ed astuti sembravano ridere di lui.

- Come cosa voglio da lei? – si arrabbiò - Voglio che faccia qualcosa, è ovvio! Non era questo che voleva dire con quel suo dannato biglietto? Che se non volevo che la storia restasse incompiuta dovevo venire qui e parlare con lei? Perché lei avrebbe potuto fare qualcosa? –

- Il problema è proprio questo ragazzo... – sospirò Kilgharrah - Io non posso fare proprio niente. –

Lo disse con leggerezza, alzandosi per andare a servirsi una tazza di te, il ragazzo però vide le sue spalle curvarsi mentre parlava, quasi che il peso di quell’affermazione cadesse come un giogo sulla sua ampia schiena.

- Tè? – Gli chiese il vecchio.

Il ragazzo ignorò del tutto la domanda ed alzandosi anche lui gli si avvicinò dicendo : - Che vuol dire che non può fare niente? Non è lei l’autore di quei libri? Non può continuare la storia se glielo chiedo? –

L’uomo gli riservò un mezzo sorriso e mettendogli una mano sulla spalla gli rispose : Beh... sì... e no... –

- Sì e no! Sì e no! Che razza di risposta è? Non sa proprio dirmi niente che si avvicini almeno lontanamente ad una vera risposta? La smetta di parlare per enigmi! –

- Se le mie risposte non ti piacciono allora ti farò un’altra domanda... Vediamo se saprai darmi tu una risposta diretta... Dimmi, perché credi che, tra tanti ragazzi a cui ho inviato quei libri, tu sia stato l’unico ad aver risposto al mio appello? Il solo ad essersi precipitato qui? –

Il ragazzo boccheggio due volte prima di rispondergli.

- Altri ragazzi? Quali altri ragazzi? –

Intuendo la sua confusione il vecchio scoppiò in una grassa risata.

- Ragazzo mio! Non dirmi che credevi di essere il solo? – gli chiese mentre cercava di asciugarsi le lacrime dagli occhi.

- No mio caro, ti sbagli. Ho mandato i tuoi stessi libri a tanti altri bambini... Tu eri promettente, è vero... ma non potevo certo correre il rischio di scommettere tutto su un solo giocatore... –

Il ragazzo rimase in silenzio un istante, poi ripeté le ultime parole del vecchio come se dovesse sentirle dalla propria bocca per capirne il senso.

- Scommettere su un solo giocatore... e questo che vorrebbe dire? – riprese di slancio, infuriato - È questo che è stata tutta questa storia per lei? Un gioco? Uno scherzo? –

Sentiva una strana rabbia montargli nel cuore. Una rabbia che sapeva di amarezza e delusione. Tutto ciò che riusciva a pensare era che per tutti quegli anni aveva creduto di essere parte di qualcosa di speciale ed ora scopriva di essere stato solo una pedina, uno tra tanti. Altri avevano letto di Eldor e della magia di Merlin. Altri conoscevano la sua paura e la sua solitudine. Altri come lui l’avevano ritenuto un amico e si erano appassionati alle sue storie come se fossero un po’ anche loro.

Merlin ed il suo segreto non gli appartenevano più. Non erano più suoi. Non come prima.

Era come se il vecchio l’avesse ingannato e lui non sapeva davvero come perdonarglielo.

Come se gli avesse letto nella mente il vecchio non batté ciglio a quella sua sfuriata ed ignorò la sua domanda provocatoria. Tutto quello che fece fu mettergli una mano sulla spalla.

- Mi dispiace ragazzo. Mi dispiace se ci sei rimasto male. Ma non sentirti ingannato e non sentirti deluso. Perché credimi, tu eri e sei parte di qualcosa di speciale... Come ti ho detto prima, è vero che in tanti hanno ricevuto quei libri, e che in tanti, forse, li avranno letti... eppure... solo tu sei qui... –

Lasciò che le sue parole galleggiassero un po’ nell’aria, come semi trasportati dal vento che avessero bisogno di tempo per trovare un buon posto dove attecchire, poi continuò: - Ciò che io ho ora bisogno di sapere è il perché. –

Il ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte, come se volesse disperdere la confusione e racimolare i pensieri, poi con voce bassa ma sicura diede al vecchio la risposta che stava aspettando.

- Perché voglio aiutarlo. Voglio che Merlin abbia un destino degno di lui. È vero che non sono pronto a lasciarlo andare, perché, come forse lei avrà capito fin da quel giorno di tanti anni fa, la mia vita è fin troppo vuota per potermi permettere di perdere ancora qualcosa, ma al di là di questo, al di là della gioia che ho provato nel ricevere i suoi libri ad ogni Natale, al di là della forza e del coraggio che mi ha dato il leggere le sue avventure, io credo sia giusto che lei scriva per quel ragazzo una storia che sia alla sua altezza, all’altezza delle sue capacità e dei suoi poteri, perché Eldor era davvero troppo piccola per lui e lei l’ha costretto a vivere nell’ombra quando invece io sono sempre stato sicuro che fosse destinato a fare grandi cose. Sono qui a chiederle di dargliene l’occasione. –

Il vecchio sorrise. Finalmente un sorriso vero, caldo, che gli addolcì i lineamenti.

- E se io ti dicessi che quell’occasione sei solo tu a potergliela concedere? –

Il ragazzo lo guardò confuso.

- Io... non capisco... Io non sono uno scrittore. Non sarei grado di fare quello che fa lei. –

- Temo, ragazzo mio, che se vorrai aiutare il tuo Merlin dovrai fare molto di più che limitarti a scrivere. Vieni con me. Ti spiegherò tutto. – E così dicendo gli strinse gentilmente il braccio e lo ricondusse verso le due sedie accanto alla finestra. Lo fece sedere e poi prese posto di fronte a lui, un respiro stanco ad accompagnare i suoi gesti.

- Dimmi ragazzo, cos’è che sai esattamente sui draghi? –

- I... draghi? – Il ragazzo glielo chiese con un sorriso condiscendente, convinto che Mr. Kilgharrah stesse cercando di nuovo di prenderlo in castagna o di burlarsi di lui, ma davanti all’espressione mortalmente seria e piena di aspettativa del vecchio cercò di concentrarsi per dargli una risposta che potesse soddisfarlo.

- I draghi – disse schiarendosi la voce - certo... i draghi sono... delle creature fantastiche... somigliano a delle grandi lucertole con le ali e... volano? Ah sì! E sputano fuoco! –

Il suo sorriso forse sul finire fu un po’ troppo tronfio, però tutto sommato il ragazzo credette di non essersela cavata male.

Il vecchio era di altro avviso.

- Lucertole... mi chiedo se ho fatto bene a sprecare il mio tempo con te... – borbottò - No ragazzo, a differenza di ciò che tu e il tuo mondo possiate credere i draghi sono molto più di questo, molto di più. Sono creature antiche, leggendarie, creature magiche, dotate di un potere straordinario. I draghi possono vedere nel futuro, forgiare armi imbattibili, curare malattie sconosciute, leggere nella mente e comunicare telepaticamente con le altre creature... custodiscono incantesimi ormai perduti e possono viaggiare attraverso i mondi assumendo diverse forme. Se io fossi un drago potrei essere qui a parlare con te eppure esistere anche in un altro mondo, e poi in un altro, e in un altro ancora. Tale è il loro potere. Tale è la loro magia. –

Sembrò quasi che il petto gli si gonfiasse d’orgoglio a quell’affermazione, la sua voce calma e potente, ipnotizzante nel suo lento cadenzare.

- Eppure ogni cosa, per quanto grande, può giungere ad una fine. – continuò dopo un secondo, le labbra piegate in una smorfia amara - Grazie ai libri che ti ho inviato sai che nel mondo di Merlin, il mondo a cui la stirpe dei draghi appartiene, la loro terra natia, non è ammessa la magia, però sai molto poco del perché. –

Il ragazzo trattenne il fiato.

Risposte.

Finalmente.

Dopo così tanti anni passate a cercarle il ragazzo sentì finalmente che erano lì, a portata della sua mano.

Il vecchio iniziò a parlare con la sua voce profonda e aspra. Gli raccontò una storia lunga e complicata, la storia di un re che desiderava disperatamente un erede e che, pur di averlo, chiese aiuto alla magia. Gli raccontò di come per questo perse la sua amata regina e di come, invece che biasimare se stesso, biasimò quel potere a cui lui stesso si era rivolto. Parlò di vent’anni di violenza e repressione, e di un uomo di nome Balinor, che perse ogni cosa solo per aver creduto alle parole del re. Balinor usò la sua magia, la quale aveva la capacità di comandare i draghi, per piegare alla propria volontà quella dell’ultimo drago rimasto al mondo, ma fu ingannato, ingannato da quel re che aveva giurato di volere la pace e che invece, con quella mossa, stava infliggendo al suo ultimo nemico il suo attacco più crudele. Il drago venne imprigionato e l’uomo condannato a morte. Si salvò per un soffio, grazie ad un vecchio stregone che cercò di rimediare in quel modo ad un antico errore, e fuggì in un paese lontano, in cui una donna di nome Hunith si innamorò di lui e gli diede un bambino, un bambino che però lui non conobbe mai. Un bambino che non sapeva neanche esistesse, perché la furia del re l’inseguì fin laggiù, prima che potesse scoprirlo.

L’uomo fu costretto a scappare ancora, senza guardarsi indietro, mentre il bambino che aveva ereditato la sua sconfinata magia crebbe senza un padre.

Quel bambino era Merlin.

Quando la voce del vecchio si spense, il ragazzo allentò la presa sui braccioli della sedia, che nella foga del racconto non si era neanche accorto di stringere.

Un lungo respiro gli scappò dalle labbra.

- Mr. Kilgharrah... è stupenda. È questa la storia che ha ideato per Merlin? La storia delle sue origini, del suo passato? Dovrebbe scriverla sa? E poi continuare il racconto... vede? Lei è in grado! Se sa immaginare tutto questo può anche far sì che Merlin trovi la sua strada! Il suo destino! Possiamo continuare con il nostro accordo se crede. Un libro all’anno, com’è stato finora. Io saprò aspettare. –

- No ragazzo. Ciò che ti ho narrato oggi non è frutto della mia immaginazione... È il racconto di ciò che è stato. – chiuse gli occhi per un momento - Ciò a cui ho dovuto assistere, ciò che non sono riuscito a cambiare... – li strinse forte, come se il ricordare andasse ad inasprirgli il cuore - Ciò che verrà dopo... solo tu puoi aiutarmi a farlo accadere – disse infine, aprendoli di nuovo e guardandolo in viso per un lungo secondo, senza mai sbattere le palpebre.

- Tu ancora non hai capito, vero? –

Per un attimo fu come se la luce nella stanza tremasse, il che fu molto strano, visto che non si trattava di luce elettrica ma del pallido chiarore che proveniva dalle finestre accanto a loro. Il ragazzo cominciò a sentire caldo, sempre più caldo, mentre le ombre lungo la libreria e tutt’intorno a loro iniziarono a crescere e farsi più scure, come se il giorno si avviasse molto velocemente verso l’imbrunire e la notte scalpitasse per entrare finalmente in scena. Un rumore assordante si profuse nella stanza, come se grandi masse d’aria si muovessero imprigionate tra quelle quattro mura, spostate da pale di mulino o da grandi ali...

Il ragazzo si irrigidì sulla sedia di legno, spaventato, e guardò il suo ospite in viso, cercando nella sua espressione il suo stesso turbamento. Ciò che trovò furono solo ombre e quegli occhi che mentre il buio cresceva cominciarono a brillare, come lucciole nella notte o il cuore di lava di un vulcano... erano occhi di crepuscolo quelli che lo guardavano silenti e indagatori, fissi nei suoi come se volessero scandagliargli l’anima.

- Non ti ho poi detto il nome di quel vecchio drago... quello che il re incatenò nelle segrete del castello... – aggiunse lentamente il vecchio mentre il ragazzo annaspava per respirare - si chiamava... Kilgharrah! – e quel nome, rimbalzando per le pareti della stanza, suonò quasi come un ruggito.

Il ragazzo, nonostante il buio e il rumore e quegli occhi, provò a ridere di quell’affermazione, ci provò davvero, provò a scrollare le spalle e a scherzarci su, però non ci riuscì, perché il cuore gli batteva contro le costole come un tamburo e la bocca, d’improvviso secca, sembrava non rispondere al suo volere.

Per la prima volta in vita sua ebbe davvero paura, anche se cercò di ricacciarla indietro, infondo alla gola, e solo il pensiero di come quegli occhi fossero simili a quelli che aveva immaginato per Merlin quando si coloravano d’oro, lo aiutò a restare fermo al suo posto invece di correre via da quel luogo cercando di dimenticare.

Il vecchio sembrò avere pietà della sua espressione, perché d’improvviso tutto tornò normale. La stanza tornò a tingersi di mattino, lo sbattere d’ali smise di far tremare la stanza e il volto del vecchio tornò quello di pochi minuti prima, persino i suoi occhi si spensero, senza però perdere del tutto quel loro strano fulgore.

- Scusami. Non era mia intenzione spaventarti. Dovevo dimostrarti che fosse possibile. –

- Cosa fosse possibile? – Riuscì chissà come a chiedergli lui, nonostante la voce gli uscisse strozzata, come annodata a un respiro.

- Quello che stai pensando. –

- Lei non sa cosa sto pensando. –

- Tu stai pensando che forse ciò che hai letto in questi anni non è poi solo un racconto. Che in qualche modo sei incappato in una strana storia che vorresti tanto riuscire a comprendere. Che c’è una minima possibilità che io sia proprio chi dico di essere e che forse, ciò in cui hai sempre voluto credere, esiste davvero. –

- Cosa esiste davvero? –

- La magia. – disse il vecchio - ... e Merlin. –

- Lei sta scherzando – Lo liquidò lui, ancora incapace di credere.

- Ti sembrava che scherzassi un minuto fa? – Si arrabbiò di nuovo il vecchio. Poi più calmo continuò. – Hai visto ciò che sono in grado di fare. Purtroppo, in questo vostro mondo, non posso fare molto di più. La mia magia mi ha permesso di trovarti ma, senza il tuo aiuto, c’è poco altro che io possa fare. –

- Ammesso che decida di crederle. – gli chiese circospetto lui - Di credere che ciò che mi ha detto è la verità... che lei è veramente un drago e che la magia e Merlin esistono davvero... cosa vuole da me, cosa dovrei fare io esattamente? –

Lo chiese senza troppa convinzione, come se una parte del suo cuore già sapesse e temesse la risposta che stava per arrivare.

- Devi andare laggiù. – Gli rispose il vecchio, il tono secco e sbrigativo di chi sta rispondendo ad una domanda stupida.

- Laggiù dove? –

- A Camelot. –



 

Ok cari, anche il secondo capitolo è andato... spero davvero che l’abbiate gradito!

Lo so, lo so... ancora non abbiamo incontrato il nostro Merlin ma non vi preoccupate... arriverà a breve! Tutto a tempo debito!

Non ho molto da dirvi, voglio solo ringraziare di cuore quelle adorabili creature che mi hanno seguito anche in questa nuova avventura ed hanno voluto lasciarmi un pensiero... siete state tutte preziose ed incoraggianti, ne avevo davvero bisogno, quindi grazie di cuore...

Grazie anche a chi ha deciso di seguire la storia o sta semplicemente leggendo in silenzio... spero che questa piccola favola vi faccia passare qualche bel momento!

Per chi sta seguendo “Another Kind”... il capitolo arriva tra Domenica e Lunedì... scanso imprevisti... ma farò di tutto perché non ce ne siano!

Chiudo abbracciandovi tutti e dandovi appuntamento alla prossima settimana! Baci!

Sofy

  
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