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Autore: Losiliel    16/12/2016    5 recensioni
Il salvataggio di Maedhros da parte di Fingon in chiave moderna.
Una Russingon modern-AU.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Celegorm, Curufin, Figli di Fëanor, Fingon, Maedhros
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'First Age Daydream'
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CAPITOLO 5

dove si elabora un piano e si scambiano sms

 

 

 

Fingon aveva aiutato Celegorm a trattenere Maglor dallo scagliarsi contro Curufin e a farlo sedere sul letto accanto a Caranthir. Ora stava ascoltando con attenzione il minore dei Fëanorion presenti che faceva le sue ipotesi sull'accaduto.

– L'hanno sicuramente scoperto. Ma sono passati due giorni e se l'avessero colto con la refurtiva a quest'ora lo sapremmo. Vi immaginate la notizia? Maedhros Fëanorion che ruba documenti segreti nella sede della Gothmog? Sarebbe la prima pagina di tutti i media... la Tirion colerebbe a picco nel giro di uno schiocco di dita. 

Caranthir si mosse a disagio: – Vieni al punto, cosa pensi sia successo?

– Credo che Maedhros si sia liberato del disco, e che chi l'ha catturato voglia sapere cosa sia accaduto.

– Lo stanno tenendo prigioniero?

– È quello che spero.

Maglor non si trattenne e scattò di nuovo in piedi: – Perché potrebbe anche essere... morto? È questo che intendi?

Fingon sentì il cuore stringersi a quel pensiero, e gli ultimi brandelli di determinazione a tenersi fuori da quella faccenda andare in frantumi.

– Agiremo come se Maedhros fosse vivo, lo cercheremo e lo libereremo. – La voce di Curufin arrivò scevra da ogni emozione. Ecco uno che era riuscito davvero a trasformare il suo cuore in un blocco di ghiaccio, pensò Fingon con una certa invidia.

– E come? – gridò Maglor.

– Ho fatto alcune ricerche sui terreni e sugli edifici di proprietà della Gothmog o di società a lei collegate – continuò il minore, come se stesse esponendo una ricerca in classe. – Avete presente la vecchia fabbrica, nella zona industriale a nord… 

– Certo – disse Celegorm, – la Thangorodrim. Ma non è più in funzione da quando hanno spostato la produzione all'estero.

– Sembra ci sia ancora qualche ufficio attivo, a giudicare dalla fornitura di energia elettrica e di acqua – riprese Curufin, – e non solo lì. C'era quel sobborgo dove alloggiavano i dipendenti: Angband. Anche lì risultano tre abitazioni ancora allacciate alla rete elettrica.

– Ok, per cominciare a me basta – affermò Celegorm con decisione. Lui era il tipo che scacciava la paura con l'azione, lo era sempre stato. – Fingon e io andremo al villaggio – si rivolse a Maglor, – tu prendi Caranthir e andate alla fabbrica. 

Curufin approvò con un cenno del capo. – Rapporti ogni cinque minuti – ordinò, alzando il cellulare che teneva in mano, – e mi raccomando, niente cazzate, se trovate qualcosa degno di nota rientrate che elaboriamo un piano. Ben fatto, stavolta.

Fingon si trovò a scendere in strada insieme agli altri senza il minimo indugio. I Fëanorion avevano a disposizione due auto e vi si suddivisero come deciso da Celegorm.

Nessuno prese in considerazione l'ipotesi di usare lo scooter rosso fiammante di Curufin. Era uno degli ultimi regali che gli aveva fatto il padre e lui lo custodiva gelosamente. Sarebbe stato rischioso anche solo toccarlo.

Fingon salì su una vecchia Ford con Celegorm, che si mise alla guida e, dopo qualche tentativo andato a vuoto a causa del freddo, mise in moto e partì. Lui lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino del passeggero. Le luci della città, immersa nell'oscurità precoce della sera invernale, scorrevano davanti ai suoi occhi come interminabili nastri fluorescenti.

Presto i vetri si appannarono e lui sentì Celegorm imprecare e chinarsi ad armeggiare con i comandi del riscaldamento.

– Vedrai che tutto andrà bene – disse il cugino. E poi lo ripeté, come se bastasse questo a renderlo più vero: – Tutto andrà bene.

Fingon si voltò a guardarlo. Non trovò più un singolo motivo per fingere che non gli importasse. 

– Sì – confermò con tutta la sicurezza che riuscì a mostrare.

Poi spostò di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino, mentre tornava coi pensieri a quei pochi mesi che avevano cambiato per sempre la sua vita.


 

*******


 

Il mese di maggio era volato.

Se all'inizio lui e Maedhros si erano riproposti di incontrarsi un paio di volte a settimana per studiare e il weekend per dedicarsi all'arrampicata, presto avevano cominciato a vedersi tutti i giorni, suddividendo ogni pomeriggio in due: studio fino alle sei, poi palestra. Il più delle volte, quando uscivano dall'impianto sportivo, si fermavano a cenare insieme da qualche parte prima di tornare ognuno a casa propria.

Maedhros non voleva che lui facesse tardi a causa della scuola, e si assicurava che rientrasse ben prima di mezzanotte.

Solo che dopo iniziavano gli sms.

Di solito era Fingon che cominciava. Con la finestra aperta sulla tiepida notte primaverile, seduto sul letto con la schiena appoggiata alla testiera, esordiva con qualche scusa che entrambi sapevano essere tale.

- Domani solita ora?

La risposta non si faceva mai attendere molto.

Mae: Certo.

- Certo, e...

Mae: Certo e niente, dovresti essere a studiare!

- Ma io sto studiando, infatti proprio adesso sto consultando il mio insegnante...

Mae: E il tuo insegnante ti ricorda che devi ripassare storia per l'interrogazione di domani.

Fingon non aveva alcuna intenzione di perdere quei preziosi minuti a parlare di scuola.

- E il mio amico, invece, cosa dice?

Mae: Chi?

- Deficiente

Mae: Il tuo amico ti dice che oggi hai esagerato con quel lancio a presa singola. Hai rischiato di farti male e non era affatto necessario.

Fingon sorrise compiaciuto. Scrisse:

- Lo sapevo che mi stavi guardando!

Per diversi secondi non ricevette risposta. Poi:

Mae: Certo che ti stavo guardando, ti tengo d'occhio! Se ti fai male a così pochi giorni dall'esame, mandi all'aria tutto il nostro lavoro.

Debole scusa. Non gliela lasciò passare.

- Bugiardo.

E, dato che per messaggi si permettevano di dire cose che faccia a faccia non avrebbero mai osato, di avvicinarsi pericolosamente ad argomenti che nessuno dei due era pronto ad affrontare, aggiunse:

- È che non puoi togliermi gli occhi di dosso.

Nessuna esitazione, questa volta, da parte di Maedhros:

Mae: Seeeh, ti piacerebbe. Notte, Fin.

Fingon sospirò. La sua provocazione non era stata raccolta. La sua delusione fu pari al suo sollievo.

- Notte Mae

 

Ogni tanto Fingon si divertiva a contare quanto ci avrebbe messo l'amico a rispondergli. Gli dava una sensazione di profonda soddisfazione sapere che l'altro era, come lui, in attesa di parlargli anche se si erano lasciati pochi minuti prima.

Si sentiva desiderato, voluto. E questo lo riempiva di gioia e di terrore insieme, perché nel profondo del suo cuore, dove si annidavano la scarsa considerazione di sé e la sfiducia nelle proprie capacità, non riusciva a credere che una persona come Maedhros potesse desiderare anche solo di passare del tempo con lui. Figuriamoci che fosse diventato suo amico.

- Mae.

Mae: Dimmi.

Fingon prese nota: meno di due secondi, un record.

Alla ricerca di una scusa per continuare la conversazione, si ricordò di una cosa che era accaduta quel pomeriggio.

- Come ti ha chiamato oggi tua madre?

Mae: Niente... un soprannome di quando ero piccolo.

- Sarebbe?

Mae: Lascia perdere.

Ma lui non era proprio il tipo che "lasciava perdere".

- Ti ha chiamato Maitimo

Non ricevendo risposta, Fingon digitò:

- Correggimi se sbaglio, ma non vuol dire qualcosa come "il perfetto"?

Non si era mai dato la pena di imparare la lingua madre del nonno. Nella sua famiglia non c'era mai stata nessuna imposizione in tal senso, al contrario della famiglia di Fëanor, in cui tutti i figli avevano dovuto studiarla.

Questa volta Maedhros rispose.

Mae: "Il ben fatto", in realtà.

Fu il turno di Fingon di rimanere senza parole. Disteso sul suo letto, nella penombra della camera, si trovò a pensare all'amico come lo vedeva tutti i giorni in spogliatoio, quando emergeva dalla doccia dopo l'allenamento. Un asciugamano attorno alla vita, il corpo ancora bagnato, le spalle ampie, i muscoli che l'esercizio aveva appena cominciato a mettere in evidenza e che conferivano alla già perfetta armonia del suo corpo un che di intrigante. Come una promessa.

Maitimo, il ben fatto. Davvero un soprannome che ci aveva visto giusto.

Il trillo della notifica lo riportò alla realtà.

Mae: Fin, ci sei ancora?

- Ti si addice

Mae: È pretenzioso. Lo odio.

- Sì, è pretenzioso, ma a me piace.

Mae: Immagina quanto piaceva ai miei fratelli.

Fingon soffocò una risata.

- Mi basta immaginare Ty

Mae: Ecco, appunto.

A lui però piaceva sul serio, si rese conto. Gli sembrava adattarsi alla perfezione alla persona che lo portava. Per sentire come suonava, lo pronunciò a bassa voce, come se avesse paura che l’altro potesse udirlo, anche se era a chilometri di distanza: – Maitimo.

Suonava come qualcosa di irraggiungibile nel tempo e nello spazio… o come l'espressione di un sentimento a lui negato.

Cercò le parole giuste per esprimere il concetto, ma risultò tutto troppo confuso o troppo compromettente e alla fine decise che era meglio buttarla sullo scherzo. Digitò:

- Penso proprio che ti chiamerò così d'ora in poi

La risposta fu immediata.

Mae: Fai pure

Mae: se sei disposto a cercarti un altro insegnante… nei pochi giorni che ti restano prima dell'esame.

- Sai che non rinuncerei mai al MIO insegnante

Mae: Certo che lo so.

Mae: A domani, allora.

Fingon stava per augurargli la buonanotte quando gli venne un'idea: se non poteva pronunciare quel nome davanti a Maedhros, ciò non gli impediva di usarlo in altri contesti. Armeggiò qualche secondo con la rubrica, poi digitò il consueto saluto.

- Notte Mae

Maitimo: Notte, Fin.

Con un sorrisetto soddisfatto, Fingon si soffermò un istante a guardare lo schermo, poi appoggiò il cellulare sul comodino e cercò di dormire. Ma l'impresa si rivelò più difficile del previsto, perché la sua mente tornava di continuo al soprannome di Maedhros, e ciò che esso evocava.

Quelle conversazioni si stavano facendo troppo pericolose. Li stavano portando troppo vicini alla verità.

 

Una sera Fingon l'aveva messo alla prova.

Tornato in camera sua dopo cena aveva lasciato passare i consueti venti minuti, il tempo che ci impiegava l’amico per tornare a casa propria, poi aveva preso il cellulare e invece di fare la prima mossa aveva aspettato.

Non aveva dovuto attendere molto.

Maitimo: Ehi, Fin?

Fingon sorrise. Il fatto di essere cercato, la serata particolarmente piacevole che avevano passato, o la birra in più che si era concesso, lo resero temerario.

- Ti mancavo?

Maitimo: Lo sai.

La solita non-risposta. D'istinto decise di osare.

- Senti Mae… cosa succederà dopo?

Il telefono rimase muto per un lungo momento.

Maitimo: Prenderai il diploma, andrai a fare quel viaggio di cui mi parli sempre, e a settembre comincerai l'università.

- Intendevo tra noi

Maitimo: Lo so, idiota.

Fingon attese.

Maitimo: Era un modo per evitare il discorso.

E attese ancora.

Maitimo: Resteremo amici, se vorrai.

Con un brivido, Fingon guardò le proprie dita scorrere sul display e formare parole troppo audaci per essere pronunciate.

- Solo amici?

Un'altra lunga pausa. Al punto da pensare che non avrebbe più ricevuto risposta.

Invece.

Maitimo: Forse è meglio che ne parliamo a voce.

- Sai che non ne siamo capaci.

Maitimo: C'è un buon motivo, se non ne siamo capaci. Siamo parenti, Fin, tra le altre cose. Non mi pare abbiamo molte alternative.

- E quali sarebbero queste altre cose? Che io sono uno stupido diciannovenne che fa fatica a prendere il diploma e tu un brillante laureato che sta per intraprendere una strepitosa carriera lavorativa?

Maitimo: Fin. Lo sai che non è così.

Maitimo: Non sono mai stato così bene con qualcuno come con te in queste settimane.

Parole, pensò Fingon. Parole che non sentirò mai pronunciate dalle sue labbra.

Maitimo: Ti prego. Pensiamo solo al tuo esame adesso, ne parleremo dopo.

Come no, un "dopo" che non sarebbe mai arrivato! Fingon fu tentato di interrompere la comunicazione.

Ma adesso che la questione era stata in qualche modo portata alla luce, non riuscì più a far finta di niente. Voleva ottenere qualcosa. Una promessa. Una speranza. Qualcosa.

- Andiamo in montagna il weekend dopo il diploma. Ormai sei pronto per la tua prima arrampicata in esterno. Parleremo allora.

Maitimo: Ok.

Immediato. Secco. Come un congedo.

Fingon rimase col terrore di aver osato troppo, di aver rovinato, col suo insistere, anche quello che aveva.

Ma molto tempo dopo, a notte fonda, sentì di nuovo il trillo dell'sms.

Guardò lo schermo e tornò a sorridere.

Maitimo: Comunque sì, mi mancavi.

 

 

 

 

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Note

A lunedì con il prossimo capitolo!

  
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