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Autore: aire93    16/12/2016    2 recensioni
Il ritorno da New York porta Derek Hale in una Beacon Hills troppo diversa ma sempre uguale. Derek, che cerca disperatamente un coinquilino, non sa che il palazzo di sua proprietà in pochissimo tempo sarà letteralmente invaso da quel passato dal quale tentava di scappare. Al principio, però, nemmeno la presenza costante di una ragazza chiacchierona (con il bonus di un tenerissimo chihuahua) riuscirà a smuovere il giovane Hale.
E poi c’è Stiles, che ormai ha smesso di essere tutto arti troppo lunghi e parlantina (caratteristica che ha ceduto a Kira) per diventare il tipico ragazzo attraente; un ragazzo attraente che Derek non può ignorare.
Storia di aire93
Fan Art di Coffegirl_Alex
FanMix di Eloriee
Genere: Angst, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Derek Hale, Kira Yukimura, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Hola a tutti! Eccomi di nuovo a scrivere per questa meravigliosa iniziativa che è il Big Bang!
Per quanto riguarda la fic di quest'anno, ho deciso di ripescare un vecchio prompt che avevo ideato ben due anni fa, e che ho finalmente portato a termine.
Questa fic tocca sia un'atmosfera crack, perchè di base deve essere divertente, ma dato che sono io, non ho saputo resistere, piazzando quantità ingenti di fluff e angst.
Ci sarà una Kira al limite del logorroico, e un Derek che basterà da solo a fornirci l'angst necessario... come sempre, comunque.
Ringrazio tantissimo il lavoro compiuto da Nykyo per il betaggio (grazieeee!) e ringrazio anche Eloriee e Alex per i loro splendidi lavori artistici che posteremo completi nell'ultimo capitolo! Grazie davvero! =)

Enjoy, se vi piace lasciate un commento e...stay tuned! =)


C’erano giorni, nei quali aprire gli occhi qualche minuto prima che il trillare della sveglia lo sorprendesse – e gli regalasse un attacco di tachicardia che tanto gli sarebbe venuto comunque, perché prima che tutti i tuoi riflessi fossero attivi, dovevano passare mediamente tre ore e mezza, superate le quali, tra l’altro, sarebbe sceso dal letto con il piede sinistro – era un segno chiaro e lampante di disastro imminente.

Derek se lo sentiva nello stomaco: era quella sensazione che gli dava da pensare distraendolo e spingendolo a fare cazzate. Così si era ricordato di non avere acqua calda in casa solo quando era già dentro la doccia e le gocce che gli avevano pizzicato la pelle, pungenti come ghiaccio, erano parse arrivare direttamente dal Circolo Polare Artico. O si era messo a rimuginare mentre si stava radendo piuttosto serenamente, nel tentativo di eguagliare la precisione di un chirurgo, e per un leggero tocco sbagliato della lama sulla pelle gli si erano incisi sul viso squarci che avrebbero fatto invidia perfino al Joker. Infine aveva aperto il frigorifero per scolarsi metà del suo immancabile cartone di latte intero – l’unica e vera qualità di latte, ovviamente – e lo aveva versato sovrappensiero nella tazza senza rendersi conto che il grosso lo stava rovesciando sulla tovaglia; e forse sarebbe stato meglio non farcire la fetta biscottata con marmellata di amarene dato che, a differenza del suo pavimento, lui non aveva avuto modo di assaggiarla.
Soltanto la prima mezz'ora di quella giornata gli aveva già dato abbastanza spunti per nascondersi sotto a una campana, e rimanerci a vita, ma Derek Hale, stoico e tutto tranne che scaramantico, non ci fece caso: era abituato ad andare avanti sempre e comunque, anche se a volte doveva mordersi le labbra fino a farle sanguinare, per avere un minimo di stimolo a sopravvivere. Dopo che un incendio, purtroppo di natura dolosa, gli aveva spazzato via praticamente tutta la famiglia, quasi una decina di anni prima, l'indifferenza generale a tutto e tutti era stata il suo diktat: guardava scorrere davanti a sé il fiume della propria vita senza porsi più nessuna domanda, senza la minima curiosità per le persone e le situazioni che lo circondavano.
A malapena respirava, mangiava, dormiva. E andava bene così.

Sua sorella Cora, l'unica scampata all'incendio, gli spaccava spesso i timpani al telefono, urlandogli contro che doveva darsi una mossa con la sua vita e non rischiare di diventare parte della muffa che infestava la cantina, ma lui, che concentrava le forze rimaste solo nel superare l’ultimo anno di università, non stava troppo ad ascoltarla.

Fu il trillo irritante del campanello – più acuto di quello della sveglia – a disturbare la quiete ritrovata del suo appartamento. Derek, in tenuta da “mondo, cazzo non disturbarmi” – pantaloni della tuta che parevano rubati agli assurdi photoshoot delle boyband anni ’90 e maglietta macchiata di latte – si levò con poca grazia il libro di arte contemporanea da davanti alla faccia; un occhio arrossato a furia di sfregarci la mano sopra per tentare in qualche modo di svegliarsi.

«Chi è che si azzarda a rompere le palle alle dieci del mattino? E’ domenica, la gente dovrebbe rimanere in casa a smaltire la sbornia del sabato sera!» sbuffò, le narici dilatate e la solita smorfia di disappunto, su un volto che l’adolescente medio di sesso femminile (ma non solo) avrebbe potuto definire solo come: “da modello”.

Derek allungò una gamba sotto il tavolo, nel tentativo di ripescare le proprie ciabatte, a rischio di uno stiramento muscolare, e si alzò con la stessa flemma di uno che portasse sulle proprie spalle il peso del mondo intero. Poteva giurare che il divano si fosse appena lamentato di essere stato abbandonato, perché il suo udito fine aveva colto un singhiozzo. Forse, però, se l’era solo immaginato: ottimo, un passo in più lungo la via della pazzia più completa. Raggiunse finalmente l’uscio, segnato da una goccia di vernice bianca che ancora colava lenta a causa di una recentissima ritinteggiatura, e rimase in ascolto: sembrava che la persona al di là della porta soffrisse di una potente forma d’asma e che stesse tentando di racimolare la maggior quantità di ossigeno immagazzinabile, nel minor tempo possibile. O forse era solo così nervosa da essere sul punto di collassare. Ci mancava giusto che quel rantolo ansimante si traducesse nell’ultimo respiro del misterioso sconosciuto, e poi Derek avrebbe potuto ufficialmente considerarsi il re di Sfigaville.
In attesa, Derek rimase fermo, con l’orecchio attaccato alla porta, lasciando passare due ulteriori squilli di campanello, quasi come se sperasse che così facendo il tizio fuori avrebbe levato le tende. Ma dato che non sembrava che il trend della sua mattinata comprendesse qualche sinonimo della parola “pacifica”, alla fine si arrese e aprì la porta.

«E’ uno scherzo? Tu chi sei adesso?»

Il sopracciglio sinistro puntò vero l’alto fin quasi a raggiungere l’attaccatura dei capelli, tanto il suo stupore era evidente. E poi, come in un flash, Derek si ricordò dell’annuncio all’apparenza innocuo che aveva distribuito in giro non appena era tornato in città, giusto dieci giorni prima. Lo aveva affisso su tutti i pali della luce, e anche fatto pubblicare sul Beacon Hills Journal. Ovverosia, più specificatamente, della sua assurda mania di tormentarsi da solo l’esistenza – meritava la medaglia d’oro alle olimpiadi nella categoria masochismo per professionisti – che a un certo punto era culminata nello scrivere un avviso del tipo: “Ragazzo ventiquattrenne, tranquillo, silenzioso e indipendente, cerca coinquilini altrettanto tranquilli, silenziosi e indipendenti che lo aiutino a pagare l’affitto, dato che a causa della riforma scolastica, l'università ha pensato bene di succhiargli via tutti i soldi come un vampiro.”
Ok, diciamo che Derek aveva leggermente mascherato la realtà dei fatti, visto che il palazzo in cui viveva era di sua proprietà e le tasse universitarie, grazie all’eredità quasi infinita che – purtroppo – gli era stata lasciata dai suoi genitori, in vita proprietari di una compagnia immobiliare, per lui erano una bazzecola da pagare. Anche l’affitto che voleva fingere di dividere non era alto, proprio perché i suoi futuri coinquilini, in effetti, l’avrebbero pagato a lui, indirettamente e a loro insaputa. In realtà Derek aveva più che altro bisogno di qualcuno che lo aiutasse a pulire, a riordinare e – sotto sotto – che gli tenesse compagnia perché, nonostante la sua passione smisurata per la solitudine, era comunque un essere umano, e nutriva un naturale bisogno di interazioni con i suoi simili, anche se minime. Poi, però, aveva aperto la porta e l’idea dell’annuncio era finita dritta nella lista “le cento trovate peggiori che il tuo stesso cervello contorto possa formulare”. Sulla soglia c’era una tipa assurda. Un paio di codine scure le incorniciavano il viso e la giovane intrusa era nervosa a tal punto da mordersi il labbro e sfregare dolorosamente le pellicine che ci si erano formate sopra. Due gattini neri fissavano Derek dai bordi delle sue orecchie, un cagnolino lo osservava dalla borchia della cintura, e dal collo della ragazza si snodava un ciondolo che ritraeva chiaramente una volpe. Poteva essere la guardiana di uno zoo? No, non c’erano zoo a Beacon Hills. I vestiti di quella tipa erano i più bizzarri che Derek avesse mai visto: sulla maglia si era probabilmente rovesciato un intero container di evidenziatori gialli, rendendola praticamente illegale in quaranta stati in quanto nociva per la vista. Ma la cosa più allarmante era l’enorme trolley rosa shocking sul quale la ragazza, che lo fissava con gli occhi scuri e a mandorla pieni di incertezza, si stava appoggiando per sorreggersi.

Un guaito interruppe il silenzio imbarazzante che era venuto a crearsi tra lei e Derek, e da dietro un piede della ragazza sbucò una testolina pelosa con le orecchie ritte e gli occhi fuori dalle orbite. Derek la squadrò da capo a piedi, senza emettere il minimo suono, lasciando che le sue sopracciglia parlassero per lui. E in sostanza ecco quel che dicevano:

“Perché hai usato le pagine di un fumetto Marvel al posto dei pantaloni? Era finita la stoffa per caso? E quello è un cane? Io non voglio cani nel mio appartamento. Una valigia? Cosa ci fai qui con una valigia?”

«Chi diamine sei?» Solo l’ultima frase venne pronunciata ad alta voce, con Derek che per un attimo pensò di non essersi del tutto svegliato, perché onestamente quello che gli era successo da quando quella mattina aveva aperto gli occhi era stato già più che sufficiente per mettere alla prova la sua limitatissima pazienza.

Le dita che tamburellavano sullo stipite, e la vena sopra la tempia che iniziava a colorarsi di una particolare tonalità di rosso, Derek rimase in attesa di una risposta che sembrava non venire mai.
Il silenzio durò ancora pochi secondi, prima che la sconosciuta partisse in quarta.

«Ciao sono Kira. Yukimura. Kira Yukimura. Ho trovato l'annuncio sul giornale locale, quello dove dicevi che stavi cercando un coinquilino, per aiutarti a pagare l'affitto della casa e beh eccomi qui! Spero che Takoyaki non ti dia fastidio, è un cane un po’ agitato, a volte invadente, ma in fondo è buono! Se vuoi puoi chiamarlo Tako e basta, cioè, non “Takoebasta”, semplicemente Tako e non con la “c”, ma con la “k”. Comunque sono Kira, non mi ricordo il tuo nome, come hai detto di chiamarti? Oh, sull’annuncio non l’hai scritto. Scusa se mi sono presentata così davanti alla porta, ma ho provato a chiamarti sul numero di cellulare che hai scritto nell’inserzione, ma mi dava numero irraggiungibile. Posso darti del tu, vero?»

La vena sul collo di Derek prese a pulsare più velocemente, al ritmo di quella parlantina inarrestabile. Senza pensarci due volte e con un’ombra di terrore sul volto, Derek sbatté la porta in faccia alla nuova arrivata, mentre lei lo fissava incredula, ma con un’aria tenace.

«Scusami?» La sentì protestare da fuori. « Ehi, ho detto qualcosa che non va? Forse ho parlato troppo, ma non mi sembra che tu mi stia accogliendo come dovrebbe fare un padrone di casa con i propri coinquilini! E’ colpa di Tako forse? Beh, sull’annuncio non avevi mica scritto “non portate cani”. Forse abbaierà durante la notte ma insomma, è un cane no? I cani abbaiano, i lupi ululano, è il ciclo naturale.» La ragazza prese a bussare ripetutamente, concitata come una caricatura delle tipiche ragazze nei manga giapponesi. «Dai, apri questa porta, guarda che continuerò a bussare finchè non cambi idea! Dai! Dai! Dimmi il tuo nome almeno, io mi sono presentata!»

Il continuo sbattere dei pugni contro la porta venne interrotto dal rumore della serratura che scattava e, per l’evidente gioia di Kira, il volto di un Derek decisamente imbronciato apparve nello spiraglio che si era appena aperto.

«Ti faccio entrare solo perché non riesco a capire il motivo per cui il tuo cane ha un nome simile a quello di una pietanza. E’ come se io avessi un pastore tedesco e lo chiamassi “California roll”. E’ ridicolo.»

Kira non badò alla frecciatina ma sorrise e si infilò in casa saltellando e biascicando con entusiasmo un «Permesso!»

In realtà il colore delle pareti era parecchio diverso da come, a quanto pareva, Kira doveva esserselo immaginato, considerato il caratteraccio di chi abitava tra quelle mura. L’appartamento aveva un aspetto solare, rallegrato da finestre e da fotografie di paesaggi.
Il parquet aranciato contrastava con le varie sfumature di blu che si potevano facilmente notare in tutta la casa. Le lampade andavano dal verde acqua al giallo canarino e il colore delle sedie in cucina sembrava quello del magma. Non c’erano porte, solo archi, tranne che in bagno e nella stanza di Derek, nascosta da una porta chiusa color ebano.

«Che meraviglia, quanti colori! E questa casa è piena di fotografie! Woah, davvero, sono assolutamente spettacolari! Quella è Times Square, l’ho riconosciuta. Quello è il Grand Canyon e poi le cascate del Niagara! Oh le hai scattate tu?»

I cuscini del divano si raggrinzirono sotto il peso, in effetti piuttosto leggero, della ragazza che, mentre indicava ripetutamente le foto con un entusiasmo al limite del sopportabile, aveva deciso di riposarsi e di testare quella morbida fonte di relax che campeggiava al centro della sala.

Derek avvertì dentro di sé la forza che era stata scatenata delle parole di quell’ultima domanda; era così intensa che gli parve di aver ricevuto una bastonata sul petto. La sua voce si incrinò, ma solo leggermente perché non era solito mostrare i suoi sentimenti. Preferiva lacerarsi l’anima col rimorso, piuttosto che far emergere la melma scura che gli impestava le vene.

«Mia sorella» borbottò, pregando che il discorso terminasse all’istante.

Forse anche Kira avvertì il gelo improvviso che era calato nella stanza nell’osservare la posa più rigida del corpo di Derek, che intanto si era seduto e si era messo a sottolineare qualche riga sul suo libro, sperando di distrarsi dalla sensazione di freddo terrore che lo stava possedendo. Ma se aveva creduto che una semplice risposta potesse calmare quella stramba chiacchierona purtroppo si era sbagliato di grosso. Il destino – o la sfortuna – gli aveva fatto precipitare addosso la persona più curiosa dell’intero pianeta.

«Tua sorella? Oh che meraviglia, io non ho sorelle, non ho mai avuto la possibilità di condividere le mie cose e le mie passioni con qualcuno di così vicino. Certo, c’era Erica, ma lei se ne è scappata con Boyd dopo il liceo, lasciandomi con un palmo di naso. E poi ci sono i miei genitori, ma adesso sono tornati in Giappone, perché hanno dovuto vendere la casa, sai, l'avevamo presa in affitto solo per poco, quindi... Vabbè, ma ti assomiglia? Com’è? Credo sia una ragazza creativa, comunque, dato che i fotografi lo sono un po’ tutti… hai altre sorelle o solo lei?»

«Si, ne ho altre.»

Derek si sentiva squallido, ma non poteva farne a meno: quando parlava di Laura come se fosse ancora con lui, riusciva a convincersi che lei non fosse mai stata bruciata viva.
Durava giusto pochi secondi, o a volte qualche minuto, durante i quali Derek si cullava in un limbo tra la speranza e la rassegnazione.

«Quante?»

«Un’altra, oltre alla fotografa. Lei è la responsabile dell’esplosione di colori indesiderata che vedi in casa.»

«Oh che bello. Due sorelle! Certo, da ragazzo non sarà stato semplice per te, con due femmine intorno, me le immagino che ti truccavano e magari giocavate al dottore e tu finivi per fare la povera cavia – dove vai? Aspetta, non mi hai ancora detto nemmeno come ti chiami, me lo vuoi dire o no?»

«Vado a vedere quando passa il corriere» Derek uscì esasperato e scuotendo la testa, la vena che tornava a pulsare e la sensazione di sbandamento che ancora lo stravolgeva. Aprì la porta per respirare: dentro l’appartamento iniziava a mancargli l’aria.

«Perché? Aspetti un pacco?»

«Si, un telecomando. Lo danno in omaggio con i coinquilini chiacchieroni. Serve per spegnerli.»

Kira assunse un’aria concentrata per qualche secondo – Derek poteva praticamente sentire le rotelle che giravano dentro il suo cervello – prima di rompere il silenzio con una risata limpida e solare.

«Un telecomando? Davvero? Non credevo che dietro quel muso lungo ci fosse un ragazzo sarcastico! Vabbè che il sarcasmo va a braccetto con la disillusione…non che io voglia darti del disilluso eh, intendiamoci. E’ solo che in un certo senso sei simpatico, o almeno lo sembri, più di quanto tu possa credere! E comunque non è facile essere sarcastici e senza suonare cattivi. Sai, credo che nonostante tutto, io e te potremmo andare d’accordo. Oh, aspetta, adesso che mi ricordo, devo fare una cosa!»

Kira armeggiò con una busta, estratta dalla valigia senza che Derek se ne accorgesse, prima che l’oggetto che conteneva e che lei stava cercando di scartare si scaraventasse al suolo.

«Oh, no, è la pappa di Tako! Non volevo rovinarti il parquet, scusami! E.. ehi Tako, no! Non la cacca sul tappeto! Quante volte ti ho detto che devi aspettare il giretto fuori?»

Derek annusò con frustrazione e un pizzico di rassegnazione l’odore che proveniva dal pavimento e che si stava spandendo ovunque, poi strinse le labbra innervosito, inalberando uno sguardo truce. Forse era meglio rientrare in casa e insegnare a quel cane chi comandava veramente.

Eppure, nonostante il continuo e fastidioso abbaiare, il fatto che Kira tentando di lanciare la valigia sul divano – i nuovi letti per entrambi sarebbero arrivati solo tra qualche giorno. Derek pur senza crederci più di tanto li aveva ordinati appena scritta l’inserzione – si fosse malamente capovolta finendo gambe all’aria, nascosta sotto un paio di improponibili leggins e diversi vestitini, immerse Derek in una bolla di nostalgia che lo fece stare un po’ meglio. In fondo lo sapeva: Kira e Tako avrebbero portato nella sua vita una ventata di aria fresca.

   
 
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