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Autore: Huilen4victory    16/12/2016    2 recensioni
In un mondo di anime gemelle si nasceva come numeri uno per poi incontrare la propria anima gemella ed insieme diventare numeri due. Oppure nascevi numero uno per poi diventare un numero zero perchè non avere un partner equivale a non valere nulla.
Jungkook ha 23 anni, studia economia ed ha un lavoro part-time due volte alla settimana.
Jimin ha 26 anni ed ha appena iniziato a lavorare in ufficio.
Sono due persone molto diverse e non sono certo destinate a stare insieme. Hanno un tratto in comune però: sono entrambi numeri zero.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Due.


 


 


 

Jimin era nato numero zero.

La verità del suo status gli era stata chiara sin da quando era bambino e per quanto tutti lo trovassero strano, spiacevole persino, non era stato così per lui allora. La sua sua famiglia non glielo aveva mai fatto pesare e, nonostante le preoccupazioni che sicuramente sua madre e suo padre serbavano in cuore, i suoi genitori avevano amato i due figli, uno destinato ad essere un numero due l'altro un numero zero, allo stesso modo. E siccome dai suoi genitori, a suo fratello fino al suo cane, era rimasto sempre il solito sbadato e terribilmente cocciuto Jimin, lui era cresciuto con la consapevolezza di aver caratteristiche diverse ma senza per questo odiarle. Era un numero zero. Per Jimin era come se gli avessero detto che i suoi capelli erano effettivamente neri.

Tuttavia crescendo Jimin si era reso conto che quello che per lui poteva non avere peso lo aveva per il resto del mondo. Era un modo di pensare alieno, un concetto che non avrebbe mai compreso. Uno a cui tuttavia non era indifferente. Lui si sentiva intero, lui si sentiva giusto eppure tutti pretendevano di affermare il contrario.

“Essere numeri zeri è la peggiore delle disgrazie,” dicevano. Jimin non voleva essere una disgrazia e non si sentiva tale. Per quanto suonasse ingenuo alle sue stesse orecchie, perché era qualcosa che nessuno mai gli aveva assicurato, semmai il contrario, Jimin era convinto che solo perché là fuori non c'era qualcuno che avrebbe combaciato perfettamente con la sua persona, ciò non voleva dire che lui non potesse essere felice. Che solo perché non gli veniva assicurato di essere amato non voleva dire che lui non potesse amare. Era questa sua convinzione l'anima dei suoi sorrisi.

Era ingenuo. Forse solo tremendamente idealista.

Jimin si era innamorato, ricambiato, all'età di quindici anni. Le conseguenze di quell'incontro sebbene avessero cementato la sua convinzione avevano infine finito col distruggere la sua innocenza. Non era una questione di sperimentare amore. Era una questione di sperimentare le sue brutture. Perchè chi sa che il suo legame non verrà mai messo in discussione non lo avrebbe mai potuto capire, non avrebbe mai sperimentato il dolore della perdita.

“Non verrà Park è inutile che aspetti,” disse qualcuno da qualche parte alle sue spalle. Qualcun altro rise di gusto come se i suoi sentimenti calpestati fossero lo spettacolo più divertente.

“Guarda che faccia. Guardate la sua faccia! Dite che si metterà a piangere?” Altre risate.

“Non dovrebbero chiamarle lacrime di coccodrillo ma lacrime di numeri zero.” Qualcun altro ebbe la stupidità di dire. Un'altra sequenza di risate.

Jimin si infilò gli auricolari per non ascoltarli. Le loro parole non importavano, era una sua decisione quella di rimanere lì ad aspettare, doveva pur contare qualcosa. Dopo un po' i ragazzi si stancarono di rimanere sui gradini della scuola a prenderlo in giro e Jimin ne sarebbe stato contento se non fosse stato che avevano ragione. Non comparve nessuno dietro l'angolo. Era solo.

Fino al giorno in cui riuscirai a dire basta.

Lo amava, Jimin amava, ma nessuno gli aveva detto che si poteva amare anche le cose che ferivano, perché nessuno avrebbe potuto dirglielo. Era un segreto dei numeri zero e i numeri due lo sapevano ma non avrebbero mai capito. Si limitavano a disprezzarli per la loro sofferenza.

A stasera.

Promesso.

Erano parole dette un miliardo di volte, scritte un miliardo di volte e un miliardo di volte erano state vane. Jimin era rimasto lì ad aspettare qualcuno che non sarebbe venuto, allora come tre anni dopo.

Perchè fai questo a te stesso? Seokjin gli aveva chiesto, prendendolo per le spalle, cercando una reazione da lui.

Jimin guardò per ennesima volta l'ora. Non sarebbe venuto. Fu come svegliarsi da un sogno e capire che era la realtà il vero incubo, comprendere i dettagli del tutto e non poterlo sopportare. L'amore, non poteva essere quello l'amore. Basta. Basta. Ora basta.

Jimin prese un borsone e iniziò a riempirlo alla rinfusa quasi non badando a cosa ci metteva dentro.

Il suo telefono squillò. Per riflesso più che per reale convinzione controllò il messaggio. Ennesima sequela di scuse. Gettò il cellulare dentro la borsa e non si fermò. Usci dal quel dannato appartamento, fuori da quelle quattro mura che odiava e corse verso la fermata del bus. Al resto avrebbe pensato dopo.

“Andrà tutto bene. Andrà tutto bene, te lo prometto Jimin.” Gli sussurrò Seokjin accarezzando i suoi capelli. “Sono così fiero di te.” Jimin si raggomitolò sotto le coperte. No, non si sentiva fiero di se stesso, ma distrutto, vuoto. Inutile.

E allora capì. Capì che la vera condanna non era nel non poter amare mai, ma che quell'amore non fosse abbastanza.

“Non verrà Park.” Era così. Non era mai venuto. Nessuno sarebbe mai venuto, perché nessuno su quel pianeta esisteva per tornare da lui. Perchè lui era un numero zero.

Allora quale era il senso di vivere? Qual'era il senso di mettere un passo dietro l'altro? Jimin si era chiesto ancora e ancora nelle notti interminabili in cui la solitudine era così grande da non riuscire a respirare. Come era possibile riuscire a respirare quando avevi l'assoluta certezza di essere solo, quando avevi vissuto sulla tua pelle tanta poca gentilezza.

Guardando dall'alto della palazzina la caduta sembrava quasi attraente.

Eppure, miracolosamente, in qualche modo, aggrappandosi agli ultimi pezzi di se stesso, era riuscito a sopravvivere. Non era la fine del mondo, non lo era. C'erano milioni di cose per cui valeva la pena vivere. La sua famiglia, i suoi migliori amici, il suo lavoro, persino il suo gatto. Forse non avrebbe mai avuto un lieto fine, ma c'erano cose che poteva fare.

“Come va?” gli chiese Seokjin con quella sua gentilezza mai accondiscendete che faceva così bene a Jimin quasi un balsamo sulle sue ferite.

“Meglio. Ci provo almeno.”

“Così mi piaci.”

“Lo dici come se fosse qualcosa di cui andar fieri.”

“Lo è, perchè non ti sei arreso.”

Jimin aveva sorriso, per la prima volta con cuor leggero.

Un passo alla volta, era andato avanti. Con più ferite di quante sarebbero state necessarie ma anche con più consapevolezza. Essere adulti era, dopotutto imparare a ridimensionarsi, e non c'era nulla di così orribile in quello. Voleva dire aver sperimentato il dolce e l'amaro, aver imparato e aver capito che alcune cose capitavano e basta. Ci si poteva bastonare all'infinito sulle proprie debolezze oppure imparare dai propri errori e decidere di andare avanti. Alcune battaglie anche se silenziose non erano meno importanti. Jimin aveva vinto la sua.

Tuttavia in quella sua nuova vita, sebbene avesse imparato ad amarsi non gli era riuscito di liberarsi della sua solitudine. Dopo tutto quella era l'unica cosa che non avrebbe mai potuto fare da solo, l'unica soluzione alla solitudine era infatti la compagnia. Eppure nessun suo timido desiderio gli aveva mai fatto sperare di incontrare qualcuno come Jungkook.

Jungkook era giovane ed era ferito, e arrabbiato, così arrabbiato che aveva fatto del suo senso di ingiustizia una determinazione. Ci provo, aveva risposto a Seokjin allora. Anche l'altro numero zero ci provava, così intensamente che faceva male guardarlo, che ti si stringeva il cuore, da farti desiderare di vederlo avere successo.

Tutto quello che ero e tutto quello che non sarò mai.

“Cos'è che ti piace così tanto di Jungkook?” Seokjin gli aveva chiesto, incuriosito.

“Mi piace e basta.” Jimin aveva risposto.

“No davvero, capisco che è attraente, ma non è certo la persona più facile del mondo.”

Jimin lo aveva guardato di traverso.

“Tu lo vedi e a te sembra un nuovo rompicapo e temi io mi ci rompa di nuovo la testa. Io lo vedo e mi sento prendere dall'entusiasmo. Lui mi fa sentire in grado di fare qualsiasi cosa.”

“Ah.” Il biondo rispose. Si questo Seokjin lo capiva alla perfezione.

Lo amava, lo amava come un cieco che riacquistata la vista vede il rompersi dell'alba per la prima volta in cielo.

Lo amava al punto che Jimin aveva deciso che non importava se non avrebbero potuto aversi mai.

Era sufficiente che l'altro ottenesse le cose in cui aveva sperato, affinchè Jungkook non dovesse mai raggiungere il giorno in cui dire basta. Come era successo a lui.

Voglio che tu raggiunga i tuoi traguardi, che conquisti tutto quello che c'è da conquistare, che ti realizzi, che tu abbia una vita piena.

Anche se questo significa lasciarti andare.


 


 


 


 


 

I genitori di Jimin vivevano da anni in una città sulle rive del mare. Avevano approfittato del fatto che entrambi i figli fossero cresciuti e in grado di badare a loro stessi ed erano tornati al punto di partenza. Una casa nel luogo dove si erano conosciuti. Ripensandoci, con un esempio tanto eclatante di amore imperituro, era stato impossibile per Jimin non desiderare di avere altrettanto per se, numero zero o meno.

In ogni caso c'erano volute una sosta caffè e quattro ore di macchina per arrivarci. Spense il motore della macchina davanti al vialetto. Una casa in riva al mare, non sembrava così male come luogo dove trascorrere un per sempre. Prese la sua valigia e la gabbietta di Tao.

“Arrivo!” Venne la voce di sua madre dall'altra parte della porta dopo che ebbe suonato il campanello.

“Jimin!” Esclamò sua madre in vestaglia e con l'aria di qualcuno che era stato tirato giù dal letto. Accidenti. Probabilmente era più tardi di quel che aveva pensato ma sul momento non era stato troppo tempo a riflettere ne tanto meno a guardare che ora fosse, oltretutto il cellulare era spento e si era dimenticato l'orologio da polso sul lavandino del bagno.

Era notte fonda e lui era stanco affamato e aveva la gabbia di un gatto in un mano e una valigia nell'altra. Doveva sembrare qualcuno che era sfuggito a qualche tragedia. Si quella di un'ennesima delusione amorosa. Eppure Jungkook non era ennesimo. Jungkook era speciale.

Fu allora che Jimin cedette. Aveva davvero davvero sperato. Non era da numeri zero sperare in un per sempre. Ma si. Una parte egoistica di lui aveva desiderato un insieme.

Non sono forte, non lo sono mai stato, mai come te.

“Vieni dentro.” Sua madre disse dolcemente perché come sempre le era bastato un solo sguardo per capire. Si lasciò abbracciare da sua madre brevemente. “Sono esausto.” Sussurrò.

“Lo so il viaggio è lungo.” Nessuno dei due stava parlando delle ore in macchina. “Ti va di riposarti un po'? Così domani mattina ne possiamo parlare con tuo padre.” Jimin annuì liberando Tao dalla sua gabbietta e successivamente prendendo la sua valigia e andando verso la camera degli ospiti.

Non aveva bisogno dei suoi genitori per prendere le sue decisioni da un pezzo. Jimin era abituato ad agire e a portare avanti il suo fardello da solo da quando aveva capito che essere un numero zero non era esattamente come avere i capelli neri. Se il fatto che lui non si fosse mai aperto fosse stato una cosa che aveva ferito i suoi genitori era un possibilità concreta. Tuttavia Jimin non poteva aprire il suo cuore, non ne era in grado. Il fatto di sapere che nonostante la loro buona volontà loro non avrebbe potuto fare nulla era sempre stato il più forte deterrente. Perciò si, non aveva bisogno dei suoi genitori per decidere, ma aveva bisogno del loro consiglio per convincere altri genitori. Erano stati loro dopotutto ad essersi messi d'accordo con i Jeon.

Così Jimin tornava alla fonte per fare la cosa giusta, quella che avrebbe dovuto fare il momento in cui Jungkook si era alzato da quel tavolino in quel bar urlando la sua disperata voglia di vivere.


 


 


 

Jungkook continuava a guardare ossessivamente il pezzetto di carta su cui Seokjin aveva scritto l'indirizzo della casa dei genitori di Jimin. Il biglietto era stato aperto e rimaneggiato così tante volte che Jungkook aveva dovuto astenersi dal toccarlo ancora o avrebbe finito col rovinarlo irreparabilmente e allora si che sarebbe stata una tragedia. Era ancora un po' stanco e decisamente un po' intontito per la mancanza di un sonno ristorante ma anche stranamente lucido e attivo. Continuava a ripetere mentalmente ancora e ancora il discorso che pensava di fare a Jimin, con i dovuto accorgimenti, dal momento che i fatti delle ultime 48 ore avevano rovinato il suo piano di dichiarazione.

Ciao Jimin prima che tu mi sbatta la porta in faccia sappi che è tutto un equivoco. Oppure, ciao Jimin hai per caso visto i notiziari? Ciao Jimin, sarebbe stato un'ottima cosa se tu avessi risposto a una delle nostre chiamate.

Jungkook sospirò. Non era colpa sua, ne tanto meno di Jimin. Le cose erano andate come erano andate ed ora l'unica cosa che Jungkook poteva fare era cercare di far arrivare al maggiore il messaggio. Ossia che che non era poi così contrario a un vissero per sempre felici e contenti con Jimin.

Ti amo.

Jungkook si contorse sul sedile mentre un tizio dall'altra parte del vagone lo fissava perplesso.

Cercò di ricomporsi. Doveva rimanere vigile. Jungkook non poteva fare a meno di gettare occhiate nervose ogni qual volta che il treno si fermava e tirava un sospiro di sollievo interno tutte le volte che le divise che vedeva erano solo quelle dello staff ferroviario o dei controllori.

Quando Taeyung gli aveva infilato il suo vecchio telefono in mano, gli aveva spiegato che aveva salvato i loro numeri nei tasti di chiamata veloce in prima linea quello di Seokjin che aveva salvato nel telefono con l'altisonante nome di Kim il salvatore. Jungkook era stato pienamente d'accordo.

Cercava di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere se Seokjin non fosse intervenuto. Una parte di lui si chiedeva ancora che fine avesse fatto l'uomo con cui aveva parlato in cella. Non ti preoccupare Jungkook, Jin farà in modo che siano liberati tutti, lo aveva rassicurato il suo amico.

Il più giovane avrebbe voluto porre molte domande al biondo ma si disse che avrebbe riservato le sue curiosità a dopo, possibilmente a dopo che aveva sistemato la sua vita con Jimin con successo. La sua curiosità su Seokjin poteva aspettare, per il momento si sarebbe accontentato di essergli grato in eterno.

Finalmente, dopo che il treno si fu fermato in tutte le stazioni possibili e immaginabili, e Jungkook si fosse assopito per due delle cinque ore di quel lunghissimo viaggio, arrivò a destinazione.

Si caricò il borsone in spalla, prese il biglietto sgualcito dalla tasca dei jeans e scese dal treno, poi in strada. Una volta che fu uscito dalla stazione si rese conto che la sua ricerca sarebbe stata più difficile del previsto. Seokjin aveva mancato di dirgli che quella città sul mare era enorme. E lui aveva solo un pezzo di carta, pochi spiccioli che bastavano per un panino figuriamoci per un taxi, e un telefono senza connessione internet.

Jungkook con stoicismo che avrebbe reso Hoseok hyung fiero, si disse che se era sopravvissuto a un arresto avrebbe tranquillamente potuto trovare Jimin in quella stramaledetta grandissima città. A costo di dover battere il posto palmo a palmo, avrebbe ottenuto quel suo fottutissimo lieto fine, accidente a lui.

In ogni modo l'unico indizio che aveva era sapere che si trattava di una casa in riva al mare. Quindi tanto valeva prendere un bus che lo portasse in spiaggia.

“Mi scusi il bus che fa il lungo mare?”

Quanto difficile poteva essere?

Una volta che fu salito sul bus, dicendo addio alla possibilità di un panino, e questi fu partito, dal finestrino notò che c'era un altro bus con lo stesso numero che andava verso la direzione opposta Jungkook ebbe la brutta bruttissima sensazione che forse giungere alla destinazione finale sarebbe stato un po' più complicato del previsto.


 


 


 

“Jimin nei sei proprio sicuro?”

“Mamma non sono venuto qui per farmi convincere a cambiare idea. Sono venuto per farmi dare una mano. Voi conoscete i Jeon meglio di me. Dopotutto avete fatto voi l'accordo.”

Jimin disse in tono stanco. Aveva dormito per tutta la notte e gran parte della mattina e al suo risveglio era tutto ancora più doloroso del giorno prima. Tuttavia non era affatto confuso sulla sua determinazione. Quella c'era ancora.

“Pensavo che le cose andassero meglio. Ci avevi detto che la pausa vi aveva fatto bene, che eravate amici.”

“Mamma.”

“Sarebbe un tale peccato. Io credo che se aspettassi ancora un po'...”

“Mamma ti prego. Basta.” Jimin implorò.

Suo padre mise una mano sul braccio di sua madre e questo fu abbastanza da farla desistere.

“Andrò io stesso dai Jeon se serve, che mi vogliate rendere le cose semplici o meno.”

“Lo farò io. Non ti preoccupare Jimin, ci penserò io.” Suo padre disse.

“Grazie.”

Jimin rispose, scrollando le spalle esausto come non lo era mai stato.

“Jimin, so che sei un adulto e so che non avresti preso questa decisione alla leggera, ma ti ho visto felice. Credevo che Jungkook ti rendesse felice, allora perchè questo?”

Jimin chiuse gli occhi.

“Perché voglio che lui lo sia.”

Un silenzio greve segui le sue parole.

“Voi non sapete com'è. Lo so che non è colpa vostra e io non ve ne ho mai fatto una colpa. Ma voi non sapete com'è. Com'è alzarsi al mattino e dover trovare una ragione per vivere in se stessi, con la consapevolezza che se non lo facciamo nessun altro lo farà per noi. Voi non sapete cos'è amare da numero zero. Perché non è l'amare che ci uccide ma è il perdere questo amore che lo fa. Quindi anche se vi sembra incomprensibile che qualcuno possa voler affrontare questo mondo sulle sue sole gambe voi dovete sforzarvi di accettarlo. Ci sono numeri zero che pur con le loro incertezze, le loro paure e le loro fragilità vogliono comunque affrontare il peso della solitudine da soli, con tutto l'orgoglio di cui sono capaci. E se Jungkook vuole questo non sarò certo io a negarglielo. Anche se lo amo. Anzi soprattutto perché è così.”

Non piangere. Non piangere, si disse stringendo gli occhi.

Sentì la mano di sua madre, una carezza sulla sua guancia umida.


 


 

Due ore dopo Jungkook scese dal terzo bus di quella giornata con il borsone e senza più un quattrino addosso ma finalmente a destinazione.

L'autista gli aveva assicurato che la via che cercava era a cento metri, proprio dietro quell'angolo e Jungkook pregò tutte le divinità in cielo che fosse così.

La sua determinazione non era scalfita, sperava solo di non dover davvero mantenere fede alla sua promessa di battere quella città strada per strada, più che altro perché nel frattempo Jimin avrebbe fatto in tempo ad andarsene.

Coprì gli ultimi stramaledetti centro metri con una corsetta leggera. Gli dolevano le gambe ma l'idea di vedere Jimin gli restituiva un po' di energia.

C'era una casa graziosa in fondo alla via, con le finestre blu e un giardino, a pochi passi dal mare. Jungkook controllò il numero civico. Si era la casa giusta. Col cuore che gli martellava in gola percorse il vialetto e gli ultimi passi che lo separavano dal suo hyung.


 


 

Era come se avesse di nuovo diciott'anni e lui fosse rinchiuso in camera sua a raccogliere i cocci di se stesso mentre i suoi confabulavano sul da farsi. Solo che di anni ne erano passati parecchi tuttavia sembrava che la sua vita dovesse ripetersi a cicli continui. No. Jungkook era diverso. Forse era per quello che faceva così male.

Jimin aprì la porta della camera degli ospiti, incerto sul da farsi.

“Non capisco, i Jeon suonavano furiosi al telefono.”

Riuscì a sentire Jimin.

“Cosa hanno detto?” Chiese sua madre preoccupata.

“Hanno acconsentito a disfare l'accordo, senza battere ciglio. Ma non credo mi stessero nemmeno ascoltando. A quante pare non hanno notizie di Jungkook da due giorni. Tutto ciò è preoccupante.”

Jimin rimase congelato sull'uscio. Era dunque così facile, era bastata una chiamata ai Jeon per mettere una parola fine? E cosa voleva dire che Jungkook era scomparso?

Lui l'aveva respinto, non aveva voluto presentarsi.

Non venire. Quelle parole era tatuate nella sua anima.

Ma era effettivamente andata così? Jimin aveva basato la sua decisione sulle sue passate esperienze a su quanto detto in passato da Jungkook. Eppure ripensandoci, un tempo avrebbe dato il beneficio del dubbio a chiunque e forse era per questo, che sulla base di ferite passate, non l'aveva dato a lui.

Per la prima volta Jimin dubitò della giustezza delle sue azioni. Forse c'era un motivo, uno stramaledettismo motivo su un milione in grado di spiegare tutto ma Jimin aveva scelto di ignorarlo. Si mise le mani davanti alla bocca per non urlare. Tornò marciando in camera da letto, non badando se la porta si fosse chiusa alle sue spalle o meno. Cercò freneticamente nella sua valigia finchè infine non lo trovò. Il suo cellulare spento. E allora si bloccò di nuovo. Lo stomaco gli si contorse e una sensazione di vertigini si impossessò di lui. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di accenderlo ma non poteva isolarsi per sempre. Doveva sapere e affrontare anche la delusione che quella speranza riaccesa venisse calpestata.

Strinse il telefono. A volte era una questione di fede.

Si cacciò il cellulare in tasca e uscì in tutta fretta dalla stanza.

“Vado a fare una passeggiata in spiaggia!” Disse passando di corsa per il salotto dove i suoi stavano ancora discutendo sotto voce.

“Jimin aspetta!”

“ A dopo!” rispose. Aveva bisogno di stare da solo, di un posto in cui ci fosse stato solo lui e il mare in modo da poter urlare la sua frustrazione se serviva. Percorse i pochi metri che lo separavano dalla spiaggia e poi una volta che le sue scarpe toccarono la sabbia bianca, iniziò a correre.


 


 


 


 

Ad aprirgli la porta non fu Jimin. Naturalmente. Sarebbe stato troppo semplice. Fu invece una donna di mezza età e Jungkook capì subito chi era perché quegli occhi avrebbe potuto riconoscerli ovunque.

Si trovava di fronte a quella che in un'altra vita avrebbe potuto essere sua suocera.

Jungkook inspirò a fondo.

“Buongiorno signora Park. Cercavo Jimin,” disse il giovane tutto d'un fiato. Si sentiva fremere da capo a piedi. La donna sembrava colta di sorpresa. Ma non sembrava una sorpresa spiacevole.

“Tu devi essere Jungkook.”

“ Ehm si. Mi scusi. Non mi sono neanche presentato.” Jungkook disse. Era un disastro un maledetto disastro ambulante ma si sarebbe fatto perdonare le cattive maniere dopo. Dopo aver parlato con Jimin.

“Purtroppo Jimin non c'è, è uscito un'ora fa per una passeggiata in spiaggia ma non è ancora tornato. Puoi aspettarlo dentro se ti va. Dovrebbe rientrare a breve.”

Jungkook si immobilizzò interdetto. Un altro contrattempo. No, si rifiutava di farsi fermare proprio ora.

“La ringrazio ma...mi saprebbe dire in che direzione è andato?” Chiese.

“Di solito Jimin passeggia vicino al molo, lì della scogliera.”

“Grazie mille!” si sistemò il borsone sull'altra spalla e si apprestò a ripartire.

“Jungkook, aspetta prima devi sapere una cosa.”

“Signora Park mi scusi tanto per le mie maniere ma davvero non posso aspettare.”

“Questo è importante.” Pregò lei in modo gentile.

Jungkook suo malgrado riappoggiò la borsa a terra.

“Se riesce a essere breve le sarò grato in eterno.”


 


 


 


 

C'erano per lo meno una ventina di chiamate perse tra Seokjin, Taehyung, Namjoon e Hoseok.

“Jimin è tutto un malinteso.”

Fu il messaggio che lesse aprendo uno dei tanti messaggi con cui il povero Taehyung lo aveva bombardato. Dopodiché non gli fu più possibile fermarsi, lesse ogni singolo messaggio dal più vecchio al più recente e più leggeva più sentiva un peso posarsi sulle sue spalle.

Aveva sbagliato tutto, aveva sbagliato tutto e aveva mancato di fidarsi di Jungkook nell'unico momento che contava. Non c'era più un legame formale a tenerli insieme cosa sarebbe successo se con la sua precipitosità Jimin avesse compresso il tutto? Non c'era infatti traccia di messaggi o chiamate di Jungkook. Disperato passeggiò avanti indietro lungo il molo.

Jimin si lasciò sfuggire un mezzo urlò. Fidati, non ti sei fidato allora, fallo adesso. Invece di spegnere il telefono come la sua paura gli suggeriva scorse tutti i messaggi e le chiamate in cerca di qualcosa che potesse avere ignorato. Finché non trovò un avviso di messaggio vocale in segreteria da parte di un numero sconosciuto. Si fermo di botto. Il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli era assordante.

Guardò in alto nel cielo azzurro limpido. Poi guardò di nuovo in basso sul suo cellulare.

Tastò il numero che attivava la segreteria.

“Ciao Jimin, sono Jungkook.”


 


 


 

Jungkook corse a perdifiato verso la spiaggia, le gambe indolenzite per lo stress di quella giornata e di quella prima ancora.

Jimin ha chiesto di aiutarlo ad annullare del tutto l'accordo pre-matrimoniale.

Stupido. Che stupido.

L'ha fatto per te.

Ma certo che quello stupido ha pensato a me in un momento così.

Il vento fresco gli colpiva il volto mentre cercava di raggiungere il più in fretta possibile il molo.

Fa che sia li fa che sia ancora li.


 


 


 

“Come stai? Si lo so, domanda stupida.” La voce di Jungkook suonava tremolante.

“Non mi crederai ma è successo davvero l'impensabile. Hai presente quando vuoi fare qualcosa con tutto te stesso e il mondo intero sembra cospirarti contro? Ecco è successo questo. Quante probabilità c'erano che capitasse proprio a me? Che mi arrestassero per trovarmi nel mezzo di una manifestazione di cui ignoravo completamente l'esistenza? Non so se hai ascoltato i telegiornali o se hai letto qualcuno dei messaggi di Taehyung o Seokjin. Ti avrei scritto io ma nel trambusto naturalmente il mio telefono è caduto da qualche parte e si è rotto.” Jungkook ridacchiò nervoso. Poi segui una pausa. Un sospiro. Jimin trattenne il fiato.

“Mi dispiace Jimin hyung. Se ci ripenso, nonostante il contrattempo non sia stata colpa mia, lo è invece il fatto che tu abbia sentito l'impulso di andartene. Perché avrei dovuto essere più chiaro sui miei sentimenti per te, avrei dovuto mangiarmi le mie paure ed essere sincero, avrei dovuto dirtelo. Avrei davvero dovuto. Non pensare neanche per un momento, neanche per un infinitesimo istante che io non mi sia presentato di mia volontà. Hanno dovuto arrestarmi per impedirmi di farlo.” Disse la voce di Jungkook agitata.

“Sono qui in stazione, sto per prendere un treno che mi porterà a casa dei tuoi genitori e anche se tu non dovessi mai ascoltare questo mio messaggio spero mi darai comunque la possibilità di dirti, di ripeterti di persona quello che io provo per te. Perchè ti amo. Ti amo. Ti amo.”


 


 


 

Finalmente Jungkook intravide una figura nella foschia, in piedi sul molo vicino agli scogli. Il vento gli scompigliava i capelli mentre guardava il mare, il telefono premuto sull'orecchio destro. Non si rese conto di aver rallentato fino a che non si trovò a pochi passi da Jimin.

“Hyung.” Jimin si voltò. Il suo labbro inferiore tremava ma non faceva freddo, la brezza marina era calda e piacevole.

“Mi dispiace. Mi dispiace così tanto. Ho pensato... ti sono venuto meno. Ho pensato avessi cambiato idea e allora ho disdetto tutto.”Disse Jimin con una tale disperazione che era insopportabile per Jungkook. Perché ogni sua ferita era come se fosse la sua. Coprì gli ultimi passi che li separavano e prese il suo viso tra le sue mani delicatamente. Jimin smise di tremare.

“Shh. Va tutto bene. Va tutto bene.”

“Mi dispiace.” Jungkook premette le sue labbra sulla punta del suo naso, il che zittì ogni parola che Jimin aveva pensato di dire.

“Grazie. Per aver pensato a me anche in questo momento, per pensare a me sempre. Per non aver mai calpestato i miei desideri anche a costo di calpestare i tuoi.” Jungkook allora premette dolcemente le sue labbra sulle sue. Si era così, era così che doveva andare. Riaprì gli occhi per guardare Jimin nei suoi, per essere sicuro che avrebbe capito una volta per tutte.

E no, non faceva affatto paura.

Amare.

“Ti amo. Non mi importa se siamo numeri zero, della mia famiglia, del matrimonio o di quel fottutissimo referendum. Voglio stare con te. Ed ora che siamo liberi, tutti i giorni che passeremo insieme sarà perché l'abbiamo scelto.”

“Io...” Sentì le mani di Jimin stringere le sua maglia e vide la sua espressione rompersi e poi si sentì scivolare in avanti le labbra del maggiore ad attenderlo.

Senti le dita dell'altro intrecciarsi tra le sue ciocche di capelli e il suo corpo vicino. Il più vicino possibile. E si baciarono, una volta. Grazie. Due volte. Ti amo. Tre volte e poi contare non servì più. Era possibile sorridere in un bacio. Si lo era.


 

C'era un volta in cui anima gemella non voleva dire numero due.


 

“Torniamo indietro,” Jungkook disse. Jimin sorrise annuendo, offrì la mano al più giovane che l'afferro, sorridendo a sua volta alla vista delle loro dita intrecciate.

Erano due numeri zero, erano due persone che passeggiavano insieme lungo la spiaggia e si amavano.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Epilogo


 


 

Jimin lesse l'ultimo documento per quella giornata e sospirò esausto.

“Jimin hai finito? Se hai finito vieni qui a darmi una mano così possiamo andare a casa.”Seokjin chiamò da un'altra stanza. Jimin scrollò le spalle ma non poteva sottrarsi, dopotutto Seokjin era il suo capo. Se fosse rimasto invece solo il suo migliore amico non avrebbe esitato a lasciarlo lì.

Con un sospiro e sbottonandosi i primi bottoni della sua camicia, andò nell'altra stanza.

L'ufficio di Jin era come sempre impeccabile. I documenti era ordinati ed etichettati per bene sulla scrivania, le penne riposte nei loro porta matite, il computer spento e i cd musicali perfettamente in ordine sugli scaffali anche se Jimin sapeva che Seokjin li ascoltava ogni giorno. Parlando di Seokjin, in quel momento il suo miglior amico sembrava intento nell'impresa di appendere un quadro, a giudicare da martello, chiodi e cornice.

“Ecco vieni qui tienimi fermo il livellatore mentre io cerco di marcare i punti per appenderlo. L'ho trovato stamattina in soffitta e come l'ho visto ho voluto appenderlo qui nel posto che gli spetta.” Jimin annuì internamente sollevato che si trattasse di un compito semplice. Era stanco e affamato e avevano lavorato sodo per ore senza fermarsi. Voleva tornare a casa e rilassarsi prima del suo appuntamento serale.

Osservò Seokjin che, dopo aver segnato i punti, con tutta la calma del mondo procedeva a battere due chiodi nella parete con la maestria di uno che è pratico del mestiere. Jimin si disse che, in effetti, considerando la capacità di Namjoon di farsi male anche con un coltello di plastica, era molto probabile che a casa fosse lui quello che si accollava questi lavori.

“Fatto. Passami la cornice che è sulla scrivania per favore.” Jimin si diresse in quella direzione e quando infine vide il soggetto dentro la cornice, trattenne il fiato.

La foto era stata scattata con una macchina di Seokjin e risaliva a un anno prima o giù di lì, il giorno in cui avevano preso la decisione che aveva cambiato la loro la vita.

“Voglio aprire un centro mio.” Seokjin se ne era uscito un giorno durante uno dei loro pranzi settimanali. La sua relazione con Jungkook si era stabilizzata da qualche mese e Jimin cercava ancora di bilanciare in modo equo lavoro, ragazzo e amici, cosa non sempre facile visto che di amici ora ne aveva il doppio e sia Hoseok che Taehyung pretendevano la sua presenza. Soprattutto cercare di bilanciare il suo tempo con Jungkook era difficile. Jimin avrebbe voluto trascorrere ogni momento con lui ma questi invece era nel pieno fervore della stesura della sua tesi.

“Se vuoi vederlo di più andate a vivere assieme,” aveva suggerito qualche giorno prima Taehyung. A Jimin era quasi andata di traverso l'acqua che stava bevendo. Era attraente come pensiero ma era tutto nuovo per entrambi e lui non voleva bruciare le tappe.

In ogni caso suggerimenti selvaggi di Taehyung a parte Jimin era soddisfatto di essere riuscito a ripartire bene il suo tempo e che la sua routine con Seokjin, ad esempio, fosse rimasta intatta.

“Wow.” Jimin rispose alla dichiarazione di Seokjin. Abbassò la forchetta per bere un bicchiere d'acqua. Il suo amico si stava mordendo il labbro.

“Il direttore del circolo è da anni che vuole ritirarsi ma siccome non ha mai trovato nessuno che lo sostituisse, ha sempre rimandato. Un mese fa mi ha chiesto se per caso poteva interessarmi la posizione. Ci penso da allora.” Seokjin si fermò un attimo, incerto, quasi temendo che il suo amico gli dicesse che era pazzo ma Jimin gli fece cenno di continuare.

“Ho elaborato alcune nuove idee e mi sono informato al riguardo. Con la nuova aria che tira in politica questo sembra un momento favorevole per i centri culturali come il nostro. Parlandone con Namjoon abbiamo sempre discusso su quanto fosse uno spreco di talento che le arti liberali fossero a esclusiva dei numeri due e quanto sarebbe stato bello poter fare qualcosa a riguardo. Il centro potrebbe essere un'ottima fucina di talenti dopotutto, mancherebbe solo qualcuno disposto a dare a questi giovani talenti il modo di poter proseguire la loro carriera. Penso sia per questo che dopo aver sentito la proposta che mi avevano fatto, Namjoon ha deciso di creare una sua etichetta indipendente.” Seokjin disse come se stesse commentando le notizie meteorologiche.

A Jimin andò di traverso l'acqua.

“Lui cosa?”

“Si beh è da un po' che ci pensava in realtà, è sempre stato un suo sogno. Tra la sua carriera e la mia i soldi certo non ci mancano ed entrambi abbiamo agganci per fare in modo che sia il suo progetto che il mio siano possibili. Ma affinchè il progetto vada avanti non posso fare tutto da solo, io sono un fotografo e non conosco nulla di danza o canto o strumenti, non come Namjoon e lui certo non può occuparsi del centro se deve pensare alla sua etichetta discografica. Ecco perchè pensavo di chiederti di darmi una mano.” Se non si era soffocato prima Jimin pensò che fosse legittimo se succedeva in quel momento e così accadde. Seokjin passò il successivo quarto d'ora a dargli pacche sulla schiena.

Era iniziato tutto così, due parole scambiate a un pranzo con il suo migliore amico e un ci penserò. Prima che se ne rendesse conto le cose si erano messe in moto. Dopo qualche settimana di tira e molla e un intervento di Jungkook che sembrava quello più entusiasta di tutti, alla fine Jimin aveva ceduto, nonostante l'idea di lasciare il suo lavoro e imbarcarsi in un nuova avventura lo terrificasse. Seokjin tuttavia non aveva voluto che lui sborsasse un centesimo, nonostante le proteste di Jimin. “Sei un mio dipendente ora,” aveva detto e aveva chiuso il discorso. Venne fuori che lui e Namjoon avevano davvero pensato a tutto. Avevano parlato del progetto con tutti quelli che lavoravano nel centro, con il vecchio direttore, con dei commercialisti di fiducia e avevano sondato le acque per capire l'ammontare di documenti necessari e fare una stima del budget. Nel frattempo Namjoon si era dato da fare per conto suo per stabilire la sua etichetta indipendente. Sorprendentemente ma forse neanche troppo ad aiutarlo fu ancora una volta Yoongi.

Il fatto che questi fosse più meno indirettamente coinvolto da un punto di vista finanziario era qualcosa che metteva a disagio Jimin e rendeva infelice Jungkook.

“Yoongi non ha niente a che fare con il centro. Ne con il progetto di Namjoon.” Jimin aveva cercato di rassicurare il più giovane. Jungkook aveva grugnito ma non aveva protestato oltre anche se era stato terribilmente territoriale i giorni a seguire, quasi avesse paura che Yoongi sbucasse fuori da un cespuglio. Jimin aveva cercato di convincere Jungkook che non c'era assolutamente bisogno di scortarlo ventiquattr'ore su ventiquattro. Naturalmente il numero zero non aveva ascoltato e infine Jimin l'aveva lasciato fare. Era certo che quando Yoongi aveva saputo del loro progetto e chi era coinvolto aveva cercato di dare loro una mano con i finanziamenti ma persino Namjoon era stato contrario all'idea. Non era stato necessario l'intervento di Jimin per farlo desistere e per fortuna Yoongi alla fine aveva capito, limitandosi a dare loro una mano in termini di networking. Questo Jimin lo poteva accettare ma era contento che il suo coinvolgimento si fosse limitato a quello e a quello soltanto.

Il progetto prese vita e nell'arco di un anno i lavori di restauro e riadattamento del centro erano stati avviati cosi come l'etichetta di Namjoon, che aveva scritturato con successo il suo primo artista, Kim Taehyung.

La notizia aveva scioccato tutti tranne Hoseok.

“Non eri tu che dicevi che la vita di una celebrità avrebbe decurtato il tuo tempo con Hoseok?”

Jungkook aveva chiesto al suo migliore amico irritato. A quanto pareva la cosa era stato fatta in gran segreto e Jungkook era stato tenuto all'oscuro. Anche se gli sguardi da cerbiatto ferito di Hoseok, che continuava a dire che Taehyung gli aveva fatto promettere di mantenere il segreto, un po' lo avevano ammorbidito.

“Da quando Hoseokkie ha iniziato a lavorare come dottore a tutti gli effetti non lo vedo comunque tanto spesso. Ho pensato che l'unica soluzione, affinchè lui possa decidere finalmente i suoi orari di lavoro, è che io guadagno così tanto da potergli comprare una clinica intera tutta per lui."

Taehyung non stava affatto scherzando e, a giudicare dall'enorme sospiro che Hoseok si era lascito sfuggire, questi ne era al corrente. Il sospiro fu seguito da uno scambio di occhiate talmente piene di affetto che Jimin dovette distogliere lo sguardo.

Il debutto di Taehyung fu un successo.

Tuttavia le sorprese non finirono li. Quell'anno Jimin non fu l'unico a ricevere un'offerta di lavoro.

Con i rinnovamenti dei locali e una nuova fila di corsi in programma, il centro avrebbe avuto bisogno di nuovi insegnanti. Jimin stesso si era offerto volontario per accollarsi alcuni corsi ma non era sufficiente, dal momento che doveva occuparsi dell'amministrazione. Fu così che il maestro Lee suggerì di formare un altro insegnante: Jungkook.

“Non posso accettare.” Jungkook aveva detto con la voce strozzata ma Jimin aveva imparato a leggerlo, a capire quando era il vero Jungkook a parlare e quando invece erano le sue paure a farlo. Jimin allora lo aveva abbracciato stretto perché era quello di cui l'altro aveva bisogno di cui aveva sempre avuto bisogno. Il forte e impavido Jungkook aveva affrontato tante cose nella sua vita senza ricevere abbastanza abbracci nell'opinione di Jimin e quindi lui si era ripromesso di ricoprirlo di affetto a ogni occasione.

“Sarai bravissimo, ”gli aveva sussurrato.

Il maggiore sapeva cosa voleva dire avere un sogno, una passione e dover seppellire questa a malincuore ma con dovere, perchè era una passione senza futuro. Abbandonare la danza era stato un lutto, uno con cui aveva dovuto fare i conti per anni e sapeva che per Jungkook era stato lo stesso, così come per tutti i numeri zero che avevano dovuto soffocare la loro sete di arte.

Perciò non avrebbe permesso che il suo ragazzo non approfittasse dell'opportunità perché se c'era qualcuno che si meritava di vivere questo sogno era lui.

Seokjin lo tolse alle sue reminiscenze prendendogli la cornice di mano e appendendo il quadro alla parete.

“Sembra solo ieri quando abbiamo iniziato.”

“Già.” Rispose Jimin un po' commosso.

Era una foto di loro sei, scattata il giorno in cui si erano trovati per festeggiare la riapertura ufficiale del centro. Al centro della foto c'era Seokjin, con la mano sinistra stringeva ancora il foglio di carta che attestava la rifondazione mentre con l'altra stringeva la mano di Namjoon. Di fianco a Namjoon c'era Taehyung con un sorriso a trentadue denti e Hoseok che con un braccio cingeva le sue spalle. Sul lato opposto che sorrideva a Seokjin c'era Jimin, i cui occhi scomparivano per quanto era largo il suo sorriso e li, a tenerlo per la vita, c'era Jungkook che sorrideva di quel suo sorriso fanciullesco che Jimin adorava perchè il più giovane aveva iniziato a farlo solo da quando stavano insieme.

“Siamo tutti un po' spettinati e io sorrido in modo maniacale ma eravamo così belli che ho dovuto incorniciare la foto e appenderla.” Seokjin commentò. Jimin guardò ancora una volta la foto e il suo sguardo si soffermò su Jungkook. Il suo cuore fece una capriola.

“Ce l'abbiamo davvero fatta. Ancora non riesco a crederci.” Jimin disse sospirando.

“E' stata dura ma siamo arrivati lontano e il meglio deve ancora venire e dovremo rimboccarci le maniche. Sono contento di aver intrapreso quest'avventura con tutti voi.” Seokjin disse appoggiando una mano calda sul suo braccio.

“Anche io.” Jimin sorrise.

“Comunque! Che dici, rimani a cena da noi stasera?” Chiese Seokjin tutto entusiasta cambiando argomento. Il suo miglior amico aveva passato i trenta eppure si comportava ancora come un ragazzino.

“Magari un'altra volta.”

“Appuntamento skype?”

“Forse,” Jimin rispose facendogli l'occhiolino.

“Va bene. Ti lascio alla tua serata. Ma promettimi che sabato sera ci sarai!”

“Ma certo! E lasciarvi da soli con Taehyung e Hoseok? Non potrei mai!”

“Non scherzare. Da quando sono tornati dalla luna di miele, non riescono a staccarsi l'uno dall'altro.”

“Meno male che il numero zero sono io.”

“Jimin sono andati insieme in bagno. In bagno. Li ho visti. Non era neanche loro il bagno ma il mio!” Questa volta Jimin scoppiò a ridere.

Qualche mese prima Taehyung aveva chiesto ufficialmente la mano di Hoseok. Come numeri due la loro unione era stata inscritta nel registro delle anime gemelle, ma non avevano mai festeggiato il loro legame, le cerimonie di matrimonio erano più cose da persone estremamente ricche o da politici, come i consoli e i loro figli o le alte cariche del senato. Nel loro mondo la gente normale, persino i numeri due, non si sposavano più con una cerimonia, perchè il concetto di "Lo voglio" era sfalsato. Taehyung aveva mandato all'aria gli stereotipi e aveva organizzato una festa degna dell'erede dei Kim o dei Park. Dopodiché appena Hoseok era riuscito ad ottenere finalmente delle vacanze, Taehyung aveva rapito il suo numero uno e lo aveva portato in qualche isola esotica in mezzo all'oceano. Sembrava non ci fossero limiti ai livelli di ridicolo che il loro amore poteva sfiorare. Jimin scosse la testa bonario, al pensiero di quei due. Dopo aver infine salutato Seokjin, tornò nel suo ufficio a prendere le sue cose e si incamminò quindi verso casa. Era una bella serata e Jimin era contento di aver lasciato la macchina in garage e di aver deciso di spostarsi invece a piedi. Il suo nuovo posto di lavoro infatti si trovava più vicino a casa sua rispetto al suo vecchio lavoro in ufficio, una dei tanti aspetti positivi di questa nuova vita.


 

A metà strada però fu interrotto dallo squillare del suo telefono.

Una video chiamata. Un sorriso gli si stampò automaticamente in faccia mentre si infilava gli auricolari per ascoltare la chiamata.

“I nostro capo squadra è uno schiavista.” Disse la voce di Jungkook non appena Jimin ebbe premuto il pulsante di accettazione di chiamata.

Jimin scoppiò a ridere. “Ciao anche a te!”

“Oh si ciao. Scusa hyung. Ma il mio capo squadra è davvero uno schiavista mi fa quasi rimpiangere il buon vecchio maestro Lee. Stiamo lavorando da quattro ore senza pause. Credo che i miei polpacci non saranno mai più gli stessi.”

“Ti rendi contro vero che puoi smettere di chiamarlo maestro ora che tu e Seunghyun hyung siete colleghi.”

“Come no. Se provo a chiamarlo per nome è capace di prendere un aereo solo per prendermi a calci.”

“A me lo lascia fare.”

“E' perchè tecnicamente tu sei il suo capo.”

“Bugia è perchè dice che io sono più divertente di te."

Jungkook lo guardò storto dallo schermo mentre Jimin sorrideva trionfante. Nonostante le sue lamentele il più giovane appariva contento e in ottima salute.

“Ho deciso, non ti chiamo più.”

“Ti mancherei dopo neanche due giorni.”Jimin lo prese in giro.

“Purtroppo è vero.” Jungkook rispose scuotendo la testa. Poi disse. “E' dura qui senza di te.”

“Ancora altri sei mesi.” Jimin rispose cercando di essere incoraggiante anche se Jungkook mancava terribilmente anche a lui.

Quando Jungkook aveva accettato di fare del ballo la sua carriera non aveva immaginato che un giorno quello che doveva essere un lavoro da insegnante lo avrebbe portato all'estero. Tuttavia qualche mese prima grazie a un video che il maestro Lee aveva mandato a dei suoi amici oltre oceano, a Jungkook era stato proposto un posto in un famoso team di ballo che seguiva tournée di concerti di altri artisti. Era un'ottima opportunità in termini di carriera e Jimin aveva insistito affinchè Jungkook non si facesse problemi e accettasse anche se avrebbe voluto dire stare lontani mesi o forse un anno. Il più giovane era stato riluttante, per una serie di motivi dal fatto di dover lasciare il suo compagno al fatto che avrebbe dovuto mettere temporaneamente in pausa il suo lavoro da insegnante. “Pensa alle cose che potrai insegnare dopo.” Aveva detto Jimin. La verità era che sia lui che il maestro Lee nutrivano un'altra speranza. Un'esperienza come quella avrebbe potuto avvicinare Jungkook al mondo delle performance e perchè no magari anche all'essere coinvolto un domani nelle attività delle nuova etichetta di Namjoon. Jimin non sapeva se sarebbe stato possibile, se i tempi fossero propizi ma Jungkook era ancora giovane, aveva venticinque anni e lui desiderava davvero che il suo compagno riuscisse ad arrivare lontano, anche se significa privarsi della sua compagnia per un po'.

La loro relazione durava da due anni ed erano stati due anni meravigliosi. Non avevano mai ufficializzato il loro rapporto, non c'era un foglio di carta ad attestare la loro unione e probabilmente non ci sarebbe mai stato. Ma a loro non importava che il mondo li considerasse due anime sole. Loro sapevano che ogni giorno che avevano trascorso insieme era stata una nuova promessa per il domani.

“Non vedo l'ora. Non hai idea di quanto mi manchi tutto.”

“Io soprattutto immagino.”

“Anche. Ma ammetto che mi manca di più la cucina di casa.” Fu il turno di Jungkook di scoppiare a ridere dopo aver visto l'espressione oltraggiata di Jimin.

“Scherzavo, scherzavo!” Jimin vide il più giovane alzare le mani in segno di resa.

“Comunque hyung ti ho chiamato ora perché non so se riuscirò a farlo più tardi. Spero di si ma con lo schiavista del mio capo squadra non puoi mai sapere.”

“Tranquillo. Tu lavora e fai del tuo meglio.”

“Mi manchi hyung. Davvero.” Jungkook disse.

“Anche tu.” Jimin rispose con un sospiro. Gli mancava, gli mancava un sacco. Ma era per una buona causa.

Jungkook sospirò a sua volta.

“Mi tocca andare hyung. Spero di riuscire a chiamarti anche dopo.”

“Certo. Non preoccuparti.”

Jungkook sorrise.

“A dopo!

“A dopo.”

La video chiamata si concluse.

C'erano stati momenti in quei due anni trascorsi insieme in cui le loro vecchie paure era tornate ad affacciarsi, la paura di Jungkook di non essere abbastanza, quella di Jimin di essere abbandonato, ma ogni volta riuscivano a trovare la strada del ritorno. Non erano perfetti, non era i due pezzi di un insieme nati per combaciare, erano solo due persone che si amavano e per questo ce la mettevano tutta. Aveva sempre pensato che l'amore da solo non sarebbe mai bastato a pulire le circostanze, eppure quando guardava Jungkook, la sua mano stretta nella sua, a Jimin piaceva credere che forse aveva trovato l'unica persona con cui renderlo possibile.

Si mise il cellulare in tasca e conitnuò a camminare. Lungo la via verso casa vide un supermercato e fu colto da un pensiero improvviso.

Entrò nell'edificio, oltrepassando il reparto frutta in tutta fretta e andando verso il reparto delle paste.

Gli scaffali erano pieni di confezioni doppie scontate e per una volta Jimin fu contento di ciò. Riempì il carrello allegramente con quello che preferiva Jungkook, dopodiché si diresse alla cassa.

La cassiera gli rivolse un sorriso radioso.

“Quante confezioni!” Commentò allegramente. Jimin si grattò la testa imbarazzato.

“Ah il mio ragazzo è all'estero e gli manca il cibo di casa e così ho deciso d'inviargliene un po'.”

La cassiera gli rivolse un altro sorriso radioso da numero due e dopo avergli dato lo scontrino, e aver osservato per un attimo Jimin che metteva i pacchi dentro uno degli scatoloni vuoti lasciati in cassa, disse.

“La tua anima gemella è una persona fortunata.”

L'esitazione fu appena visibile nei movimenti di Jimin che cercò di riprendersi in fretta. Mise dentro la scatola l'ultimo pacco di noodles e poi senza potersi trattenere rispose.

“Ti ringrazio. Farò in modo di dirlo al mio numero zero.” E senza mai smettere di sorridere uscì dal super mercato.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

“Namjoon! Stanno per uscire le nuove proiezioni sui dati reali, presto!” Disse Seokjin mentre soffocava un cuscino tra le sue braccia. Ripensandoci forse avrebbe dovuto fare come Jimin e Jungkook, rapire il suo numero uno e portarlo in un posto romantico lontano da tutto e da tutti invece di torturarsi nell'attesa. Magari non a guardare le stelle in mezzo a un prato boscoso. Conoscendo la loro fortuna Namjoon sarebbe riuscito a storcersi un piede scendendo dall'auto. Tuttavia persino quell'opzione ora appariva migliore che l'idea di rimanere attaccato alla televisione sperando che andasse tutto bene. Il suo cellulare vibrò con ennesimo messaggio di Hoseok e Taehyung che condividevano il loro stress per via telematica.

Seokjin strinse più forte il cuscino.

Namjoon finalmente fece la sua comparsa in salotto, i capelli ancora umidi e le guance arrossate dal vapore della doccia.

“Sono uscite?”

“E' una questione di minuti!” Rispose il maggiore. Namjoon si lasciò cadere accanto a lui sul divano.

“Andrà tutto bene. Abbi fede,” disse sereno. Come facesse a rimanere così calmo era un mistero ma in qualche modo il suo tono tranquillo riuscì nell'intento di alleviare po' della tensione di Seokjin. Quest'ultimo decise quindi di sbarazzarsi del cuscino e stringere invece Namjoon.

“Lo sai vero che mi stai stritolando.”

“Stai zitto.” Seokjin disse, scoccandogli un bacio sulla guancia a mo' di scusa. Namjoon rise.

Sul televisore apparve una nuova schermata, un secondo dopo il telefono iniziò a squillare.

Seokjin quasi singhiozzò.


 

“Da quando in qua tu conosci le costellazioni?” Jimin disse dando una leggera gomitata al fianco di Jungkook quando questi lo corresse sulla posizione giusta della stella polare. Non era colpa sua se la sua conoscenza in merito fosse tanto profonda da scambiare un satellite per una stella cadente. Mica tutti erano Jeon Jungkook a quanto pare ex professore di astronomia in un'altra vita.

“Quando passi tanto tempo con Taehyung impari anche queste cose. Se ti fa stare meglio so svariati trucchi di prestigio che includono carte e fazzoletti, so fare i nodi alle barche e so perfino tessere a maglia.” Jungkook rispose arrossendo leggermente a quell'ultima ammissione.

Jimin rise rotolandosi sul lenzuolo che avevano steso sul prato.

Fu il turno di Jungkook di dargli una gomitata.

“Sei solo invidioso della mia eccezionalità,” disse Jungkook.

Jimin rise più forte.

Jungkook lo guardò storto o almeno così dedusse Jimin. Per poter vedere meglio le stelle avevano lasciato accesa solo la candela di citronella contro le zanzare.

“Niente broncio dai.” Jimin disse alzandosi un po' e sporgendosi su un semi sdraiato Jungkook. Gli piantò un bacio sulle labbra, che ben presto si trasformò in un bacio vero. Entrambi sospirarono.

Jungkook si lasciò cadere di nuovo sul lenzuolo e Jimin lo segui, posando la sua testa sulla spalla e cingendolo con un braccio. Il più giovane lo abbraccio a sua volta.

“Grazie per avermi portato qui.” Jimin disse dopo un po'.

“Non avrei sopportato di rimanere a casa e vederti camminare su e giù per il tuo salotto. Così è molto meglio.” Jungkook rispose stringendo la presa sul corpo del maggiore.

“ Decisamente,” Jimin rispose, posando un leggero bacio sulla clavicola dell'altro.

Jungkook rispose con un bacio sulla sua fronte.

“Lo sai vero che non cambia niente. Non cambia nulla di quello che provo per te, che vinca il si o il no.”

“Lo so.” Jimin rispose.

“Ti amo.

“Ti amo anche io.”

Sempre.


 

Seokjin saltò sul divano e persino Namjoon, che aveva ostentato tanto sicurezza, lo seguì a ruota.

Il suo cellulare squillava ancora ma Seokjin lo ignorò, avrebbe richiamato Hoseok più tardi. Guardò il suo numero uno che gli sorrideva, quel sorriso con le fossette che Seokjin aveva amato sin dal primo momento.

Forse il mondo era davvero pronto a cambiare.


 

39 % Si.


 

61% No.


 

   
 
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