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Autore: Stella Dark Star    17/12/2016    1 recensioni
Delfina, figlia del banchiere Andrea de' Pazzi, ha solo quindici anni e nessuna vita sociale quando viene incaricata dal padre di entrare nelle grazie di Rinaldo degli Albizzi per scoprire ogni suo segreto e sapere in anticipo ogni mossa che farà in campo politico. Lei accetta con riluttanza la missione, ma ancora non sa che il destino ha in serbo per lei molto di più. Quella che doveva essere una semplice e innocente conoscenza, diventa ben presto un'appassionata storia d'amore in cui non mancano gelosie, sofferenze e punizioni. Nonostante possa contare sull'aiuto della madre Caterina (donna dal doppio volto) e della fedele serva Isabella (innamorata senza speranze di Ormanno), Delfina si ritroverà lei stessa vittima dell'inganno architettato da suo padre e vedrà i propri sogni frantumarsi uno dopo l'altro.
PS: se volete un lieto fine per i protagonisti, non dimenticate di leggere il Finale Alternativo che ho aggiunto!
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Andrea&Lucrezia - Folle amore (da Pazzi, proprio!)" per vivere assieme ai protagonisti un amore impossibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo diciassette
Parole amare di bocca in bocca
 
Erano trascorse tre settimane da quando avevo dato alla luce Levante. L’autunno era ormai alle porte e noi dovevamo tornare a Firenze prima che le sue dita fredde ci toccassero.  Soprattutto, dovevamo portare i bambini in un luogo caldo e confortevole.
Il viaggio in carrozza mi parve molto più lungo di quanto non fosse, la tensione che aleggiava tra me, Isabella e mia madre, si poteva quasi toccare. Non parlammo gran che. Nella mia mente mi chiesi più volte come sarebbe stato l’incontro con mio padre. In sei mesi di lontananza non mi aveva mai scritto, né aveva inviato doni o messaggi verbali. Non mi amava più, dunque?
Quando la carrozza cominciò a risalire la collina verso Firenze, aprii uno spiraglio della cortina per vedere il paesaggio, sperando che la vista dei luoghi dove ero nata e cresciuta mi avrebbe donato un po’ di calore al cuore. Mi sentivo cambiata. Ero cambiata.
Nell’entrare in città notai con grande tristezza che molte cose erano cambiate anche lì, che le strade erano disseminate di mendicanti, che il sudiciume impregnava il terreno e l’aria fino a togliere il respiro. E soprattutto, molto spesso vidi passare dei mercenari.
“Che cosa è successo alla nostra bella città?” Chiesi di getto, come se mia madre fosse rimasta lì tutto il tempo invece che con noi nelle campagne.
Mosse lo sguardo vuoto verso di me e rispose stizzita: “Dovresti chiederlo al tuo bel Rinaldo.”
Sapevo che lei era rimasta in contatto con mio padre, perciò doveva essere a conoscenza di ciò che stava accadendo. Possibile che quello stato di degrado fosse dovuto alla presa di potere di Rinaldo?
La carrozza entrò nel cortile di Palazzo de’ Pazzi, il rumore del portone che si chiuse subito dopo il nostro passaggio mi procurò un fremito. Fui la prima a scendere dalla carrozza, aiutata da un valletto che si offrì di tenere Levante fino a quando non misi piede a terra. Recuperato il mio bambino, d’istinto lo strinsi a me per proteggerlo, mentre con lo sguardo percorrevo la facciata del palazzo come se fosse stata la dimora di un nemico invece che la mia casa.
Entrai e mi calai il velo all’indietro. Il mio piccolino si mosse nel sonno, allora lo cullai un poco. La mia intenzione era di recarmi subito alle mie stanze per riposare e prepararmi spiritualmente all’incontro con mio padre, ma quel giorno il destino decise in modo differente…
“Delfina.”
Mi fermai all’istante e voltai lo sguardo verso la sala da giorno. Mio padre era là con un calice di vino tra le dita, lo sguardo indecifrabile. Alle mie spalle arrivarono Isabella e mia madre ma, non appena si accorsero della presenza di mio padre, mia madre mise una mano sulla spalla di lei in un tacito invito a proseguire. Era il mio momento.
Un passo dopo l’altro, sguardo fisso su di lui, entrai nella sala.
“Padre.”
Lui abbozzò un mezzo sorriso: “Ti trovo bene. Forse un po’ in carne, ma devo dire che ti dona.”
“Non mi hai scritto nemmeno una volta.” Buttai fuori, arrivando subito al punto.
Lui prese respiro e si mosse per posare il calice sul ripiano di un mobile: “Vero. Ero in collera con te. Ma tua madre mi ha tenuto informato regolarmente sulla tua salute. Dopotutto, sei sempre mia figlia.”
Levante si mosse ancora tra le mie braccia ed emise un gemito di lamento. Mio padre allungò lo sguardo, con quella curiosità che va oltre ogni cosa.
“Vuoi…vedere tuo nipote?” Proposi, senza troppe cerimonie.
Mio nipote…” Pronunciò quelle parole sospirando, ma non seppi decifrare se si trattava di emozione o di preoccupazione. Si avvicinò e scrutò attentamente la creatura che si muoveva sempre più agitata tra le mie braccia. Distolse lo sguardo all’improvviso, i suoi tratti s’indurirono: “Avresti potuto avere la decenza di farlo a immagine dei Pazzi. Si vede a colpo d’occhio che è un bastardo di Albizzi.”
Non potevo credere alle mie orecchie! Era la prima volta che vedeva suo nipote e l’unica cosa che sapeva dire era un commento sprezzante? Risposi per le rime: “Preferisco abbia le sembianze di un uomo che mi ama piuttosto di uno che mi ha cacciata di casa.”
Ridacchiò, dandomi di spalle: “Assieme al marmocchio hai partorito anche il coraggio, noto. Un tempo non avresti mai osato parlarmi in questo modo.”
“Un tempo non avevo una ragione di vita a cui donarmi anima e corpo. Vivevo solo nella speranza di ricevere un po’ del tuo affetto.”
Nonostante la durezza delle mie parole, non era mia intenzione litigare. Ero stanca per il viaggio e avevo un argomento più importante di cui discutere: “Ad ogni modo, Gioia e Levante non sono ancora stati battezzati. Se non desideri che si tenga una cerimonia pubblica, almeno permettimi di parlare con un prete affinché svolga la funzione qui.”
Scosse il capo e parlò con quel tono disinteressato che odiavo: “No. E’ troppo rischioso. Non ho ancora trovato una giustificazione per la presenza di due neonati della mia casa.”
“Hai avuto sei mesi per rifletterci, padre.” Sottolineai amaramente.
Lui mi lanciò un’occhiata severa: “Ho avuto altro a cui pensare, Delfina, credimi. Oltre a te ci sono cose più disastrose che mi danno preoccupazioni.”
“Bene.” Per quanto mi riguardava il colloquio era finito. Feci un cenno di saluto col capo ed uscii dalla sala, accompagnata dai vagiti di Levante che reclamava la sua poppata.
*
Ormanno uscì dalle cucine con passo spedito, in mano una grossa mela che poi si portò alla bocca per addentarla. Subito si passò il dorso della mano sulle labbra per asciugare il succo, mentre la polpa zuccherina gli fece emettere un gemito di apprezzamento. Nello svoltare l’angolo che portava ai piani superiori dove vi erano le stanze private di famiglia, urtò suo padre e per errore gli calpestò un piede.
Rinaldo imprecò: “Ormanno, perché diamine non guardi dove vai?”
Lui si mostrò divertito dalla situazione, ma subito alzò le mani ammettendo la propria colpa: “Hai ragione, ti chiedo perdono, padre.” Si accorse che il padre indossava abiti particolarmente eleganti e gli venne spontanea la domanda: “Stai andando ad un incontro della Signoria? Non sapevo ne avessero organizzato uno per oggi.”
Ancora di malumore per il piede calpestato, Rinaldo rispose brusco: “Che il diavolo si porti la Signoria. No, non vi è nessun incontro. Sto andando a fare visita ad un amico.”
“Un amico? Chi? Di certo lo conosco se vive qui a Firenze.”
“Non è una cosa che ti riguarda.” Lo schivò e riprese a camminare. Ormanno lo seguì e cercò di afferrarlo per un braccio: “Perché non vuoi dirmelo? Che cosa nascond…”
Rinaldo si voltò di scatto e lo aggredì verbalmente: “Mi sembri un innamorato geloso! Quando imparerai a comportati come un uomo serio? Non ti ho cresciuto così.” E con uno strattone si liberò il braccio, per poi riprendere la propria strada di gran carriera.
No, non lo aveva cresciuto così, infatti. Rinaldo degli Albizzi non era mai stato un padre affettuoso. Per quanto lo amasse, e Ormanno sapeva suo padre lo amava, non aveva nessun ricordo di gesti amorevoli nei suoi confronti. Al contrario di sgridate e sculacciate, che invece abbondavano. Era sempre stato severo per forgiare il suo carattere, per farlo crescere forte, per farlo assomigliare a lui. E lui aveva sempre visto suo padre come una roccia impossibile da scalfire. Però tra i suoi insegnamenti vi era anche quello di non sottovalutare mai un avversario, di lottare per scoprire la verità e i punti deboli delle persone.
“E oggi io scoprirò qual è il tuo punto debole, padre.” Lo sguardo fiammeggiante rivolto al corridoio dove il padre era passato per uscire dal palazzo.  Gettò la mela a terra e si diede all’inseguimento.
Fu più facile di quanto potesse sperare, gli bastò camminare stando a pochi passi dietro di lui e rasentando le mura delle case. Lo vide fermarsi di fronte a Palazzo de’ Pazzi.
Rinaldo fece per entrare con sicurezza, ma la guardia di fronte alla porta gli sbarrò l’entrata con la lancia.
“Che significa?” Tuonò lui, di fronte a quel divieto.
“Ordine di Messer Pazzi.”
“E’ uno scherzo, non è vero? Adesso comparirà il tuo padrone con una bottiglia di rosso in mano e si farà una risata?” Disse alterato, gesticolando.
La porta si aprì alle spalle della guardia e comparve appunto il nominato Pazzi, un sorriso di sfida disegnato sulle labbra: “Nessuno scherzo, amico mio. Ma se volete gustare del buon vino, potete tornare domani, sotto mio ufficiale invito.”
Rinaldo ridacchiò amaramente: “Mi piace il vostro giochetto, ma so bene quanto voi che non potete impedirmi di entrare.”
Pazzi sollevò le spalle: “Perché no? Questa è casa mia.”
Facendosi minaccioso, Rinaldo lo afferrò per la giacca e gli ringhiò dritto in faccia: “E’ mio figlio, Andrea. Ho tutto il diritto di vederlo.”
Un fulmine attraversò il cervello di Ormanno e scese fino a colpire in pieno il muscolo palpitante che aveva nel petto. Un dolore insopportabile.
“Avete rovinato il futuro di mia figlia, bastardo che non siete altro.” Rispose Pazzi, stizzito.
“Le darò sempre tutto ciò di cui ha bisogno, non dovrete più preoccuparvi di trovarle un marito.  E quando avrò riconosciuto ufficialmente mio figlio e gli avrò dato il mio nome, lui e Delfina saranno intoccabili. E ora, fatemi entrare, Andrea, o sarò costretto a farlo con la forza.” Le sopracciglia aggrottate, gli occhi che sembravano voler uscire dalla testa e la voce ringhiante. In quel momento Rinaldo sembrava in tutto per tutto un cane rabbioso.
Ormanno aveva sentito abbastanza, non voleva restare lì un minuto di più. Rifece il percorso al contrario per tornare a casa, la mente intorpidita gli faceva perdere l’equilibrio ogni due passi. Più che camminare fluttuò come uno spettro, si aggirò alla cieca per i corridoi con le parole del padre che gli correvano per la mente.
“Ormanno, figlio mio, cosa accade?”
Voltò il capo, si rese conto di trovarsi nelle stanze di sua madre e vide lei venirgli incontro con cipiglio preoccupato. Sentendo le forze mancargli all’improvviso, si lasciò cadere sulle ginocchia. Madonna Alessandra accorse e si chinò su di lui, con le mani a coppa gli sollevò il viso: “Ormanno, ti senti male?”
Finalmente tutte le sensazioni negative uscirono dal suo corpo in una pioggia di lacrime. E con loro uscirono anche le parole: “Tra voi due non vi è proprio niente, dunque? Nemmeno un briciolo di affetto?”
Lo sguardo di sua madre manifestò sorpresa, dato che non avevano mai affrontato quell’argomento. Anche se Alessandra non sapeva il motivo di quel turbamento, decise di rispondere con sincerità: “Il nostro matrimonio fu di convenienza, lo sai. Le nostre famiglie presero gli accordi per questa unione e noi dovemmo obbedire.”
Ormanno singhiozzò: “Quindi… Io non sono altro che un figlio dell’obbligo? Il frutto del dovere coniugale?”
Alessandra premette le dita su quel viso già arrossato dal pianto, guardò il figlio dritto negli occhi: “Ti amo fin dal momento in cui ho saputo che stavi crescendo nel mio ventre. Per me sei tutto, Ormanno.”
“Vorrei… Vorrei che per mio padre fosse lo stesso. Io vivo solo per compiacerlo, sognando che un giorno lui sia fiero di me.”
“Ma lui è già fiero di te! E ti ama incondizionatamente.”
Lui scosse il capo, liberandosi così dal tocco della madre, le lacrime e i singhiozzi non gli davano tregua.
“Madre, perdonami. Non vorrei ferirti ma se non mi libero di questo fardello morirò.”
“Puoi dirmi qualunque cosa, figlio mio.” Lo incoraggiò lei con tono dolce e rassicurante.
Ormanno cercò di prendere respiro e far cessare quel pianto infantile che lo aveva assalito. Deglutì con forza il nodo alla gola che lo opprimeva e scandì le parole al meglio che poté: “Mio padre ha avuto un bastardo da Delfina de’ Pazzi. L’ho sentito dalle sue stesse labbra.”
Madonna Alessandra si rimise in posizione eretta, lo sguardo come perso nel vuoto. Le sue mani tremarono leggermente, perciò le unì in grembo. Sbatté le ciglia e prese respiro, apparentemente più tranquilla: “Non lo sapevo. Sospettavo che tra loro vi fosse qualcosa ma… Non immaginavo che si fossero spinti fino a questo punto.”
“Ora capisci perché sto male? Non solo lui ti ha tradita con quella sgualdrina, ma adesso che hanno avuto un figlio sono certo che darà a lui tutto il suo amore e io non conterò più nulla.” Nuove lacrime presero a scorrere sulle sue guancie, la ferita era troppo profonda.
Ora Alessandra capiva quale fosse il tormento del figlio, si sentiva tradito e abbandonato dal suo stesso padre. Si mise in ginocchio, quindi gli prese gentilmente il capo che poi posò contro i propri seni. Non aveva importanza quanto fosse cresciuto, Ormanno restava sempre il suo bambino e in quel momento aveva bisogno di conforto e di amore materno.
“Anche se quella ragazza gli desse dieci bastardi, non farebbe differenza. Sei tu il suo primogenito e il suo erede. E tu avrai sempre il primo posto nel suo cuore.”
  
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