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Autore: Urban BlackWolf    17/12/2016    2 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Battaglie e rese

 

 

“Posso entrare? - Chiese lasciando il borsone al lato dell'ingresso. - Michiru, ci sei?”

Giovanna andò verso la camera da letto. Restia nell'entrare in case che non conosceva, quasi camminò in punta di piedi. Affacciandosi dallo stipite la vide indaffarata a riempire un volumetrico trolley, ricordandosi che avrebbe dovuto star fuori molto più di lei.

“Scusa se non ti ho aspettata alla porta, ma come vedi sono parecchio indietro...” Rispose la bernese non guardandola nemmeno.

“Figurati... - Con quanta decisione e non cutanea stava facendo i bagagli. - Tutto bene?”

“Certamente...” Sarcasmo allo stato puro ed un altro tuffo verticale fatto fare ad un paio di jeans. Alla piu' grande fu chiaro che quei poveri indumenti stessero interpretando la parodia di un malcapitato sparring partner.

Appoggiandosi meglio allo stipite ed incrociando le braccia al petto Giovanna attese solo una manciata di secondi prima che l'altra esplodesse come un fuoco pirotecnico.

“ Mi sono piegata per lei! Sono scesa a compromessi con la mia coscienza trasformandomi letteralmente in una stronza per lei. Ho unto ruote disgustose per entrare negli archivi del personale per capire chi fosse tuo padre e l'ho fatto per lei. Solo per LEI. Ma questo non è niente se paragonato al venire meno alla parola data, mentendo e deludendo prima di tutto me stessa e poi quella brava persona del Cardinal Berti. - Un'altra maglietta scaraventata dentro il calderone di una rabbia via via crescente - Ho fatto i conti con un senso di colpa talmente pesante da costringermi ad un'insonnia che ultimamente non mi apparteneva più, arrivando a mentirle quotidianamente per giustificare il fatto che non tornassi ancora a casa. Perche' non potevo certo dirle quello che stavo cercando di fare qui! Sono arrivata a torturarmi tra l'esigenza di rimanere, pronta ad incasinarti la vita al momento giusto e la viscerale necessità che sento di starle accanto. Il sapere che è sola mi fa impazzire! Ma ho continuato ad andare avanti verso l'obbiettivo che mi ero imposta ed ora che tutto sembra stare andando per il verso giusto, ora che si poteva tornare a sperare, ora...”

Si fermò e finalmente si girò a guardarla. “Giovanna..., vuole fare la chemio per il trapianto.” E finalmente crollò seduta sul letto arpionandosi la testa con le mani.

Lentamente l'altra liberò le braccia dimenticandole lungo i fianchi. Che cos'è che non voleva fare?!

“Stupida. Stupida. Stupida...” Continuò Michiru sentendosi sull'orlo di una crisi di pianto.

Le lacrime altrui turbavano Giovanna da sempre, regalandole un senso di disagio. Non era certo un animo sensibile il suo, ma cercò comunque di fare del suo meglio. Entrò allora nella stanza accovacciandosi di fronte all'altra e poggiandole le mani sulle ginocchia cercò di essere il più dolce possibile.

“Ascoltami. Io credo che Haruka abbia solo paura. Sono convinta che appena ti vedrà cambierà idea vedrai.”

“No Giovanna. Tu non sai cosa le stia passando per la testa. Non sai quanto possa essere caparbia quando crede di essere dalla parte della ragione.”

“Ma non è dalla parte della ragione...”

“Certo, ma questo lo sappiamo io, tu e il dottor Kurzh. Ma per Haruka la questione è diversa.” Michiru alzò la testa mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso.

“Non ha mai creduto nel trapianto. E' sempre stata scettica anche prima di provarci la prima volta - Sorrise ironica muovendo una mano in aria - E' diventata una pessimista lei! Poche possibilità equivalgono a zero possibilità. Poi, apriti cielo, quando abbiamo scoperto che non sopporta la chemio. Allora strada chiusa. Interrotte tutte le comunicazioni. Su quel fronte Haruka ha deciso di arrendersi.”

Ebbe allora una devastante folgorazione. La sua Ruka si era arresa. Presa dal turbine degli eventi non ci aveva mai pensato. Non aveva capito. La sua compagna aveva smesso di battersi già molto tempo prima, preferendo il limbo di uno stato di torpore fisico che la stava pian piano spegnendo ad un'ultima decisiva battaglia in campo aperto. Tornò a chinare la testa mentre le lacrime bagnavano il dorso delle mani di Giovanna. Non era da Ruka arrendersi. Da quando la conosceva non lo aveva mai fatto.

“No, no, no, Kaiou. Non mi crollerai proprio ora?! Ascoltami! Adesso finisci di fare i bagagli mentre io chiamo un taxi. - Ordinò docilmente controllando l'ora per poi tornare a fissare quello scintillio cobalto. - Tra più o meno quattro ore saremo a Zurigo. Potrai romperle la faccia prima di cena! E se poi le tue argomentazioni non dovessero risultare convincenti..., bhe, c'è sempre l'ultima cartuccia.” Michiru la seguì con lo sguardo mentre si alzava prendendo il cellulare dalla tasca posteriore dei bermuda.

“Se ha paura che il trapianto non funzioni... le dirai chi sono e quante possibilità hanno in più le mie fichissime cellule di far vedere alle sue come si lavora. Forse questo la invoglierà a provarci. Si, ma... prova prima con armi... meno dilanianti e più femminili. Sai... lo scoprire dopo più di trent'anni di avere una sorella è un tantino traumatico.” Giovanna sapeva sempre come sdrammatizzare e a Michiru non rimase che asciugarsi gli occhi, alzarsi e ricomporsi.

“Tutto ok?” E questa volta si sentì nella stanza un si convinto.

"Ti ringrazio Giovanna. E' stato un momento di debolezza. Non era mia intenzione dare spettacolo, scusami."

L'altra sorrise a quella ritrovata compostezza nordica. "Figurati Kaiou, non c'è problema. Ogni tanto fa bene sfogarsi un po'. Coraggio, finisci di massacrare i tuoi poveri vestiti. Io faccio la chiamata." E stava per uscire quando Michiru la blocco' per un braccio.

“Giovanna, perdonami la domanda, ma... hai mai preso un aereo?” Chiese Michiru timidamente mentre la scrutava da capo a piedi inarcando le sopracciglia.

“Aerei? Nooo... Perchè?!”

Maglietta senza maniche, bermuda ed un paio di sandali. Un po' troppo easy per l'aria condizionata di un 747. “Non per criticare il tuo abbigliamento, ma credo che sia il caso che tu ti metta qualcosa di più pesante.”

“Ma fuori fa trenta gradi!” Rispose l’altra componendo il numero del pronto taxi.

“Si, ma in aereo no.” E a quell'espressione persa che un poco le ricordava la sua bionda, a Michiru Kaiou tornò un debole buonumore.

Giovanna si stava rivelando un aiuto prezioso, soprattutto per il suo spiroto. Un aiuto che andava oltre il gesto che stava per compiere.

 

 

“Ma che cazzo stai facendo qui!?” Haruka richiuse lo sportello del box doccia facendo pericolosamente vibrare il cristallo. Nuda come un verme cercò di schiacciarsi tra l'angolo delle due pareti come un ramarro contro un sasso.

“Non si usa più bussare?!” Abbaiò sforzando di ricordarsi dove avesse lasciato l'accappatoio.

“Io ho bussato, sei tu che sei sorda. Tranquilla non ho visto niente ed anche fosse stato, ho due sorelle maggiori, cosa credi!? Conosco come siete fatte voi femmine.” Disse Mattias mettendo su l'aria da ragazzino navigato.

“Si da il caso che io non sia una delle tue sorelle! E poi si dice donne e non femmine! Che cavolo... neanche fossi un'animale.”

“Si, si, va bene. Ora però esci che devo parlarti!" Serissimo continuò a fissare la smerigliatura del pannello vetrato fino a quando Haruka non gli urlò contro una serie d'improperi da scaricatore di porto. Uscito si mise seduto sul letto con il cipiglio di un poliziotto di dogana.

Un paio di minuti e la bionda uscì con l'accappatoio bene allacciato in vita ed un asciugamano in testa. Si guardarono in cagnesco ognuno spinto dalle proprie ragioni.

“Bonzo, cos’è sta genialata?! Da quando in qua si entra nella stanza di una donna in questo modo?”

“Mi sono rotto le palle di questa storia, Haru. Non chiamarmi bonzo!”

Haruka notò quanto fosse nervoso ed abbassando il tiro si sedette sul letto accanto a lui. Magari aveva qualche dolore o forse lei si era dimenticata chissà quale importante appuntamento sul pianerottolo.

“Facciamo così; visto la tua rovinosa caduta a PES di questa mattina, sarò magnanima e non ti darò del bonzo fino a domani, ok? Ora mi vuoi dire perchè ti girano tanto?”

“E' vero che non vuoi fare la chemio per il trapianto?”

Lei bloccò il respiro corrugando la fronte. “Dove l'hai sentita questa?” Chiese pronta a partire in quarta verso lo studio del dottor Kurzh.

“Da un paio d'infermiere. Ne stavano parlando davanti alla macchinetta del caffè. Dicevano che è un miracolo che si sia trovato un altro midollo compatibile in così breve tempo e che sei completamente fuori di testa perché non lo vuoi accettare. Ma si sbagliano..., vero Haru? Tu lo vuoi quel midollo...”

Ora sono diventata anche un argomento di conversazione da coffee break. Che bellezza, si disse digrignando i denti. Quel posto era come un paesello dove ogni pettegolezzo volava veloce di bocca in bocca fino alla novità successiva. Si strinse nelle spalle. Pazienza, tanto prima o poi lo avrebbero saputo tutti.

“Hai sentito bene.” Ammise semplicemente iniziando a strofinarsi i capelli.

Mattias la guardò allora con un misto di incredulità fanciullesca e rabbia. Per lui, ma non solo, quella decisione era completamente illogica. Si alzò togliendosi dalla testa il cappellino della Toro Rosso che la bionda gli aveva regalato.

“Tieni, riprenditelo. Non lo voglio!”

Haruka sbuffo' sinceramente stanca. Prima Kurzh, poi Michiru e adesso quel piccolo scassacacchi. Possibile che con tutto quello che aveva per la testa non la volessero lasciare in pace?!

“E' un regalo ragazzino ed e' maleducazione ridarlo indietro. Ma cosa credi che abbia preso questa decisione a cuor leggero? No, non l'ho fatto! Anche se tutti non fate altro che pensare il contrario!"

Lui rimase un attimo con la visiera stretta in mano poi, rimettendoselo in tesa fece dietro front. “Sai Haru, io ho due genitori e due sorelle e nessuno di loro è compatibile. Ti atteggerai anche a gran figa, ma sei solo una vigliacca. Se i regali si accettano ricordati che anche un midollo lo è!” Ed esprimendo una maturità invidiabile per un ragazzino della sua età, schizzò fuori dalla stanza con la velocità del suono.

“Aspetta... Matty...” Ma era già uscito sbattendo la porta.

Ma che cavolo!, pensò lasciandosi cadere sul letto a braccia aperte sentendosi come il ladrone cattivo sulla croce - E così salgono a tre le persone con le quali ho discusso oggi, due delle quali mi hanno dato della vigliacca!

Compose il numero ed attese. Irraggiungibile.

 

 

Michiru spense il cellulare. Dopo il check-in ed il pat-down di sicurezza erano dirette al gate d'imbarco.

“Neanche un SMS?” Chiese Giovanna riferendosi al silenzio “radar” di Haruka.

“No. La chiamerò da Zurigo. Ci metteremo si e no un'ora e trenta. Arriveremo che avrà già cenato. Spero che per allora sarà diventata... più docile.”

“Hai deciso dove andremo prima? In clinica o dai Cappuccini?”

“Non lo so, vediamo a che ora riusciremo ad uscire dall'aeroporto. Se dovessimo portare ritardo non voglio scombussolare la vita del convento. Haruka aspetterà domani.”

Giovanna strinse le labbra tornando a studiare la carta d'imbarco. Quelle due dovevano essersele dette proprio di santa ragione.

 

 

Zurigo non era poi tanto diversa da una qualsiasi grande città del nord Italia; lavorativa, frenetica e pulsante di vita. Solo lo stile nordico di molti palazzi e la loro colorazione grigia dettavano la differenza tra due culture gemelle, ma estremamente distanti. Quello che stupiva una Giò sempre più attenta ai particolari, era la pulizia delle strade, le aiuole fin troppo fiorite e l'impalcato curato degli alberi ai lati delle strade. Nulla a che vedere con il lordume che si poteva vedere ultimamente nelle strade della sua Roma, il dissesto dei suoi marciapiedi o il capitozzamento ignorante dei suoi platani.

Una volta salite sul taxi l'occhio d'architetto aveva iniziato a macinare informazioni su informazioni, alleviando secondo dopo secondo, il senso d'ansia che l'aveva assalita una volta arrivate in terra elvetica. Giovanna comparava quelle strutture architettoniche e quei decori urbani con una velocità impressionante, tirando poi le somme e godendo o soffrendo per l'uno o l'altro risultato. Per una persona nata a Roma era sempre difficile non fare paragoni con quella che a suo dire era la città più bella del mondo, ma a lei era stata da tempo portata via quel tipo d'innocenza e su quel punto di vista si sentiva abbastanza critica. Però anche se Zurigo era più ”fresca”, inquadrata e discreta, il colore del tramonto che sapeva tingere di sfumature giallo arancioni gli intonaci a calce dei palazzi del centro, il verde selvaggiamente prorompente dei suoi giardini e la seducente caoticità, rendevano Roma ancora la capitale di una grande bellezza.

Michiru sorrise nel vederla tanto intensamente concentrata. Le ricordava le classiche pubblicità natalizie con protagonista un bambino con il naso appiccicato al vetro di una pasticceria. Aveva già avuto modo di vedere quello sguardo. E più di una volta. Riconobbe in lei una Ruka completamente fuori controllo davanti ad una Ferrari di formula 1, esposta ad una fiera per un qualche campionato mondiale. Occhi sgranati, mani serrate sul cordame di velluto che separava gli spettatori dall'auto, respiro lento, sguardo fisso.

Si ricordò di riaccendere il cellulare. Tra il ritiro dei bagagli e la scarpinata per uscire dall'aeroporto non lo aveva ancora fatto. Qualche secondo e la notifica della chiamata di Haruka comparve sul display. Tenne premuto il dito sul comando di richiamata ed attese. Dopo una quindicina di squilli attaccò stizzita.

“ Che tu sappia questa sera ci sono partite di calcio?” Chiese sapendo quanto l’altra fosse estremamente più ferrata di lei in materia.

"Credo di si...”

Michiru allora sospirando pesantemente chiese all'autista di cambiare strada. Sarebbero andate al Convento per presentarsi, riposare e magari mangiare un boccone.

 

 

Haruka stava sognando e quasi se ne stupì. Era da tanto che non le capitava. La lentezza e l'inattività della vita in clinica avevano finito per scombussolarle tutto il bioritmo del sonno, così che alle volte le succedeva di scambiare la notte con il giorno e all'interno di esso, porzioni di tempo passato a sonnecchiare. Di conseguenza anche i suoi sogni, prima vividi ed inondati di una marea di colori, si erano via via fatti più radi, cupi e confusi. Quello però non sembrava uno di essi, anzi.

La bella donna dal viso nordico che le stava sorridendo aveva ripreso a cucire l'ennesimo paio di pantaloni. Non sembrava arrabbiata, anche se un rammendo appariva ormai quasi impossibile. Lo squarcio all'altezza del ginocchio destro era talmente esteso da essere pressoché irrecuperabile. Consapevole che quel paio di calzoni fossero i suoi e che le era stato detto per l'ennesima volta di tenerseli da conto, Haruka guardò la donna andando a sedersi a gambe incrociate sul pavimento di legno accanto alla sedia dov'era seduta.

Le piaceva fermarsi a guardarla mentre lavorava in casa. Era sempre in fabbrica e non aveva tempo per quel cucciolo di tornado che non faceva altro che ridurre a brandelli qualunque cosa si mettesse su.

“Come fai Ruka mia, a non capire che il vestiario costa e che va tenuto bane. Già mi cresci come se non ci fosse un domani, non aggiungere anche la tua frenesia.” Ma le sorrideva anche se lo sguardo era severo, perchè bastava guardare quella ragazzina frutto di un doloroso rapporto ormai terminato da anni, per farle capire che benedizione fosse stata l'averla.

“Non è tutta colpa mia mamma. Ci hanno sfidati quelli della valle, i ragazzi che abitano nelle case a schiera vicino il torrente. Era per una cosa importantissima sai... Il campo dietro l'oratorio. Dove la domenica i più grandi fanno le partite. Erano anche più di noi. Mica potevo tirarmi indietro.”

“La mia ragazzina... Sempre pronta fionda alla mano per conquistare uno spicchio di mondo ed andare più lontano. Almeno hai vinto la tua importantissima battaglia?”

Un sorriso fieramente luminoso ed un cenno di assenso con la zazzera bionda. “ Le battaglie non si combattono mamma..., si vincono!”

“Ed allora battiti e vinci, mia piccola Ruka e fallo con tutta la forza che ancora ti rimane in corpo.”

Dopo quelle parole, improvvisamente Haruka riconobbe le sue mani, il suo corpo ed il suo io di adulta, ma mentre lei era cresciuta improvvisamente tornando quella di sempre, la madre era rimasta la stessa bella donna dai capelli biondi e gli occhi stanchi.

“Ma questa volta sono sola mamma e questa cosa e' tanto più forte di me.”

"Dunque vorresti arrenderti?” Chiese la donna fermando il suo cucire.

”Non lo so mamma. Sono così stanca di lottare. E se questa volta, solo questa volta, lo facessi? Mi giudicheresti anche tu una vigliacca?”

“Sarò sempre dalla tua parte anima mia, ma da quando sei venuta al mondo non ti sei mai tirata indietro di fronte a nulla. Tutto si sistemerà, ma per tornare ad andare lontano, devi riuscire a conquistare il prossimo spicchio di mondo.”

E mentre al viso di sua madre si sovrapponeva a quello del suo personale angelo terreno in quello che stava diventando il suo risveglio, Haruka avvertì sulla guancia il tocco gentile delle dita delle quali aveva sentito tanto la mancanza.

 

 

Michiru si destò con le ossa peste ed un gran mal di testa. Aveva dormito tutta rannicchiata come una lumachina in un lato non precisato del letto ed ora ne subiva tutto l'effetto. Si guardò intorno non riconoscendo in quelle quattro mura nulla di familiare. Erano arrivate al convento all'imbrunire della sera precedente ed erano state accolte benissimo. Annunciate con grande anticipo dal Cartinal Berti, la piccola comunità aveva messo prontamente a disposizione delle due donne una camera abbastanza spaziosa, con un tavolino, un armadio ed un letto matrimoniale, che veniva infine servita da un bagno ed un angolo cottura. Avevano dato loro anche cibo genuino e vino a profusione. Si sa che gli ordini monastici hanno da sempre come punto di forza il vivere in posti incantevoli, lo stare in piena tranquillità ed il mangiare e bere magnificamente. Quel convento non faceva eccezioni. Era immerso nel verde più lussureggiante della periferia di Zurigo, non si sentiva volare una mosca e si mangiava e beveva... da Dio. Michiru aveva usato il vino come un anestetico naturale, il che era un caso più che raro per lei, convinta che l'agitazione nello stare per rivedere Haruka ed il dormire per la prima volta dopo anni con un'altra persona, per di più in un letto non suo, senza quel nettare non sarebbe riuscita a chiudere occhio. E così dopo essersi fatta una doccia e scambiato due chiacchiere con Giovanna era letteralmente crollata pancia in giù sul materasso.

Arrivate le nove del mattino un odore di caffe appena fatto iniziò ad aiutarla nel risveglio.

“Kaiou! Ben tornata alla vita! Poco ci mancava che sbavassi sul cuscino! Lo sapevo che dovevo fermarti al primo bicchiere di rosso.” Se la rise Giovanna divertita dalla faccia sconvolta di quella inedita visione. Iniziava a sciogliersi con lei ed era arrivata a chiamarla Michi un paio di volte. In fondo dei conti la sempre impeccabile dottoressa Kaiou era pur sempre un essere umano.

A prima vista poteva non sembrare, ma Giovanna Aulis non era solita concedere la sua amicizia a chiunque, anzi. Da molto tempo era diventata estremamente diffidente e di conseguenza selettiva. Aveva imparato a dividere le conoscenze dalle amicizie in maniera molto efficace. Non lo faceva per cattiveria o superbia, ma per difesa e dopo aver ricevuto un paio di sonore batoste che avevano finito per incrinare la fiducia che aveva sempre riposto in questo tipo di rapporto.

”Allora..., sei tra noi?” Già docciata, vestita e con una mezza escursione fatta nella cucina, la guardò spalancando un sorriso a trentadue denti.

“Ma... è odore di caffè questo?!” Chiese Michiru sedendosi sul lato del materasso.

“Non ti sfugge proprio niente! Guarda qui e dirmi se non sono una grande e talentuosa stratega del risveglio all'italiana.” Ed estremamente tronfia alzò una Bialetti da quattro completa di fornelletto elettrico e zucchero al seguito.

“Bazzicando per cantieri non me ne separo mai. Lo sapevo che sarebbe servita. Non saprò come ci si veste per volare, ma quanto a comodità made in Italy..., non mi batte nessuno.”

“Gran talento..., ma dove la trovi tutta questa energia? - Andandole incontro Michiru prese con gratitudine la tazzina che le era appena stata offerta. - Anche in questo sei tale e quale ad Haruka.”

“ Non so ancora se prenderlo come un complimento o meno, ma vedrai che con questo ti si apriranno gli occhietti.”

“ Grazie...” L’altra si sedette massaggiandosi le tempie mentre l'amica prendeva posto sulla sedia vicina facendosi seria nel chiedendole cosa avesse intenzione di fare in quella mattina.

“ Devo andare a parlare con il dottor Kurzh, ma prima voglio vedere Haruka. Tu?”

“ Io cosa...”

“Tu non vieni in clinica con me?”

“E cosa vengo a fare? Fino a quando non le farei cambiare idea... Comunque mi terrò pronta. Tranquilla.”

“Credevo volessi almeno vederla. Non vuoi che sappia chi sei, ma puoi comunque girarle intorno.”

L'altra non rispose subito. Finì velocemente di bere il caffè ed alzandosi andò a lavare la sua tazzina. Michiru era in possesso di un'arguzia finissima, ma a Giovanna non le stava sfuggendo la mossa che voleva mettere a segno con lei. Stazionare nei pressi di Haruka voleva dire iniziare ad affezionarsi a lei e a rivedere la sua posizione sul non rivelarle chi fosse. Dopo tutte le cose sapute su quel diavolo biondo, già iniziava a sentire il sangue urlargli qualcosa. Se l'avesse vista il suo proposito sarebbe crollato.

Che se ne farebbe una come lei di una come me, e quella che era una grande idiozia, aveva ormai fatto breccia nella scarsa fiducia che alle volte Giovanna aveva di se.

“Me ne andrò a fare una passeggiata nei boschi e magari lavorerò di braccia aiutando giù da basso. Tu vai Michiru. Avete bisogno di stare insieme.”

 

 

Ed ora Michiru era arrivata a stringere la maniglia della camera di Haruka sentendosi le gambe molli ed il fiato insufficiente. Aprì piano la porta vedendola sdraiata su di un fianco sopra la coperta del letto. La tuta viola e bianca della Nike, il suo Ipod rosso stretto in una mano, mentre l'altra rimaneva abbandonata sul cuscino, le cuffiette ben calzate nelle orecchie ed il viso sereno di chi sta facendo un gran bel sogno.

Michiru richiuse lentamente l'anta sentendo il cuore esploderle nel petto. Restò qualche secondo a guardarla per poi sederle accanto iniziando ad accarezzarle la guancia liscia con il dorso del medio e dell'indice.

Quanto ti sei smagrita amore mio, pensò mentre due fessure smeraldine si schiudevano su di lei.

Michiru le sorrise mentre le sfilava una cuffia. “Guarda che cosa devo fare per avere la tua attenzione, Tenou. Mi devi un biglietto aereo.” Disse piegandosi a baciarla sulla fronte.

“... Michi...” Incredula la bionda si poggiò sugli avambracci e mentre la mano della compagna da dietro la nuca l'attirava a se, avvertì quelle labbra calde e morbide che da anni le erano ormai diventate indispensabili.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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