Note
iniziali:
“mushiatsui”, in giapponese, significa
“afoso”. Per il clima descritto nella
storia mi sono basata sull’estate giapponese, caratterizzata
da un caldo e
un’afa terribili.
Altra cosa:
non è
una Jiraya/Tsunade. Si tratta semplicemente di due compagni di squadra
che ne
hanno viste tante e si conoscono meglio di due fratelli.
Mushiatsui- Afa d'agosto
-
Quinto Hokage, una questione urgente! Quinto…
ma
Shizune! Che ci fai seduta lì? Dov’è
l’Hokage?
Una Shizune
tranquillamente accomodata alla grande scrivania
dell’ufficio, intenta a sistemare le carte e i documenti che
da troppo tempo
giacevano in confusione, alzò la testa:
-
Mi spiace, ma la signorina Tsunade oggi è
irreperibile.
Di qualunque cosa si tratti dovrà essere rimandata a domani,
temo.
Gli shinobi
giunti tanto trafelati restarono basiti.
-
Ma… ma come sarebbe? Rimandata a domani?
È una questione
urgente! – esclamarono.
-
Sta per essere attaccata Konoha? C’è
un pericolo
imminente per il villaggio? – indagò Shizune.
-
Beh… no…
-
Allora tutto può tranquillamente essere
rimandato.
Ditelo anche agli altri: la signorina Tsunade oggi non deve essere
disturbata.
Era diretta fuori dalle mura, seguendo un tragitto che
ricordava di aver percorso tante e tante volte nel corso della sua vita.
Respirò a fondo, anche se non c'era nulla da respirare:
l'aria era greve, l'afa soffocante. Agosto, lì a Konoha, era
sempre stato un
mese che non perdona.
Giusto il giorno prima c'era stato un bel temporale, che
sembrava doversi ripetere quel pomeriggio: le nuvole cupe schiacciavano
l'aria,
e gli insetti ronzavano bassi.
Le lumache, che sentivano l'umidità meglio di chiunque,
già
iniziavano ad uscire dai loro nascondigli: presto sarebbe caduta la
pioggia, e
loro se la sarebbero goduta un mondo.
Eppure, mentre usciva dalle mura di Konoha e proseguiva
lungo il ciglio della foresta, Tsunade sentì che le cicale
non avevano ancora
smesso di cantare. Continuavano, stoiche, e avrebbero smesso solo
quando il
temporale non le avesse cacciate di malagrazia. Chi lo diceva che non
avevano
costanza? Quella stupida storia che le contrapponeva alla formica?
La donna proseguì velocemente, cercando di non rimanere
schiacciata dalla pesantezza dei ricordi.
Se si concentrava per un attimo, riusciva a rievocare il
ricordo di suo nonno che si sedeva sull'erba accanto a lei, e le
spiegava il
suo personale punto di vista.
“Questo è il punto che più mi piace,
per vedere il nostro
villaggio”.
“Ma nonno” ribatteva lei, un po' sorpresa, quando
era ancora
solo una bambina “Non si vede la montagna...”.
O meglio: la montagna si vedeva, ma in quel luogo era preclusa
loro la vista del versante su cui erano scolpiti i volti degli Hokage.
Soltanto
due, a quel tempo.
Si vedevano solo una manciata di case- il villaggio era
ancora piccolo- e un muro di rocce dietro.
“Per questo è un posto magnifico”
rispondeva lui “Con la mia
faccia e quella di mio fratello a guardarli tutto il tempo, gli
abitanti di
Konoha rischiano di dimenticare che la vera bellezza del nostro
villaggio non è
la montagna, ma Konoha stessa. E da qui la puoi vedere”.
“Un mucchio di case?” faceva lei, poco convinta.
“Un mucchio di case” rideva lui, confermando le sue
parole
“E la gente che ci vive dentro”.
Si ricordava bene del nonno e suo fratello: anche da vecchi,
quando erano insieme ridevano e si punzecchiavano in continuazione,
come due
bambini. Ricordava di aver pensato, da piccola, che un giorno avrebbe
voluto
avere due figli vicini d'età come loro due.
Invece suo fratello, Nawaki, era così giovane rispetto a lei
da poter sembrare quasi suo figlio. Ricordava di essere stata lei, dopo
che il
nonno era morto, a portarlo in quel posto fra l'erba e a spiegargli la
storia
di “Konoha-senza-la-montagna-degli-Hokage”.
Ed era rimasta non poco sorpresa quando Nawaki aveva
mostrato subito di capire, annuendo convinto, mentre lei aveva pensato
che il
nonno la stesse prendendo in giro.
Era anche per questo che quando, anni dopo, il fratellino le
aveva detto di voler diventare Hokage, si era resa conto che non
c’era nessuno
più adatto di lui.
Concentrandosi bene, poteva sentire di nuovo Nawaki correre
in quel prato, madido di sudore, e sedersi con un tonfo accanto a lei.
“Neesan” diceva “Bello il nostro
villaggio, vero? È così
bello che sento potrei fare qualunque cosa per proteggerlo!”.
Poi lui se n'era andato, ed era arrivato Dan.
Ci aveva messo un po' a portarlo lì, perché tutti
coloro che
venivano in quel luogo sembravano dover lasciare Konoha sempre prima
del tempo.
L'odore della pioggia imminente si andava facendo più
intenso. Pioveva anche quel giorno che avevano fatto l'amore fra
l'erba, sotto
la pioggia, lì allo scoperto dove chiunque avrebbe potuto
vederli. Ma si era in
guerra, qualsiasi ninja poteva non tornare più da una
missione qualunque,
quindi era permesso anche ciò che in condizioni normali
poteva essere un po'
eccessivo.
Anche fare l'amore all'aperto, con i baci languidi che si
mescolavano alle gocce di pioggia, gocce fresche sulla pelle che
contrastavano
col calore della terra e del proprio corpo, in procinto di prendere
fuoco.
Era ancora tutto uguale, a decenni di distanza. Ogni colore, ogni profumo... intatto. Lo sfondo era intatto. Era ciò che un tempo vi stava dentro, ad essersi perduto per sempre.
Buttò la testa indietro, cercando di smettere di
ricordare. Ci sono persone che tengono un diario, ma a lei non era mai
servito:
perché ogni voce, ogni odore, ogni dettaglio era impresso in
modo indelebile
nella sua memoria.
Aveva sempre saputo che i ricordi sono la cosa più preziosa
che abbiamo, ma a volte, negli ultimi tempi, aveva desiderato che
sparissero.
Che la lasciassero in pace. Perché, anche se è
vero che di soli ricordi non si
può vivere, lei non riusciva più a fare altro.
Non era
necessario voltarsi per sapere chi fosse stato a
parlare.
–
Avevo dimenticato che
quando inizia a piovere, i
primi a spuntare fuori sono i rospi – commentò
sardonica.
–
Ma come sei gentile...
- sbuffò Jiraya,
sedendosi sull'erba accanto a lei – E io che sono venuto
apposta per farti gli
auguri...
–
Mi stupisci, sai? -
fece lei senza mutare
espressione – Non pensavo che te lo ricordassi.
–
Anche volendo, dopo
quarant'anni che ti conosco
non me lo potrei certo scordare.
Lei non disse
nulla, tornando a guardare altrove.
–
E così ti
sei presa un giorno di vacanza... -
cominciò lui.
–
Se stai cercando di
fare conversazione, caschi
male. Non è il giorno giusto.
Jiraya si fece
serio.
–
Dovresti smetterla di
venire qui, sai? Ti fa
solo del male.
–
Dovrei smettere
completamente di girare per
Konoha, allora! - rise amaramente lei.
–
No, dico sul serio,
Tsunade. È dura per tutti,
cosa credi?
–
No, tu non capisci
– ribatté lei con voce
soffocata – Ogni persona che conosci mette dentro di te
qualcosa. Può essere un
pezzetto di vetro, una pianta speciale, una goccia di veleno o un lembo
di
stoffa. Man mano che il tempo va avanti, questo
“qualcosa” cresce, continua a
crescere e ad ingrandirsi, fino a diventare una parte fondamentale di
quello
che sei.
Un brontolio
lontano annunciava che il maltempo si stava
avvicinando. Strano, di lampi non se n'erano ancora visti.
–
E quando una persona
se ne va, questo “qualcosa”
ti viene strappato via senza il minimo riguardo. Via per sempre, rimane
solo il
vuoto. Una “zona morta” a ricordarti che un tempo
lì c'era qualcosa. Qualcuno.
Jiraya la
guardò impassibile, senza dire niente.
–
E più gente
muore, più le “zone vuote”
aumentano. E alla fine è come se si fosse morti dentro. Che
ci stiamo a fare
qui, allora?
–
Aspettiamo la morte
anche noi, semplicemente –
le rispose l'eremita dei rospi.
–
Mi prendi in giro?
–
No – Jiraya
scosse piano la testa, i lunghi
capelli bianchi appena mossi dal vento che si stava alzando –
Dico sul serio.
Aspettiamo di morire, e intanto cerchiamo di fare in modo che chi resta
possa
stare meglio. Per quanto sia in nostro potere.
–
Non hai l'aria di uno
che “sta aspettando la
morte”. Le urla infuriate che sentivo ieri dai bagni pubblici
erano opera tua,
giusto?
–
Si deve pur ammazzare
il tempo, no?
–
Oh, certo! Io facendo
l'Hokage, tu godendotela
dietro alle ragazzine...
–
Non sono ragazzine
– fece lui, punto sul vivo.
–
Hanno almeno
trent'anni meno di te – gli ricordò
lei – Tu come le definiresti?
Jiraya non
rispose, incrociando le braccia sul petto.
–
Tsunade –
fece dopo un po' – Hai una vaga idea
di quante “zone morte” lascerai tu?
Lei rimase in
silenzio, fingendo di osservare altro.
Dopo qualche
istante il vento si fece più forte, sibilante,
e li costrinse ad alzarsi.
–
Sembra sia in arrivo
proprio un bel temporale –
commentò lui – Scommetto che adesso al banco del
saké non ci sarà nessuno.
Andiamo a festeggiare?
–
D'accordo –
ribatté lei, facendo spallucce – Non
ho niente di meglio da fare, pensa un po' che vita intensa.
–
Comunque offri tu.
–
Stai scherzando? -
esclamò l'Hokage – E sarebbe
questo il tuo regalo?
–
I più
vecchi offrono – le ricordò lui –
È la
regola.
–
Inventata da te in
questo preciso istante?
–
No, da quando mi sono
reso conto che sei sempre
stata la più vecchia del team.
–
La vuoi piantare di
dire quella parola? - sbottò
lei.
–
Quale parola?
–
“Vecchia”.
–
Oh! Beh, dato che io
sono nato a novembre e
Orochimaru ad ottobre... è ovvio che la più
vecchia sia tu.
–
Jiraya, vuoi prenderle?
–
È un altro
mio metodo per ammazzare il tempo, in
effetti – meditò lui.
Il bubbolio
del tuono si ripresentò ai loro orecchi,
stavolta seguito da uno scroscio di pioggia violento, come se un catino
si
fosse rovesciato addosso a Konoha.
Per un paio
d'ore avrebbe quietato l'aria greve d'umidità di
quel due agosto. Poi l'afa sarebbe tornata più soffocante di
prima, ma per
mezza giornata ci sarebbe stata un po' di pace.
Giusto il
tempo di sbronzarsi col saké.
E grazie mille
a iaia86,
la giudice, che ha considerato la mia storia quella che più
le ha messo l’angoscia
addosso!
E a voi?