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Autore: hotaru    22/05/2009    5 recensioni
"Sentiva la pelle appiccicosa per il sudore, ma non le dava fastidio. Uno dei vantaggi dell'essere nati nel pieno dell'estate più torrida e afosa era l'avere una specie di “capacità innata” nel sopportare quelle particolari condizioni climatiche. Mentre tutti gli altri ne erano spossati, resi nervosi dal quel caldo viscido, lei non ne aveva mai sofferto particolarmente.
Buttò la testa indietro, cercando di smettere di ricordare. Ci sono persone che tengono un diario, ma a lei non era mai servito: perché ogni voce, ogni odore, ogni dettaglio era impresso in modo indelebile nella sua memoria."
Un tributo a Tsunade il giorno del suo compleanno.
Terza classificata a parimerito con Domi_chan al contest "Buon Compleanno!" indetto da iaia86@
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mushiatsui- Afa d'agosto

Note iniziali: “mushiatsui”, in giapponese, significa “afoso”. Per il clima descritto nella storia mi sono basata sull’estate giapponese, caratterizzata da un caldo e un’afa terribili.
Altra cosa: non è una Jiraya/Tsunade. Si tratta semplicemente di due compagni di squadra che ne hanno viste tante e si conoscono meglio di due fratelli.

 

Mushiatsui- Afa d'agosto

 Mushiatsui


-         Quinto Hokage, una questione urgente! Quinto… ma Shizune! Che ci fai seduta lì? Dov’è l’Hokage?
Una Shizune tranquillamente accomodata alla grande scrivania dell’ufficio, intenta a sistemare le carte e i documenti che da troppo tempo giacevano in confusione, alzò la testa:
-         Mi spiace, ma la signorina Tsunade oggi è irreperibile. Di qualunque cosa si tratti dovrà essere rimandata a domani, temo.
Gli shinobi giunti tanto trafelati restarono basiti.
-         Ma… ma come sarebbe? Rimandata a domani? È una questione urgente! – esclamarono.
-         Sta per essere attaccata Konoha? C’è un pericolo imminente per il villaggio? – indagò Shizune.
-         Beh… no…
-         Allora tutto può tranquillamente essere rimandato. Ditelo anche agli altri: la signorina Tsunade oggi non deve essere disturbata.

 
L’Hokage che non doveva essere disturbato stava tranquillamente passeggiando lungo le vie più appartate di Konoha.
Era diretta fuori dalle mura, seguendo un tragitto che ricordava di aver percorso tante e tante volte nel corso della sua vita.
Respirò a fondo, anche se non c'era nulla da respirare: l'aria era greve, l'afa soffocante. Agosto, lì a Konoha, era sempre stato un mese che non perdona.
Giusto il giorno prima c'era stato un bel temporale, che sembrava doversi ripetere quel pomeriggio: le nuvole cupe schiacciavano l'aria, e gli insetti ronzavano bassi.
Le lumache, che sentivano l'umidità meglio di chiunque, già iniziavano ad uscire dai loro nascondigli: presto sarebbe caduta la pioggia, e loro se la sarebbero goduta un mondo.
Eppure, mentre usciva dalle mura di Konoha e proseguiva lungo il ciglio della foresta, Tsunade sentì che le cicale non avevano ancora smesso di cantare. Continuavano, stoiche, e avrebbero smesso solo quando il temporale non le avesse cacciate di malagrazia. Chi lo diceva che non avevano costanza? Quella stupida storia che le contrapponeva alla formica?
La donna proseguì velocemente, cercando di non rimanere schiacciata dalla pesantezza dei ricordi.

Eccola lì, Konoha. Le mura, le case, la gente che sicuramente camminava per le strade ma che da quel punto le era invisibile.
Se si concentrava per un attimo, riusciva a rievocare il ricordo di suo nonno che si sedeva sull'erba accanto a lei, e le spiegava il suo personale punto di vista.
“Questo è il punto che più mi piace, per vedere il nostro villaggio”.
“Ma nonno” ribatteva lei, un po' sorpresa, quando era ancora solo una bambina “Non si vede la montagna...”.
O meglio: la montagna si vedeva, ma in quel luogo era preclusa loro la vista del versante su cui erano scolpiti i volti degli Hokage. Soltanto due, a quel tempo.
Si vedevano solo una manciata di case- il villaggio era ancora piccolo- e un muro di rocce dietro.
“Per questo è un posto magnifico” rispondeva lui “Con la mia faccia e quella di mio fratello a guardarli tutto il tempo, gli abitanti di Konoha rischiano di dimenticare che la vera bellezza del nostro villaggio non è la montagna, ma Konoha stessa. E da qui la puoi vedere”.
“Un mucchio di case?” faceva lei, poco convinta.
“Un mucchio di case” rideva lui, confermando le sue parole “E la gente che ci vive dentro”.

 Tsunade chiuse gli occhi, mentre nel silenzio arrivava quasi a udire il brulichio degli insetti nell'erba folta.
Si ricordava bene del nonno e suo fratello: anche da vecchi, quando erano insieme ridevano e si punzecchiavano in continuazione, come due bambini. Ricordava di aver pensato, da piccola, che un giorno avrebbe voluto avere due figli vicini d'età come loro due.
Invece suo fratello, Nawaki, era così giovane rispetto a lei da poter sembrare quasi suo figlio. Ricordava di essere stata lei, dopo che il nonno era morto, a portarlo in quel posto fra l'erba e a spiegargli la storia di “Konoha-senza-la-montagna-degli-Hokage”.
Ed era rimasta non poco sorpresa quando Nawaki aveva mostrato subito di capire, annuendo convinto, mentre lei aveva pensato che il nonno la stesse prendendo in giro.
Era anche per questo che quando, anni dopo, il fratellino le aveva detto di voler diventare Hokage, si era resa conto che non c’era nessuno più adatto di lui.
Concentrandosi bene, poteva sentire di nuovo Nawaki correre in quel prato, madido di sudore, e sedersi con un tonfo accanto a lei.  
“Neesan” diceva “Bello il nostro villaggio, vero? È così bello che sento potrei fare qualunque cosa per proteggerlo!”.
Poi lui se n'era andato, ed era arrivato Dan.
Ci aveva messo un po' a portarlo lì, perché tutti coloro che venivano in quel luogo sembravano dover lasciare Konoha sempre prima del tempo.
L'odore della pioggia imminente si andava facendo più intenso. Pioveva anche quel giorno che avevano fatto l'amore fra l'erba, sotto la pioggia, lì allo scoperto dove chiunque avrebbe potuto vederli. Ma si era in guerra, qualsiasi ninja poteva non tornare più da una missione qualunque, quindi era permesso anche ciò che in condizioni normali poteva essere un po' eccessivo.
Anche fare l'amore all'aperto, con i baci languidi che si mescolavano alle gocce di pioggia, gocce fresche sulla pelle che contrastavano col calore della terra e del proprio corpo, in procinto di prendere fuoco.

Era ancora tutto uguale, a decenni di distanza. Ogni colore, ogni profumo... intatto. Lo sfondo era intatto. Era ciò che un tempo vi stava dentro, ad essersi perduto per sempre.

Sentiva la pelle appiccicosa per il sudore, ma non le dava fastidio. Uno dei vantaggi dell'essere nati nel pieno dell'estate più torrida e afosa era l'avere una specie di “abilità innata” nel sopportare quelle particolari condizioni climatiche. Mentre tutti gli altri ne erano spossati, resi nervosi dal quel  caldo viscido, lei non ne aveva mai sofferto particolarmente.
Buttò la testa indietro, cercando di smettere di ricordare. Ci sono persone che tengono un diario, ma a lei non era mai servito: perché ogni voce, ogni odore, ogni dettaglio era impresso in modo indelebile nella sua memoria.
Aveva sempre saputo che i ricordi sono la cosa più preziosa che abbiamo, ma a volte, negli ultimi tempi, aveva desiderato che sparissero. Che la lasciassero in pace. Perché, anche se è vero che di soli ricordi non si può vivere, lei non riusciva più a fare altro.

 
         Lo sapevo che ti avrei trovata qui. Sei ancora una bambina, in fondo.
Non era necessario voltarsi per sapere chi fosse stato a parlare.
         Avevo dimenticato che quando inizia a piovere, i primi a spuntare fuori sono i rospi – commentò sardonica.
         Ma come sei gentile... - sbuffò Jiraya, sedendosi sull'erba accanto a lei – E io che sono venuto apposta per farti gli auguri...
         Mi stupisci, sai? - fece lei senza mutare espressione – Non pensavo che te lo ricordassi.
         Anche volendo, dopo quarant'anni che ti conosco non me lo potrei certo scordare.
Lei non disse nulla, tornando a guardare altrove.
         E così ti sei presa un giorno di vacanza... - cominciò lui.
         Se stai cercando di fare conversazione, caschi male. Non è il giorno giusto.
Jiraya si fece serio.
         Dovresti smetterla di venire qui, sai? Ti fa solo del male.
         Dovrei smettere completamente di girare per Konoha, allora! - rise amaramente lei.
         No, dico sul serio, Tsunade. È dura per tutti, cosa credi?
         No, tu non capisci – ribatté lei con voce soffocata – Ogni persona che conosci mette dentro di te qualcosa. Può essere un pezzetto di vetro, una pianta speciale, una goccia di veleno o un lembo di stoffa. Man mano che il tempo va avanti, questo “qualcosa” cresce, continua a crescere e ad ingrandirsi, fino a diventare una parte fondamentale di quello che sei.
Un brontolio lontano annunciava che il maltempo si stava avvicinando. Strano, di lampi non se n'erano ancora visti.
         E quando una persona se ne va, questo “qualcosa” ti viene strappato via senza il minimo riguardo. Via per sempre, rimane solo il vuoto. Una “zona morta” a ricordarti che un tempo lì c'era qualcosa. Qualcuno.
Jiraya la guardò impassibile, senza dire niente.
         E più gente muore, più le “zone vuote” aumentano. E alla fine è come se si fosse morti dentro. Che ci stiamo a fare qui, allora?
         Aspettiamo la morte anche noi, semplicemente – le rispose l'eremita dei rospi.
         Mi prendi in giro?
         No – Jiraya scosse piano la testa, i lunghi capelli bianchi appena mossi dal vento che si stava alzando – Dico sul serio. Aspettiamo di morire, e intanto cerchiamo di fare in modo che chi resta possa stare meglio. Per quanto sia in nostro potere.
         Non hai l'aria di uno che “sta aspettando la morte”. Le urla infuriate che sentivo ieri dai bagni pubblici erano opera tua, giusto?
         Si deve pur ammazzare il tempo, no?
         Oh, certo! Io facendo l'Hokage, tu godendotela dietro alle ragazzine...
         Non sono ragazzine – fece lui, punto sul vivo.
         Hanno almeno trent'anni meno di te – gli ricordò lei – Tu come le definiresti?
Jiraya non rispose, incrociando le braccia sul petto.
         Tsunade – fece dopo un po' – Hai una vaga idea di quante “zone morte” lascerai tu?
Lei rimase in silenzio, fingendo di osservare altro.
Dopo qualche istante il vento si fece più forte, sibilante, e li costrinse ad alzarsi.
         Sembra sia in arrivo proprio un bel temporale – commentò lui – Scommetto che adesso al banco del saké non ci sarà nessuno. Andiamo a festeggiare?
         D'accordo – ribatté lei, facendo spallucce – Non ho niente di meglio da fare, pensa un po' che vita intensa.
         Comunque offri tu.
         Stai scherzando? - esclamò l'Hokage – E sarebbe questo il tuo regalo?
         I più vecchi offrono – le ricordò lui – È la regola.
         Inventata da te in questo preciso istante?
         No, da quando mi sono reso conto che sei sempre stata la più vecchia del team.
         La vuoi piantare di dire quella parola? - sbottò lei.
         Quale parola?
         “Vecchia”.
         Oh! Beh, dato che io sono nato a novembre e Orochimaru ad ottobre... è ovvio che la più vecchia sia tu.
         Jiraya, vuoi prenderle?
         È un altro mio metodo per ammazzare il tempo, in effetti – meditò lui.
Il bubbolio del tuono si ripresentò ai loro orecchi, stavolta seguito da uno scroscio di pioggia violento, come se un catino si fosse rovesciato addosso a Konoha.
Per un paio d'ore avrebbe quietato l'aria greve d'umidità di quel due agosto. Poi l'afa sarebbe tornata più soffocante di prima, ma per mezza giornata ci sarebbe stata un po' di pace.
Giusto il tempo di sbronzarsi col saké.

 

 Sul serio: non me l’aspettavo. Non mi aspettavo di arrivare terza a pari merito in un contest con tanti partecipanti, e ne sono davvero contenta. Ancora complimenti a uchiha_girl e rekichan, sul podio, e a Domi_chan, con cui condivido la posizione.
E grazie mille a iaia86, la giudice, che ha considerato la mia storia quella che più le ha messo l’angoscia addosso!
E a voi?


   
 
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