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Autore: voiceOFsoul    20/12/2016    1 recensioni
Ram aveva ormai raggiunto un equilibrio ma adesso si ritrova senza lavoro, convive con Diego in una situazione imbarazzante e non vede Alex e Vale da troppo tempo. Da qui deve ricominciare da capo. Il suo percorso la porterà a incrociare nuove vite, tra cui quella di Tommaso che ha appena imparato a sue spese che la perfezione a cui tanto Ram aspirava non esiste.
Si può essere felici anche se si è imperfetti?
[Seguito di "Volevo fossi tu" e "Ancora Tu", viene integrata e proseguita l'opera incompleta "Open your wings and fly"].
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ho sempre creduto che le gambe umane avessero dei limiti, un limite fisico intendo, un certo numero di passi a disposizione per una giornata superato il quale si fermassero in automatico rifiutandosi semplicemente di andare oltre. Non mi sbagliavo, ma a quanto pare le gambe di Alfredo non erano a conoscenza di tutto questo.

Da sempre appassionato di storia antica, ci ha trascinato in quasi tutti gli angoli di Roma raccontandoci milioni di storie, aneddoti, date e leggende da far impallidire tutti i professori di storia che avessi mai conosciuto. All’inizio è stato molto interessante, addirittura divertente. Ma alla quarta ora di cammino quasi ininterrotto sotto il sole, è rimasta solo la stanchezza e la voglia di stare immobili al fresco per altrettante ore. Fortunatamente siamo riusciti a convincerlo a tornare in appartamento prima che iniziassero a sanguinarci i piedi.

Dopo aver parlato al telefono con Rose e mia madre, sono crollato in diagonale sul letto, mentre Giacomo è andato da Emma.

Sento dei passi pesanti correre lungo il corridoio. Da quando c’è Rose, anche il più piccolo rumore mi fa svegliare, perciò apro di scatto gli occhi in stato di allerta e guardo l’orologio: è passata più di un’ora ma sembrano solo cinque minuti. Senza bussare, Giorgio spalanca la porta di scatto. Ha un’espressione radiosa.

«Tom, è fatta!» urla, felice.

Non capisco cosa succede perciò lo guardo dubbioso, ma lui incurante entra saltellando in stanza continuando a urlare che “è fatta” mentre io continuo a chiedergli “che cosa”. Alle sue spalle compare Alfredo, con una molto più composta espressione felice.

«È totalmente fuori di testa.» gli dico, ridendo perché la sua euforia mi ha già contagiato.

Alfredo si limita ad annuire sorridente, appoggiato allo stipite della porta. I poveri neuroni stanchi dentro la mia testa hanno un improvviso impulso che li risveglia dal torpore.

«Credo di aver intuito qualcosa ma ho bisogno di sentirtelo dire.» mi alzo dal letto su cui Giorgio ha iniziato a saltellare con un bambino.

«De Blasi ha mandato una mail.» dice Alfredo senza scomporsi.

«Una mail? No, ha mandato LA mail!» gli fa eco Giorgio.

«Ci ha dato il secondo appuntamento?» chiedo già entusiasta.

«Dobbiamo tornare lì Giovedì.»

«Sul serio? Non mi prendi per il culo?»

«Sei vuoi posso recitarti la frase a memoria.» annuncia Giorgio, saltando giù dal letto. Si posiziona al centro della stanza, impettito, le mani vicino le spalle a mimare di reggere il bavero di una giacca, la voce volutamente più grave. «Vi confermo che dobbiamo assolutamente rivederci.» Per un attimo lascia stare l’imitazione di De Blasi e commenta «Hai capito? Ha detto proprio “assolutamente”, non è figo?» Si schiarisce la voce tossicchiando e rientra nel personaggio. «Giovedì andrebbe benissimo. Ci vediamo in ufficio verso le 17, ci sarà anche il mio nuovo socio. Gli farete sentire qualcosa e poi passeremo a discutere i dettagli legali del nostro accordo.»

«Ha detto proprio così? Discuteremo i dettagli del nostro accordo?»

«Sì, Tom.» risponde Alfredo. «Per citare il nostro amico impazzito: è fatta.»

«Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta davvero!» Stavolta sono io ad urlare esaltato. Giorgio mi segue ricominciando a saltare e gettare ululati striduli. Alfredo finalmente si scompone e inizia a ridere, venendoci ad abbracciare. Mio fratello ed Emma compaiono sulla soglia della porta.

«Che succede qui?» chiede Giacomo sorridente, immaginando già quale sarà la nostra risposta. Non posso fare a meno di notare che ha i capelli più arruffati del solito e che la maglietta di Emma è alla rovescia, ma al momento questi sono dettagli su cui posso sorvolare di indagare.

«Abbiamo un appuntamento! De Blasi ci vuole!» urla Giorgio.

«Ve l’avevo detto che avevamo spaccato!» risponde Giacomo.

Ci abbracciamo, tutti e cinque in un unico groviglio di braccia e felicità. Saltiamo, urliamo, sbattiamo sullo scarso mobilio, ridiamo a crepapelle. In questo momento siamo invincibili.


Non appena chiusa la porta della stanza alle mie spalle, mi getto sul letto.

«Sono nettamente fuori allenamento!» confesso alle pareti.

Scalcio per far volare via le decoltè. Se c’è una cosa che non mi è mai mancata, quella è andare in giro tutto il giorno accumulando chilometri su scarpe che si trasformano da comode a insopportabili trampoli assassini nel giro di qualche fermata in metro. Ah, la metro! Come ho mai fatto a dimenticare l’affascinante metropolitana? Quella è un’altra delle cose che ho volentieri evitato per parecchio tempo. Dopo anni passati sulle lussuose auto di Uber pagate dalla SoftWaiting, viaggiare in metropolitana per rientrare nel budget è stato come tornare a pedalare dopo aver avuto un jet privato. Anche se dopo un viaggio in bici probabilmente si puzza di meno.

Cerco di comunicare con le mie gambe stanche e mi trascino fino in doccia. Fortunatamente l’hotel che ha prenotato Rebecca, nonostante sia economico e un po’ lontano dal centro, è abbastanza confortevole. Peccato non abbia la vasca. Sembro una bambina viziata, eh? Questa è quella che dalle mie parti chiamano la “mala del sonno”. Non potersi riposare ed essere tanto stanchi da lamentarsi di qualsiasi cosa, come i bambini che pur essendo stanchi non dormono e sfogano la stanchezza frignando. Sorrido pensando a quando mia madre me lo rinfacciava da adolescente.

Mentre sono ancora ad occhi chiusi sotto il getto d’acqua calda, cercando di sciogliere i muscoli stanchi, sento bussare alla porta della stanza.

«Sono Reb! A che punto sei?» sento la voce di Rebecca attutita dalle pareti e dall’acqua che scorre.

«Sono sotto la doccia!» le urlo, cercando di non sembrare troppo acida.

«Ok, aspetto qui.» la sento rispondere.

Per un attimo ho la tentazione di chiederle di andare via in un modo non proprio gentile. Capisco che per lei è tutto importante e nuovo, emozionante e adrenalinico, ma dopo essermi svegliata presto e aver corso tutto il giorno, vorrei solo poter finire una rilassante doccia in pace, avvolgermi nel gigantesco asciugamano di spugna e gettarmi a letto fino a domattina. Mi convinco a mettere da parte questa speranza e giro la manopola per terminare la doccia. Mi avvolgo in fretta nell’asciugamano e, cercando di non far gocciolare troppo i capelli lungo il pavimento, vado ad aprire la porta.

«Non scherzavi allora?» dice Rebecca entrando in stanza.

«Perché avrei dovuto?» Torno nel bagno e inizio a frizionare i capelli in modo che i ricci inizino a prendere la loro forma.

«Forse dobbiamo andare a cena?»

«Da quando ceniamo alle sette di sera?»

«Ram, sono quasi le nove ed è martedì. Se non ci sbrighiamo rischiamo di restare digiune.»

Mi blocco un attimo. Le nove? Possibile sia così tardi? Quanto tempo ho passato immobile a pancia sotto sul letto? Smetto di frizionare i capelli e torno in camera tuffandomi nella valigia a prendere dei vestiti puliti.

«Ho perso la cognizione del tempo. Faccio in un attimo.»

Afferro l’intimo, i miei jeans comodi, una felpa non troppo pesante e le converse. Mi infilo in bagno e meno di cinque minuti dopo sono già pronta, anche se con i capelli ancora fradici d’acqua.

Rebecca mi osserva con uno sguardo poco convinto. Lei, che ha già di per sè una rara bellezza naturale, sembra essere uscita da una rivista fashion… e indossa di nuovo dei tacchi vertiginosi.

«Mi sono persa qualcosa? Siamo state invitate a una cena elegante?»

«Certo che no. Stasera siamo solo noi due. Anche se probabilmente nelle prossime sere avremo qualche cena importante. Spero che tu abbia un vestito che si abbini con quelle.» ride indicando le mie Converse.

«Tranquilla, sarò all’altezza della situazione.» indico anch’io le sue scarpe, ridendo.

«Adesso andiamo, per favore! Sento che potrei svenire se non addento un kebab maxi in meno di dieci minuti.!»

«Agli ordini capo!»


Festeggiare stasera è d’obbligo! Grazie a un paio di recensioni positive siamo riusciti a trovare un locale a sole due fermate di metro. Appena entrati abbiamo subito capito che era il posto giusto: sembrava la copia del pub di Steve trasportato a Roma! Anche se un poco più piccolo di quello del nostro amico, l’ambiente rimane estremamente familiare. Mi volto verso la ragazza che sta vicino alla cassa con la strana sensazione di vedere che anche lei sia incinta come Bree, ma ovviamente non è così.

Un omaccione ci accoglie con un fortissimo accento romano e ci fa accomodare. Il locale è semi vuoto, perciò ci sediamo attorno al tavolo più vicino al bancone e ordiniamo subito due giri di birra a testa senza aspettare oltre. In meno di venti minuti siamo già su di giri il doppio del normale. Quando arrivano gli hamburger e il nuovo giro di birra, delle poche persone nel locale quando siamo arrivati non c’è più traccia. L’omaccione dello staff si avvicina a noi e inizia a fare conversazione, la solita roba per star simpatico e accalappiare turisti, probabilmente per spennarli il più possibile finché ce la si fa. L’ho visto fare anche a Steve.

Di dove siamo, cosa facciamo, perché siamo qui. Ci chiede di tutto e ad ogni risposta ha sempre un aneddoto divertente su qualcuno che ha conosciuto, che è passato dal locale o semplicemente sul fidanzato dell’amica del cugino del compagno di classe del parente acquisito. Gli spieghiamo che stiamo festeggiando, non gli diciamo cosa per scaramanzia. Dopo un altro giro, Giacomo si lascia sfuggire che siamo un gruppo e lì il ragazzo ci invita vicino al pc per scegliere qualche pezzo insieme “tanto siamo tra di noi”. Chiede chi è il cantante e mi convince ad abbozzare una sottospecie di karaoke su Paradise City, che tra l’alcool e il mancato riscaldamento delle corde vocali esce un mezzo schifo ma va bene uguale, perché nessuno sta realmente ascoltando me. Stiamo solo ridendo come pazzi.

«Fortuna che non devono guidare almeno.» Sentiamo qualcuno dirlo all’interno del locale mentre usciamo, tutti altamente brilli.

Raggiungiamo la strada principale e ci accorgiamo che, nonostante il silenzio che regna, la pizza poco distante dalla metro non è del tutto deserta come pensavamo. Decidiamo di restare un po’ lì a smaltire la sbronza quel tanto che basta per non sbagliare fermata. Osservo i miei amici seduti sulla panchina. Sorridono. Sorrido anche io. Tutta l’ansia dei giorni passati sembra non essere mai esistita. Tutte le cose brutte capitate in questo periodo sono nascoste sotto il tappeto. Per stasera non esistono. Stasera ci sono solo cose belle. Ce l’abbiamo fatta, abbiamo convinto qualcuno a darci una possibilità. La scalata non è ancora finita, ma un gradino è stato salito con successo. Per stasera siamo supereroi dopo una battaglia, che pur consapevoli di non aver ancora vinto la guerra, respirano profondamente e sorridono godendosi la pace sotto un cielo stellato.


«Questo kebab fa schifo!» dice Rebecca mentre cerca di non sporcarsi.

Non so come possiamo sembrare viste dal di fuori stasera noi due. Lei sembra una fashion victim mentre io potrei passare al massimo per la cugina dodicenne e sfigata di Tredici Addams.

«Hai ragione. Potrebbe essere considerato un tentato avvelenamento secondo te?»

«Lo vedremo domani mattina, quando il nostro intestino ci dirà come la pensa al riguardo. Per il momento fa solo schifo.»

Siamo appollaiate sullo schienale di una panchina della piazzetta vicino l’hotel. Ci hanno detto che, pur non essendo centrale, durante il fine settimana è parecchio affollata e anche oggi, per essere un martedì era, è molto più vissuta di certi posti che frequentiamo di solito. Insieme a noi ci sono parecchi ragazzi che campeggiano sulle altre panchine o sulle aiuole. Un ragazzo seduto su un muretto strimpella una chitarra acustica. Io e Rebecca, accenniamo qualche parola quando riconosciamo la canzone che sta suonando.

«Manca Papi e possiamo riproporre Sarabanda!» afferma Rebecca dopo aver mandato giù l’ultimo pezzo di kebab e averlo innaffiato con un bel sorso di birra.

«La indovino con una!» ridiamo insieme.

Passiamo il tempo parlando del più e del meno, conoscendoci di più. Le chiedo di Nico, mi dice che ancora non gli ha parlato dopo l’ultima sera in cui siamo stati insieme. Lui l’ha cercata per tutto il weekend, ma lei non se la sentiva di stare con lui se prima non avessero una volta per tutte definito la loro situazione.

Abbiamo deciso di andare via. Mentre ci allontaniamo dalla panchina, passiamo accanto a un gruppo di ragazzi appena arrivati. Tra loro vedo Tommaso. Scuoto la testa, sorrido, guardo di nuovo, metto a fuoco strizzando un po’ gli occhi. Non può essere lui. Infatti il viso sembra più tondo, i capelli più chiari, le spalle più larghe. Ho preso un abbaglio. Continuo a camminare accanto a Rebecca.

L’ho pensato per tutto il giorno ed adesso lo vedo anche nelle persone che mi passano accanto. Devo essermi presa proprio una bella cotta.





Se siete tra i pochi al mondo a non aver mai sentito, anche solo per "sbaglio", Paradise City dei Guns N' Roses, dovreste recuperare ;)
   
 
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