Lezioni di Natale.
Talia p.o.v.
Mi sveglio e anche oggi
è buio.
È sempre buio nella mia vita, sono quasi del tutto cieca
da quando avevo tre anni a causa di una malattia chiamata glaucoma.
È una delle
maggiori cause di cecità nel mondo e può essere
curata, ma i miei sono poveri e
possono permettersi solo la cura a base di colliri. Dicono che in
Inghilterra
si stiano sviluppando terapie in grado di guarire anche casi come il
mio, ma
non possiamo permettercela, stiamo facendo una raccolta fondi, ma non
va
granché bene. La gente è disposta ad aiutare a
parole, ma quando si tratta di
mettere mano al portafoglio è sempre reticente.
Mi alzo dal letto e mi vesto, ho memorizzato la
planimetria della mia camera e lì mi muovo come se non fossi
cieca. Indosso i
soliti jeans neri strappati, una maglietta e un maglione, mi pettino i
miei
capelli a caschetto neri lunghi fino alle orecchie e con una frangia
che mi
arriva appena sopra le sopracciglia.
Tocco il mio piercing al septum e le sue linee curve
orientaleggianti.
Scendo a fare colazione da sola, i miei sono già a
lavoro, e mi dico: anche oggi è un bel giorno, Talia.
Anche se non è vero.
Anche se sono quindici anni che non vedo ed è come se non
avessi mai veduto perché non si hanno ricordi fino a tre
anni.
Anche se probabilmente non vedrò mai.
Anche se Natale si avvicina e io lo odio, è stato durante
quel giorno che ho perso la vista o almeno così dicono i
miei.
Dopo aver bevuto il mio caffè e biscotti, lavo le tazze,
metto il cappotto nero, il cappello dello stesso colore e un sciarpa
rossa. Io
e il mio fidato bastone ci avventuriamo per le strade di New York,
facendo
attenzione ai marciapiedi gelati e alle persone, nella Grande Mela sono
tanto
stronzi che non si spostano nemmeno davanti a una cieca.
Prendo la metropolitana e arrivo in Time Square, mi metto
in un angolo e sembra che guardi il grande albero di Natale, in
realtà ascolto
il vento freddo e il rumore del mare insieme al vago profumo di
salsedine.
A un certo punto sento qualcuno avvicinarsi e mettersi
esattamente dietro di me, poi una voce maschile parla.
“Bello l’albero, vero?”
Io mi volto e sento il ragazzo trasalire vedendo il bastone.
“Scusa, io non sapevo che tu fossi cieca.”
“Tranquillo, non sono offesa. Sono felice che tu mi abbia
scambiato per una che vede, odio essere trattata in modo diverso
perché sono
cieca.”
“Capisco, io sono Michael comunque.”
“Io sono Talia, posso vederti?”
“Vedermi?”
“Sì, stai fermo un attimo.”
Muovo il mio bastone per arrivare davanti a lui e poi alzo le mani un
po’
esitante, poi raggiungo il suo viso e passo le mie mani sui suoi
lineamenti:
sono delicati, gentili, sul sopracciglio ci sono due buchi,
probabilmente aveva
un piercing, hai i dilatatori non troppo grandi alle orecchie, i
capelli invece
sono un po’ rovinati.
“Ti tingi i capelli, vero?”
“Sì, ma come lo sai?”
“Hai i capelli un po’ secchi come chi se li tinge e
hai avuto un piercing in
passato, hai due buchi al sopracciglio.”
“Wow.”
“Le persone che non vedono sviluppano di più gli
altri sensi, non siamo
veggenti come credevano gli antichi greci.”
Lui ride.
“Cosa ci facevi qui se non guardavi
l’albero?”
“Ascoltavo il vento e il mare e mi godevo il profumo di
salsedine.”
“Salsedine?”
“Se annusi bene si sente, il mare non è
lontanissimo.”
Le mie mani sono ancora sul suo volto, così lo sento
chiudere gli occhi e
riaprirli dopo un po’.
“Non lo sento.”
È un po’ frustrato.
“Non devi rimanerci male, di che colore hai gli occhi e i
capelli?”
“Gli occhi sono verde-azzurri.”
“Anice e menta.”
“E i capelli sono biondi.”
“Patatine fritte. Sai d’estate.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Credo di non capire.”
“I miei genitori mi hanno insegnato a vedere i colori tramite
i sapori del
cibo, l’azzurro per me è il sapore
dell’anice, il verde quello della menta e il
giallo o il biondo sono le patatine fritte.
Adesso ti è più chiaro?”
“Sì, molto.
Vuoi che ti descriva l’albero?”
“No, io odio il Natale”
“Come mai?”
“Sono diventata il giorno prima di Natale quando avevo tre
anni, da allora i
miei non lo festeggiano più.”
“Capisco. Quindi prima vedevi.”
“Sì, ma non me lo ricordo. Ho una malattia che si
chiama glaucoma, i miei sono
poveri e non l’hanno potuta curare adeguatamente prima che
fosse troppo tardi,
adesso vedo solo ombre molto vaghe. Dicono che in Inghilterra stiano
sviluppando una cura per casi come il mio, i miei hanno istituito una
raccolta
fondi, ma la gente non dona anche se è Natale e
blablabla.”
“Mi dispiace.”
“Non credo che tu possa farci molto, Michael.”
“Questo non lo so, ma vorrei farti apprezzare il Natale
perché è una festa
davvero speciale, che ti farebbe bene.”
“Perché? È solo uno scambio di
regali.”
“Non è solo quello, è festeggiare
l’amore che ti lega alla tua famiglia, la
nascita del Signore.”
“Non ho bisogno di un giorno per festeggiare
l’amore per la famiglia, la amo
tutti i giorni e loro lo sanno e il Signore non è stato
misericordioso con me e
poi l’unico regalo che vorrei non posso averlo.”
“La vista?”
“Già.”
“Dammi una possibilità, se non riuscissi a farti
cambiare idea almeno avresti
un amico.”
“Va bene, qual è il tuo cognome?”
“Clif…Cook.”
“ClifCook?”
Chiedo, non essendo sicura di avere capito bene.
“Cook.”
“Non è che mi stai mentendo? Hai una strana
voce.”
Lui sospira.
“Sì, ti sto mentendo. E ti dicessi il mio vero
cognome
sarebbe un casino, ma voglio conoscerti lo stesso.”
“Cosa sei? Un agente segreto?”
Lui non risponde.
“Ok ok. Io sono una Jimenez, anche se pallida come sono
nessuno indovina che sono messicana.
Alla fine delle tue lezioni di Natale mi dovrai dire il
tuo vero cognome, lo farai, vero?”
“Penso di sì, ma adesso iniziamo con la prima
lezione: cioccolata calda.”
“Quella non è tipica di Natale!”
“Ma mangiata a Natale ha un gusto diverso.”
“Se lo dici tu.”
Lo spostamento d’aria mi indica che sta annuendo.
“Vorrei portarti nella mia pasticceria preferita, come
posso guidarti?”
“Appoggia le mani sulle mie spalle.”
“Va bene.”
Insieme raggiungiamo un locale che dovrebbe trovarsi sulla Quinta
Strada a
giudicare dal rumore, dentro fa caldo e c’è della
musica natalizia. Mike ordina
due cioccolate al cocco con panna e marshmellow.
“Ascolta.”
“Lo sto facendo.”
“No, ascolta la musica.”
Lo faccio, i motivetti sono tutti allegri, parlano di
essere felici, di slitte e neve, di regali, di stare in famiglia.
“Cocco.”
“Il bianco sa di cocco per te?”
“Esatto. Sono canzoni allegre, invitano alla gioia, al
volersi bene, al donare e apprezzare il tempo freddo, lo rendono quasi
magico,
il che un po’ è vero. Quando cade la neve tutti i
rumori si smorzano e si sente
una certa pace che raramente si sente durante
l’anno.”
“Esatto. Natale festeggia anche questo, la
tranquillità, la magia, la pace che
si sente quando si è davanti al camino e si gioca a un
qualche gioco da tavolo
con la propria famiglia.”
“Pomodoro.”
“E anche un po’ di arance, le fiamme, sai. Poi si
mangiano i mandarini.”
Arrivano le nostre cioccolate e io mangio prima la panna, poi i
marshmellow e
infine la cioccolata a cui è mischiato dello sciroppo di
cocco.
“È buona, ma non capisco il colore. Il cocco
è bianco e
il cioccolato è marrone.”
“È marrone.”
“Grazie ed è davvero buona.”
“Di niente.”
“Io ora devo andare a casa, però.”
“Va bene, Talia.
Domani ci vediamo?”
“Sì, allo stesso posto di oggi e alla stessa ora
sarò lì.
Ci vengo tutti i giorni.”
Ci alziamo dal tavolo, lui paga anche per me nonostante tutte le mie
proteste e
mi accompagna fino alla metro.
“Buona giornata, Talia.”
“Buona giornata anche a te, uomo del mistero.”
Scendo i gradini della metropolitana sorridendo, oggi è
stata una giornata
strana, ma piacevole.
La sera devo avere ancora addosso
un po’ del buon umore
mattutino perché mia madre se ne accorge.
“Oggi è successo qualcosa di speciale,
Talia?”
Mi chiede con una sfumatura allegra e preoccupata allo stesso tempo
nella voce.
“Sì, mentre stavo ascoltando il mare in Times
Square ho
incontrato un ragazzo, un bel ragazzo, mi ha detto che vuole farmi
apprezzare
il Natale, ma non credo sia di qui.”
“Cosa vuoi dire?”
“L’accento non era americano, mi sembrava
australiano.”
“Beh, qui vivono persone che vengono dai posti più
disparati, mi nina.
Sei sicura di voler imparare ad apprezzare il Natale?”
“Non lo so, ma voglio dargli una
possibilità.”
“Ti piace questo ragazzo, vero?”
“Sì, mi piace.”
“Sono felice per te, ma stai attenta, ok?”
Mamma è sempre protettiva con me.
“Sì, mamma. Adesso vado a letto, credo sia
tardi.”
“Un po’. Buonanotte, tesoro.”
“Buonanotte, mamma.”
Vado in camera mia sorridendo e chiedendomi se domani
rivedrò Michael, spero
tanto di sì!
La mattina dopo mi reco nello stesso posto, ascolto la
voce del vento un po’ distratta, aspetto qualcuno oggi e non
vengo delusa. Più
o meno alla stessa ora di ieri sento i suoi passi e sorrido.
“Ciao, Michael.”
“Ciao, Talia.
Pronta per la seconda lezione di Natale?”
“Sì.”
“Allora ti porto in un posto.”
Come ieri mi appoggia gentilmente le mani sulle spalle e mi guida in un
altro
posto qua attorno.
“Dove siamo?”
“È un negozio dove vendono decorazioni di Natale.
Forza,
entriamo.”
Io annuisco, lui mi porta verso un determinato punto.
“Vedi.”
Io allungo le mani e sento una forma piramidale di plastica verde
morbida
all’esterno e più dura all’interno.
“Cos’è?”
“Un albero di Natale, la gente lo addobba.”
“Di che colore?”
“Ce ne sono di vari colori: verdi, bianchi, rosa.”
“Figo. Quindi le persone si radunano attorno a questo albero,
ma è spoglio.”
“Adesso infatti devi vedere un altro.”
Mi sposta le mani e questa volta sento delle strisce morbide e delle
palline –
alcune lisce, altre un po’ più ruvide –
tonde o a forma di stella.
“Attenta, non toccare qui, ci sono delle lucine.”
“Va bene. E cosa c’è in cima? Non ci
arrivo.”
Lui mi alza appoggiando le sue mani sui miei fianchi, sono un
po’ piccole, ma
morbide e calde, mi piace averle addosso. Ma cosa sto pensando? Lo
conosco solo
da ieri!
In cima comunque sento una grande stella con una coda.
“Altre persone mettono un puntale, cioè una punta
colorata.
Pomodoro o dorata. Come vedi le cose dorate?”
“Uhm… come mele candite.”
“E l’argento?”
“Certi confettini che mangiamo al mio compleanno.”
“Ok.”
“Mi hai portato qui solo per vedere le decorazioni?”
“No, anche per comprarle. Voglio decorare casa mia.”
“Mi stai invitando a casa tua?”
Lo sento esitare.
“Oh, Cristo! Lo so che fa da maniaco, ma sì,
volevo
farlo. Giusto per farti capire come si fa a decorare e tutto il resto.
Adesso
mi insulterai, vero?”
“La tentazione è forte, i ragazzi sconosciuti che
ti invitano a casa loro di
solito hanno secondi fini, lo sa anche una cieca come me.”
“Ti giuro che non ne ho, anzi c’è anche
un mio amico a casa con la sua ragazza,
quindi…”
“Va bene, ma se ci provi ti faccio male.”
“Ok.
Compra svariate cose e poi usciamo dal negozio, chiama un
taxi e gli dice un indirizzo di Manhattan, durante il viaggio non dice
una parola,
forse è dispiaciuto per la figuraccia che ha fatto prima.
“Michael, scusa se ho reagito male prima.”
“Va tutto bene, sono solo un po’ preoccupato, il
mio amico è a posto, ma la sua
ragazza è un po’ stronza.”
“Come si chiama?”
“Arzaylea.”
Il nome accende qualcosa nel mio cervello, come se l’avessi
già sentito da
qualche parte, ma non riesco a ricordare dove. In ogni caso il taxi si
ferma e
noi scendiamo, Mike apre un portone e poi andiamo verso
l’ascensore, sembra una
casa lussuosa, è tutto profumato.
“Ma chi diavolo sei in realtà? Il principe
Harry?”
“No, sono un comune mortale.”
Ride lui.
Usciamo dall’ascensore e lui apre una porta, mi fa
entrare e la richiude alle sue spalle.
“Luke, abbiamo ospiti!”
Sento dei passi, credo arrivino due persone.
“Ciao, Michael. È lei Talia? La ragazza che mi
dicevi
ieri?”
“Sì, sono io. Ciao, sono Talia Jimenez.”
Gli porgo una mano e lui la stringe.
“Io sono Luke Hemmings.”
Questo accende una dannata lampadina nel mio cervello.
“Tu sei quello dei 5 Seconds of Summer! La mia compagna
di banco vi adora!”
Mi volto verso Michael che, a giudicare dagli spostamenti
d’aria, sta ancora
gesticolando per far capire a Luke di non dire nulla.
“Perché cazzo mi hai mentito?
Per avere il brivido di scopare con una cieca?
Altro che lezioni di Natale, erano solo un modo per
arrivare a portarmi a letto! E pensare che iniziavi anche a piacermi.
Non voglio più vederti!”
Mi volto verso Luke.
“Grazie per avermi detto la verità almeno
tu.”
“Talia, non è come pensi, davvero.
Non avevo intenzione di fare sesso con te, volevo solo
essere tuo amico.
Ti prego, credimi.”
“Gli amici non mentono.”
“Avevo paura che se ti avessi detto chi fossi avresti
iniziato a trattarmi come
quello dei 5 Seconds of Summer e non come Mike.”
Il suo tono è disperato, ma non mi interessa.
“Ciao, Michael.”
“Ti accompagno.”
Mi dice Luke, forse per evitare che senta le risate della sua ragazza.
“Va bene.”
Insieme usciamo dall’appartamento e saliamo in ascensore.
“Talia, guarda che davvero Mike non ha secondi fini. Non
è il tipo, è la persona più gentile e
innocente del mondo. Io lo conosco bene,
è il mio miglior amico.”
“Proprio perché sei il suo migliore amico lo
difendi.”
“No, Talia. Non sono il tipo, se lui fa qualche stronzata
sono il primo a
farglielo notare.”
“Come vuoi.”
“Ascolta, se dovessi cambiare idea questo è il
nostro
indirizzo, lui sarà qui anche a Natale, i suoi genitori lo
raggiungeranno
dall’Australia.”
Mi dice l’indirizzo, io annuisco.
Lui chiama un taxi e gli dà l’indirizzo di Times
Square,
io salgo dopo aver salutato Luke con un cenno. Avevo così
tante aspettative e
sono tutte andate in frantumi, in fondo perché qualcuno di
così famoso dovrebbe
interessarsi di una cieca, che è anche povera?
Sono stata una stupida, ma non mi farò abbattere da
questo, non voglio che i miei si preoccupino per nulla.
Arrivo alla piazza e prendo la metro, torno a casa mia
con il sorriso sulle labbra.
Alla sera mia madre mi chiede come sia andata, io mento
dicendo che il ragazzo non si è presentato.
“Ti sei arrabbiata?”
“No, mamma. Stai tranquilla, adesso vado a letto che sono
stanca.”
In realtà non ho molto sonno e mi addormento solo alle tre
di mattina, mi
tormenta come mi sia affezionata alla svelta a quel ragazzo, non avevo
mai
sentito un’attrazione così forte verso qualcuno
prima d’ora, forse perché
non mi ha trattata come una cieca o
forse per altri motivi.
Non ci voglio pensare.
La mattina dopo mia madre mi sveglia a un’ora assurda
agitata come non mai.
“Mamma, cosa è successo?
È morto qualcuno? Papà sta male?
È scesa così tanta neve che non puoi andare a
lavorare?”
“No, tesoro. È una cosa bella.”
La sento sedersi accanto a me e prendermi una mano tra le sue.
“Stanotte qualcuno ha fatto due donazioni piuttosto
ingenti alla nostra raccolta fondi, abbiamo i soldi per andare a Londra
per
farti operare. Papà sta parlando con l’ospedale
per organizzare il tutto.”
Mi gira la testa per un attimo e ricado sul letto.
“Tornerò a vedere?”
“Sì, probabilmente dovrai portare gli occhiali o
le lenti, ma tornerai a
vedere.”
La gioia nella sua voce mi commuove, lei aveva perso le speranze e le
ha
ritrovate grazie a questi misteriosi donatori. Mi alzo a passi malfermi
e mi
accendo una sigaretta, mamma è talmente felice che non
protesta nemmeno, io
sono in preda a un miscuglio di sentimenti: sono felice anche, ma ho
anche
paura che l’operazione non riesca. È difficile
tornare alla normalità dopo che
hai assaggiato il frutto delle speranza.
I giorni seguenti sono un caos di preparativi e di
visite, mi sento come trascinata in un vortice che non so dove mi
porterà. Il
quinto giorno partiamo dal LaGuardia e atterriamo a Londra, per poi
andare
subito in ospedale. Tre giorni dopo mi operano, quando mi sveglio ho
delle
bende attorno al volto, mi è stato detto che
dovrò tenerle per due settimane.
Due settimane sono un tempo lungo in cui si pensa a tante
cose e il mio pensiero corre troppo spesso a Michael, ai tratti del suo
volto
appena resi più maturi da un filo di barba, ai suoi capelli
un po’ rovinati,
all’anice misto a menta dei suoi occhi.
Mi manca da morire, anche se abbiamo passato insieme solo
alcune ore, poi penso alle sue bugie e al suo tono disperato quando
è stato
scoperto. Forse non voleva davvero ferirmi, forse voleva davvero solo
qualcuno
che stesse con lui conoscendolo come Michael e non componente di una
band
famosa.
Ho pensato solo a me stessa e non a lui, lui con me è
stato gentile, mi ha trattato da persona normale e non da inferma.
È questa,
credo, la cosa che ho apprezzato di più.
Odio chi mi tratta come se fossi una bambolina di carta
solo perché non ci vedo, sono capace di badare a me stessa,
lo sono sempre
stata. Impari presto quando non vedi perché te stessa
è l’unico aiuto che avrai
sempre.
Forse dovrei scusarmi quando torno, Luke ha detto che a
New York fino a Natale ed è probabile che per Natale sia
tornata a casa. In
reparto c’è un’atmosfera allegra a causa
del Natale, un giorno chiedo perché a
un’infermiera, la sento sorridere.
“Perché la gioia è il significato
ultimo del Natale
insieme al donare qualcosa a qualcuno senza aspettarsi nulla in cambio,
solo
per far felice una persona.”
“Oh.”
Rispondo esterrefatta.
Adesso ho capito da chi sono arrivate le donazioni – un
problema su cui mi sono arrovellata molto – sono arrivate da
Luke e Mike. Mike
sapeva della raccolta fondi e deve averlo detto a Luke e nessuno lo ha
fatto
per secondi fini perché probabilmente avevano capito tutti e
due che non mi
sarei più fatta viva.
Allora è vero che lui mi vuole bene e chissà se
ha
pensato a me la metà di quello che io ho pensato io a lui?
Non lo so, ma vorrei tanto chiederglielo guardandolo
negli occhi.
Finalmente, tre settimane dopo l’intervento, mi tolgono
le bende con cautela, all’inizio non vedo molto, ma poi un
medico mi punta una
microlampada negli occhi e inizio a vedere.
“Oddio!”
Squittisco io.
“Talia, vedi?”
Mi chiede gentile il dottore.
“Io… Sì, un po’sfuocato, ma
vedo.”
Lui si sposta e per la prima volta vedo i miei genitori: mia madre
è una donna
minuta e pallida come me, con lunghi capelli neri raccolti in una coda
e un
tatuaggio sul polso, mio padre invece è alto e muscoloso,
con la pelle ambrata,
gli occhi e i capelli scuri un po’lunghi, pieno di tatuaggi.
“Mamma, papà!”
Esclamo con voce spezzata.
“Io vi vedo!”
“Oh, Talia!”
Mia madre è la prima a riprendersi e corre ad abbracciarmi,
mio padre la segue
subito dopo, mi accarezzano commossi. Alla fine scoppiamo a piangere
tutti e
tre dalla felicità, li vedo, li vedo!”
Rimaniamo un’altra settimana in ospedale, anche
perché devono fabbricare le
lenti a contatto che dovrò portare tutta la vita, per
sicurezza preparano anche
un paio di occhiali.
Il 23 dicembre usciamo dall’ospedale e vedo un cielo
sereno con le nuvoli che corrono veloci, vedo le piante scosse dal
vento e le
macchie di neve. Mi sembra tutto nuovo e meraviglioso, vorrei toccare
ed
abbracciare tutto.
Sull’aereo, vedendo il paesaggio e poi tra le nuvole
scoppio a piangere come una bambina.
“Mamma, è tutto bellissimo. La natura è
bellissima, Dio
esiste o non ci sarebbe tanta bellezza e tanta vita in questo
mondo.”
“Inizio a credere anche io che esista perché
finalmente puoi vedere tutto e
quanto sei bella anche tu.”
Io le sorrido.
Dopo aver visto i miei genitori mi sono vista anche io
allo specchio: una ragazza minuta, pallida, dai capelli neri con
sfumature
castane, tagliati a caschetto e con una frangia che mi arriva appena
sopra le
sopracciglia, due grandi occhi castano chiaro quasi dorato, delle
labbra rosee
e con una bella forma e un piercing argentato e dalle linee
orientaleggianti al
septum.
Bella.
Finalmente arriviamo a New York e scoppio di nuovo a
piangere davanti alla bellezza della mia città, anche il
nostro misero
appartamento mi sembra un reggia.
Vado a letto con il sorriso sulle labbra, ma la mattina
dopo mi sveglio inquieta e mia madre se ne accorge.
“Cosa c’è, tesoro?”
“Mamma, ti ho mentito su alcune cose.”
Lei alza un sopracciglio.
“Quel ragazzo che voleva insegnarmi cosa fosse il Natale
è venuto all’appuntamento, siamo andati in un
negozio a comprare l’albero e le
decorazioni, poi siamo andati a casa sua.”
Lei fa per dire qualcosa, ma le
faccio
cenno di tacere.
“Non sono andata a letto con lui se è questo che
ti
preoccupa e lui non ci ha nemmeno provato. Quando siamo arrivati a casa
sua mi
ha presentato un suo amico e ho capito che avevo incontrato il membro
di una
band famosa. Mi sono arrabbiata, l’ho accusato di volermi
portare a letto
perché sono cieca, di voler provare come fosse, lui mi ha
detto che voleva solo
qualcuno che lo trattasse da persona normale.
Io non gli ho creduto, anche se il suo amico me lo ha
confermato.
Penso si aver avuto un colpo di fulmine, mamma, perché in
ospedale non facevo altro che pensare a lui e credo di aver capito chi
mi ha
permesso di tornare a vedere.”
“Chi, tesoro?”
“Luke e Mike, mamma. Avevo detto a Mike della raccolta fondi
e loro devono aver
donato.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Un’infermiera mi ha detto che il senso ultimo del
Natale
è portare gioia, a volte anche regalando qualcosa a qualcuno
senza aspettarsi
nulla in cambio, come ha fatto lui.
Solo che io lo voglio ringraziare, rivedere, diventare
sua amica…”
Mia madre mi mette un dito sulle labbra.
“Ho capito. La mia piccola è innamorata e mi
sembra anche
di un bravo ragazzo, sarà anche una rockstar, ma io
sarò per sempre grata a lui
per il regalo che ti ha fatto. È come se ti avesse ridato la
vita.
Io credo che dovresti andare da lui, ma prima fai
colazione e mettiti carina, anche se non ne hai bisogno.”
“E se non mi volesse?”
“Non dirlo nemmeno, Talia.”
Mi alzo dal letto, mi faccio una doccia, bevo il mio solito
caffè con biscotti
e mi metto una gonna nera di pizzo, una maglia grigia a fantasia di
rose e
teschi che mi lascia scoperta la spalla sinistra, la mia giacca di
pelle e gli
anfibi.
“Mamma, io vado.”
Esco dall’appartamento, vado a Times Square, lì
fermo un taxi e mi faccio
portare all’indirizzo che mi ha dato Luke. Pago il taxista ed
entro, il portone
è aperto.
Salgo le scale, cercando di ricordare quanti piano avesse
fatto l’ascensore, ma alla fine trovo quello con scritto
“Clifford” su una
minuscola targhetta e suono il campanello.
La porta si apre, lui si sta pulendo le mani in uno
straccio.
“Sì, mamma. Ho messo il brasato sul fuoco, stai
tranquilla.”
“Mike, non sono tua madre.”
Lui alza gli occhi sorpreso e nota subito che non ho il bastone.
“Talia, tu…”
“Sì!”
“Sono tanto felice per te!”
Mi abbraccia e io mi
accorgo che mi sono
mancate queste braccia e il suo profumo, che inspiro a pieni polmoni.
Mi stacco
un po’ riluttante.
“Mike, io…”
Vorrei dirgli tante cose, ma non ce la faccio, così appoggio
delicatamente le
mie mani sulle sue guance e lo bacio con passione. Perdiamo tutti e tue
la
cognizione del tempo e quando ci stacchiamo siamo entrambi rossi e
ansimanti.
“Mike, grazie di tutto e scusa per come ti ho trattato,
non te lo meritavi.
Io… io ti ho pensato tanto in ospedale, alle tue mani, al
tuo profumo, ai tuoi occhi, a tutto…”
“Ci verresti a un appuntamento con me?”
Finiamo insieme e poi scoppiamo a ridere insieme.
“Sì, ci vengo.”
Mi dice lui.
“Grazie per avermi fatto rinascere.”
“Di niente, tu mi piaci davvero tanto.
Ci credi ai colpi di fulmine?”
“No, fino a che non ho incontrato te.”
“Per me è lo stesso.”
Ci baciamo ancora.
“Buon Natale, Talia.”
“Buon Natale, Michael.”
Ci baciamo ancora e mi sembra davvero di aver capito il senso di
Natale, di
sicuro l’anno prossimo lo festeggerò, con o senza
Mike.
Ogni rinascita va festeggiata e io oggi sono rinata.
Buone feste a tutti :)
Questa è Talia.