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Autore: Losiliel    23/12/2016    6 recensioni
Il salvataggio di Maedhros da parte di Fingon in chiave moderna.
Una Russingon modern-AU.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Celegorm, Curufin, Figli di Fëanor, Fingon, Maedhros
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'First Age Daydream'
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CAPITOLO 7

dove ogni tentativo fallisce

 

 

 

Fingon uscì dalla porta sul retro facendo un cenno di diniego con la mano in direzione di Celegorm, che lo attendeva nell'auto parlando al cellulare.

Anche l'ultima delle tre abitazioni segnalate da Curufin era vuota. Se c'era un motivo per cui erano ancora allacciate alla rete elettrica, di certo non era perché erano ancora abitate. Strati di polvere spessa coprivano i pavimenti, tracce evidenti della presenza di topi, odore di muffa e di aria stantia. 

Fingon salì in macchina scuotendosi i jeans e Celegorm premette il tasto per chiudere la conversazione.  

– Anche Maglor niente – lo informò il cugino, lanciando il cellulare sul cruscotto senza troppa cura, – ti riporto a casa. – Si stropicciò le palpebre con le nocche, poi riprese: – Sentiamo cosa dice Curufin. Ma a prescindere da cosa dice lui, io domani vado a denunciare la scomparsa.

Fingon si allacciò la cintura, mentre l’altro metteva in moto e si lanciava sulle strade buie e deserte in direzione della città. Poi si decise a porre la domanda che avrebbe voluto fare fin da quando avevano lasciato la casa dei Fëanorion.

– Perché stai facendo tutto questo, Ty? Perché non sei andato subito dalla polizia invece di sottostare alle follie di quel pazzo di tuo fratello?

Non riuscì a fermarsi, perché lui per primo non capiva come avesse potuto farsi coinvolgere in quel piano assurdo.

– Arriverai ad ammetterlo una buona volta! Curufin è un ragazzino arrogante e pieno di sé… e che non sa quello che fa, a quanto pare! – esclamò, sventolando una mano nella direzione dalla quale provenivano, a indicare l’inutilità della ricerca.

E subito si rese conto di aver esagerato, perché Celegorm non permetteva a nessuno di parlare male dei suoi fratelli, meno che mai di Curufin. Pensò che, amico o non amico, adesso si sarebbe preso un pugno dritto sul muso, e che forse era giusto così, il degno coronamento di una giornata nata male e finita peggio.

Ma l'altro rimase in silenzio, come se accettare il fallimento del fratello minore richiedesse tutte le sue energie. Accelerò per superare un passaggio a livello che stava per abbassare le sbarre, poi riprese a un'andatura più costante.

Quando Fingon cominciò a credere che non avrebbe più risposto, mormorò: – È stata la prima volta da quando è morto papà che ha voluto avere a che fare con noi. Sono due anni che ci rivolge a malapena la parola. E adesso ci ha chiesto aiuto, a modo suo. 

Senza distogliere gli occhi dalla strada, concluse: – Non potevo negarglielo.

Fingon si voltò verso il finestrino per impedirsi di ribattere con parole che avrebbe rimpianto. Era troppo esausto, angosciato e avvilito per tenere sotto controllo le sue reazioni. E in più, non riusciva a sopportare di vedere il cugino, sempre così restio a cedere, abbandonarsi allo sconforto.

La strada costeggiava la ferrovia e un treno sfrecciava parallelo a loro. Una lunga fila di carrozze buie, con alcuni scompartimenti illuminati che svelavano persone assopite o chine sul tablet. Per un istante Fingon desiderò essere una di quelle persone, che continuava a condurre la sua vita normale, che non aveva un amico scomparso, che non stava in macchina a notte fonda chiedendosi perché si trovasse lì e non a casa sua, nel suo letto.

– Perché io? – espresse a parole. Poi ripeté, a voce più alta: – Perché sei venuto da me? 

Celegorm imboccò l’ingresso della tangenziale, divergendo dalla direzione del treno.

– Non lo so, Fingon, non lo so – ammise, dopo qualche istante. – Forse perché quando c'eri tu... è stato l'unico periodo della sua vita in cui ho visto mio fratello davvero felice.

Si passò una mano sugli occhi, poi la posò sul volante. – Forse credevo che se tornavi tu, sarebbe tornato anche lui. Che tutto potesse essere di nuovo come una volta.

Ecco. Così imparava a stare zitto invece di fare domande prive di senso.

– Portami a casa, Ty – disse Fingon, per porre fine alla conversazione.

Che tutto potesse tornare come una volta.

Come avrebbe potuto, dopo quello che c’era stato?


 

*******


 

Il viaggio che Fingon aveva progettato per festeggiare il suo diploma, alla fine l'aveva fatto insieme a Maedhros. Erano stati in luoghi incantevoli, alla ricerca di pareti da scalare fuori dalle tappe più battute, che lui conosceva già troppo bene.

Fingon aveva dovuto rivedere il percorso per adattarsi alle capacità di arrampicata del compagno, ma l'aveva fatto più che volentieri. Avevano passato un mese intero da soli, in luoghi semi deserti o poco frequentati, dove nessuno li conosceva, dove se qualcuno li sbirciava incuriosito quando si tenevano per mano era solo per il fatto che erano due ragazzi, non perché sapeva che il loro stare insieme era macchiato da un legame di parentela. Era stato come vivere in un sogno.

Una volta rientrati, non era stato facile riprendere la loro vita di tutti i giorni.

Nessuno dei due aveva parlato apertamente di come gestire la cosa, ma sembrava che di comune accordo avessero deciso di tenere il loro rapporto, se non proprio nascosto, almeno riservato. Dimostrazioni d'affetto che oltrepassavano la semplice amicizia, le conservavano per i momenti in cui erano soli, mentre in presenza degli altri cercavano di mantenere un comportamento non diverso da quello che avevano sempre tenuto.

Con l’arrivo di settembre, le occasioni per stare insieme calarono notevolmente. Fingon iniziò l’università in una città non troppo distante, che gli permetteva di rientrare a casa solo per il fine settimana, e Maedhros si trasferì in un appartamento per conto suo e cominciò, come previsto, a lavorare per la Tirion.

Sopperivano, tuttavia, alla lontananza con lunghissimi scambi di sms durante il giorno, e interminabili conversazioni via Skype durante la notte, in cui arrivavano a parlare pressoché di tutto pur di non porre fine alla chiamata, nonostante i numerosi, ma a onor del vero deboli, tentativi di Maedhros di appellarsi al loro senso di responsabilità quando la tarda notte si trasformava in mattino presto. 

C'era un unico argomento di cui non parlavano mai, ed era del sentimento che li legava. Nessuno aveva cercato di dargli un nome, fatto ipotesi su dove li avrebbe condotti, o rivelato all'altro cosa desiderava accadesse in futuro.

Le parole “ti amo” non erano mai state pronunciate, né a voce, né filtrate dall'elettronica, e quando a Fingon salivano alle labbra spontanee, prima di augurare la buona notte all'amico, o quando lo rivedeva dopo una settimana di lontananza, o quando si concedevano qualche momento di intimità, faceva molta attenzione a non farsele sfuggire di bocca.

Fingon non avrebbe mai fatto il primo passo, rischiando di portare a galla tutto il carico di non detto, e rompere l'incantesimo che li teneva insieme.

Anche a regolare i loro progressi sul piano fisico lasciava che a condurre fosse Maedhros, il quale non permetteva mai che i baci e le carezze si protraessero al punto da condurli là dove entrambi morivano dalla voglia di arrivare.

A livello razionale, sapeva che era meglio così. Andare a letto insieme sarebbe stato il vero, tangibile, punto di non ritorno, oltrepassato il quale non avrebbero più potuto fingere che tutto non fosse altro che un'amicizia singolare, o un’infatuazione passeggera, e avrebbero dovuto affrontare la cosa chiamandola col suo nome. E, per quanto Fingon volesse negarlo, forse perdurava ancora il timore che il nome “incesto” avrebbe avuto la meglio sul nome “amore”.

Quando alla fine accadde, dopo molti mesi dal loro primo bacio, non fu qualcosa di deciso, o di programmato. Una sera come tante altre, tornati da cena, Fingon aveva seguito Maedhros fino in casa per un ultimo saluto che si era protratto più a lungo del solito. I baci si erano fatti più insistenti, le carezze più audaci, e dalla porta d’ingresso erano finiti sul divano. Bottoni erano stati slacciati e labbra avevano intrapreso percorsi inconsueti, e alla fine Maedhros aveva mormorato contro il suo collo – ti fermi qui stanotte – senza nemmeno tentare di farla sembrare una domanda, e Fingon non aveva ritenuto di doversi prendere la briga di rispondere e aveva proseguito col suo impacciato tentativo di sfilargli la cintura.

Ma molto più tardi, distesi su lenzuola stropicciate, i vestiti sparsi sul pavimento della camera da letto insieme all’involucro di un preservativo, con Maedhros che tremava sopra di lui in balia degli ultimi brividi di piacere e i loro sguardi persi l’uno nell’altro, Fingon aveva visto negli occhi del suo amante il senso di colpa emergere poco a poco, e lo spavento irrompere nel realizzare ciò che era appena accaduto. Allora l’aveva tirato a sé e l’aveva stretto forte, e aveva mormorato più volte – non abbiamo fatto niente di male, Mae – con una voce che suonava incerta alle sue stesse orecchie.

Da allora, contro ogni previsione, le cose erano migliorate.

Aver oltrepassato quel limite li fece sentire come se non potessero fare niente di peggio. Il danno era fatto. Non restava che riconoscere la realtà della loro situazione, comunque volessero chiamarla, e lasciare che le cose procedessero come dovevano. 

Quella prima notte fu seguita da altre, e nel giro di poco tempo divenne scontato che Fingon passasse il fine settimana a casa del compagno. La convivenza divenne un'abitudine, e il senso di colpa poco a poco venne messo a tacere dalla sorprendente bellezza dei piccoli gesti quotidiani: condividere il divano davanti alla tv, tentare un esperimento di cucina invece di uscire a cena, addormentarsi abbracciati sazi l'uno dell'altro. 

Le due parole che Fingon desiderava sentire più di ogni altra cosa al mondo continuavano a restare non dette, ma lui aveva imparato ad accettarlo, e c'erano momenti in cui riusciva persino a credere che, così come Maedhros era diventato il centro della sua vita, anche lui era tutto ciò di cui il suo compagno aveva bisogno per essere felice.

 

Fu un duro colpo quando scoprì che non era affatto così.

Accadde qualche tempo dopo la morte del nonno, durante il suo terzo anno di università.

Maedhros cominciò a sembrare distratto, distaccato. Cominciò a trovare scuse per non invitarlo a restare a casa sua nel weekend, a rispondere ai messaggi di Fingon, che lo cercava durante la settimana, con brevi frasi impersonali, a sottrarsi alle chiamate serali. 

Le cose peggiorarono con l'incidente a Fëanor. In quell'occasione, a Fingon non restò che assistere da lontano, tramite le parole riportate da Celegorm, alla sofferenza del suo amante, senza che gli fosse data la possibilità di far niente per lenirla.

Finché un giorno, tornato in città per una pausa dalle lezioni, si sentì dire quello che in fondo aveva sempre temuto: che la cosa non poteva funzionare, che il loro comportamento era scorretto, che Maedhros non se la sentiva più di continuare. Che dovevano darci un taglio.

Che era stato solo un sogno, e che nella vita reale non c'era posto per due come loro.

Parole definitive, pronunciate con freddezza in un luogo pubblico, un bar che entrambi odiavano nei pressi della stazione. Niente scenate, niente alzate di voce, nessun rischio di scivolare sul piano fisico, dove la razionalità sarebbe stata soppiantata dal bisogno di condividere lo stesso fiato, la stessa pelle, lo stesso corpo.

Un discorso asettico in un luogo asettico, e poi ognuno per la sua strada.

Fingon crollò sotto i colpi di quella gelida impassibilità. Nei giorni successivi tentò di comprendere, di ricucire, di capire dove aveva sbagliato, mentre sotto sotto un vocina gli insinuava che non poteva che finire così, che uno come lui non avrebbe mai potuto ambire a condividere la sua vita con una persona come Maedhros, e che aveva già ricevuto più di quanto meritasse.

Così, poco a poco, smise di cercare i motivi, perché dentro di sé sapeva che era proprio in quel modo che tutto si sarebbe concluso.

Fin dall’inizio l'aveva saputo. Fin dal giorno in cui quell’essere perfetto aveva afferrato per sbaglio la sua mano in un pub e l’aveva lasciata andare appena si era reso conto di ciò che aveva fatto.

Non c’era niente da capire: Maedhros si era reso conto di ciò che aveva fatto. E l’aveva lasciato.

Quando scoprì che l'amico aveva abbandonato l'appartamento e aveva cambiato il numero di cellulare, Fingon si era già arreso.

 

 

 

____________

Ringraziamenti

Oggi ricorre un anno dal mio ingresso in EFP!!

Sono felice di festeggiarlo con voi con una storia che fa il paio con quella del mio esordio. 

Quando, dodici mesi fa, ho pubblicato Tenn’Ambar-metta, non sapevo a cosa sarei andata incontro. Non sapevo che a distanza di un anno mi sarei ritrovata ancora qui, e che quella che pensavo sarebbe stata un'esperienza "once in a lifetime" sarebbe diventata un'attività che assorbe quasi tutto il mio tempo libero. La mia vita, oggi, è più divertente e più interessante, più ricca di sfide, e la mia capacità di scrivere, forse, un pochino migliorata. E il merito di tutto ciò va alle persone speciali che ho incontrato in questo sito, che mi hanno incoraggiato e sostenuto fin dall'inizio: Kanako91 (impareggiabile beta della storia che state leggendo), Melianar, Tyelemmaiwe, Ghevurah, Feanoriel. Grazie ragazze!

Allo stesso modo, ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno accompagnato in questi mesi lasciandomi un commento quando hanno ritenuto che le mie storie ne valessero la pena, o mostrando di apprezzare i miei scritti inserendoli tra le loro preferenze, o soltanto leggendoli e tornando a rileggerli. Sono onorata dal tempo che avete speso in compagnia delle mie opere. La vostra presenza è stata un validissimo incentivo a continuare su questa strada. 

Grazie a tutti, lettrici e lettori! E Tanti Auguri di Buone Feste!!!

 

Avviso importante!

Dal prossimo capitolo cambia il ritmo del postaggio: non più il lunedì e il venerdì, ma il mercoledì e il giovedì.
Appuntamento, quindi, a mercoledì 28!


 

  
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