1. Eyes of despair
Red
Blood. Così
recitava l'insegna di Led lampeggianti.
Quando le luci
calavano e la gente-per-bene andava a dormire, la musica cominciava a
pulsare.
Era il cuore palpitante della città.
Il locale era
diviso in più livelli. In base alla disperazione dei clienti
e allo spessore
del portafoglio, il Red Blood sapeva trasformarsi da discoteca di
periferia a
bordello di lusso. Tutto però - va ammesso - era trattato
con una discrezione
tale, da garantire al locale ospiti di prestigio ed entrate costanti.
Al Red Blood si
incrociavano parecchie storie. Era il posto dove raccogliere i cocci
della
propria vita e andare avanti, oppure dove fermarsi e lasciarsi cadere
in pezzi.
Tutti i clienti, però, s’identificavano sotto un
comune denominatore: che fosse
per divertimento, solitudine, bisogno o malattia, c’era la
pretesa di chiedere
e chiedere ancora consolazione al battito animalesco della notte.
«
Mamma
mia, sono
stanchissima. »
« Coooosaaaa?
Non ti sento, alza la voce. »
« Ho detto che
sono stanchissimaaaaaa. »
Riuscire a
parlare sui ritmi ossessivi della musica era un’arte affinata
da tempo. Si
dovevano sincronizzare i movimenti della bocca con quelli convulsi
della danza
e non perdere il ritmo né la concentrazione.
Sakura Haruno
era molto abile in questo. Da parte sua c’era lo sforzo di
isolare mente e
corpo. Così, mentre continuava ad agitarsi sotto la musica,
poteva fare un
mucchio di altre cose.
Quella sera
scelse di impiegare questa piccola libertà nello studio
attento e nell’analisi
degli ospiti. Di lei si diceva che potesse capire le cose al volo e che
con uno
sguardo sapesse spiegare il motivo che aveva condotto uno dei tanti
sulla
soglia del Red Blood.
Sapeva che le
mani insistenti sui suoi fianchi erano una storia di tradimenti e
insoddisfazioni. L’uomo che le ballava davanti, invece,
doveva essere uno di
quelli con la paura di fare il primo passo. Il sorriso di uno ricordava
il
ghigno lascivo nelle iconografie dei demoni, quello di un altro l’esaltazione
di un santo. Tutti nel vorticare della musica potevano essere
considerati libri
aperti, in cui gli attenti occhi di Sakura leggevano ogni sfumatura di
pensiero.
Tutti, tranne
uno.
Un paio d’occhi
scuri e severi mantennero il segreto della loro storia. Sakura resse a
lungo il
contatto, ma non scoprì nulla né
riuscì a leggervi qualcosa. Guardare
quell’uomo era guardare una sagoma anonima e priva di vita.
Nessuna espressione
che ne marcasse il viso, nessun piccolo gesto che tradisse segnali di
personalità. L’unica sensazione provata -
più
« Hai ballato
troppo, Sakura. »
« Dici? No, è
che c’è un tizio di là… mi
guarda dall’inizio della serata e non riesco a
capire cosa vuole… »
« Cosa può
volere, scusa? Se è venuto qui, vorrà
divertirsi… magari con te, se ti fissa….
»
« Mah, non lo
so. Di solito sono brava a capire le cose… »
« Allora, sarai
solo stanca. Spera che nessuno chieda di te più tardi e
fatti una bella
dormita. Vai adesso... »
Sakura ascoltò il consiglio e lasciò la sala da
ballo. Controllò con attenzione
che non ci fossero clienti per lei nei salottini privati e raggiunse lo
spogliatoio. Sarebbe tornata a casa, si sarebbe rilassata e avrebbe
dimenticato
quegli occhi senza storia. Dimenticare, però, non è un'azione facile. Richiede una forza d'animo non indifferente e Sakura Haruno non era certa di possederne a sufficienza. Quando ogni cosa va male e sei costretta a fare la puttana per vivere, non hai le giuste energie per opporti all'eterno divenire delle cose. Il destino, come una spada di Damocle sulla testa, incombe in ogni istante. Quel giorno attaccò con un'arma sublime: due occhi neri di pece e nessuna luce a farli brillare. Occhi senza storia.