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Autore: Ziseos    23/12/2016    1 recensioni
Dopo un'incidente avvenuto anni prima, la giovane Nami decide di inseguire un vecchio sogno nella moderna metropoli di Sabaody; per farlo, si ritroverà a convivere con cinque perfetti sconosciuti,ognuno di loro, come lei, intenzionato a seguire il proprio sogno.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Sanji, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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Capitolo 3

Nightmare


“Quello è il mio letto. Tu chi sei?”

La persona che aveva appena parlato era in piedi dinanzi a lei, e la squadrava con lo sguardo.

Nami tirò a sé le lenzuola come per proteggersi da quella presenza intimidatoria.

“Mi dispiace…io… credevo fosse la mia stanza.”- rispose tirandosi nuovamente a sedere.

“Ti sei sbagliata. In ogni caso la questione è questa: tu sei nella mia stanza, precisamente nel mio letto. Come la mettiamo?”- disse la figura alzando un sopracciglio.

La giovane strizzò gli occhi cercando di mettere a fuoco la persona che aveva di fronte a sé.

Dalla voce poteva dedurre facilmente che si trattasse di un’uomo,e solo con il passare dei secondi, riuscì a distinguere anche il resto.

Un uomo alto, dal fisico asciutto e atletico nascosto sotto la sottile camicia bianca, continuava a fissarla con espressione impassibile.

Alzò lo sguardo e incontrò il suo.

Due occhi grigi e duri come l'acciaio fissavano impassibili la sua figura, erano come due lame di ghiaccio, penetranti e glaciali.

Aveva la carnagione olivastra resa ancora più scura dal pizzetto nero e dai folti capelli neri uniti alle basette che incorniciavano il suo volto stanco.

Nonostante fossero rimasti a fissarsi per poco tempo, Nami avvertì qualcosa di inusuale in lui, come se irradiasse attorno a sè una sorta di strana energia tanto da provocarle un brivido lungo la schiena.

 

 

“Dunque?”- chiese lui nuovamente, spezzando il silenzio che era caduto improvvisamente nella stanza.

Imbarazzata scese piano dal letto ancora assonnata, cercando di sistemarsi la sottile vestaglia che aveva addosso.

“Chiedo scusa, farò più attenzione.”- rispose sistemandosi una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio e raccogliendo i suoi vestiti rimasti a terra.

“Lo spero.”- disse in risposta lui, rimanendo sempre impassibile e socchiudendo gli occhi.

 Nami uscì dalla stanza ancora con quella sensazione di gelo addosso, che rimase anche quando l’uomo richiuse la porta della camera con un suono secco, mettendo fra sè e lei la stanza.

'Un'altro coinquilino...?'- pensò lei, ancora a mente non totalmente lucida, intorpidita dal sonno.

Poi le venne in mente un particolare a cui non aveva dato grande importanza prima di allora.

Quel pomeriggio appena arrivata, aveva notato una pila di libri sistemati sopra a una vecchia scrivania, che spaziavano dai tomi di botanica medicinale del sig. Heracles ai famosi saggi di medicina della celeberrima dottoressa Kureha, e tanti altri ancora.

Tutti i volumi erano rilegati perfettamente nonostante dalle pagine ingiallite si evincesse che non fossero recenti, ed erano stati impilati dal più grande al più piccolo con una cura maniacale.

Tuttavia, era sicura che non appartenessero a nessuno dei coinquilini che aveva conosciuto quel giorno: Sanji era un cuoco, il Marimo non aveva certo l’aria di essere un secchione acculturato e lo stesso potava dirsi per Luffy, mentre Usopp era un’artista quindi dedicava più tempo a pennelli e tele che ai libri.

Aveva pensato inizialmente che potessero appartenere a Vivi, la quale sembrava essere la più istruita del gruppo, ma quest’ultima proprio la sera prima durante la cena aveva affermato che stava studiando scienze politiche, pertanto i libri visti poche ore addietro non potevano appartenere nemmeno a lei.

Nella testa le era balenata l’idea che potesse effettivamente esserci un sesto coinquilino, ma nessuno durante la serata vi aveva nemmeno lontanamente accennato, perciò aveva quasi accantonato quell’idea.

Ora però aveva la certezza che la sua ipotesi fosse effettivamente fondata.

Ma chi era? Come mai nessuno degli altri le aveva parlato di lui?

Nonostante la sua curiosità fosse enorme, il sonno e la stanchezza della giornata precedente ebbero la meglio su di lei; non appena trovò la stanza sua e di Vivi, situata proprio accanto alla stanza del nuovo arrivato, si addormentò prima ancora che la testa toccasse il cuscino.

 

Anche quella sera sente il battito aumentare, il cuore si muove nel petto sempre più veloce.

Aspetta che il sipario si apra, ma non succede nulla.

Lei continua ad aspettare, attende per attimi infiniti, aspetta il drappo rosso che la separa da tutti si apra e che tutti possano vederla.

Ma non succede.

Di colpo sente un rumore metallico sopra la sua testa, alza lo sguardo per capire da dove provenga ma non appena prova a farlo, una pesante gabbia di ferro cade sopra di lei, imprigionandola.

Lei è confusa, non comprende perché stia succede do

Vaga disperata da una parte all’altra della sua immobile prigione, cerca una via di fuga.
Solo in quel momento, il sipario si apre, sì, ora il drappo rosso che la separa dagli sguardi del pubblico non può più proteggerla.
Questa volta non c’è il silenzio ad accoglierla.

Dapprima è solo una, debole e lontana.

Ma di colpo cominciano ad aumentare, più forti, sempre più forti.

Le risate agghiaccianti di quelle ombre scure dinanzi a lei la travolgono, la colpiscono lasciandola a terra, le prosciugano persino la voglia di rialzarsi e fuggire.

Dove potrebbe andare comunque?

Una sensazione gelida attorno al collo le manda un brivido lungo la schiena.

Porta le mani verso la gola e sente premuta sulla sua carne una pesante catena che la tiene prigioniera.

Ora non può correre da nessuna parte, le è concesso solo di rimanere lì alla mercè delle risate.

Li vede indicare qualcosa vicino a lei, sente un’ odore acre, ferroso e penetrante arrivare alle sue narici, una sensazione strana le accappona la pelle, percepisce un rivolo di liquido caldo e viscoso scorrerle lungo la schiena.

Con orrore dipinto in viso, si volta a guardare dietro di sé.

Un paio di ali, tagliate via dall’attaccatura alle scapole, giacciono sul palco sporco di sangue, immobili.

Un grido di dolore e spavento le si ferma in gola, sbarra gli occhi sconcertata, una paura si impossessa di lei, la tiene stretta in una morsa gelata.

Di nuovo, è successo di nuovo.

Si copre gli occhi, non vuole vedere, ormai conosce quella scena a memoria.

Sente una canna di pistola premuta contro la sua testa.

E’ arrivato il momento, ma non vuole guardare, tanto presto sarà finito tutto.

Non versa lacrime, non ne ha più nessuna da versare.

Chiude gli occhi, stringe le esili gambe a sé e accetta la fine. 

 

Un sottile raggio di Sole filtrava dalla finestra illuminando la piccola stanza spoglia, mentre al di fuori la brezza fresca proveniente dall’oceano smuoveva dolcemente le fronde delle alte Yarukiman che si stagliavano verso il cielo, divenute il nido preferito di centinaia di news coo.*

Il tepore del mattino riscaldava le guance di Nami che, abbracciata al suo cuscino, nascondeva la testa cercando di ripararsi dalla luce per poter dormire ancora un po’.

Erano anni ormai che non riusciva a concedersi le giuste ore di riposo, e lo si poteva evincere dalle scure occhiaie e lo sguardo stanco, più adulto e spossato.

A soli ventuno anni sentiva di sembrare molto più vecchia di quanto non fosse in realtà, e questo non poteva senz’altro giovare alla sua autostima che, per quanto fosse alta, rimaneva sempre quella di una giovane poco più che adolescente, con le sue piccole insicurezze e quant’altro.

Tutta colpa di quei maledetti incubi.

Per quanto tempo avevano ancora intenzione di perseguitarla?

Si tirò il lenzuolo sulla testa, nella speranza che il tessuto sottile riuscisse a schermare anche di poco la luce che continuava a darle fastidio, ma senza risultati.

'Bello schifo.'- commentò fra sé e sé.

Tanto valeva alzarsi e combinare qualcosa di utile piuttosto che rimanere lì a fare nulla di utile.

In ogni caso, quella mattina avrebbe dovuto chiarire alcune cose, a partire dai dubbi rimasi la sera prima.

Delle voci provenienti dalle stanze adiacenti e dal salotto indicavano che non era l’unica ad essere sveglia.

Si alzò stiracchiando le membra intorpidite e rimase ancora qualche secondo a fissare il pavimento in una sorta di stato catatonico.

‘Ho urgentemente bisogno di un caffè.’- mugugnò a bassa voce rivolgendo la frase a nessuno di preciso.

Come se qualcuno avesse sentito la sua frase, la porta si aprì di colpo ed un’ intenso aroma di caffè invase la piccola stanza raggiungendo subito Nami.

“Nami-swannnn!!”- disse Sanji entrando nella camera mentre teneva agilmente su di una mano un vassoio ricolmo di paste con una tazzina di caffè appena fatto- “Ho pensato di prepararti una speciale colazione da portarti a letto.”

Nami lo guardò sorpresa. Cos’è, aveva un’abilità telepatica forse?

“Ti ringrazio Sanji, ma non c’era bisogno che ti disturbassi così “- disse prendendo una pasta dal vassoio che il biondo le porgeva.

“Disturbo? Quale disturbo Milady? Servire qualcosa ad una tale bellezza è semplicemente un’ onore ed un privilegio per me!”- disse teatralmente inginocchiandosi dinanzi a lei continuando a porgerle il vassoio.

“SANJI! RIPORTAMI QUA I DOLCI, HO FAME!!”- gridò Luffy dalla cucina.

“TI SEI QUASI FINITO LA SPESA PER LA SETTIMANA, UN PO’ DI DIGIUNO NON CREDO TI FACCIA MALE!”- grdiò Sanji in risposta, per poi cambiare espressione e rivolgersi di nuovo a Nami in tono gentile.- “Nami-swannn chiedo umilmente scusa, ma il dovere chiama. Se dovessi avere bisogno di altro sono a tua completa disposizione.”

Con un inchino si congedò, ritornando verso velocemente la cucina.

Rimasta nuovamente sola si sedette sul letto, piluccando le paste lasciate da Sanji e bevendo in un sorso il caffè.

‘Decisamente meglio.’- pensò finalmente soddisfatta addentando un pasticcino allo Jerez.

Oh si, quelle paste erano decisamente veramente deliziose.

 

Seduta nel vecchio divano Vivi stava ricontrollando una grossa pila di documenti con calcolatrice alla mano e taccuino degli appunti accanto.

Nonostante fosse brava a mascherare la preoccupazione, era evidente dal suo sguardo che qualcosa non andava.

‘Non va affatto bene.’- disse ricontrollando l’ultimo foglio che aveva tra le mani. - “Per niente bene.”

Sospirando rassegnata appoggiò anche quel foglio su gli altri appoggiati lì vicino.

“Se non troviamo una soluzione adesso … sarà veramente tardi. Potessi solo fare qualcosa …”

La porta della sua stanza si aprì lasciando passare Nami che reggeva tra le mani uno dei vassoi usati solitamente da Sanji.

Vivi alzò la testa esibendo il suo solito sorriso cordiale.

“Buongiorno Nami. Hai riposato bene?”

“Abbastanza … “- rispose la rossa sbadigliando e sistemando nella cucina il vassoio vuoto.

“Il letto non è dei più comodi, me ne rendo conto …”

“No va benissimo, davvero. E’ stata solo una notte … movimentata, diciamo.”- disse Nami sedendosi accanto a lei.

“Qualcuno dei ragazzi era su di giri per caso?”- ridacchiò l’altra.

“Si abb- ... cosa?! Eh,no no aspetta, non intendevo quello!”- si affrettò a spiegare scuotendo le mani.

“Nami … ti stavo solo prendendo in giro, rilassati.”- si scusò Vivi ridendo.

“Piuttosto… “- disse Nami cambiando discorso ed indicando le lettere impilate a terra – “ Cosa sono quelle?”

Vivi si drizzò alla domanda.

“Ah, quelle? Niente di importante, tranquilla. Solo dei documenti da firmare per la casa. Sai, con tanti coinquilini c’è bisogno di qualcuno che tenga sotto controllo le spese e altro.”- rispose ritirando velocemente i fogli da terra.

Nami fu più lesta ad afferrare uno dei fogli che ancora giacevano a terra e a scorrerlo velocemente con gli occhi.

“… pagamento non avvenuto, pena la paga di pesanti sanzioni ed un conseguente …”- lesse velocemente.

Vivi si lanciò a sfilarle di mano il foglio.

“Una vecchia multa per Luffy! Aveva mangiato in uno dei locali vicino al quartiere della Marina e si era dimenticato di pagare, ma fortunatamente ero nei paraggi e ho provveduto a risarcire il danno! Vedi? Niente di che!”- disse sorridendo nervosamente.

“Ah … bene. Ma non hai detto che questi fogli hanno a che fare con le spese della casa?”

“Diciamo che tengo conto di tutte le spese, anche quelle esterne. Niente di cui preoccuparsi! Gestiamo tutti i coinquilini nel modo migliore, puoi stare tranquilla.”

“A proposito di coinquilini … “- fece Nami assumendo improvvisamente un’espressione pensierosa. – “Hai detto che qui ci sono cinque persone, giusto?”

“Si … anzi, più o meno. In verità siamo in sei qui, ma il sesto inquilino non ama molto socializzare per cui è come coabitare con un fantasma a volte. Sappiamo poco di lui e dal canto suo, non sembra che abbia l’intenzione di farci sapere molto su di sé, nonostante sia piuttosto conosciuto nell’arcipelago.”

“Chi è allora?”- domandò Nami sollevando un sopracciglio.

“Si chiama Law, Trafalgar Law. E’ uno studente di medicina e a detta sua è venuto a Sabaody per studiare nel famoso Ospedale dell’Arcipelago, anche se molti dicono che non sia quello lo scopo della sua permanenza qui.”

“Che vuoi dire?”- chiese la rossa incuriosita.

“Beh io non so se sia vero o siano solo dicerie o meno … “- rispose Vivi avvicinandosi a lei e parlando a voce bassa – “… ma ho sentito dire che abbia fatto qualcosa di grosso e sia nei guai con il Governo.”

“Che cosa? Un medico che commette crimini contro il Governo? E’ piuttosto strano.”

“Le voci dicono che sia per colpa del suo soprannome, pare che sia lui il famoso Chirurgo de-“

Entrambe si girarono di scatto appena sentirono la porta di una delle camere aprirsi di scatto, seguita da una voce arrabbiata che sbraitava frasi concitate.

Zoro si precipitò fuori dalla sua stanza, cercando disperatamente qualcosa.

“Bisogno di aiuto Mr. Bushido?”- gli chiese Vivi alzandosi.

“Nah … quel tipo ha di nuovo messo le mie spade da qualche parte.”

“Intendi il medico?”

“Ah quello. Si proprio lui. Cavoli, quel tizio mette i brividi solo a guardarlo! Ed è decisamente troppo ordinato per i miei gusti.”

“Probabilmente è per questo che preferisce dormire da solo.”

“E che stia solo! Chi diavolo vorrebbe ritrovarsi quel tizio in camera in piena notte?!”

Nami sobbalzò.

Effettivamente non era un’esperienza del tutto piacevole, e lei ne sapeva qualcosa.

“Abbi pazienza Zoro, non si fermerà ancora per molto.”

“Bah, lo spero.”- disse scoccando poi un’occhiataccia anche a Nami.- “ Spero anche non sia l’unico.”

Lei colse la sua frecciatina e rispose dandogli le spalle.

“Oh lo spero anche io. Chi vorrebbe avere come coinquilino qualcuno che spende i propri soldi solo in liquore e che si comporta da vero maleducato con i nuovi arrivati. Per non parlare poi dei capelli algati che sono un pugno in faccia ad ogni minimo di buongusto.”

Zoro si voltò di scatto furioso.

“Brutta strega…!”

“Non ne hai avuto abbastanza ieri?!”

“Ripetilo, avanti!”

“Quando vuoi.”

Nami si alzò andando dritta verso di lui.

Quell’idiota stava superando il limite.

Puntò il dito contro di lui pronta a mitragliarlo di insulti quando un lieve rumore di passi li fece voltare.

Da una delle stanze uscì la stessa persona incontrata da Nami quella stessa notte, questa volta perfettamente in tiro nel suo camice bianco e completo da lavoro impeccabile.

Ora riusciva a notare anche altri particolari del suo nuovo coabitante.

Portava due paia di orecchini dorati nascosti dai folti capelli scuri e dalle basette, mentre al di sotto della camicia lasciata semi-sbottonata sul petto riusciva ad intravedere un intricato tatuaggio nero dal disegno singolare quanto familiare.

Ma la cosa che la colpì di più, furono i tatuaggi su tutte le dita della mano, le cui lettere componevano la parola “DEATH”.

Morte.

Che razza di medico sano di mente avrebbe mai avuto l’idea di tatuarsi una roba simile addosso?

Sentendo il suo sguardo su di sé, il medico ricambiò guardandola dritta negli occhi, regalandole nuovamente un’occhiata gelida.

Nami distolse lo sguardo altrove.

Si sentiva estremamente a disagio e non sapeva dire il perché.

Vivi tossicchiò smorzando il silenzio che era calato improvvisamente.

“Buongiorno Law. Non ti abbiamo visto entrare ieri sera.”- disse alzandosi e rivolgendosi all’uomo.

“Sono rientrato tardi.”- rispose lui secco senza tante cerimonie.

“Se vuoi fare colazione credo siano avanzate alcune paste in cucina …”

“Non ho fame e sono in ritardo. Tornerò questa sera.”- rispose lui prendendo da terra una valigetta scura e incamminandosi verso la porta d’uscita, fermandosi poco prima di mettere piede fuori.- “Sarebbe utile mettere qualche indicazione per le camere, così da evitare sorprese di notte.”

Richiuse la porta dietro di sé.

Nella stanza calò il silenzio e l’unico rumore che si udiva era quello dei passi di Law mentre scendeva le scale.

 

Tutti quelli presenti in stanza si voltarono verso Nami.

Lei rimase impietrita sentendo lo sguardo di tutti puntato su di lei.

‘E con questo sono due. Grandioso.’

Perché diavolo ce l’avevano tutti con lei? Da quando era arrivata non erano passate nemmeno 24 ore e già due persone le avevano chiaramente fatto capire che sarebbe stato meglio non averla fra i piedi in quella casa.

Ora sentiva urgentemente il bisogno di pigliare qualcuno a cazzotti e sfogarsi una volta per tutte prima di esplodere del tutto.

“Conoscevi già quel tizio?”- chiese Zoro indicando con la testa la porta dalla quale era uscito il medico pochi minuti prima.

“No.”- rispose lei socchiudendo gli occhi –“ Non proprio.”

“Eppure quella frase sembrava proprio diretta a te. Che hai combinato?”

“Nulla che ti riguardi.”

“Poco acida eh?!”

“Oh quanto sei noioso. Ieri sera ho bevuto. Poco. Ero stanca ed ho confuso la stanza mia e di Vivi con la sua. Tutto qua.”

“Oooh capisco.”- ghignò Zoro. – “Vedere una strega in pigiama nel suo letto deve avergli fatto perdere quell’espressione apatica per qualche secondo. Devi averlo spaventato davvero eh?”

“Trafalgar ha visto Nami in pigiama?!!”- urlò Sanji dalla cucina- “Che lui sia maledetto!! SAREI DOVUTO ESSERCI IO!”.

Nami sospirò visibilmente scocciata.

La mattinata stava passando velocemente e non era ancora riuscita a combinare nulla di utile, se non a discutere con quell’idiota di Zoro e a chiarire l’identità del sesto coinquilino.

Voleva invece trovare una risposta a quel dubbio rimasto nella sua testa dalla sera prima.

Anzi, a due lettere.

G.T.

 

“Devo fare una cosa.”- annunciò improvvisamente.- “Vivi, potresti darmi quel contratto che mi hai mostrato ieri?”

“Si, certo … per cosa ti serve?”

“Nulla. Vorrei solo fare due chiacchiere con il nostro gentile padrone di casa. Ci sarà un indirizzo o cose simili dove possa essere contattato, no?”

“A dire il vero Nami, non credo.”

“Come sarebbe a dire?”- rispose sarcastica – “Chi non ha uno lumacofono di questi tempi? E poi qualcuno che riesce ad affittare una casa ad altre persone non penso sia così povera da non avere nemmeno una casa sua, specialmente se affitta case su questo arcipelago.”

“Capisco il tuo ragionamento, ha senso, ma quello che ti sto dicendo è la pura verità. Nessuno di noi conosce il padrone, né ci ha mai pagato.”

“Come avete fatto ad ottenere la casa allora?”

“Abbiamo contattato una delle sue assistenti, la signorina Baccarat. E’ stata lei a mostrarci la casa, e a consegnarci il contratto ma non ha fatto parola del padrone. Nessuno a Sabaody sembra conoscerlo.”

“Oppure non vogliono dire nulla.”- sentenziò Nami.

“Non capisco perché sei così sospettosa … ti hanno dato un posto in questa casa e sembra che la cosa ti dia fastidio.”

“No, affatto. Diciamo che sono … incuriosita. Mettiamola così.”- disse facendo spallucce.

Vivi sospirò sedendosi al tavolo e passandole il contratto.

“Non ti capisco Nami. Tuttavia se vuoi vedere tu stessa, il contratto è quello.”

Ringraziando Vivi con un cenno del capo, afferrò il contratto e lo intascò.

“Tornerò presto.”

Prese una borsa appoggiata precedentemente lì vicino e salutò con la mano tutti prima di uscire dall’appartamento.

 

Nascosta nell’oscurità della mansarda vecchia e cadente del palazzo, cercò di controllare il respiro, contando mentalmente finchè non trovò la calma.

Erano passati anni ormai, dall’ultima volta.

Era convinta davvero che fosse tutto finito, ma si era illusa come una povera stupida, ed ora la sua illusione rischiava di ucciderla per davvero.

Aveva sperato di essersi liberata una volta per tutte da quel fantasma del passato, eppure la sua ombra sembrava perseguitarla ancora, non solo più la notte.

Ma quella volta sarebbe stato diverso, non sarebbe scappata, avrebbe fatto lei il primo passo e avrebbe cancellato quella traccia sbagliata del suo passato.

Chiuse gli occhi pregando mentalmente per avere la forza di farcela, ma sapeva che nessuno avrebbe risposto anche quella volta.

Prese il lumacofono e sollevò la cornetta in attesa di una risposta.

Quando una voce profonda e minacciosa allo stesso tempo rispose alla chiamata, si fece forza riuscendo a pronunciare solo una domanda, che riuscisse ad esprimere la rabbia,il dolore e la confusione che provava in quel momento.

“Che cosa vuoi da me?”

  
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