Quando Derek si
svegliò
Peter era già sceso al piano di sotto, controllando alcune
fatture e
preparandosi ad aprire il negozio.
«Come mai già in piedi?». Derek si
stiracchiò e prese posto sullo sgabello
dietro al bancone.
«Sono Newyorkese, noi ci svegliamo
all’alba». Peter alzò gli occhi al cielo
e
gli diede un leggero pugno sul braccio.
«Vedo che hai fatto i muscoli, nipote». Derek non
rispose ma annuì, poi
appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul ripiano
davanti a sé.
«Invece che stare qui a poltrire vai a prendermi delle
ciambelle da Betty».
Alzò la testa e lo guardò con un sopracciglio
inarcato.
«Ma non avevi promesso a Malia che avresti
smesso?». Peter gli riservò la
peggior occhiata del suo repertorio, posò il plico di fogli
che aveva tra le
mani su uno sgabello, e si protese verso Derek prendendolo per il
colletto
della camicia.
«Non dire mai più una simile eresia». Il
nipote scoppiò a ridere per lo sguardo
serio dello zio e si sistemò la camicia leggermente
sgualcita.
«Tu sei pazzo». Il suo telefono cominciò
a squillare e Peter non poté
ribattere.
«Vado fuori a rispondere». Indicò il
cellulare e si diresse verso la porta di
vetro decorata con neve finta, palline di Natale, luci e tanti altri
addobbi.
Sicuramente era opera di Malia: Peter non aveva tanto buon gusto.
«Ricordati le ciambelle. E chiedi a Danny, lui
saprà cosa darti!». Scosse la
testa esasperato ma annuì.
Natale era sempre più imminente e il freddo mattutino
colpì anche Derek che,
mentre cercava di prestare attenzione al suo interlocutore, tremava e
cercava
di ripararsi con la misera giacca del completo.
Stava parlando con suo padre che gli dava alcune direttive sul
colloquio che
aveva rimandato ma che si sarebbe comunque svolto entro il venticinque
dicembre.
I suoi occhi si posarono su una figura tutta incappucciata –
con una sciarpa
intorno al collo e i guanti alle mani che cercava di scaldare
soffiandoci sopra
– e improvvisamente suo padre era passato in secondo piano.
Quando lo aveva
raggiunto i loro occhi si erano incrociati e Derek aveva osato
sorridergli,
alzando una mano in segno di saluto. E di certo non si aspettava che
questi lo
fulminasse, accelerando il passo per poterlo superare più
velocemente.
«Sì, scusa. Controllo e poi ti faccio
sapere».
Stiles amava il
suo
nuovo impiego. Certo, non erano passati che due giorni però
si sentiva rinato e non intrappolato in un lavoro che non gli dava
alcuna
soddisfazione. Non che da Betty i suoi incarichi fossero poi tanto
diversi ma
amava fare i dolci, e soprattutto si sentiva finalmente apprezzato e
forse
anche amato. Non aveva avuto una vita facile, crescere tra una casa
famiglia e
l’altra non era stato facile e non aveva mai capito che cosa
fosse l’amore
prima di incontrare Lydia. Anche se, con il senno di poi, Stiles non
è più
tanto sicuro che fosse vero amore. Sì, aveva avuto le
farfalle nello stomaco e
il suo cuore batteva più forte quando lei era nei paraggi. E
sì, avevano fatto
due bambini che amava con tutto se stesso e per i quali avrebbe dato la
sua
vita. Ma oltre questo nulla di più.
Venne distolto dai suoi pensieri dalla voce di un uomo che, in piedi
davanti ad
un negozio chiuso, stava parlando al telefono con qualcuno.
Inizialmente non lo
aveva riconosciuto, ma quando si era avvicinato di più aveva
visto di chi si
trattasse. Era la stessa persona che aveva più volte
incrociato i giorni scorsi
e che – lo sapeva – era sicuramente qualcuno pagato
da Lydia per controllarlo.
Aveva persino avuto il coraggio di salutarlo.
“Sciacallo!”, pensò Stiles dopo averlo
superato.
«Eccomi», disse entrando. Si tolse il giubbotto e
la sciarpa mentre con lo
sguardo cercava di individuare Betty.
«Sono in cucina». Sentì poi urlare la
donna.
«Tesoro, ti spiace indossare anche oggi il grembiule di
Danny? Quello per te arriverà
dopo Natale».
«Ma certo». Indossò il grembiule
dall’appendiabiti e girò il cartello da
“Chiuso” ad “Aperto” prima di
raggiungere la donna in cucina e cominciare e
mettere in esposizione i vari vassoi di ciambelle, biscotti e altri
dolciumi.
Aveva appena finito di servire una giovane ragazza incinta che,
entusiasta dei
vari dolci, se ne era comprata uno per ogni tipo. Betty era in cucina
perché
doveva assolutamente finire di preparare una torta di compleanno, Danny
–
l’altro commesso – quel giorno non era potuto
venire, e lui si destreggiava tra
i vari clienti. Distratto dal cellulare e dalla mezza litigata con
Lydia
tramite messaggi, non si era accorto né della porta che si
era aperta né del
cliente che era entrato.
Solo il colpo di tosse dell’altra persona gli fece
abbandonare con un sospiro
rassegnato il telefono, che girò con lo schermo verso il
basso per non venire
distratto dalle numerose notifiche di WhatsApp.
«Buongiorno». Il sorriso si interruppe a
metà quando vide chi gli stava di
fronte.
«Buongiorno… Danny». L’uomo
lesse il nome ricamato sul grembiule.
«Lo sai cosa voglio». Quel Danny gli interessava e
aveva provato ad essere
spiritoso per cercare di rimediare all’occhiataccia ricevuta
quella mattina, ma
la sua battuta sembrava averlo infastidito ancora di più.
«Sì che lo so e non succederà mai, sono
stato chiaro?». Spalancò gli occhi e
fece qualche passo indietro. «Puoi dire a quella stronza che
ti ha mandato che
io non cederò mai. Mai». Fece il giro e gli si
avvicinò putandogli l’indice
contro il volto stupito dell’altro.
«È inutile che fai quella faccia. Se ti abbassi a
questo sei anche peggio di
chi ti ha mandato. E ora vattene. Ora!». Si
ritrovò ad urlare in mezzo al
negozio, attirando l’attenzione di Betty che lo raggiunse
immediatamente ma non
abbastanza in fretta per vedere l’uomo contro cui Stiles
stava urlando.
«Tesoro, ma cosa sta succedendo?». Con le mani
Stiles si asciugò gli occhi
leggermente lucidi. Lydia poteva anche avergli messo uno scagnozzo alle
calcagna, ma non sarebbe bastato per affidarle i bambini. Ashley e Jace
erano
suoi e di nessun altro.
«Ma niente… La mia ex sta cercando di ottenere
l’affidamento dei bambini e mi
sta facendo seguire». Il tono rassegnato intenerì
la donna che, impacciata a
causa della differenza d’altezza, abbracciò Stiles.
«Vedrai che andrà tutto bene». Il
ragazzo annuì anche se cominciava a temere
che Lydia avrebbe usato qualche mezzo losco per togliergli i bambini.
Perché
sì, era di questo che si trattava. Lei non voleva passare
più tempo con i figli
e tantomeno voleva fare loro da madre. La sua intenzione era solo
quella di far
soffrire lui.
«E chi è? Lo conosci?». Scosse la testa.
«No, però l’ho visto spesso. Uno come
lui non si dimentica facilmente». Betty
piegò la testa di lato, incuriosita dalla direzione che
stava prendendo il
discorso. Accorgendosi di ciò Stiles lo descrisse brevemente.
«Alto. Moro. Occhi verdi e un sedere che parla».
Alla sua ultima affermazione
la donna scoppiò a ridere.
«Mi sembra di sentir parlare Danny».
Appoggiò la mano sulla spalla di Stiles
stringendo leggermente.
«Dagli il mio indirizzo a uno così, magari decide
di seguire me».
Per non tornare
al
negozio da suo zio a mani vuote, Derek decise di prendere un taxi e
andare
all’ospedale da Malia per dirle che purtroppo non era ancora
riuscito a trovare
questo fatidico Stiles.
Bussò alla porta con timore, perché aveva sentito
già mentre saliva le scale la
voce di Malia che inveiva contro le infermiere per il cibo pessimo che
servivano in quel posto.
«Avanti!». Diede un calcetto alla porta per farla
aprire e, senza entrare,
annunciò la sua presenza.
«Spero per te che mi porti buone notizie». Dire che
era nervosa era un
eufemismo. Derek e Malia non avevano mai avuto modo di interagire per
più di
qualche ora una volta ogni qualche mese, e nonostante Derek fosse a
conoscenza
del suo comportamento un po’ peperino non si aspettava
fosse… così!
«Ascoltami bene, Derek». Lo aveva tirato per una
manica per farlo avvicinare,
incastrandolo in un gioco di sguardi. «L’unica cosa
che voglio per Natale è
riuscire ad essere faccia a faccia con Stiles e ringraziarlo per avermi
salvato
la vita. Sono stata chiara?». Tremò a quelle
parole che gli ricordavano tanto
le stesse che Danny gli aveva urlato contro non più di
mezz’ora prima.
Deglutì a vuoto prima di annuire e dileguarsi velocemente
dalle grinfie della
ragazza.
«Se non lavora più da Patterson
lavorerà da qualche altra parte».
«Sì… giusto!».
Quando fu lasciata nuovamente sola Malia si lasciò
dolcemente ricadere sul
materasso, portandosi il bracciò non ingessato a coprirsi
gli occhi.
«Ma perché agli uomini bisogna sempre spiegare
tutto?».
Erano passate
ore e
Derek aveva girato metà dei negozi di Beacon Hills senza
trovare da nessuna
parte Stiles. Stava uscendo da un salone di parrucchieri quando, senza
volerlo,
andò a sbattere contro qualcuno.
«Scusi».
«Ancora tu?». Davanti a lui, con il giubbotto
aperto e la sciarpa appesa
malamente intorno al collo, vi era Danny.
«Sì, io». Non sapeva perché o
che cosa, ma c’era qualcosa in quel ragazzo che
attirava particolarmente la sua attenzione. Era rimasto incantato dai
suoi
occhi castani e dai nei che gli costellavano il volto. A Derek i nei
non
piacevano, li considerava come imperfezioni della pelle, ma quelli di
Danny
erano perfetti. Sì, semplicemente perfetti.
«Che, vuoi farti la tinta?». Lo prese in giro dopo
aver dato un’occhiata
all’insegna del negozio. «Hai ragione, ora che
guardo meglio intravedo qualche
capello bianco». Derek si portò la mano a coprire
il punto che l’altro stava
fissando, scompigliando le ciocche per cercare di nascondere eventuali
imperfezioni.
«Non proprio… Sto cercando qualcuno».
Stiles infilò le mani in tasca.
«Non ne dubito». Derek aggrottò le
sopracciglia.
«Lo sai che non so assolutamente cosa ti passa per la testa e
perché sei così
scorbutico nei miei confronti, vero?». Per tutto il tempo
Stiles gli aveva
fissato le labbra, desiderando di baciarle e mordicchiarle per ore.
«Danny?». Derek gli passò una mano
davanti agli occhi leggermente infastidito.
Era la prima volta che una persona lo degnava di così poca
attenzione,
soprattutto una persona che gli piaceva e su cui voleva fare colpo.
«Non sono chi pensi che io sia. E anzi, rimarresti scioccato
se conoscessi il
vero Danny». Derek sorrise a quella provocazione.
«Vivo a New York e niente mi sorprende più.
Perché non ci provi tu?». Abbassò
la testa imbarazzato per quella rima involontaria e ridicola.
«Vedremo…».
«Che ne dici se intanto evitassimo di scontrarci per
sbaglio?».
«Vedremo…». Stiles ripeté la
risposta precedente e superò Derek che era rimasto
a fissargli la schiena e qualcosa un po’ più
giù.
Quando Derek
rientrò
nel negozio Peter lo stava aspettando con le braccia incrociate al
petto, un
cappello natalizio in testa e un broncio che faceva divertire Derek.
«È mezzogiorno, nipote! Mezzogiorno! E mi hai
promesso le ciambelle questa
mattina». Derek si portò una mano dietro e si
grattò la nuca imbarazzato.
«Beh… non è di certo colpa mia. Ho
incontrato quel Danny. Devo dire che è un
tizio davvero interessante e misterioso». Peter
inarcò un sopracciglio
scettico.
«Danny misterioso? Ma stiamo parlando della stessa
persona?». Il sorriso ebete
su volto di Derek lo fece desistere dal chiedere altro, lo conosceva
abbastanza
bene da sapere che in momenti come quelli non gli prestava la minima
attenzione.
«E Stiles?». Quel nome e il ricordo di Malia
infuriata bastarono per fargli
riprendere la concentrazione su Peter e su ciò che lo
circondava.
«Non ho trovato niente di niente». Si
appoggiò con la schiena contro una
colonna del negozio. «Inizio a sospettare che nemmeno esiste.
Che poi… che nome
è Stiles?». Peter alzò le spalle. Aveva
chiesto a tutti i clienti che entravano
nel negozio se conoscessero un certo Stiles, ma nessuno gli aveva dato
una
risposta positiva. Sembrava che quel ragazzo fosse stato inghiottito da
un buco
nero o – come diceva Derek – non fosse mai
esistito. Ma sapeva quanto fosse
importante per Malia incontrarlo e per amore di sua figlia avrebbe
smosso mari
e monti pur di ritrovarlo.
La porta del negozio si aprì e sia Peter che Derek vennero
catturati dai due
nuovi clienti: un bambino e una bambina che si guardavano meravigliati
intorno.
«Ehi! Posso aiutarvi?». Derek abbandonò
la sua posizione e si avvicinò ai due,
abbassandosi per essere alla loro altezza.
«Questo negozio è bellissimo!». Con un
movimento alquanto goffo la bambina
aveva disteso le braccia verso l’alto per sottolineare quanto
le piacesse il
negozio.
«Davvero, e hai trovato qualcosa che ti piace?».
Annuì velocemente con un
sorriso largo sul volto che mostrava due dentini caduti.
«Quella bambola in vetrina. È così
bella». I suoi occhi luccicavano di felicità
e il cuore di Derek cominciò a sciogliersi.
«Lui è tuo fratello?», chiese
riferendosi al bambino più grande che l’aveva
accompagnata e il cui sguardo era fisso su un guantone da baseball.
«Sì. Lui è Jace mentre io sono Ashley.
Tu chi sei?». Derek rise di fronte
all’audacia della piccola e allungò la mano per
farsela stringere.
«Io sono Derek. Piacere di conoscervi». Ma la
bambina aveva guardato scettica
la mano e si era sporta in avanti, baciando la guancia ruvida di Derek.
L’uomo
sentì immediatamente tutto il sangue affluirgli al volto, e
ringraziò la sua
buona sorte per la barba che nascondeva il rossore.
«Perché non vai con mio zio a guardarti in giro? Io credo di dover parlare
con Jace da uomo a
uomo». Sentendosi tirato in causa il bambino si
irrigidì, guardando l’uomo con
sospetto.
«Ti piace il baseball?». Jace annuì.
«E ci hai mai giocato?». Questa volta
negò.
«No, papà è una schiappa». La
risata del piccolo coinvolse anche Derek che,
preso dall’entusiasmo del momento, prese un guantone e una
palla da uno
scaffale.
«Secondo me sei un ricevitore». Lanciò
il guantone a Jace che lo indossò
immediatamente.
«Mettiti accovacciato nell’angolo là in
fondo e quando ti lancio la palla cerca
di prenderla, ok?». Il ragazzo fece come gli era stato detto
e, non appena si
rese conto di ciò che Derek voleva fare il suo cuore
cominciò a galoppare
furioso nel petto.
Il lancio di Derek non fu molto forte o complicato, Jace lo sapeva, ma
l’emozione che aveva provato quando si era trovato la palla
tra le mani era
bastata per fargli capire che era quello che avrebbe voluto fare
d’ora in poi.
«Wow, è stato fantastico! Grazie,
Derek!». Con una piccola corsetta si lanciò
tra le braccia di Derek.
«Alla tua età facevo parte della squadra di
baseball della città. Ti piacerebbe
giocarci?».
«Da morire».
«Ritorna qualche volta così facciamo due tiri, che
ne dici? E magari ti trovo
anche una squadra». Derek non si era mai sentito
così felice in vita sua come
in quel momento. Vedere che con talmente poco era riuscito a rendere
felice
quel bambino aveva smosso qualcosa dentro di lui.
Stava ancora sorridendo da solo quando Peter gli si era avvicinato da
dietro,
urlandogli nell’orecchio e facendogli fare un salto di un
metro alla sua destra
per lo spavento.
«Ma sei scemo?».
«Su che non ti ho fatto niente». Peter aveva preso
a tirargli le orecchie non
dando altra scelta a Derek che adattarsi alle sue pazzie.
Sbuffò e si tolse le
mani dell’uomo dalla faccia.
«Alleni ancora la squadra di baseball?». La domanda
non prese Peter di
sorpresa. L’uomo aveva infatti origliato l’intera
conversazione tra Derek e
Jace.
«No, ho smesso quando è arrivata Malia. Ho troppe
cose di cui occuparmi ora
come ora. Però se tu volessi farlo… potrei
sponsorizzarla». Derek sospirò.
Aveva letto sotto le righe e capito che cosa Peter gli volesse chiedere.
«Ho il colloquio il ventitré o il ventiquattro,
Peter. Rimarrò a Beacon Hills e
ti aiuterò con il negozio solo fino a che non dimetteranno
Malia
dall’ospedale».
«Ho capito…». A Derek dispiaceva vedere
le spalle basse e gli occhi tristi
dello zio, però aveva un’opportunità
lavorativa unica e non poteva rinunciarci
per tornare in una cittadina che non gli dava alcuno sbocco
professionale.
La giornata
lavorativa
di Stiles stava volgendo al termine perciò, dal momento che
ormai non sarebbero
più arrivati altri clienti, lui e Betty si erano messi a
parlare del più e del
meno per provare a conoscersi meglio.
«Come mai tutte queste magliette e cappellini di
baseball?». La domanda gli
girava in testa già da diverso tempo ma non aveva mai
trovato il coraggio o
l’occasione giusta per chiedere. Un’intera parete
del negozio era infatti
dedicata a interi articoli sportivi dedicati al baseball, mentre due
mensole
erano ripiene di trofei e medaglie. Una simile decorazione era
abbastanza
insolita per un negozio di dolci, e Stiles era fin troppo curioso per
non
chiedere. Betty rispose con un mezzo sorriso che fece pensare Stiles
che sarebbe
stato meglio se avesse tenuto la bocca chiusa.
«Erano di mio figlio. Amava il baseball ed era un giocatore
eccezionale». Si
asciugò una lacrima solitaria che le era sfuggita.
«E ora non gioca più?».
«Tesoro, il mio bambino non c’è
più. È morto da più di
vent’anni». Il ragazzo
si morse la lingua come punizione per essere stato tanto indiscreto.
Certo, non
si aspettava una simile risposta, ma sospettava che ci fosse una storia
nascosta dietro a tutti quegli articoli.
Vedendo il suo muso lungo Betty gli aveva alzato il mento con due dita,
sorridendogli piena di vita e allegria.
«Non rattristarti, piuttosto dimmi cosa ha portato te a
Beacon Hills. Non è
proprio una meta turistica». Rise la donna mentre, per dare a
Stiles la giusta
intimità per rispondere alla domanda potenzialmente scomoda,
afferrò un panno e
cominciò a lavare la vetrina adesso priva di dolci.
«Volevo essere più vicino a mio padre».
Betty alzò la testa e lo guardò.
«Vive qui? Come si chiama?». Il ragazzo scosse la
testa.
«È nato qui però prima che io nascessi
se ne è andato per cercare fortuna. Ha
incontrato mia madre, si sono innamorati e lei è rimasta
incinta di me. Sperava
che potessero essere felici ma è morto in servizio prima che
io nascessi». La
donna aveva interrotto la sua attività e adesso stava
cercando un modo per
consolare quel ragazzo che in pochi giorni le era diventato tanto caro.
Lo
conosceva davvero poco però c’era una scintilla in
lui che faceva sì che tutti
gli si affezionassero.
«E non sai il suo nome? Magari riesco a metterti in contatto
la sua famiglia.
Ho sempre vissuto a Beacon Hills e conosco tutti». Stiles
scosse la testa
desolato.
«Purtroppo non lo so. Mia madre è morta quando io
ero piccolo e non mi ha mai
detto molto di lui, e se l’ha fatto io ero troppo piccolo per
ricordare.
L’unica cosa che so e che ricordo con chiarezza –
riesco quasi a sentire la sua
voce riecheggiarmi nelle orecchie – era che lui era
l’amore della sua vita».
Stiles interruppe il discorso a metà perché venne
investito da due piccoli uragani
che avevano appena oltrepassato la porta d’ingresso,
travolgendolo in un
abbraccio soffocante.
«Papà! Papà!». I bambini gli
saltellavano intorno facendo girare la testa alla
povera Betty che non aveva più l’età
per riuscire a stare dietro a bambini
tanto energici.
«Che c’è?». Aveva salutato
entrambi con un bacio sulla fronte e adesso
aspettava divertito che almeno uno dei due gli spiegasse cosa stesse
succedendo. Quel giorno la babysitter non era andata a prenderli a
scuola e i
bambini erano ritornati da soli. Non era la prima volta che succedeva e
sapeva
che Jace fosse un bambino molto responsabile, però non
poteva non essere in
ansia. Il loro buonumore aveva tuttavia cancellato non solo
l’ansia ma anche la
malinconia e la tristezza che lo avevano pervaso mentre parlava con la
donna.
«Ho visto la bambola più bella del mondo,
papà. Voglio quella per Natale».
L’aveva attirata a sé con un braccio, godendosi
l’abbraccio della figlia.
«E dove?».
«Nel negozio davanti, mi sembra si chiami
“Hale’s”». Betty
annuì.
«Sì, è il negozio di Peter.
È un uomo molto gentile anche se mangia davvero
troppe ciambelle e per questo litiga sempre con la figlia»,
spiegò la donna.
«E tu hai visto qualcosa che ti piace?», chiese
questa a Jace che stava
ammirando i trofei ordinatamente riposti sulle mensole.
«Sì! Un guantone da baseball».
«Oh? Ti piace?».
«Sì! E credo di voler essere un
ricevitore».
Betty si tolse il capellino che indossava e lo diede a Jace che, con le
mani
tremanti, aveva girato la testa verso il padre chiedendogli il permesso
di
accettare il regalo.
«Era di mio figlio».
«Grazie». Si girò il cappello tra le
mani a lungo, quasi incredulo di poterlo
indossare. E, se apparteneva alla persona che aveva vinto tutti quei
premi,
Jace sperava che gli portasse fortuna.
«Papà, guarda! C’è anche una
“J” ricamata. È perfetta per
me».
I bambini andarono nel retro a giocare mentre Stiles e Betty
continuarono a
sistemare il locale per l’apertura del giorno successivo.
«È chiuso», urlò Betty ad una
cliente che stava battendo contro il vetro.
«Aprì, vecchia scopa!». Stiles si
coprì la bocca con le mani per trattenere la
risata.
La cliente entrò e Betty finse di guardarla malamente.
«Stiles, questa è Jessica. Purtroppo io la
sopporto da anni e anni, e dovrai imparare
a farlo pure tu».
«Piacere di conoscerla, signora».
«Il piacere di incontrare uno zuccherino come te è
tutto mio!».
«Jessica ha un centro in cui si occupa dei bambini del dopo
scuola, tu ne hai
bisogno?».
«Io? Sì, sarebbe fantastico!».
«Mi dispiace, zuccherino, ma non ho posto ora come
ora».
«Ah… Non si preoccupi, continuerò a
cercare».
Betty aveva mandato via Stiles e i bambini dicendogli che ci avrebbe
pensato
lei a finire di sistemare. L’uomo accettò di
buongrado la sua proposta, dal momento
che era davvero stanco per essersi svegliato all’alba per
preparare i panini
che Ashley doveva portare a scuola e di cui gli aveva parlato solo
prima di
andare a dormire.
Rimasta sola con la donna, Betty mise le mani chiuse a pugno sui
fianchi e guardò
seriamente l’altra donna.
«Ascoltami bene, Jessica. Tu troverai un posto per quei due
angeli e non
chiederai nemmeno un centesimo a Stiles».
«Betty…».
«No! Non voglio sentire scuse. Quel ragazzo ne ha passate
davvero troppe e
merita di trovare un po’ di
tranquillità».
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Note:
Innanzitutto
grazie a tutte le persone che hanno letto la storia oppure
l’hanno recensita o
messa tra le preferite/seguite/ ricordate.
In secondo luogo scusate per la brevità del capitolo
però oggi mi sono tagliata
ad un dito e faccio veramente fatica a scrivere, perciò ho
preferito fare
questo capitolo più corto e l’altro
sarà un po’ più lungo.
La storia entra
sempre un po’ più nel vivo e finalmente Stiles e
Derek cominciano a interagire,
e pian piano verranno svelati anche gli altri equivoci e
“misteri” presenti.
Spero davvero che la storia vi stia piacendo perché a me, a
dire il vero, non
convince più di tanto. Forse perché è
una AU ispirata ad un film o forse perché
lo stile mi sembra troppo semplice e banale… Non
so…
Mancano ancora un po’ di capitoli (almeno altri
quattro-cinque) perciò non
credo di riuscire a finire di pubblicare entro la fine di dicembre
essendo già
il 24 dicembre. Però tranquilli, aggiornerò
comunque con frequenza – almeno due
volte a settimana – quindi non dovrei andare oltre la prima
metà di Gennaio.
Alina_95
BUON
NATALE!!