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Autore: Kore Flavia    25/12/2016    0 recensioni
[Buon Natale Grace][Crackship][Noya/Saeko][Ancora non capisco come io sia riuscita a finirla in maniera positiva][Sperando che siano IC]
No, lei era nell'angolo della mente, la sua carta da parati, quella carta che era rimasta attaccata testarda alle pareti della propria mente.[...]
Non era complicato, no, ma dovette ammettere che un po' male faceva. [...]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tanaka Saeko, Yuu Nishinoya
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note d'autrice: Buon Natale Grace <3
Ecco a te il regalo ripromesso (sperando ti piaccia e sperando di non essere andata OOC).
A causa di questa storia mi è venuto l'headcanon che "Noya ha avuto una crush enorme e anche dichiarata per Saeko, ma poi gli è passata(?)".
Ci sta un easter egg e spero qualcuno lo noti (anche se forse è un easter egg più per me che per te lol). 
No Beta.
Auguri ancora!
Buona lettura
(Se lasciaste una recensione con un'opinione mi fareste uno splendido regalo di natale)


 


Carta da Parati 

 

“ Sei uno dei migliori giocatori che conosco!”
L’aveva detto così, con la sua solita naturalezza e leggerezza. Come se fosse niente. Per Nishinoya, però, questo non era “niente”. No. Era tutto. Era la frase che l’aveva reso tale: la frase che l’aveva reso Nishinoya Yuu, l’arrogante e rumoroso Yuu. Aveva cinque anni all’epoca e per lui Saeko era, in quel momento, divenuto il mondo.
 
Dai suoi cinque anni aveva scoperto cosa fosse “l’amore”, anche se non aveva mai dato veramente voce a quella parola. E’ troppo forte ,aveva pensato, troppo destabilizzante.
Alle medie Saeko cominciò a  tagliare i capelli sia a lui che al fratello. Nishinoya amava quei momenti. Si stiracchiava sulla sedia, allungava le gambe davanti a sé e stava bene. Le dita della ragazza si facevano delicate e attente solo per loro, solo per lui. Non sbagliava mai: il taglio era sempre perfetto, anche quando i suoi compagni di squadra lo prendevano in giro per il lato destro troppo corto o per la nuca rasata. Era sempre come lui li voleva.
“Ehi la sai una cosa?”
“Immagino di no.” Rise lei. Stavano aspettando che Tanaka pulisse la classe prima di tornare a casa. Saeko era ormai solita venirli a prendere, così da non rischiare che i due ricevessero una brutta strigliata dai genitori per qualche marachella commessa durante il cammino. Non che, però, la sua sorveglianza fosse tanto attenta: più di una volta avevano rischiato di finire investiti tutti assieme o incrociato un tipo poco raccomandato alto e con un pizzetto lungo. Erano fuggiti via per non rischiare guai.
“Potresti piacermi.” Il sorriso si gelò e si nascose nella sciarpa rossa regalatele da un suo ex.
“Uh. L’avevo capito.”
“Sì, cioè. Mi piaci. Non è solo una possibilit- Aspe’, cosa? Lo sapevi? Perché non me l’hai mai detto? Mi risparmiavi una gran spina nel fianco.”
“Non è uno di quegli argomenti di cui si parla a caso, di solito.” Noya parve pensarci un poco prima di risponderle. Effettivamente quel che dice ha senso furono le uniche parole che riuscì a mettere in fila.
“Sì, ok, giusto. Ma non hai risposto.”
“Yuu…”
“Oh.”
“Già.”
L’hai combinata grossa, genio.
“Puoi far finta che non ti abbia detto nulla?”
“Nessun problema.”
Ma il problema c’era eccome e Noya non era così scemo da non capirlo.
Non furono mai così silenziosi. Il ragazzo era, per la prima volta, a disagio assieme a Saeko. C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel continuare assieme quella strada. Eppure attesero ugualmente Tanaka, risero ugualmente alle battute dell’amico, ma freddamente. Qualcosa era stato effettivamente perso davanti all’ingresso della scuola. Le persone normali non l’avrebbero fatto, non avrebbero continuato assieme, ma loro normali non lo erano stati mai.
Perciò coprirono gli stessi passi di sempre, con la stessa andatura e portamento di sempre. L’unica differenza era l’aria immobile e imbarazzata che li circondava in un abbraccio stanco. Tanaka, Noya poteva scommetterci tutto su questo, qualcosa aveva intuito, ma era stato ben attento a non mostrare il suo turbamento. Yuu pensò che dal giorno dopo tutto sarebbe sparito: era così che succedeva nei film, no?
Peccato che la vita non fosse un film e dovettero passare giorni perché quell'apparente normalità tornasse ad essere realmente tale. Il primo giorno Nishinoya non poté incrociare lo sguardo di Saeko, tanto era imbarazzato dagli avvenimenti: sarebbe potuta andare diversamente, avrebbe potuto formularla diversamente, o, almeno, starsene zitto. Il secondo giorno Saeko venne evitata come la peste. Non solo il suo sguardo arrivava ad innervosirlo, ma anche la sola presenza. Si sentì sciocco e vigliacco. Possibile che proprio lui, "il grande Noya" e "il miglior libero della prefettura", si sentisse un tale straccio a causa di qualcosa che non fosse la pallavolo? Neanche i suoi voti scolastici erano arrivati a deprimerlo tanto.
Il terzo giorno la fissava da lontano, quando questa veniva a "raccattare quella frana di mio fratello", ma nessuna parola scorreva tra loro. Smise di tornare assieme a Tanaka: inventava sempre scuse diverse pur di ritardare il proprio ritorno. “Sono di turno alla pulizia dell’aula”, “ho dimenticato la mia matita preferita nel laboratorio”, “devo ritrovare la mia spilla fortunata in palestra”.
Era lui stesso a impedirle di far, effettivamente, finta che nulla fosse successo. Il quarto giorno si abituò all'idea di ciò che era successo. Quell'evento si sedette accanto a lui, quella sera del quarto giorno, e discorse a lungo su ciò che aveva comportato e che avrebbe portato. Tutte le conseguenze ed incertezze che ne erano derivate li mostrarono un sorriso: ormai erano parte di lui. La sua esuberanza tornò il quinto giorno. Sì dovette considerare fortunato: non tutti riuscivano a superare tanto facilmente un rifiuto. " Sei il miglior giocatore del mondo" fu questa frase del passato a farlo guardare al futuro. Pensava d'averle dimenticate, cancellate con forza dalla propria mente, ma no, eccole lì. Erano lì per prendersi gioco di lui? No, quelle parole non l'avrebbero mai tradito con tale cattiveria. Erano tornate per ricordarli che lui lo era davvero il migliore, per Saeko, come lo era Tanaka, certo, e anche quel pallavolista russo e "gnocco", com'era solita ribadire lei. Ma un posto per lui c'era e questo era già qualcosa. Quella mattina si rese conto che l'ultimo seme di speranza che seguiva una sconfitta aveva incominciato a germogliare di nuovo.
Quel giorno incontrò per strada una ragazza bellissima e se ne innamorò. Quel quinto giorno incrociò quella che sarebbe stata la sua manager: "casualità" la chiamarono in molti, ma lui preferì riferirsi a lei come "destino", " fato" e tanti sinonimi che aveva studiato in quel periodo a scuola.
Dimenticò Saeko. Non fu difficile, non richiese fatica, ma questo perché, se ne rese conto durante il liceo, Saeko non era realmente sparita. No, lei era nell'angolo della mente, la sua carta da parati, quella carta che era rimasta attaccata testarda alle pareti della propria mente. E ci aveva provato davvero a scrostarla via tutta, ma era stata appiccicata a regola d’arte e ora non ne voleva proprio sapere di farsi staccare.
Non smise di lodare le mille doti della manager, ma, se a voce alta non lo diceva, nella propria mente aveva preso a chiamarla "donna specchio". "Donna specchio" come quei melensi poeti italiani di cui aveva sentito vagamente parlare a lezione e che si erano intrufolati con violenza nella propria mente. Non aveva neanche ascoltato quella lezione, come al solito d'altronde, eppure quei maledetti e noiosissimi "artisti" non sembravano aver intenzione alcuna di levare le tende.
A Noya fingere non costò nulla. Non era complicato, si trovò a constatare un giorno, dire d'amare una persona per cui non si prova altro che genuino rispetto. E non era neanche complicato fingere l'incontrario. Non era complicato, no, ma dovette ammettere che un po' male faceva. Soprattutto quando le aveva appena parlato, soprattutto quando l'aveva appena vista, soprattutto quando era solo. Sì abituò all'idea di vederla con altri ragazzi. Ragazzi più grandi, più alti e ancora più fighi di lui. Lo battevano su tutti i fronti e questa cosa lo costringeva ad ammettere che non aveva possibilità. Eppure nessuno di loro durava, per quanto potessero sembrare perfetti, in un modo o nell'altro, sparivano dalla vista dell'universitaria.
"Sono noiosi", "troppo seriosi", " sai come sono fatta, ho bisogno di divertirmi" e mille altre erano le spiegazioni che venivano date a tali rotture.
Erano ormai passati due anni e mezzo da quando si era dichiarato e il loro rapporto era tornato ad essere quello di sempre. Anche se, Noya dovette ammetterlo, preferiva rimanere in sua compagnia solo nel caso in cui ci fosse stato anche Ryu. L’idea di rimanere solo e terminare gli argomenti “leggeri” di cui parlare lo spaventava non poco. Temeva che ricalasse tra loro quello stesso silenzio di due anni e mezzo fa, quel silenzio del 3 febbraio. Ma questo non sempre accadeva. Ryu aveva sempre quei suoi stramaledettissimi bisogni fisici e Yuu ci aveva anche pensato di seguirlo al bagno come facevano le ragazze della sua età, ma alla fine aveva deciso che no, poi sembra che la eviti.
Era quindi il 3 febbraio quando Tanaka ebbe la terribile idea di fermare la partita di “Call of Duty”, a cui stavano giocando tutti e tre, per andare al bagno. Il rumore degli spari venne quindi interrotto improvvisamente e Ryu camminò a gambe larghe fuori dalla stanza.
Saeko trasse un lungo sorso dalla lattina di birra e lasciò andare un sospiro soddisfatto.
“Vuoi?”
“L’ultima volta che mi hai fatto provare una di quelle schifezze ho vomitato tutto il giorno. Penso passerò.” Borbottò stizzito. Ancora non aveva capito come la ragazza riuscisse a sopportare quella marca di birra. Era, probabilmente, l’unica loro cliente sulla faccia della terra. E a ragione, visto l’effetto che aveva fatto su di lui berne una sola. Non era mai stato così male in vita sua ed era tutta colpa della ragazza dei suoi sogni, comico no? Come poteva anche solo pensare di esserne leggermente invaghito?
L’altra rise.
“Vero. Hai cominciato a farneticare.” Ne bevve un'altra sorsata e si passò la mano sulle labbra coperte di rossetto bordeaux. In quegli ultimi tempi era solita indossare quel colore e Noya l’aveva notato subito. Era impensabile che lui, tanto era distratto su tutto, potesse notare certi dettagli prima di altri. I suoi compagni di squadra, e lo stesso Ryu, l’avrebbero preso in giro per secoli se l’avessero saputo. Tutti tranne Asahi e Hinata. Il primo si sarebbe limitato ad annuire e borbottare qualcosa su “quanto sia così anche durante le partite” e di “lasciarlo in pace” e avrebbe dato una timida pacca sulla spalla per un qualche oscuro motivo. Il secondo, invece, l’avrebbe lodato a lungo per le sue doti di osservatore e Noya si sarebbe sentito in dovere di regalarli un gelato. O forse due, o anche tre.
“Io ricordo solo il vomito e penso mi basti” Rise lui, portandosi le ginocchia al petto. Fino a qui tutto bene, ma quando torna Ryu?
“Hai detto certe idiozie.” Fece un ampio gesto con la mano sinistra –quella che non teneva la birra- che andava a mostrare l’immensità delle sciocchezze dette.
Yuu provò a ribattere piccato, ma venne interrotto ancor prima di poter formulare una risposta brillante.
“Ma anche alcune cose vere.” Il ragazzo capì senza troppe difficoltà che non era il caso di rispondere. Non subito: doveva dare tempo al silenzio perché venisse interrotto da Saeko stessa.
La ragazza poggiò il mento sul pugno sinistro e girò il volto verso di lui.
“Hai detto che Yukki era un gran spocchioso. Un riccone da quattro soldi, per citare le tue parole. Hai detto che il fatto che fosse tanto alto non lo rendeva certo meglio di un qualunque altro Riccone snob, che era una macchietta come tutte le altre.” Noya rimase impietrito. Se era quello che pensava tanto valeva interrompere il tutto subito. Fece per alzarsi e inventare una scusa per cui “sai, devo proprio correre a casa. Dì a Ryu che mi dispiace e che li regalerò un gelato”, ma la mano di Saeko lo fermò.
“No, fammi finire, non sono così seria spesso.” Yuu annuì e poggiò lo sguardo sui propri piedi. Temeva che ovunque li poggiasse potesse incrociare il suo sguardo. Sapeva che questo pensiero era un’idiozia, ma non riusciva a fare altrimenti.
“Stavo dicendo, hai detto che era una macchietta. Che non era nulla di diverso dal precedente, che sembravano fatti con lo stampo. Hai detto che erano noiosi. Una gran palla.” Saeko lo scimmiottò prima di tronare ad essere seria.
“Hai detto che non era l’età a renderli più maturi di un qualsiasi liceale. Poi hai detto una cosa che mi ha fatto ridere: hai parlato di quegli italiani spocchiosi e delle loro donne specchio. Di quanto il loro metodo proprio non funzioni.”
Fece una pausa. Nel silenzio prese un lungo sorso dalla birra e poi lanciò la lattina nel cestino.
“Hai detto un’altra cosa, ma ormai tutti russavano come ghiri. Hai detto sono ancora innamorato di te
“Devi aver sentito male.” Rise, passandosi una mano sul volto. “Ho occhi solo per Kyoko.” Possibile che Ryu si fosse perso nella sua stessa casa? Quel maledetto spariva sempre quando c’era bisogno di lui. Il gelato se lo scordava di certo.
“Mi hai appena interrotto.” Fu la risposta nervosa della più grande. “Yuu. Stai zitto e non straparlare.” Il ragazzo ammutolì.
“Bene. Grazie. Fammi finire.” Prese un grosso respiro. “La questione è: preferisci il cioccolato fondente o quello al latte?”
“Latte, ma cosa centra?”
“E’ per il tuo regalo di San Valentino, scemo.”
“Ma non ci siamo mai scambiati regali a San Valentino.” Yuu non capiva. Ci stava provando, su questo nessuno poteva metter bocca, ma il cervello sembrava essersi completamente scollegato.
“Be’, da ora in poi sì.”
“Ma perché?”
La porta della stanza si spalancò e irruppe Ryu con un rumoroso “Scusate, stavo cagando. A che punto stavamo?”
“RYU”, la voce della madre li raggiunse dal salotto, “Evita queste parole.” L’amico si limitò a sbuffare e far ripartire il videogioco.
Noya però la sua risposta riuscì ugualmente ad averla. Gli bastò un occhiolino da parte dell’universitaria per sapere il perché. Gli bastò l’accenno di un sorriso diretto solo a lui per tornare a contemplare la parete della propria mente. Si chiese se, tra i due, ad aver straparlato fosse stato veramente lui, visto il preambolo lunghissimo e inconcludente di Saeko, ma a lui stava bene così. Doveva essere stata la birra a farle quest’effetto.
Toccava proprio riattaccare quei brandelli che era riuscito faticosamente a staccare, ma era felice. Tanto felice da non riuscire proprio ad arrabbiarsi alla perdita della partita e da offrire un gelato a Ryu il giorno dopo. In fin dei conti se lo meritava: era grazie ai suoi bisogni fisici se ora festeggiava il suo primo San Valentino in un’auto-scontro.


 
   
 
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