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Autore: ClaireOwen    26/12/2016    4 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Innanzi tutto TANTI AUGURI a tutti!
Prendete questo capitolo come un piccolo regalo anche se non sarà abbastanza per tutte le parole bellissime che avete speso per me e questa storia ultimamente, dire che vi sono grata è riduttivo e spero quindi che mettere tutta me stessa nella stesura del racconto possa essere un buon modo per 'sdebitarmi'.
A occhio siamo agli sgoccioli, non so se arriverò ai 20 capitoli, ho già tutto nella mia mente, devo solo continuare a scrivere e cercherò di farlo ogni qual volta avrò dei buchi di tempo libero anche se il periodo di Gennaio/Febbraio sarà deleterio... (maledetta sessione
:'( )
Credo che ormai ci risentiremo per l'anno nuovo perciò vi faccio un affettuoso augurio per un buon 2017 - aspettiamo in trepidanti che 'sti Bellarke si muovano anche nella serie ahha magari ci faranno questo benedetto regalo, chissà? -
Non vedo l'ora di sapere cosa pensiate della piega che sta prendendo la storia perciò se vi fa piacere, io sono qui, pronta a leggere le vostre recensioni!
Un bacio grande e ancora auguroni,
vostra Chiara.

 
 

XV
 
Era rientrata in tarda serata, non poteva sopportare l’idea di vedere i loro volti ancora per molto, condividere altri momenti con i fratelli Blake avrebbe reso tutto più difficile, aveva persino paura di arrendersi alle spiegazioni di Bellamy e quello sarebbe stato catastrofico sia per sé stessa, sia per il futuro che ormai sembrava delineato in modo precisamente chiaro e già scritto in maniera irreversibile.
 
Così prima di tornare a casa aveva preso il cellulare cercando alla svelta il numero di Jasper.
Aveva sentito il bisogno di sfogarsi e la sensibilità di quel ragazzo era esattamente ciò che cercava, gli raccontò tutto per filo e per segno ma l’amico le fornì una risposta che non si sarebbe mai aspettata:
“Clarke, lo so che adesso sei sconvolta da tutto quello che è accaduto in così poco tempo ma non credo di riuscire ad essere totalmente d’accordo con te.”
“Cosa?”
Le aveva risposto innervosita e stupita mentre se ne stava in una tavola calda ad aspettare un piatto di zuppa.
“Lo sai che all’inizio ero piuttosto prevenuto nei confronti di Bellamy, ma al matrimonio l’ho osservato bene… Quel ragazzo stravede per te, tu gli hai chiesto di accompagnarti ad un evento così importante e lui non ha battuto ciglio, non solo, è stato lì per te pur non conoscendo quasi nessuno, ti ha sostenuto tutto il tempo e quando ti abbiamo riportato a casa in quello stato era così preoccupato… Sinceramente pagherei oro per trovare una persona che si preoccupi come ha fatto lui con te, non riesco a credere che sia stato così sciocco da ricadere in una vecchia e superflua storiella. Era troppo preso, non sono l’unico a pensarlo, anche Monty ne è convinto, ne abbiamo parlato per giorni. Deve esserci qualcosa dietro, magari non so… un incidente forse?”
Dopo quella risposta Clarke si sentì quasi tradita, aveva chiamato Jasper con la consapevolezza  che lui fosse la persona adatta ad assecondare i suoi pensieri, aveva sempre fatto così da quando erano piccoli, non si sarebbe mai aspettata quella presa di posizione nettamente opposta alle sue preoccupazioni, non si era minimamente preparata a questo e fu colta alla sprovvista.
“Ma…”
Lui dall’altra parte la interruppe in fretta
“Dovresti smetterla con i ma, con l’orgoglio, con la tua testardaggine basata su una razionalità asfissiante, lo dico per il tuo bene Clarke comincia a lottare per quel che vuoi, non lasciarti sfuggire un qualcosa che potresti rimpiangere per sempre, a costo di farti male, se pure andasse così non sarebbe la prima volta e probabilmente nemmeno l’ultima.”
“Se anche volessi non potrei, hai capito che sono praticamente obbligata a tornarmene a New York?”
“Non è una distanza incolmabile quella tra Boston e New York, lo sai bene.”
“Non lo so, non mi sembra così facile come dici tu.”
“Prenditi un attimo per rifletterci però, promettimelo.”
Sospirò, non era sicura di poter mantenere una promessa del genere.
“Okay.”
Disse semplicemente, non molto convinta.
“Ci sentiamo allora.”
La bionda prese a mangiare, Se anche avesse voluto non aveva poi tutto quel tempo da dedicare ai suoi pensieri: nel portafoglio teneva i ticket di rimborso carburante per arrivare a New York forniteli dalla Harvard, quella era la sua penultima notte lì e aveva persino dovuto avvertire Abby del suo ritorno con un messaggio, sarebbero scaduti dopo due giorni.
 
Ora invece se ne stava in camera a guardarsi intorno, aveva passato tanto di quel tempo tra quelle mura i primi giorni, quando con Bell il rapporto era quello che era. Nelle ultime giornate invece non ci era quasi entrata, sfiorò la parete comunicante con la camera del maggiore dei Blake, fu un gesto spontaneo e semplice, non se ne rese nemmeno davvero conto ma un’ espressione sconsolata s’impossessò delle sue labbra. Era impossibile cancellare tutto il tempo trascorso a Boston, era stato come partire da zero e aveva dato per scontato così tante cose come il fatto di poterci rimanere a tempo indeterminato.
Ripensò alle parole che Jasper aveva detto fermamente al telefono, lo fece mentre da sotto il letto tirava fuori la valigia e cominciava a riempirla con tutto quello che stava trovando a portata di mano.
Non riusciva a credere che quello che avesse visto fosse diverso da come le era apparso, nonostante Bellamy l’avesse inseguita fuori quel pomeriggio per discuterne, nonostante a pranzo non avesse proferito parola come se fosse in qualche modo davvero preoccupato o rattristato, non potevano esserci giustificazioni e lei come una stupida si era fatta illudere.
No, era arrabbiata e anche se le parole di Jasper avevano sortito un certo effetto, le avevano accennato una visuale diversa, una possibilità, la giovane Griffin non poté cancellare quel senso di vuoto che sentiva da quando aveva visto Bellamy e Raven così vicini.
 
-
 
Non aveva praticamente dormito.
Per tutta la notte non aveva fatto altro che rigirarsi tra le coperte senza riuscire a prendere sonno, tormentato da pensieri che avevano solamente una protagonista: Clarke.
Se solo avesse potuto riavvolgere il nastro, come faceva un tempo con le compilation in cassetta che ascoltava con Murphy…
Solo la sera prima era stato accanto alla biondina per tutto il tempo e adesso l’assenza di ogni contatto, persino quella di un briciolo di comunicazione lo avevano lacerato.
Aveva provato a pensare in che modo avrebbe potuto recuperare la sua fiducia e quando intorno a mezzanotte l’aveva sentita entrare in camera lo aveva persino sfiorato l’idea di fare irruzione nella stanza accanto e costringerla ad ascoltare ciò che aveva da dire, in poco tempo si era preparato una sorta di discorso: un misto imbarazzante tra una dichiarazione ed un confuso chiarimento su quanto accaduto quella mattina.
Poi la parte più razionale di lui aveva preso il sopravvento, aveva capito che essere affrettati con Clarke era sbagliato e soprattutto non portava a nulla, lei per tutto quel tempo non aveva fatto altro che temere di essere nuovamente ferita ed ora che paradossalmente ai suoi occhi era proprio lui ad aver tradito la sua fiducia, ad averle fatto male, avrebbe dovuto quantomeno darle il tempo  per capire e  realizzare che la versione dei fatti era un’altra, se si fosse affrettato e le avesse raccontato com’erano andate realmente le cose alle sue orecchie sarebbe suonata solo come un’immensa bugia per intrufolarsi ancora nel suo letto.
Così si era lasciato andare sul cuscino sperando di addormentarsi il prima possibile, chiaramente aveva ottenuto scarsissimi risultati.
 
Certo tutta quella faccenda gli aveva fatto chiarezza, la sua reazione era stata inequivocabile e quantomeno adesso il maggiore dei Blake era davvero sicuro di cosa provasse davvero Clarke eppure quando il pomeriggio precedente aveva tentato di fermarla, di parlarle, lei aveva negato spudoratamente.
“Ci siamo divertiti.”
Era questo che gli aveva quasi sputato in faccia.
Non era di quello che si trattava, Bellamy non si era mai sentito così con nessuna, non aveva mai provato quella sensazione di felicità pura, non si era mai sentito completo.
Mentre si era divertito spesso, fin troppo con innumerevoli ragazze.
Così quelle parole erano arrivate come una pugnalata alle spalle anche se nel profondo sapeva che non erano vere, lo aveva intuito da come la ragazza più testarda che avesse mai conosciuto aveva serrato repentinamente le labbra in una fessura severa poco dopo aver pronunciato la fatidica frase.
Ancora si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto aspettare, avrebbe dovuto di nuovo capirla, reimparare il suo stesso linguaggio, assecondarla sino a prevedere la sua prossima mossa, solo in quel modo Clarke si sarebbe nuovamente fidata, dopo tutto lo aveva già fatto senza nemmeno realizzarlo fino in fondo, semplicemente da un momento all’altro si era scoperto follemente attratto da una ragazza alla quale qualche mese prima aveva bestialmente inveito contro.
Quindi seppur assonnato si alzò dal letto stringendo i pugni, era deciso a combattere per riaverla indietro, aveva sempre messo gli altri prima di lui, non era mai stato egoista anche se spesso era stato additato come tale, nel profondo sapeva perfettamente di aver sempre fatto tutto il possibile per preservare prima di se stesso, le persone che amava, forse era davvero giunto il momento di dedicarsi un momento, aveva diritto anche lui di conquistare quella felicità che per anni gli era apparsa solo come un miraggio e che adesso invece sembrava avere un nome ed un cognome.
 
Quando arrivò in cucina trovò con grande sorpresa sua sorella già seduta a tavola, leggeva il giornale e mangiava avidamente i cereali al miele da una ciotola colma di latte freddo. Octavia assomigliava dannatamente al padre, era uno scherzo del destino il fatto che lei non potesse nemmeno ricordarlo. Bellamy però aveva dei flashback nitidi, anche lui odiava il latte caldo e quando leggeva non si accorgeva minimamente di ciò che accadeva attorno a lui, si sedeva sempre poco composto a tavola, esattamente come sua sorella in quel momento che se ne stava con una gamba a penzoloni dalla sedia mentre teneva il mento appoggiato sul ginocchio dell’altra che aveva tirato su stringendola quasi al petto.
Il moro arricciò il naso a quel pensiero che risuonava così malinconico nella sua mente, odiava profondamente lasciare che la sua testa viaggiasse così ma non poteva aspettarsi altro, dopo tutto aveva passato quasi tutta la notte così.
Si schiarì la voce per farsi riconoscere dalla sorella che a quel punto si vide quasi costretta ad alzare lo sguardo su di lui.
“Buongiorno! In piedi da molto? Non hai una bella cera, sai?”
“Ho dormito poco e niente.”
Fece alzando leggermente le spalle. La giovane donna gli mandò un’occhiatina complice, Bell ci mise poco a capire a cosa stesse facendo riferimento e scosse la testa abbassando lo sguardo e prendendo posto accanto a lei, una smorfia amareggiata comparve increspò le sue labbra.
“Ho fatto un casino O’.”
Disse a voce bassa, lei gli rivolse uno sguardo interrogativo. Erano stati bravi a far finta di nulla, nessuno aveva detto una parola fuori posto durante il pranzo il giorno prima, in realtà lui e Clarke non avevano quasi parlato ma sua sorella era troppo preoccupata a far fare bella figura a Lincoln per rendersene conto, e se anche fosse stato avrebbe dato la colpa alla situazione più imbarazzante e stramba del solito. Octavia aveva questa peculiarità, possedeva un modo tutto suo di vedere le cose e spesso faticava a cambiare prospettiva, si chiese se anche suo padre fosse così, questo non lo ricordava… Era passato davvero troppo tempo.
“Insomma vuoi spiegarti?”
La ragazza vedendolo imbambolato cercò di spronarlo.
Bellamy a quel punto esplose, che male c’era nello sfogarsi? Non poteva continuare a tenere tutto dentro com’era solito fare, in tutto quel tempo questo modo di approcciare non lo aveva portato da nessuna parte.
“Ieri è stato tutto sbagliato. Io non sono mai stato capace a far uscire fuori quello che provo e forse non ne ho nemmeno mai avuto davvero bisogno, voglio dire con Gina non c’era motivo di farlo, era semplice, non siamo mai stati dei grandi chiacchieroni ed avevamo trovato il nostro modo di trovarci…” Fece una breve pausa, mentre la minore dei Blake lo guardò con due occhioni apprensivi, non aveva mai visto suo fratello in quello stato.
“Perciò ho pensato che con tutte quelle persone intorno non fosse il caso di dire qualcosa a Clarke, né di… insomma, né di approcciarmi in modo più fisico a lei.”
Sembrava imbarazzato, non si era mai aperto così con Octavia, di solito era lei che cominciava a parlargli di tutti i suoi problemi ed il ragazzo l’aveva sempre ascoltata pazientemente cercando di darle la forza necessaria per affrontare qualunque ostacolo.
“Insomma quando con Raven siamo scesi nello scantinato per aggiustare le tubature, abbiamo mandato Lincoln a prendere gli attrezzi ed io me la sono caricata sulle spalle per farla arrivare alle tubature ed evitare di prendere la scala , a un certo punto però ho perso l’equilibrio e siamo cascati. Il fatto è che… lei era su di me nel momento in cui è entrata Clarke che ovviamente ha frainteso tutto.”
La mora lo guardò perplessa “E quindi? Cioè può capitare, non basta spiegarle che è stato un incidente? Tu e Raven poi… Che storia, sareste la peggior coppia di sempre.”
“Non è proprio così semplice, c’è una cosa che non sai effettivamente.”
Fece un respiro, O’ si sarebbe arrabbiata, non sopportava quando qualcuno le mentiva o ometteva qualcosa, soprattutto se quel qualcuno era lui, suo fratello.
“Il fatto è che io e Rav abbiamo avuto una sorta di relazione, non lo sa nessuno, era una cosa più fisica che altro, ci siamo trovati, lei era disperata per Finn mentre io credevo che dopo Gina non avrei mai potuto aprirmi con nessun’altra. E’ saltato fuori che Clarke parlando con lei, è venuta a conoscenza di questa storia perciò quando ha visto quella scena credo sia andata in paranoia.”
A quel punto Bell chiuse gli occhi e si preparò mentalmente ad un’invettiva che sua sorella non gli avrebbe mai risparmiato.
Con sua sorpresa però la minore esclamò
“Cazzo, Bell!”
Aprì prima una palpebra poi l’altra, Octavia lo guardava apprensiva ma riprese subito a parlare
“Hai davvero combinato un gran pasticcio non c’è che dire… Però sono sicura che se Clarke avrà la pazienza di ascoltare non appena le sarà passato lo sconcerto iniziale, capirà. Devi solo lasciarla sbollire.”
Era quello che si era detto anche lui, sentirlo da qualcun altro lo rassicurava eppure qualcosa dentro di lui continuava a temere che le cose potessero andare alla deriva.
Avrebbe voluto rispondere ma in quel momento Clarke apparì dalla porta del corridoio, i due si ammutolirono e finalmente anche O’ capì di quale entità fosse il clima d’imbarazzo che aleggiava nella stanza, tuttavia fu la prima a rompere il silenzio, avrebbe fatto il possibile per aiutare Bellamy
“Heilà! Ben svegliata.”
La bionda le rivolse un sorriso flebile, ben attenta ad evitare lo sguardo del maggiore dei Blake, prese posto di fronte ad Octavia e si schiarì la voce. Ticchettava le unghie sul tavolo mentre si mordeva la parte superiore del labbro, sembrava quasi che stesse prendendo tempo.
Bell le passò una tazza pulita ed il bricco con il caffè, tenendo lo sguardo fisso sulle sue mani.
“Devo dirvi una cosa.”
Fece d’un tratto la ragazza dopo aver preso solo un sorso dalla tazza colma, solo a quel punto il moro si permise di incontrare i suoi occhi e ciò che vide lo mise a disagio.
Le iridi della giovane erano lucide, le pupille arrossate ed il contorno occhi gonfio, sembrava quasi che come lui non avesse dormito o peggio che avesse pianto, fece fatica a reprimere l’impulso di capitolare al suo fianco e stringerla, la sua espressione era affranta e di riflesso un groppo si formò nella gola del ragazzo.
“Io…” Deglutì lei. “Ieri. Ieri quando…” Si fermò di nuovo, sembrava che avesse difficoltà a riordinare i suoi pensieri.
Octavia le prese una mano e Clarke fece un lieve sussulto “Hei, tranquilla, fai un respiro.” Disse la minore dei Blake per provare a calmarla. La bionda strinse la mano della ragazza e ricominciò
“Ieri mi hanno convocato alla Harvard. L’ospedale in cui facevo tirocinio ha subito dei gravi danni con la tempesta di neve. Ci hanno dovuto spostare in altre strutture solo che quelle di Boston non possono accogliere tutti. Hanno chiesto a noi fuorisede di tornare nelle nostre città, dicono che hanno già una lista di ospedali e ambulatori pronti a farci recuperare il programma. Io… Io non posso rinunciare a questa opportunità. Ci hanno già fornito i biglietti del treno o dei ticket per il rimborso della benzina ma scadono domani perciò oggi è il mio ultimo giorno qui.”
Bellamy rimase impietrito, forse socchiuse le labbra leggermente, non sapeva dirlo.
Quindi finiva così, non c’era tempo per far sì che le sue ferite si rimarginassero e se mai l’avessero fatto, lei sarebbe stata a chilometri di distanza.
Dunque Clarke stava per scappare di nuovo e questa volta, pur volendo, non sarebbe potuta tornare indietro.
Sua sorella era corsa dall’altra parte del tavolo e aveva abbracciato la bionda, le aveva detto qualcosa ma lui non era più in grado di percepire le parole, di riconoscerle.
 
-
 
Clarke guidava da un’ora, l’autostrada si stagliava infinita alla sua vista, non c’era traffico, chissà perché i ritorni sembravano sempre più brevi delle partenze. Di solito erano anche più semplici ma non questa volta.
 
Era partita presto quella mattina, avrebbe voluto evitare di salutarli per l’ultima volta ma Octavia aveva insistito ed aveva scaraventato giù dal letto anche Bellamy. Non si erano più parlati, quando aveva dato la notizia, lui era rimasto in silenzio per un po’, poi aveva allontanato la sedia dal tavolo, si era alzato e si era chiuso in bagno, dopodiché era uscito, doveva continuare l’inventario aveva detto, doveva lavorare, non un accenno alla sua partenza, non un commento e forse era meglio così in un certo senso quella freddezza rendeva tutto più semplice.
Octavia invece era rimasta con lei, l’aveva aiutata con la valigia e gli scatoloni poi l’aveva lasciata con una frase
“Sono sicura che un giorno chiarirete Clarke. Bellamy si riuscirà a spiegare prima o poi però ti prego promettimi che saprai ascoltarlo e proverai a capirlo quando succederà.”
Non le aveva dato il tempo di rispondere, si era chiusa la porta alle spalle e l’aveva lasciata sola in quella stanza ora del tutto spoglia proprio come la prima volta che ci aveva messo piede. Clarke aveva sbuffato mentre con lo scotch chiudeva gli ultimi scatoloni, la verità era che non si sarebbero mai più rivisti, una lacrima solitaria accompagnò quel pensiero rigandole il volto ma la scacciò via prontamente con la manica della felpa che indossava.
Quando si erano salutati i tre si erano radunati di fronte casa, Clarke aveva spostato la macchina appena fuori la staccionata per caricarci le ultime cose, Bellamy senza dirle o chiedere nulla le aveva fatto trovare tutto già pronto nel cofano di quel vecchio catorcio. Octavia le afferrò le spalle con le mani in un gesto di sostegno amichevole “Andrà tutto bene alla fine, vedrai.” Le aveva sussurrato quasi impercettibilmente prima di stamparle un bacio rumoroso sulla guancia e salutarla con un augurio che suonò strano alla biondina come se appartenesse ad un’era lontana nel tempo
“Ci rincontreremo.”*
Le aveva detto guardandola dritta nelle iridi la minore dei Blake con un tono fermo e serio, sembrava essere profondamente convinta di ciò che stava dicendo quasi fosse una profezia.
Bellamy si fece avanti impacciato quando fu il suo turno, le mani nelle tasche del giubbotto pesante, le labbra serrate e lo sguardo cupo ma perso in lei.
Clarke si avvicinò titubante a sua volta, non sapeva nemmeno cosa dire, avevano passato gli ultimi due giorni ad evitarsi, torturandosi per averlo fatto e ora che finalmente avevano la possibilità di parlarsi anche solo per qualche minuto nessuno dei due sembrava avere la più pallida idea di come cominciare.
Non si resero nemmeno conto che la furba O’ avesse tagliato la corda già da un po’.
Dopo ancora qualche istante d’imbarazzo la bionda si permise di lasciare che i suoi occhi s’incontrassero forse per quella che sarebbe stata l’ultima volta con i pozzi scuri di lui, si morse un labbro quando percepì che Bell la stava scrutando più di quanto non avesse mai fatto, sembrava esterrefatto e deciso a non lasciarsi scappare nemmeno il più piccolo dei dettagli che la caratterizzavano, ancora una volta si sentì spogliata di tutto, una voragine si aprì nel suo petto e per un istante la giovane Griffin dimenticò ogni cosa accaduta negli ultimissimi giorni, dovette essere lo stesso per il maggiore dei Blake che dopo aver inspirato a fondo l’aria frizzante mattutina si decise ad avanzare ancora un po’ verso di lei e ad aprire le braccia accogliendola in un abbraccio forte carico probabilmente di tutto ciò che non erano riusciti a dirsi.
Quella stretta sapeva di scuse e rimpianti, di rabbia, di tristezza ma ciò che rimase attaccato ai loro corpi fu senz’altro amore.
Clarke lasciò che la sua testa sprofondasse nel petto del ragazzo, lo stesso che aveva pensato fermamente di odiare che credeva non sarebbe mai riuscita a comprendere.
Si rese conto di come l’odore di Bellamy sembrava avere un effetto anestetizzante su di lei, stretta da quel corpo si sentì per quella manciata di minuti lontana da ogni minaccia e capì quanto le fosse mancato pur avendolo avuto così vicino.
Quando si separarono Bell non parlò, non aggiunse nulla, semplicemente la guardò voltargli le spalle, rimase lì fin quando la ragazza ormai salita in macchina ingranò la prima, forse stava aspettando (e sperando) fino alla fine che le cose andassero diversamente, che ci fosse una svolta da un momento all’altro.
A quel punto Clarke lasciò scivolare il suo sguardo nello specchietto retrovisore, il moro era ancora lì le fece un cenno con la testa e per un attimo credette di vedere le sue labbra schiudersi come se stessero dicendo finalmente qualcosa ma era davvero troppo tardi.
 
Durante il viaggio la biondina non riuscì a non pensare ad altro, stava sfrecciando a centoventi chilometri orari verso la direzione opposta in cui sentiva di appartenere e non poteva farci assolutamente nulla.
 
Quando entrò in casa, tutto era avvolto dal silenzio, non sapeva se ci fosse qualcuno, era entrata di soppiatto, non vedeva sua madre dal matrimonio e l’ultima volta che era stata lì aveva avuto Bellamy accanto, sentì una fitta allo stomaco che cercò di ignorare mentre correva nella sua camera.
Lasciò la valigia cadere vicino la scrivania e si rannicchiò sul letto, per un attimo ebbe il sospetto che i cuscini sapessero ancora di lui, quell’odore diventato ormai così familiare la fece sentire fuori posto ancora una volta, che ci faceva a New York?
Non trovando una risposta adeguata al suo stato d’animo chiuse gli occhi e lasciò che il sonno la allontanasse da quella realtà così rarefatta e poco rassicurante.
Si svegliò solamente quando sentì bussare alla sua porta, non sapeva dire quanto tempo fosse passato, aveva dormito senza sognare, si era lasciata cadere nel buio e l’unica cosa di cui era sicura era che avrebbe voluto farlo per molto più tempo, si tirò su a sedere e con la bocca ancora impastata ed i segni del cuscino sul volto azzardò un “Avanti.”
Dall’uscio fece capolino l’ultima persona che pensava di vedere varcare la soglia che portava alla sua camera: Marcus.
Lo osservò stupita, non avevano mai avuto molti contatti, lei non glielo aveva permesso nonostante i vari tentativi di lui comunque mai troppo convincenti.
“Ti dispiace?”
Scosse il capo, non sapeva per quale motivo ma fu lieta di incontrare le sue fattezze piuttosto che quelle della madre o addirittura di Jasper o Monty.
“Dormivi?” Fece lui imbarazzato.
“Non preoccuparti, prima o poi mi sarei dovuta svegliare.” Disse con un sorriso più spontaneo di quanto si sarebbe aspettata.
“Mi sono permesso di scaricare la macchina, ho messo gli scatoloni qua fuori, non volevo disturbarti, quando sei arrivata ero in bagno a farmi una doccia.”
“Grazie.” Parlò con un tono sincero poi lasciò che la sua curiosità e il suo timore venissero a galla in una sola domanda “C’è mia madre?”
“No, Abigail è di turno in ospedale ma si è raccomandata più volte di prepararti qualcosa di caldo, ci sono uova e pancetta appena fatti in cucina e personalmente sto morendo di fame… Vuoi unirti?”
Clarke annuì nonostante non sentisse realmente il bisogno di mangiare.
Seguì silenziosamente l’uomo fino alla tavola dove presero posto. Era tutto perfetto.
Marcus aveva apparecchiato in modo impeccabile e una padella invitante se ne stava al centro della tavola ricca di cibo, a quella vista la ragazza sentì l’acquolina in bocca, il profumo di bacon soffritto aveva invaso le stanze della casa riportandola indietro nel passato.
Suo padre cucinava la colazione salata tutte le domeniche, si svegliava presto e si metteva ai fornelli, poi quando tutto era pronto chiamava lei ed Abby e insieme banchettavano, erano capaci di starsene attorno a quel tavolo anche per più di due ore, chiacchieravano e chissà perché avevano sempre qualcosa di nuovo da dirsi, era uno dei pochi momenti in cui riuscivano a stare tutti insieme, poi alle volte Jake si avvicinava alla radio che tenevano sopra il frigorifero, inseriva qualche vecchia cassetta con sopra delle canzoni blues ed invitava Abby a ballare, quando era più piccola Clarke saltellava attorno a loro, crescendo aveva imparato a restarsene al suo posto, si perdeva a guardarli sentendosi scaldata da una primordiale felicità.
Erano anni che qualcuno non le preparava una colazione simile, da quando suo padre aveva scoperto di star male quell’usanza era scomparsa insieme alla sua energia vitale. Doveva essere stata sua madre a suggerire quel particolare menù ed in un certo senso fu lieta che Marcus avesse fatto tutto quello per lei, non era sicura di meritarlo, non dopo il modo in cui si era comportata alla cerimonia.
“Mi dispiace.” Sussurrò mentre l’uomo accanto a lei si stava riempiendo il piatto, lui la guardò intenerito e non tardò a risponderle
“Tranquilla Clarke, so che è dura e anche se può essere difficile crederlo lo sa bene anche tua madre, abbiamo avuto vent’anni anche noi, so che è strano immaginarlo ma non vederci come alieni o esseri incapaci di capire cosa muove quel senso di frustrazione in te. Tua madre me ne ha parlato per tutta la luna di miele…”
Non sapeva cosa dire, non si aspettava un’argomentazione simile credeva che quell’uomo al quale aveva negato la parola tante volte avrebbe semplicemente raccolto le sue scuse ritornando presto al suo piatto.
“Non volevo rovinare un momento così importante per voi, me ne rendo conto solo adesso e mi dispiace se non sono sempre stata molto amichevole nei tuoi confronti, so che sei una brava persona ma è stato strano per me.”
Marcus le rivolse un sorriso sincero
“Non devi chiedermi scusa, ognuno ha i suoi tempi e sapevo a cosa andavo incontro, stai facendo la tua vita, le tue esperienze e so quanto possa averti scombinato alcune abitudini tutto questo ma sono sicuro che riusciremo a cavarcela. Sappi solo che non voglio prendere il posto di nessuno, sarai per sempre Clarke Griffin e per tua madre sei un’ancora di salvezza, ricorda sempre che sei la prova dell’amore che prova ed ha provato per Jake, non dimenticarlo. Per quanto riguarda me, vedimi come un amico nulla più, non voglio assolutamente rimpiazzare una figura paterna o altro… Amo tua madre più di quanto non sia mai stato in grado di fare con altre persone e voglio solo il meglio per voi.”
Sentì gli occhi gonfiarsi, erano lucidi ma le lacrime che stavano facendo capolino non erano amare, fu grata per quelle parole, si sentì persino stupida, si rese conto d’improvviso dell’impatto che avevano avuto i suoi pregiudizi nei confronti della figura di Marcus e provò un forte senso di colpa.
Fu come se in un attimo tutto fosse più chiaro, finalmente illuminato da una luce diversa, sua madre non aveva lasciato andare suo padre, aveva solo rispettato le sue scelte, alla sua morte non era riuscita ad entrare nella stanza d’ospedale solo perché avrebbe voluto dire fronteggiare una perdita troppo grande per lei e il fatto che avesse incontrato qualcuno che potesse renderla felice non voleva certo significare che avesse smesso di amare suo padre.
Clarke si sentì più leggera, era come se fosse riuscita a sciogliere un nodo troppo complicato da sbrogliare, la risoluzione di quell’intricato laccio era sempre stata sotto i suoi occhi troppo appannati da risentimenti superficiali, fu come tornare a respirare dopo aver passato troppo tempo in apnea, un senso di improvvisa serenità la avvolse, tutto l’astio e la rabbia repressa che da mesi l’assalivano ogni qual volta si trovava in quella casa con Marcus o Abby l’abbandonarono.
“Grazie, davvero.”
L’uomo alzò il bicchiere con la spremuta d’arancia in un brindisi e la bionda lo emulò sorridendo.
 
Più tardi quando sua madre suonò al campanello, Clarke le aprì la porta e senza darle nemmeno il tempo di mettere piede in casa la avvolse in un abbraccio “Perdonami, sono stata un’idiota.”
Abby fu presa di sorpresa ma poco dopo ricambiò la stretta sussurrandole “Shhh. Sono così contenta che tu sia di nuovo qui con noi.”
Solo ascoltando quelle parole il pensiero della giovane Griffin volò a Boston, dopo quel pasto a metà tra la colazione ed il pranzo aveva passato le ore successive nella sua camera a riordinare le sue cose pensando per tutto il tempo a quanti dettagli avesse mistificato della sua vita con Abby. Adesso era felice di essere riuscita a superare quella situazione e di poter nuovamente guardare sua madre come solo un figlio sa fare con ammirazione e affetto incondizionato ma sentiva comunque di aver lasciato una parte consistente di sé in casa Blake, quella casa che l’aveva accolta quando era convinta di non averne più una.
 
-
 
“L’hai lasciata andare quindi? Così senza dirle nulla?”
John stringeva un bicchierino di rum tra le mani mentre il vecchio Joseph aveva finalmente acceso il suo sigaro ed il locale ormai vuoto in poco tempo aveva acquisito l’odore caratteristico e dolce del tabacco vanigliato.
“Cos’altro potevo fare? Non dipendeva da quel malinteso, hai capito che è tornata per una causa di forza maggiore?”
Joseph sospirò borbottando “Ah i giovani d’oggi… Si vede che non avete sfiorato la guerra, un tempo si era pronti a tutto per amore, non importa se fosse indirizzato ad una donna, alla patria o ad un ideale… Eravamo pronti anche a morire.”
Murphy soffocò un risolino e commentò
“Ah, il vecchio Jo’ ha proprio ragione caro Blake, ci siamo rincoglioniti, devi ammetterlo.”
Bellamy aveva un sorriso ebete dipinto in volto, nonostante dentro si sentisse morire, l’alcol stava facendo il suo effetto ed apparentemente il moro sembrava quasi fin troppo tranquillo e pacato, Murphy però lo guardava con un’aria preoccupata, conosceva bene l’amico e comprendeva perfettamente il suo modo di reagire alla sofferenza, sembrava come se si facesse scivolare tutto addosso, appariva superiore a qualsiasi tipo di emozione negativa ma dentro lasciava che lo sconforto lo corrodesse silenziosamente.
“Tornerà.”
Sentenziò solennemente il biondino, non lo disse solo per concedere una speranza in quel momento di sconforto al suo migliore amico ma anche perché era fermamente convinto che ciò che aveva legato quei due era un qualcosa di indissolubile, non sarebbe potuto sparire tutto così, non in quel modo e poi prima di passare a prendere Bellamy aveva parlato con Octavia che come lui non era decisa a lasciar andare nuovamente all’apatia suo fratello e sembrava avere in testa già un piano delineato per far sì che quei due si permettessero quanto meno una seconda possibilità.
Bellamy si riempì l’ennesimo shottino che buttò giù di colpo, no, Clarke non sarebbe tornata mai sui suoi passi, non da sola ed il ragazzo aveva smesso di credere che il destino potesse essere benevolo nei suoi confronti.
   
 
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